Due sono i nodi immediati che si
oppongono alla realizzazione di una rivoluzione sociale consigliarista.
1) La repressione politica e
poliziesca che difende il predominio di Stato e Mercato, cioè lo Statu quo delle repubbliche borghesi e
delle monarchie costituzionali che costituiscono il tessuto politico-militare
del capitalismo planetario.
2) L’inconsistenza del progetto di
transizione dalla situazione attuale a una federazione planetaria di
repubbliche consiliari organizzate a partire dai Consigli locali per estendersi fino al Consiglio Internazionale delle Nazioni Unite.
Se il primo punto, d’importanza
capitale può già essere affrontato e gestito con la resistenza alla cosiddetta
CRISI e con l’organizzazione della secessione dal capitalismo verso un altro
modo di produrre e distribuire la ricchezza necessaria a un buen vivir diffuso
e generalizzato, è soprattutto il secondo punto che appare crudelmente carente
di soluzioni.
Oltre l’affermazione generica
dell’ipotesi consiliare, mancano infatti i progetti concreti per un
rovesciamento di prospettiva politica senza il quale nessun cambiamento
radicale è possibile e nemmeno immaginabile.
L’ipotesi dell’autogestione generalizzata della vita quotidiana è stata un
importante punto fermo sulla rotta di questo rovesciamento di prospettiva, ma
una volta consumato lo scacco della rivolta del maggio ’68, questo ambizioso progetto
politico e poetico è rimasto lettera morta, dimenticato e sepolto dalla routine
del potere arcaico vittorioso e dei suoi sempre più patetici oppositori
preistorici.
Un’alleanza obiettiva tra i servitori
volontari del capitalismo e i burocrati di una rivoluzione tradita ha bloccato
per tutta la seconda metà del ventesimo secolo il processo di presa di coscienza
di un altro mondo possibile.
Si tratta oggi di fare uscire dal dimenticatoio
storico questo progetto, adattandolo alla complessità del lascito sociale di
una società alienata dal produttivismo, complicata dall’aumento sconsiderato
dell’inquinamento strutturale e del flusso demografico, incattivita dalla
miseria sociale che tutto ciò conporta.
Si tratta di emanciparsi
definitivamente e senza ambiguità non solo dall’ideologia di una felicità
capitalista che produce solo orrori, sfruttamento e alienazione ma anche dalle
ideologie rivoluzionarie e riformiste che non propongono altro che un eterno déjà vu di sconfitte e di frustrazioni.
L’ossessivo ritornello giaculatorio
che oppone destra e sinistra di uno stesso corpo malato come fossero
incompatibili, mentre sono interdipendenti e altrettanto corrotte e impotenti, è
ormai esplicito per chi vuole vederlo.
L’opposizione al clero dominante (di
destra e di sinistra) di una religione produttivistica che sta distruggendo il
tessuto sociale umano e l’ambiente vitale del pianeta, si pone ormai ben oltre
i distinguo ideologici e richiede la formulazione di una teoria rivoluzionaria
che ha già una storia ma non ancora una progettualità chiara e concreta.
Il solo risultato del singhiozzante
riprodursi di partiti e partitini politici che pretendono incarnare il
cambiamento mentre non sono altro che le protesi sinistre di un’umanità
storpiata e impotente, è di far rinascere a ogni nuova stagione politica una
speranza destinata a essere delusa all’elezione seguente.
Il metodo democratico parlamentare,
dopo aver assicurato i bei giorni del capitalismo trionfante e della classe
sociale che ne ha incarnato il progetto (la borghesia), mostra ormai il suo
definitivo decadimento a gestione dell’ineguaglianza, dell’illibertà e della
perdita crudele di ogni fratellanza in nome di un produttivismo che incita alla
competizione parossistica e alla guerra economica planetaria.
