Soldati presidiano le fosse comuni con i corpi di vittime indiane a Wounded Knee |
Dopo lo stupido stupore mediatico di fronte alla vittoria di
Trump alle elezioni americane, un semi silenzio torbido è calato sul palcoscenico
dello Stato più canaglia del mondo (come se un qualunque Stato potesse essere
altro che una canagliata mafiosa più o meno patologica).
Hanno forse messo il silenziatore all’angoscia per non disturbare
il trasloco di Obama, ora che sta finendo la sua messa in scena di Zio Tom per
lasciare il posto allo zio d’America.
Non che gli americani siano di per sé peggio degli altri
pseudo umani che abitano la terra. È soltanto il fatto che sono abilitati a
consumare più di tutti, che hanno una storia di imperialismo passabilmente
riuscito e che sono gli adepti, ignoranti del passato e del futuro come pochi,
di una modernità capitalistica rivendicata fieramente e ottusamente.
Il loro Carpe diem
industriale, tecnologico e consumista si propone ed è d’esempio e
d’anticipazione per tutti gli alienati del mondo in via d’estinzione, un’estinzione
altamente democratica poiché riguarda ormai, in prospettiva, tutta la specie
umana.
Evviva il progresso e la civiltà dunque, ma a quale prezzo?
Un genocidio di dimensioni tali che
lo sbandierato olocausto nazista di triste memoria e di ancor più triste oblio,
fa figura di un allenamento della barbarie: poche centinaia di anni fa, nell’arco
di un secolo circa, il 95% della popolazione americana
95%!
autoctona è stata eliminata permettendo agli emigranti integralisti,
protestanti e cattolici, d’invadere un continente dalla popolazione piuttosto
animista ma ancora fortemente organica, saccheggiandone cinicamente gli antichi
abitanti e l’ambiente. Altro che qualche barcone nel Mediterraneo!
Certo, sgozzare non era la loro specialità preferita (a
ognuno la mostruosità che preferisce e soprattutto a cui la sua alienazione lo
spinge). Bruciavano, impiccavano, attaccavano proditoriamente villaggi inermi
incuranti di donne e bambini e scalpavano l’odiato nemico, insegnando tale
pratica anche agli indigeni addomesticati e/o confusi che si sottomettevano
alla loro guerra santa. Erano dei fanatici talmente pericolosi da affermare che
Dio stava dalla loro parte per cui si inventavano guerre di civiltà contro presunti
selvaggi perché non abbastanza vestiti, infedeli e miscredenti. Non avendo
ancora a disposizione enormi camion da sparare sulla folla, donavano
cristianamente coperte al vaiolo alle tribù indigene che disturbavano il treno
della loro civiltà quanto e più dei bisonti.
Come per tutti i frustrati dal carattere fascista, quel che
li disturbava più di tutto, comunque, era la vita e il suo godimento laico, cosicché
hanno costruito il mondo com’è anziché come potrebbe essere. Presto toccherà a
Trump gestirne le rovine, rinnovando i corsi e i ricorsi di una storia umana
confiscata dal Leviatano produttivista e dalla sua fase terminale capitalista.
Trump è un vero macho e poiché il suo amore per il femminile
è della stessa pasta della poesia erotica di Hitler, si appresta a trattare
anche la natura come una strega per dominarla ciecamente come una donna
umiliata, pronto a imporle la legge del profitto anche a disprezzo della vita
umana. Un disprezzo non molto diverso da quello dei nazisti per gli ebrei e
altri reietti. L’alienazione è la stessa
in tutte le lingue: Gott mit uns, Allah
akbar, God on our side, Dio è con noi.
un processo alle streghe di Salem |
Nella sua torre d’avorio, di cemento e di petrolio, Trump sta
già lavorando per il bene del mondo e dal momento che i burocrati alla Molotov
non gli mancano – tra banchieri, generali e Ku Klux Klan –, sta affinando, un’ottantina di anni
dopo, un patto Molotov–Ribbentrop con l’attuale dittatore del Cremlino.
Chi sopravvivrà vedrà, ma ci si può cominciare a chiedere: a
quando la resistenza umana contro assassini, sfruttatori e fanatici di tutte le
risme? A quando la diffusione pacifica e la federazione combattiva di gruppi di
affinità per rioccupare la vita e dimostrare che un altro mondo è possibile e NOI
ne prendiamo la strada?
Buon anno, Sergio Ghirardi