mercoledì 18 dicembre 2013

Cronaca di un ballo in maschera attorno alla spazzatura della storia





Ho incontrato per caso Etienne Chouard a Teil dove ero stato attirato, qualche mese fa, perché spargessi su una piazza semipubblica la mia critica della società spettacolare e dei suoi spettatori (servitori volontari, critici militanti sadomaso, sostenitori dei poveri che accettino di restare dei proletari e difensori dei bébés foca, tutti uniti nella non-lotta, senza saperlo).
Anche lui era là, invitato per la sua pedagogica volontà di diffusione di una sensibilità costituente appassionatamente indaffarata a mettere su carta, letteralmente ante litteram, la costituzione di una società a venire. Quale, però, se si scava un po’ oltre le tre meravigliose parole magiche che tutti adorano e manipolano (libertà, uguaglianza e fraternità) ?
Curioso come un bonobo in mezzo a una maggioranza di scimpanzé (a ognuno la sua scimmia di riferimento), mi sono messo all’ascolto traendone una forte sensazione di noia e di déjà-vu.
In effetti, perché non scrivere una costituzione se ne viene la voglia, prima di avere ritrovato il potere decisionale sulla propria vita (sola condizione che conferisca lo statuto di cittadino), ma anche perché, allora, non mettersi a giocare a Monopoli quando si è spiantati, prima di essere diventati capitalisti veri nella vita quotidiana.
In entrambi i casi, bisogna avere ben chiaro che la lotta reale per l’emancipazione dell’uomo o quella per diventare un maschio dominante, cambieranno forzatamente i dati al momento del passaggio dalla realtà fittizia di un immaginario progioniero delle celle quotidiane dello spettacolo a una situazione vissuta.
Non si è veri capitalisti nel Monopoli, non si è dei rivoluzionari in una classe di liceo dove si scrive una costituzione virtuale nello stesso modo in cui si è comunardi durante la Comune di Parigi, nel quartiere ateniese di Exarchia o in una qualunque manifestazione storica di un Movimento delle Occupazioni[1] ormai secolare.
Pur senza cogliere pienamente lo psicodramma politicante che accompagnava la figura di E. Chouard, mi ero irritato, facendolo sapere negli scambi di Teil, di fronte alla rivendicazione, perlomeno ingenua e confusionista da parte sua, del populismo e del nazionalismo. Gli avevo detto chiaro e tondo (prima di andarmene soprattutto a causa della noia di cui sopra) che a quel punto tanto valeva rivendicare direttamente il fascismo.

Qualche mese più tardi, ecco che lo psicodramma si snoda in tutta la sua ampiezza attraverso i blogs: dei gauchisti confusi (dicono altri gauchisti che pretendono di non esserlo) invitano Chouard a discutere di democrazia diretta e di costituzione.
Bestemmia. Tutta la panoplia statalista di un gauchismo che trascina dal maggio ’68 la sua impotenza e la sua confusione come un progetto rivoluzionario, s’offusca del fatto che la parola venga data a colui che è denunciato come un fascista, amico dei negazionisti e del putridume neonazista di estrema destra.

Sono figlio di un antifascismo reale che si è battuto in Italia per sbattere nella spazzatura della storia le leggi razziali e gli stronzi che le hanno preparate e infine difese durante il ventennio mussoliniano.
Le canzoni della resistenza che mi cantava mio padre antifascista hanno cullato la mia infanzia e ho dunque voluto, in seguito, che l’adulto che mi sono inventato le rispettasse davvero e non liturgicamente. Il che significa strappare le radici che producono il fascismo, tutto il contrario, cioè del farne un tabù, una rimozione e in ultima analisi uno strumento ideologico.
Nessuno mi farà rispettare una qualunque censura, nessuno  deciderà al mio posto chi è frequentabile e chi no.
Ho avuto spesso a che fare durante una ricca parte nomade della mia vita quotidiana con gente assai poco frequentabile (questione di punti di vista, dunque mai con fascisti caratteriali dichiarati, politicamente o no, perchè non posso sopportare la peste emozionale in azione: nessun dialogo con i coglioni, nessun dialogo con i provocatori). Ciò mi ha insegnato a rendermi libero di scegliere il modo e il momento per espellere gli indesiderabili dalla mia vita, combattendoli se necessario.
Ho sempre preso il tempo di decidere da solo, ascoltando bene gli altri, come un adulto non come un minore castrato e rivestito di una qualunque sovranità fittizia, obbligato a rimettersi sempre alla morale di un qualche padre, di un dio, di un maestro o di uno Stato che non è altro che la miserabile versione mercantile dei due simboli uniti e laicizzati di un unico potere sfruttatore e alienante (Dio+ Signore, Stato+Mercato).
Non tocca allo Stato (autoritario per natura) vietare il fascismo, sta a noi renderlo impossibile. Nessun fascismo, del resto, ha mai dominato in nessun posto senza la complicità decisiva dello Stato.

