"Oggi,
e cioè dopo l'invenzione della bomba atomica, dietro i pregiudizi della
politica si celano la paura che l'umanità possa autoeliminarsi mediante la
politica e gli strumenti di violenza di cui dispone, e, in stretta connessione
con tale paura, la speranza che l'umanità si ravveda e anziché se stessa, tolga
di mezzo la politica, ricorrendo a un
governo universale che dissolva lo stato in una macchina amministrativa,
risolva i conflitti politici per via burocratica e sostituisca gli eserciti con
schiere di poliziotti. Certo tale speranza è del tutto utopica se per politica
si intende, come normalmente avviene, una relazione tra governanti e governati.
In questa ottica, invece di un'abolizione del politico otterremmo una forma
dispotica di governo di dimensioni mostruose, in cui lo iato tra governanti e
governati assumerebbe proporzioni così gigantesche da impedire qualunque
ribellione, e tanto più qualunque forma di controllo dei governanti da parte
dei governati. Tale carattere dispotico non cambierebbe neppure qualora in quel
regime mondiale non si potesse più individuare una persona, un despota; infatti
il dominio burocratico, il dominio mediante l'anonimità degli uffici, non è
meno dispotico perchè "nessuno" lo esercita; al contrario: forse è
ancora più terribile, poiché nessuno può parlare o presentare reclamo a quel
Nessuno. Se però per politico si intende una sfera del mondo dove gli uomini si
presentano primariamente come soggetti attivi, e dove conferiscono alla umane
faccende una stabilità che altrimenti non le riguarderebbe, la speranza appare
tutt'altro che utopica. L'eliminazione degli uomini in quanto soggetti attivi è
riuscita spesso nella storia, sebbene non a livello mondiale: sia sotto forma
di quella tirannide che oggi ci sembra antiquata, dove la volontà di un uomo
pretendeva totale libertà di azione, sia sotto forma del moderno totalitarismo,
dove si vorrebbe liberare la presunta superiorità dei processi e delle "
energie storiche" impersonali e sottomettervi gli uomini. ...............
Ma
quello che oggi è il momento cruciale del corrente pregiudizio nei confronti
della politica, e cioè la fuga nell'impotenza, il disperato desiderio di essere
esentati dalla facoltà di agire, all'epoca era ancora pregiudizio e privilegio
di un ceto ristretto, convinto, come Lord Acton, che il potere corrompa e il
possesso del potere assoluto corrompa in modo assoluto. Nessuno meglio di
Nietzsche, nel suo tentativo di riabilitare il potere, si è reso chiaramente
conto che tale condanna del potere doveva corrispondere in pieno ai desideri
ancora inarticolati delle masse; per quanto anche lui, fedele allo spirito del
tempo, confondesse o meglio identificasse il potere, che un singolo non può mai
avere poiché nasce solo dal comune agire di molti, con la violenza, di cui il
singolo può senz'altro impossessarsi."
Hannah Arendt