La diagnosi della società malata che
domina il mondo è ormai scontata e i cittadini di una società libera sono gli
unici dottori che possano curarne sintomi e cause perché prime vittime
dell’intossicazione direttamente implicate nell’affare. Invece, la questione
sociale è consegnata nelle mani sconsiderate di spin doctors, mass media e burocrati pagati dai banksters per perpetuare il sistema e
diffondere le sue tossine in maniera irreversibile.
La democrazia parlamentare è la
necrosi di una democrazia che per inventarsi finalmente tale deve liberarsi da
due zavorre storiche: il modo di produzione capitalistico che determina e
sfrutta il Mercato e lo Stato che ne dirige il funzionamento al servizio di
quel processo di valorizzazione economica che domina il mondo come un totalitarismo
che comprende tutti gli altri.
Una prima sconfitta della democrazia
consigliare nascente è stata consumata agli albori dell’insurrezione internazionale
del proletariato.
La rivoluzione d’Ottobre 1917, in Russia e dintorni,
è diventata immediatamente la controrivoluzione di Novembre guidata dal clero
bolscevico e dai suoi compagni di strada: Trotski e compagnia.
L’idea comunista, propugnata per tutto
il diciannovesimo secolo da pensatori del calibro di Karl Marx, aveva trovato
in Pannekoek, Gorter e Rosa Luxembourg, per non citare che i più noti, una
dinamica consigliare coerente che voleva realizzare una democrazia socialista
egualitaria e organizzata orizzontalmente. La fine della società di classe non
era solo un mito lontano ma un metodo concreto di organizzazione sociale.
Lo spirito guerriero con il coltello
tra i denti dell’orco bolscevico ha deciso altrimenti, imponendo il soviet
supremo come risibile soffocamento dell’orizzontalita consigliare. A partire
dai marinai di Cronstadt, passando per i libertari della Machnovcina, poi per quelli
spagnoli della guerra civile ‘36-39, tutti i fautori di una democrazia
consigliare e libertaria sono stati spazzati via dall’alleanza oggettiva
ideologico-militare tra i rossi del comunismo autoritario e i bianchi del
capitalismo liberale.
Da questa falsa opposizione,
unicamente ideologica, è del resto scaturito il brodo di coltura che ha
prodotto la società dello spettacolo come fase terminale del capitalismo.
L’ipotesi consigliare non ha ma
fallito sul terreno delle riforme e del cambiamento concreto. Finché è stato
possibile attuarla, ha mostrato la lungimiranza del suo progetto di felicità
sociale rendendo umani contesti a volte addirittura terribili come la realtà
dei comunardi accerchiati in Parigi nel 1871 o quella delle Comuni aragonesi e
catalane tra il 1936 e il 1938, dove almeno sette milioni di individui sono
stati capaci di organizzare una vita degna, più giusta e piacevole persino
sotto il tiro dei cannoni franchisti, del nemico interno stalinista e della
reazione falangista in agguato. Ai rossi e ai bianchi produttivisti si è
aggiunto il bruno e il nero dei loro pittbull fascisti a completare l’opera di
smantellamento dell’ipotesi rivoluzionaria d’emancipazione dell’umanità da una
società divisa in classi.
Il consigliarismo è infatti il solo
modo di governo capace di spazzare via la gerarchizzazione dei soggetti e la
divisione autoritaria del lavoro; il solo metodo di organizzazione sociale che
liberi dell’appropriazione privativa senza annichilire la proprietà personale a
favore di uno Stato che diventa ineluttabilmente la preda dei burocrati che lo
gestiscono come una nuova classe dominante particolarmente stupida e cinica.
Come uscire dallo stato attuale di una
società in decomposizione dove molti cercano ormai un ultimo business prima
della catastrofe e i più sognano una sopravvivenza umiliante sotto la ferrea dittatura
schiavistica del lavoro salariato?
Come passare a una società capace di
produrre ricchezza per goderne tutti insieme, abbandonando quella, monomaniaca,
del valore economico da accrescere e accumulare escludendone i più in una
guerra sociale permanente?
