Ho
incontrato per caso Etienne Chouard a Teil dove ero stato attirato, qualche
mese fa, perché spargessi su una piazza semipubblica la mia critica della
società spettacolare e dei suoi spettatori (servitori volontari, critici
militanti sadomaso, sostenitori dei poveri che accettino di restare dei
proletari e difensori dei bébés foca, tutti uniti nella non-lotta, senza
saperlo).
Anche
lui era là, invitato per la sua pedagogica volontà di diffusione di una
sensibilità costituente appassionatamente indaffarata a mettere su carta,
letteralmente ante litteram, la
costituzione di una società a venire. Quale, però, se si scava un po’ oltre le
tre meravigliose parole magiche che tutti adorano e manipolano (libertà,
uguaglianza e fraternità) ?
Curioso
come un bonobo in mezzo a una maggioranza di scimpanzé (a ognuno la sua scimmia
di riferimento), mi sono messo all’ascolto traendone una forte sensazione di
noia e di déjà-vu.
In
effetti, perché non scrivere una costituzione se ne viene la voglia, prima di
avere ritrovato il potere decisionale sulla propria vita (sola condizione che
conferisca lo statuto di cittadino), ma anche perché, allora, non mettersi a
giocare a Monopoli quando si è spiantati, prima di essere diventati capitalisti
veri nella vita quotidiana.
In
entrambi i casi, bisogna avere ben chiaro che la lotta reale per
l’emancipazione dell’uomo o quella per diventare un maschio dominante,
cambieranno forzatamente i dati al momento del passaggio dalla realtà fittizia
di un immaginario progioniero delle celle quotidiane dello spettacolo a una
situazione vissuta.
Non
si è veri capitalisti nel Monopoli, non si è dei rivoluzionari in una classe di
liceo dove si scrive una costituzione virtuale nello stesso modo in cui si è
comunardi durante la Comune
di Parigi, nel quartiere ateniese di Exarchia o in una qualunque manifestazione
storica di un Movimento delle Occupazioni[1] ormai
secolare.
Pur
senza cogliere pienamente lo psicodramma politicante che accompagnava la figura
di E. Chouard, mi ero irritato, facendolo sapere negli scambi di Teil, di
fronte alla rivendicazione, perlomeno ingenua e confusionista da parte sua, del
populismo e del nazionalismo. Gli avevo detto chiaro e tondo (prima di
andarmene soprattutto a causa della noia di cui sopra) che a quel punto tanto
valeva rivendicare direttamente il fascismo.
Qualche
mese più tardi, ecco che lo psicodramma si snoda in tutta la sua ampiezza
attraverso i blogs: dei gauchisti confusi (dicono altri gauchisti che
pretendono di non esserlo) invitano Chouard a discutere di democrazia diretta e
di costituzione.
Bestemmia.
Tutta la panoplia statalista di un gauchismo che trascina dal maggio ’68 la sua
impotenza e la sua confusione come un progetto rivoluzionario, s’offusca del
fatto che la parola venga data a colui che è denunciato come un fascista, amico
dei negazionisti e del putridume neonazista di estrema destra.
Sono
figlio di un antifascismo reale che si è battuto in Italia per sbattere nella
spazzatura della storia le leggi razziali e gli stronzi che le hanno preparate
e infine difese durante il ventennio mussoliniano.
Le
canzoni della resistenza che mi cantava mio padre antifascista hanno cullato la
mia infanzia e ho dunque voluto, in seguito, che l’adulto che mi sono inventato
le rispettasse davvero e non liturgicamente. Il che significa strappare le
radici che producono il fascismo, tutto il contrario, cioè del farne un tabù,
una rimozione e in ultima analisi uno strumento ideologico.
Nessuno
mi farà rispettare una qualunque censura, nessuno deciderà al mio posto chi è frequentabile e
chi no.
Ho
avuto spesso a che fare durante una ricca parte nomade della mia vita
quotidiana con gente assai poco frequentabile (questione di punti di vista,
dunque mai con fascisti caratteriali dichiarati, politicamente o no, perchè non
posso sopportare la peste emozionale in azione: nessun dialogo con i coglioni, nessun dialogo con i provocatori). Ciò
mi ha insegnato a rendermi libero di scegliere il modo e il momento per
espellere gli indesiderabili dalla mia vita, combattendoli se necessario.