Ora, all’opposto della lettura confusionista che l’immancabile sindacalista di servizio ha fatto dell’intervento di Chouard sabato scorso ad Aimargues, questi non ha affatto criticato lo Stato. Ne vuole un altro. Il suo. OPS, il nostro, quello che inventeremo facendo scendere le tavole sacre di una nuova Costituzione perfetta, giustissima e irrecuperabile. Si potrebbe dire divina.
Laicizzare la mitologia giudeo-cristiana, ecco quel che hanno fatto per secoli dei credenti diversi, autoritari e allucinati (il che non impedisce né la sensibilità né l’intelligenza ma rende entrambe sistematicamente mostruose).
Ecco perché Chouard fa l’apologia di Robespierre, questo credente angosciato nell’Essere Supremo e nella Dea Ragione, questo antenato senz’altro involontario ma non per questo casuale del baffuto Piccolo Padre dei Popoli, Papa rosso pestifero che aveva studiato dai gesuiti ( guarda un po’, proprio come l’ultima star dello spettacolo, Papa Francesco, imbalsamato da vivo - Mandela almeno hanno aspettato che crepasse -, che pare venuto sulla terra per accarezzare nel senso delle catene la sua adorata gente da poco).
Ecco perché, sabato Chouard s’è trovato d’accordo ideologicamente con un buon numero dei suoi detrattori antifascisti, sindacalisti o devoti di base, sull’ipotesi sub-realista di uno Stato buono, non sfruttatore, non alienante.
Una buona parte dei partecipanti a questo incontro tranquillo, me compreso, sono partiti quando è cominciato il gioco costituzionale alla ricerca della formula di uno Stato senza macchia e senza peccato. Qualche piccolo gruppo ha stabilito una comunicazione conviviale e autonoma prima di riprendere ognuno il proprio cammino.
Nessuna veglia antifascista è stata necessaria per salvare una democrazia che comunque non esiste se non quando la “imponiamo” con i nostri comportamenti libertari, ma il fantasma ben fascista dello Stato rode, purtroppo, dai due lati delle barricate di carta della società dello spettacolo.
Quasi un secolo dopo i fatti, non si sa ancora, definitivamente, se Durruti, e con lui la democrazia diretta della Catalogna e dell’Aragonese (1936-38), sia stato assassinato di fronte da una pallottola franchista o di schiena da una palla stalinista; si sa, però che è stato fatto fuori dallo Stato (di destra o di sinistra, come per Rosa Luxembourg) per impedire la realizzazione collettiva di una democrazia consiliare.
La democrazia reale è incompatibile con lo Stato. Leggendo Abensour, Graeber, Pannekoek, Vaneigem e molti altri piuttosto che Robespierre, si può facilmente rendersene conto in tutta autonomia, naturalmente se quest’autonomia esiste.

Certo, altre lotte ci attendono, ma non credo che attenderanno a lungo.


Sergio Ghirardi


[1] Il Movimento delle Occupazioni, cominciato con l’occupazione delle fabbriche da parte degli operai (1919-22), è poi riapparso nel 1968 con il Movimento delle Occupazioni (prolungatosi soprattutto in Francia con il CMDO, Consiglio per la continuazione delle occupazioni, costituitosi alla Sorbona la sera del 17 maggio). Oggi torna d’attualità con le diverse manifestazioni di Occupy Wall Street e altri progetti simili. In sintesi: Occupy the Life.