Come introdurre una semplice e
spontanea solidarietà che un’educazione spartana demenziale, tutta tesa alla
competizione economica, ha reso impraticabile se non come altruismo
semimasochista?
L’aiuto reciproco è dell’ordine del
dono orgastico e non del dovere, non dimentichiamolo mai, e una democrazia
diretta è l’organizzazione dell’egoismo di ognuno armonizzato come egoismo
collettivo autogestito per il bene di tutti.
La non violenza non è dunque un fatto
etico, ma un’armonizzazione spontanea del principio orgastico del vivente che
fa dell’amore il motore del godimento di essere al mondo.
La democrazia consigliare è la
trasposizione cosciente nel sociale del processo biologico d’innamoramento che
ogni individuo di qualunque specie conosce meccanicamente quando la natura
determina la stagione degli amori.
Seguendo la stessa direzione dei bonobos, ma spingendosi ben oltre, prima
di perdersi nella giungla perversa del produttivismo, l’umanità ha introdotto
la possibilità consapevole di un’organizzazione sociale solidale che renda
possibile la soddisfazione senza fine di tutti i desideri possibili.
Il consigliarismo è il tentativo
concreto di questa tendenza naturale dell’umano in via di consolidamento ma ancora
estremamente fragile perché la scimmia umana è attirata dalla facilità della risoluzione
effimera della questione sociale attraverso il conflitto e il dominio
soprattutto maschile.
Non bisogna mai dimenticarsi che l’essere
umano non è né buono né cattivo in assoluto. L’essere umano è capace di tutto,
dal meglio al peggio: della Comune e di Auschwitz .
Come passare dalla repubblica borghese
alla democrazia consigliare?
A questo si deve rispondere anche
teoricamente, mentre si sostengono le lotte transizionali di resistenza al
mostro che avanza distruggendo la vita sul pianeta pur di estorcere un ultimo
profitto alla natura violentata e all’uomo sfruttato e alienato.
Attenzione, però, a ogni purismo, a
ogni moralismo: il ridicolo delle lotte ideologiche, il loro effetto boomerang
costante non devono spingere a un distacco elitista da queste lotte. Si tratta
di sostenerle criticandone i limiti e le contraddizioni, i recuperi subiti e
quelli cercati.
Giustissimo denunciare la
manipolazione da parte della politica burocratica di ogni focolaio di
resistenza. Sempre, però, solidali e complici con ogni spontanea resistenza
all’addomesticamento anche quando, continuando a commettere gli stessi errori
che hanno portato alle sconfitte passate, si rischia di ottenere ancora una
volta gli stessi sconfortanti risultati nulli.
Come passare dunque, dicevamo, dalla
repubblica borghese alla democrazia consigliare?
Come i repubblicani sono giunti a
scalzare l’ancien régime della monarchia di diritto divino,
noi dobbiamo ora scalzare quello della repubblica di diritto commerciale per
sostituirla con la società del dono e della ricchezza condivisa.
L’obiettivo mancato dal proletariato
industriale, sconfitto dal consumerismo ancor più che dalla repressione degli
eserciti e delle polizie dello Stato capitalista, è diventato quello
dell’umanità intera, costretta ormai a scegliere la propria emancipazione, non
più contro una società di classe, ma contro la dinamica globalmente nichilista
del capitalismo che sta distruggendo la vita stessa sul pianeta.
Le multinazionali e la
finanziarizzazione dell’economia hanno sconvolto i fragili equilibri tra
sfruttamento dell’uomo e della natura e conquiste sociali che davano agli
sfruttati il senso di un minimo progresso. Il progresso è finito. Al suo posto
c’è ormai la progressione incessante della decomposizione della società umana
giustificata dall’ideologia della Crisi che nasconde a stento l’emergere
prepotente della crisi di tutte le ideologie.
E questa è la buona novella: non ci
resta che abbandonare il mostro al suo destino. Destra e sinistra non
significano più nulla non perché la conflittualità sociale sia sparita ma
perché si è allargata al mondo intero, opponendo ormai direttamente i difensori
della vita ai produttori di una morte sempre meno redditizia, ma pur sempre
abbastanza per essere scelta dagli zombi come unica fonte possibile di
felicità.
