giovedì 10 ottobre 2013

PER UNA RIVOLUZIONE DEI CONSIGLI




Due sono i nodi immediati che si oppongono alla realizzazione di una rivoluzione sociale consigliarista.

1) La repressione politica e poliziesca che difende il predominio di Stato e Mercato, cioè lo Statu quo delle repubbliche borghesi e delle monarchie costituzionali che costituiscono il tessuto politico-militare del capitalismo planetario.

2) L’inconsistenza del progetto di transizione dalla situazione attuale a una federazione planetaria di repubbliche consiliari organizzate a partire dai Consigli locali per estendersi fino al Consiglio Internazionale delle Nazioni Unite.

Se il primo punto, d’importanza capitale può già essere affrontato e gestito con la resistenza alla cosiddetta CRISI e con l’organizzazione della secessione dal capitalismo verso un altro modo di produrre e distribuire la ricchezza necessaria a un buen vivir diffuso e generalizzato, è soprattutto il secondo punto che appare crudelmente carente di soluzioni.
Oltre l’affermazione generica dell’ipotesi consiliare, mancano infatti i progetti concreti per un rovesciamento di prospettiva politica senza il quale nessun cambiamento radicale è possibile e nemmeno immaginabile.

L’ipotesi dell’autogestione generalizzata della vita quotidiana è stata un importante punto fermo sulla rotta di questo rovesciamento di prospettiva, ma una volta consumato lo scacco della rivolta del maggio ’68, questo ambizioso progetto politico e poetico è rimasto lettera morta, dimenticato e sepolto dalla routine del potere arcaico vittorioso e dei suoi sempre più patetici oppositori preistorici.
Un’alleanza obiettiva tra i servitori volontari del capitalismo e i burocrati di una rivoluzione tradita ha bloccato per tutta la seconda metà del ventesimo secolo il processo di presa di coscienza di un altro mondo possibile.
Si tratta oggi di fare uscire dal dimenticatoio storico questo progetto, adattandolo alla complessità del lascito sociale di una società alienata dal produttivismo, complicata dall’aumento sconsiderato dell’inquinamento strutturale e del flusso demografico, incattivita dalla miseria sociale che tutto ciò conporta.

Si tratta di emanciparsi definitivamente e senza ambiguità non solo dall’ideologia di una felicità capitalista che produce solo orrori, sfruttamento e alienazione ma anche dalle ideologie rivoluzionarie e riformiste che non propongono altro che un eterno déjà vu di sconfitte e di frustrazioni.
L’ossessivo ritornello giaculatorio che oppone destra e sinistra di uno stesso corpo malato come fossero incompatibili, mentre sono interdipendenti e altrettanto corrotte e impotenti, è ormai esplicito per chi vuole vederlo.
L’opposizione al clero dominante (di destra e di sinistra) di una religione produttivistica che sta distruggendo il tessuto sociale umano e l’ambiente vitale del pianeta, si pone ormai ben oltre i distinguo ideologici e richiede la formulazione di una teoria rivoluzionaria che ha già una storia ma non ancora una progettualità chiara e concreta.
Il solo risultato del singhiozzante riprodursi di partiti e partitini politici che pretendono incarnare il cambiamento mentre non sono altro che le protesi sinistre di un’umanità storpiata e impotente, è di far rinascere a ogni nuova stagione politica una speranza destinata a essere delusa all’elezione seguente.
Il metodo democratico parlamentare, dopo aver assicurato i bei giorni del capitalismo trionfante e della classe sociale che ne ha incarnato il progetto (la borghesia), mostra ormai il suo definitivo decadimento a gestione dell’ineguaglianza, dell’illibertà e della perdita crudele di ogni fratellanza in nome di un produttivismo che incita alla competizione parossistica e alla guerra economica planetaria.

La diagnosi della società malata che domina il mondo è ormai scontata e i cittadini di una società libera sono gli unici dottori che possano curarne sintomi e cause perché prime vittime dell’intossicazione direttamente implicate nell’affare. Invece, la questione sociale è consegnata nelle mani sconsiderate di spin doctors, mass media e burocrati pagati dai banksters per perpetuare il sistema e diffondere le sue tossine in maniera irreversibile.
La democrazia parlamentare è la necrosi di una democrazia che per inventarsi finalmente tale deve liberarsi da due zavorre storiche: il modo di produzione capitalistico che determina e sfrutta il Mercato e lo Stato che ne dirige il funzionamento al servizio di quel processo di valorizzazione economica che domina il mondo come un totalitarismo che comprende tutti gli altri.

