Per
questo il popolo si è organizzato, ha nominato questa polizia che
lavora per il popolo, senza ricevere uno stipendio.
La delinquenza è
finita.
Viviamo e viaggiamo più tranquilli.
Adesso nessuno ci
aggredisce.
Gelasio Barrera fondatore della Polizia Comunitaria della Montagna e Costa Chica di Guerrero
Gelasio Barrera fondatore della Polizia Comunitaria della Montagna e Costa Chica di Guerrero
stralcio da un
“Nella prima metà degli anni novanta, la regione della Costa Chica e Montagna ha assistito ad un aumento vertiginoso di fatti delittuosii: assalti lungo le grandi vie di comunicazione, omicidi, violenza carnale. E nessuno faceva assolutamente niente. I signorotti locali e la polizia, al contrario, ridevano di noi e ci accusavano. Stanchi di questa situazione, un giorno abbiamo deciso di riunirci per trovare una soluzione. La soluzione che abbiamo trovato è stata la creazione della nostra polizia, la Polizia Comunitaria”.
Chi parla lo sa bene. Gelasio Barrera Quintero, primo comandante della sua comunita, è stato, assieme a Francisco Oropeza e Bruno Placido Valerio, il fondatore di questo progetto. La quasi totalità delle strade della regione erano di terra e poco frequentate, le autorità locali corrotte e razziste. Erano le condizioni ideali perché si realizzassero abusi e violenze.
“In passato, prima di tutto questo, le comunita avevano fermato qualche malvivente. Ma non serviva a niente. Ci mettevamo più tempo noi a consegnarlo alle autorità competenti che loro a rilasciarlo. Pagando cauzione e corrompendo l’ufficiale in turno, i delinquenti che consegnavamo uscivano e ritornavano alle comunita con sete di vendetta. Era peggio”. Il 15 ottobre del 1995, nel municipio di San Luis Acatlan, 38 comunità indigene si riuniscono e decidono la costituzione della Polizia Comunitaria. Questa doveva proteggere le vie di comunicazione, le risorse naturali e, naturalmente, garantire la sicurezza all’interno delle comunità. Ma durò poco.
Come Polizia Comunitaria, le comunità decisero di attuare come coadiuvante delle autorità stabilite. Il problema ritornò a presentarsi. Le autorità corrotte rilasciavano i fermati e non applicavano le leggi. Quando questa situazione diventò intollerabile, le comunità decisero, nel 1998, la costituzione del Coordinamento Ragionale di Autorità Comunitarie, il CRAC. Attraverso questo, le comunità indigene, si erano fornite del proprio strumento di giustizia. “Abbiamo un regolamento interno, ma chi comanda sono le assemblee di ogni comunità. Quando fermiamo qualcuno, lo consegnamo al CRAC e questo, assieme all’assemblea della comunità d’origine del fermato, decide la rieducazione”.
Bruno Placido Valerio, fondatore del progetto e attuale segretario di Pubblica Sicurezza di San Luis Acatlan, non parla di delinquenti, ma di “mancanti”. Non parla di castigo o pena, ma di “rieducazione”. Al meticcio della grande città costa un po’ di sforzo capire questo punto di vista. “Tutti possiamo sbagliarci. Incluso nel modo più crudele. Le ragioni perché una persona si metta a rubare sono da ricercare nelle condizioni economiche. Allo stesso modo, se fermiamo uno stupratore, la prima cosa che facciamo è indagare la famiglia. […].
La rieducazione prevede un periodo di lavori comunitari. Il detenuto è protetto dalla comunità, che gli offre un luogo dove dormire, gli dà da mangiare e gli dà il tempo perchè possa aver cura di sè. Inoltre, ogni comunità si occupa di realizzare riunioni con il detenuto per aiutarlo a ritrovare la strada per integrarsi alla comunità. In tutto questo non compaiono mai i soldi: non vi sono cauzioni e corruzioni. Gli stessi funzionari della Polizia Comunitaria, non percepiscono un soldo. Tutto gira attorno alla fajina, il servizio che ciascun membro della comunità deve dare alla stessa”.
Il grado di coscienza che dimostrano questi indigeni è sorprendente. E’ il frutto di un lungo cammino fatto di riunioni e sperimenti. Ne parla Mario Ocampo, sacerdote della zona. “Abbiamo capito che ci spetta la decisione rispetto il nostro fututo. Abbiamo capito che quando la gente si fa protagonista diventa soggetto e responsabile del prorpio futuro e della propria storia. Quando comprendiamo che le cause dei nostri problemi non sono fuori da noi, non è colpa di Dio, ma sono da cercare tra di noi, all’interno delle nostre comunità, non vi è problema che non si possa risolvere”.
Ma se il progetto è così sviluppato ed efficiente, il governo costituzionale non dice niente? Possibile che il governo lasci fare?
Abbiamo sofferto repressione, conferma Bruno Palacios, soprattutto dal governo dello Stato. Ci mandano provocatori, ci hanno arrestato accusandoci di privazione illegale della libertà. Poi hanno cercato di corromperci o ci hanno offerto posti nel governo statale.
Che relazione avete quindi stabilito con le autorità costituzionali?
Noi parliamo con tutti. Il processo non vuole conflittuare con le autorità. Di ogni cosa che facciamo redattiamo un verbale e lo facciamo avere al governo statale e federale. E anche all’esercito federale. Ma non pensar male. Noi lo facciamo perché non ci vogliamo nascondere, ma i rapporti sono spigolosi.
Non temete che mostrandovi, dando i vostri nomi, vi possano più facilmente attaccare?
E’ già successo, come ti ho detto. Ma non abbiamo alcun timore, perchè sappiamo di star facendo la cosa giusta.
Chiedete il riconoscimento da parte delle autorità?
Per tanti anni questo era il nostro obbiettivo. Che ci riconoscessero come tali. Ma non ci daranno mai il loro riconoscimento. Quindi preferiamo dedicarci a esercitare la nostra autonomia. Ora chiediamo rispetto, perchè la nostra autorità forse non è legale, per loro, ma è leggitimata da più di cento comunità di ben sei municipi della regione.
Nonostante l’articolo 39 della Costituzione Politica messicana, nonostante il Convegno 169 della Organizzazione Internazionale del Lavoro, che riconoscono l’autodeterminazione della popolazione indigena, i membri del CRAC sanno benissimo che il governo non accetterà mai il loro lavoro.
La Commissaria federale per le Popolazioni Indigene, Xochitl Galvez, ha più volte dichiarato l’illegalità della Polizia Comunitaria. Ma mentre questo accade, nella regione più povera del Messico, gli indici delittuosi sono fra i più bassi di tutto il paese. E i pochi delinquenti che vi si trovano non sono dimenticati in qualche cella, ma reintegrati alla comunità. Nella capitale, invece corruzione e violenza sono all’ordine del giorno.
Il presidente Fox elogia il proprio lavoro, mentre sotto i suoi palazzi gli striscioni e i cartelli invocano la pena di morte per i delinquenti.