Buona novella perché ormai solo il
progetto radicale d’emancipazione si staglia come unica possibilità di salvezza
e l’ìistinto di sopravvivenza che sussiste anche nell’animale più malato si
confonde ormai con la poesia vitale di quanti continuano a voler vivere senza
tempi morti e godere senza ostacoli una vita degna di questo nome. Agli
antipodi, dunque, di quel consumerismo che fa inseguire carote senza tempi
morti per poi annoiarsi mortalmente ogni volta che si assaggia la carota
marcita, oltre gli ostacoli spettacolari che si riformano sempre più
insormontabili tra un consumo e l’altro di miseria.
Dai consigli locali al Consiglio
internazionale delle Nazioni unite, un numero conseguente di Consigli intermedi
devono assicurare la catena completa del processo decisionale come egualitario,
orizzontale e antigerarchico.
Molti dei problemi di gestione del
funzionamento di una democrazia diretta e reale sono risolvibili con tecniche
adeguate.
Bosogna, prima di tutto, spazzare via
alcuni luoghi comuni e falsi problemi.
Una democrazia diretta non esclude
deleghe, ma le pretende irrevocabilmente reversibili a ogni istante. La delega
dev’essere un dono del delegato che si rende disponibile a rappresentare una
decisione comune, non una gerarchia di potere accumulabile e redditizio. Per
questo il controllo delle deleghe sarà un compito delicato e indispensabile per
il buon funzionamento di una democrazia consigliare.
Molte astuzie sono già note. Parlo di
astuzie non di verità filosofiche, come il tiraggio a sorte e altre tattiche di
filtraggio dei ruoli sociali.
Con l’abolizione, non solo auspicabile
ma necessaria, degli Stati, il concetto di nazione assumerà un ruolo importante.
Totalmente emancipata dai miasmi nazionalisti tanto cari a tutti i fascismi e a
tutti gli sciovinismi, la nazione comparirà come una condizione sociale
naturale per tutti i componenti di qualunque comunità reale.
Come, per esempio, è già stato il caso
di molte tribù indigene del nord America che parlavano di nazione Sioux o Cheyenne,
il concetto naturale di nazione tornerà a indicare una comunità di elementi materiali
e spirituali, biologici e culturali.
Essere nati in un luogo comune
significa avere un legame affettivo, non di diritto o di potere, con una terra,
con un gruppo, con un linguaggio, con una particolare luce nell’aria, con abitudini
alimentari, clima, gusti estetici, musicali, filosofici, poetici ecc.
La nazione non esclude i barbari. Siamo
tutti i barbari di qualcun altro e per fortuna ormai siamo tutti bastardi, cioè
figli di una stessa diversa umanità.
Il sentimento di ospitalità rompe ogni
rapporto tra la nazione e l’appropriazione privativa del territorio.
Non esistono clandestini, ma solo
stranieri dalle abitudini diverse che devono essere armonizzate da una volontà
comune, altrettanto esente da tremebonde difese ossidionali del territorio che
da prepotenti invasioni barbariche.
I cittadini del mondo hanno tante
nazioni quante ne riescono a esplorare e laddove decidono di stabilirsi sono
tanto a casa loro che in casa degli altri.
Questo difende il principio di
laicità: in comune soltanto quel che è comune, nell’intimità di quanti lo
condividano quel che non lo è per tutti. Le affinità elettive s’occuperanno di
armonizzare unioni e separazioni, avvicinamenti e distanze. C’è spazio per
tutti e per tutte le differenze, soprattutto se si smette, ora che la natalità
è ben protetta, di riprodursi come conigli, limitandosi alla meravigliosa
rarità di infantare per amore, amore reciproco e amore per il nascituro.
Questo testo è solo un abbozzo da
sviluppare ben più profondamente.
Sergio Ghirardi