Una prima sconfitta della democrazia consigliare nascente è stata consumata agli albori dell’insurrezione internazionale del proletariato.
La rivoluzione d’Ottobre 1917, in Russia e dintorni, è diventata immediatamente la controrivoluzione di Novembre guidata dal clero bolscevico e dai suoi compagni di strada: Trotski e compagnia.
L’idea comunista, propugnata per tutto il diciannovesimo secolo da pensatori del calibro di Karl Marx, aveva trovato in Pannekoek, Gorter e Rosa Luxembourg, per non citare che i più noti, una dinamica consigliare coerente che voleva realizzare una democrazia socialista egualitaria e organizzata orizzontalmente. La fine della società di classe non era solo un mito lontano ma un metodo concreto di organizzazione sociale.
Lo spirito guerriero con il coltello tra i denti dell’orco bolscevico ha deciso altrimenti, imponendo il soviet supremo come risibile soffocamento dell’orizzontalita consigliare. A partire dai marinai di Cronstadt, passando per i libertari della Machnovcina, poi per quelli spagnoli della guerra civile ‘36-39, tutti i fautori di una democrazia consigliare e libertaria sono stati spazzati via dall’alleanza oggettiva ideologico-militare tra i rossi del comunismo autoritario e i bianchi del capitalismo liberale.
Da questa falsa opposizione, unicamente ideologica, è del resto scaturito il brodo di coltura che ha prodotto la società dello spettacolo come fase terminale del capitalismo.

L’ipotesi consigliare non ha ma fallito sul terreno delle riforme e del cambiamento concreto. Finché è stato possibile attuarla, ha mostrato la lungimiranza del suo progetto di felicità sociale rendendo umani contesti a volte addirittura terribili come la realtà dei comunardi accerchiati in Parigi nel 1871 o quella delle Comuni aragonesi e catalane tra il 1936 e il 1938, dove almeno sette milioni di individui sono stati capaci di organizzare una vita degna, più giusta e piacevole persino sotto il tiro dei cannoni franchisti, del nemico interno stalinista e della reazione falangista in agguato. Ai rossi e ai bianchi produttivisti si è aggiunto il bruno e il nero dei loro pittbull fascisti a completare l’opera di smantellamento dell’ipotesi rivoluzionaria d’emancipazione dell’umanità da una società divisa in classi.
Il consigliarismo è infatti il solo modo di governo capace di spazzare via la gerarchizzazione dei soggetti e la divisione autoritaria del lavoro; il solo metodo di organizzazione sociale che liberi dell’appropriazione privativa senza annichilire la proprietà personale a favore di uno Stato che diventa ineluttabilmente la preda dei burocrati che lo gestiscono come una nuova classe dominante particolarmente stupida e cinica.

Come uscire dallo stato attuale di una società in decomposizione dove molti cercano ormai un ultimo business prima della catastrofe e i più sognano una sopravvivenza umiliante sotto la ferrea dittatura schiavistica del lavoro salariato?
Come passare a una società capace di produrre ricchezza per goderne tutti insieme, abbandonando quella, monomaniaca, del valore economico da accrescere e accumulare escludendone i più in una guerra sociale permanente?
Come introdurre una semplice e spontanea solidarietà che un’educazione spartana demenziale, tutta tesa alla competizione economica, ha reso impraticabile se non come altruismo semimasochista?

L’aiuto reciproco è dell’ordine del dono orgastico e non del dovere, non dimentichiamolo mai, e una democrazia diretta è l’organizzazione dell’egoismo di ognuno armonizzato come egoismo collettivo autogestito per il bene di tutti.
La non violenza non è dunque un fatto etico, ma un’armonizzazione spontanea del principio orgastico del vivente che fa dell’amore il motore del godimento di essere al mondo.
La democrazia consigliare è la trasposizione cosciente nel sociale del processo biologico d’innamoramento che ogni individuo di qualunque specie conosce meccanicamente quando la natura determina la stagione degli amori.
Seguendo la stessa direzione dei bonobos, ma spingendosi ben oltre, prima di perdersi nella giungla perversa del produttivismo, l’umanità ha introdotto la possibilità consapevole di un’organizzazione sociale solidale che renda possibile la soddisfazione senza fine di tutti i desideri possibili.
Il consigliarismo è il tentativo concreto di questa tendenza naturale dell’umano in via di consolidamento ma ancora estremamente fragile perché la scimmia umana è attirata dalla facilità della risoluzione effimera della questione sociale attraverso il conflitto e il dominio soprattutto maschile.

Non bisogna mai dimenticarsi che l’essere umano non è né buono né cattivo in assoluto. L’essere umano è capace di tutto, dal meglio al peggio: della Comune e di Auschwitz .

Come passare dalla repubblica borghese alla democrazia consigliare?
A questo si deve rispondere anche teoricamente, mentre si sostengono le lotte transizionali di resistenza al mostro che avanza distruggendo la vita sul pianeta pur di estorcere un ultimo profitto alla natura violentata e all’uomo sfruttato e alienato.
Attenzione, però, a ogni purismo, a ogni moralismo: il ridicolo delle lotte ideologiche, il loro effetto boomerang costante non devono spingere a un distacco elitista da queste lotte. Si tratta di sostenerle criticandone i limiti e le contraddizioni, i recuperi subiti e quelli cercati.
Giustissimo denunciare la manipolazione da parte della politica burocratica di ogni focolaio di resistenza. Sempre, però, solidali e complici con ogni spontanea resistenza all’addomesticamento anche quando, continuando a commettere gli stessi errori che hanno portato alle sconfitte passate, si rischia di ottenere ancora una volta gli stessi sconfortanti risultati nulli.