Ho
sempre preso il tempo di decidere da solo, ascoltando bene gli altri, come un
adulto non come un minore castrato e rivestito di una qualunque sovranità
fittizia, obbligato a rimettersi sempre alla morale di un qualche padre, di un
dio, di un maestro o di uno Stato che non è altro che la miserabile versione
mercantile dei due simboli uniti e laicizzati di un unico potere sfruttatore e
alienante (Dio+ Signore, Stato+Mercato).
Non
tocca allo Stato (autoritario per natura) vietare il fascismo, sta a noi
renderlo impossibile. Nessun fascismo, del resto, ha mai dominato in nessun
posto senza la complicità decisiva dello Stato.
Ora,
all’opposto della lettura confusionista che l’immancabile sindacalista di
servizio ha fatto dell’intervento di Chouard sabato scorso ad Aimargues, questi
non ha affatto criticato lo Stato. Ne vuole un altro. Il suo. OPS, il nostro,
quello che inventeremo facendo scendere le tavole sacre di una nuova Costituzione
perfetta, giustissima e irrecuperabile. Si potrebbe dire divina.
Laicizzare
la mitologia giudeo-cristiana, ecco quel che hanno fatto per secoli dei
credenti diversi, autoritari e allucinati (il che non impedisce né la
sensibilità né l’intelligenza ma rende entrambe sistematicamente mostruose).
Ecco
perché Chouard fa l’apologia di Robespierre, questo credente angosciato nell’Essere Supremo e nella Dea Ragione, questo antenato senz’altro
involontario ma non per questo casuale del baffuto Piccolo Padre dei Popoli,
Papa rosso pestifero che aveva studiato dai gesuiti ( guarda un po’, proprio
come l’ultima star dello spettacolo, Papa Francesco, imbalsamato da vivo - Mandela
almeno hanno aspettato che crepasse -, che pare venuto sulla terra per
accarezzare nel senso delle catene la sua adorata gente da poco).
Ecco
perché, sabato Chouard s’è trovato d’accordo ideologicamente con un buon numero
dei suoi detrattori antifascisti, sindacalisti o devoti di base, sull’ipotesi
sub-realista di uno Stato buono, non sfruttatore, non alienante.
Una
buona parte dei partecipanti a questo incontro tranquillo, me compreso, sono
partiti quando è cominciato il gioco costituzionale alla ricerca della formula
di uno Stato senza macchia e senza peccato. Qualche piccolo gruppo ha stabilito
una comunicazione conviviale e autonoma prima di riprendere ognuno il proprio
cammino.
Nessuna
veglia antifascista è stata necessaria per salvare una democrazia che comunque
non esiste se non quando la “imponiamo”
con i nostri comportamenti libertari, ma il fantasma ben fascista dello Stato
rode, purtroppo, dai due lati delle barricate di carta della società dello
spettacolo.
Quasi
un secolo dopo i fatti, non si sa ancora, definitivamente, se Durruti, e con
lui la democrazia diretta della Catalogna e dell’Aragonese (1936-38), sia stato
assassinato di fronte da una pallottola franchista o di schiena da una palla
stalinista; si sa, però che è stato fatto fuori dallo Stato (di destra o di
sinistra, come per Rosa Luxembourg) per impedire la realizzazione collettiva di
una democrazia consiliare.
La
democrazia reale è incompatibile con lo Stato. Leggendo Abensour, Graeber,
Pannekoek, Vaneigem e molti altri piuttosto che Robespierre, si può facilmente
rendersene conto in tutta autonomia, naturalmente se quest’autonomia esiste.
Certo,
altre lotte ci attendono, ma non credo che attenderanno a lungo.
Sergio Ghirardi
[1] Il
Movimento delle Occupazioni, cominciato con l’occupazione delle fabbriche da
parte degli operai (1919-22), è poi riapparso nel 1968 con il Movimento delle
Occupazioni (prolungatosi soprattutto in Francia con il CMDO, Consiglio per la continuazione delle
occupazioni, costituitosi alla Sorbona la sera del 17 maggio). Oggi torna
d’attualità con le diverse manifestazioni di Occupy Wall Street e altri
progetti simili. In sintesi: Occupy the
Life.