Come passare dunque, dicevamo, dalla repubblica borghese alla democrazia consigliare?
Come i repubblicani sono giunti a scalzare l’ancien régime della monarchia di diritto divino, noi dobbiamo ora scalzare quello della repubblica di diritto commerciale per sostituirla con la società del dono e della ricchezza condivisa.
L’obiettivo mancato dal proletariato industriale, sconfitto dal consumerismo ancor più che dalla repressione degli eserciti e delle polizie dello Stato capitalista, è diventato quello dell’umanità intera, costretta ormai a scegliere la propria emancipazione, non più contro una società di classe, ma contro la dinamica globalmente nichilista del capitalismo che sta distruggendo la vita stessa sul pianeta.
Le multinazionali e la finanziarizzazione dell’economia hanno sconvolto i fragili equilibri tra sfruttamento dell’uomo e della natura e conquiste sociali che davano agli sfruttati il senso di un minimo progresso. Il progresso è finito. Al suo posto c’è ormai la progressione incessante della decomposizione della società umana giustificata dall’ideologia della Crisi che nasconde a stento l’emergere prepotente della crisi di tutte le ideologie.
E questa è la buona novella: non ci resta che abbandonare il mostro al suo destino. Destra e sinistra non significano più nulla non perché la conflittualità sociale sia sparita ma perché si è allargata al mondo intero, opponendo ormai direttamente i difensori della vita ai produttori di una morte sempre meno redditizia, ma pur sempre abbastanza per essere scelta dagli zombi come unica fonte possibile di felicità.
Buona novella perché ormai solo il progetto radicale d’emancipazione si staglia come unica possibilità di salvezza e l’ìistinto di sopravvivenza che sussiste anche nell’animale più malato si confonde ormai con la poesia vitale di quanti continuano a voler vivere senza tempi morti e godere senza ostacoli una vita degna di questo nome. Agli antipodi, dunque, di quel consumerismo che fa inseguire carote senza tempi morti per poi annoiarsi mortalmente ogni volta che si assaggia la carota marcita, oltre gli ostacoli spettacolari che si riformano sempre più insormontabili tra un consumo e l’altro di miseria.

Dai consigli locali al Consiglio internazionale delle Nazioni unite, un numero conseguente di Consigli intermedi devono assicurare la catena completa del processo decisionale come egualitario, orizzontale e antigerarchico.
Molti dei problemi di gestione del funzionamento di una democrazia diretta e reale sono risolvibili con tecniche adeguate.
Bosogna, prima di tutto, spazzare via alcuni luoghi comuni e falsi problemi.
Una democrazia diretta non esclude deleghe, ma le pretende irrevocabilmente reversibili a ogni istante. La delega dev’essere un dono del delegato che si rende disponibile a rappresentare una decisione comune, non una gerarchia di potere accumulabile e redditizio. Per questo il controllo delle deleghe sarà un compito delicato e indispensabile per il buon funzionamento di una democrazia consigliare.
Molte astuzie sono già note. Parlo di astuzie non di verità filosofiche, come il tiraggio a sorte e altre tattiche di filtraggio dei ruoli sociali.

Con l’abolizione, non solo auspicabile ma necessaria, degli Stati, il concetto di nazione assumerà un ruolo importante. Totalmente emancipata dai miasmi nazionalisti tanto cari a tutti i fascismi e a tutti gli sciovinismi, la nazione comparirà come una condizione sociale naturale per tutti i componenti di qualunque comunità reale.
Come, per esempio, è già stato il caso di molte tribù indigene del nord America che parlavano di nazione Sioux o Cheyenne, il concetto naturale di nazione tornerà a indicare una comunità di elementi materiali e spirituali, biologici e culturali.
Essere nati in un luogo comune significa avere un legame affettivo, non di diritto o di potere, con una terra, con un gruppo, con un linguaggio, con una particolare luce nell’aria, con abitudini alimentari, clima, gusti estetici, musicali, filosofici, poetici ecc.
La nazione non esclude i barbari. Siamo tutti i barbari di qualcun altro e per fortuna ormai siamo tutti bastardi, cioè figli di una stessa diversa umanità.
Il sentimento di ospitalità rompe ogni rapporto tra la nazione e l’appropriazione privativa del territorio.

Non esistono clandestini, ma solo stranieri dalle abitudini diverse che devono essere armonizzate da una volontà comune, altrettanto esente da tremebonde difese ossidionali del territorio che da prepotenti invasioni barbariche.
I cittadini del mondo hanno tante nazioni quante ne riescono a esplorare e laddove decidono di stabilirsi sono tanto a casa loro che in casa degli altri.

Questo difende il principio di laicità: in comune soltanto quel che è comune, nell’intimità di quanti lo condividano quel che non lo è per tutti. Le affinità elettive s’occuperanno di armonizzare unioni e separazioni, avvicinamenti e distanze. C’è spazio per tutti e per tutte le differenze, soprattutto se si smette, ora che la natalità è ben protetta, di riprodursi come conigli, limitandosi alla meravigliosa rarità di infantare per amore, amore reciproco e amore per il nascituro.
 











Questo testo è solo un abbozzo da sviluppare ben più profondamente.


Sergio Ghirardi