Una morte bellissima: addormentarsi nella neve prima che la terra
esploda […]
Elias Canetti, Il libro contro la
morte
Il sistema scolastico occidentale è parte
integrante del sistema capitalistico. Tale sistema non è un mezzo, ma il fine
stesso. Il sistema capitalistico è un sistema sociale di produzione che informa
a sé tutta la nostra vita. È una visione del mondo, una Weltanschauung
che è divenuta globale. Del resto, come idea regolativa, esso è nato globale,
come sistema sociale mondiale di produzione e quindi tale carattere globale
rappresenta il suo essere in sé e per sé. Esso impronta di sé tutto, anche la
nostra visione della natura come utile e, non da ultimo, il sistema
scolastico ed educativo che ne è parte. All’interno di questa grandiosa e
totalizzante visione del mondo, caratterizzata da un’idea di prosperità e
predazione infinita, la scuola si trova a giocare un ruolo chiave. In un
pianeta in cui si saccheggia la natura in nome del profitto, che crea e genera
ricchezza materiale, non c’è da stupirsi che le scuole si siano trasformate in
succursali del mercato. L' insegnamento è soggetto alla domanda mercantile di
finanzieri e lobbisti e a costoro non importa nulla di Cavalcanti o di Cesarano. Sia comunque chiaro
che, da buoni seguaci di Keynes, essi non esiterebbero a seguirne l'adagio “spegneremmo
anche il sole e la luna se ci dessero dei dividendi” e a prescriverne lo
studio qualora fossero quotati in borsa. In una società realmente tesa allo
sviluppo delle coscienze, della vita e dell'intelligenza sensibile, gli
insegnanti dovrebbero essere posti nella condizione di diffondere i valori
della solidarietà, della generosità, del rispetto per gli altri esseri umani.
La prevenzione dei crimini contro l'umanità non comincia, forse, durante
l'infanzia? Ma la scuola, purtroppo, non si occupa più della formazione
dell'uomo, delle coscienze e di quelli che dovrebbero essere i “veri” valori
della vita e, vittima dell'ingranaggio, ha subordinato il sapere alla domanda mercantile.
Una scuola al servizio di una scienza senza coscienza sforna soltanto
individualisti esasperati, carrieristi ignoranti, giovani violenti e
frustrati. Noi invece vogliamo una
scuola che produca sapere, conoscenza e attitudini all'interesse civico legati
alla qualità della vita quotidiana e non subordinata alle leggi del mercato.
Altro che meritocrazia, fuga di cervelli e baggianate simili, di cui si
riempiono la bocca i beccai della politica. Lo sfacelo reale in cui versa il
sistema scolastico italiano è sotto gli occhi di tutti. Gli insegnanti
nell'ultimo quarantennio hanno gradualmente perso non solo il loro ruolo e status
sociale, ma anche la loro funzione propedeutica. Se, come ha fatto notare
Walter Benjamin nella Metafisica della gioventù, “la riforma della scuola non è solo riforma dei modi di propagazione
dei valori, è revisione dei valori stessi”, in Italia le riforme
scolastiche che si sono susseguite da Gentile in poi hanno mortificato anche
l'ultimo pseudo-valore che ancora tiene saldata la scuola alla società dei
consumi: quello utilitaristico. In un'epoca in cui all'assioma cartesiano del cogito
ergo sum si è andato vieppiù sostituendo quello falsamente edonistico messo
in onda dalle reti di Mediaset e dei grandi magnati della pace sociale (consumo,
dunque sono), in un'epoca in cui la scuola si è gradualmente, ma
inesorabilmente, trasformata in un'istituzione che riflette specularmente le
istanze dell'unico valore su cui poggia la società dello spettacolo (quello
della merce), non c'è da stupirsi più di tanto che proprio la scuola, in
sintonia col resto della società, non creda più alla potenza dello spirito,
della parola, del pensiero, dell'arte, ma solo alla scienza della pubblicità
come reale programmatrice degli umani destini, dei sogni, delle aspettative,
dei desideri e dunque come regolatrice occulta e occultata dell'iter scolastico
dei giovani in età scolare. La scuola, da trampolino di lancio e promessa di un
futuro professionale facilmente convertibile in moneta sonante, si è trasformata
in un girone infernale per insegnanti precari a vita e studenti di belle
speranze senza futuro, ormai uniti dalla medesima penuria e dallo stesso
obiettivo: i fondi per tenere a galla una barca che, dal dopoguerra in poi, non
ha conosciuto altro che vortici, mulinelli e venti contrari. L'Arca di Noè che
doveva traghettare la specie studentesca – il nerbo della futura nazione –
verso il paradiso dei consumi in terra si è trasformata nell'incubo del Titanic
che affonda. Non sarà il voto in condotta, né la redistribuzione dei fondi alle
università a seconda dei gradi di meritocrazia didattico-aziendale e ancor meno
la reintroduzione dell'ora di educazione civica a mettere al riparo gli
studenti dall'assenza di futuro e dal vuoto di prospettive che li attende. Non
sono i grembiulini rosa o blu che faranno la differenza, ma magari i gilet gialli. Oggi l'onda lunga della
contestazione non schiumeggia più di rabbia risentita contro l'autoritarismo
dei padri edipici da uccidere a tutti i costi, non ha conti da regolare con le
mentalità antiquate, non ha nulla da contrapporre alle inadeguate idee
politiche dei governanti e dei loro fiancheggiatori, non si scompone di fronte
ai fanatismi religiosi, ma si infrange e si spegne – coscientemente o meno –
contro le barriere del tempo, mettendo a nudo i limiti di un'economia reale
dominata dal folle perseguimento del tornaconto capitalistico e quindi sempre
più impaludata nelle sabbie mobili della contraddizione epocale che oscilla tra
razionalizzazione da un lato e bisogno di lavorare dall'altro. Se dunque il
postulato della piena occupazione è già da anni messo radicalmente in crisi
dall'inarrestabile, ma non illimitata, crescita del livello tecnologico, come è
possibile uscire da questo cul -de- sac? Uno slogan del maggio 1968
recitava: le rovine non ci fanno paura, noi erediteremo il mondo. La
sconfitta di quella rivolta e le condizioni in cui versa il pianeta
malato c'impongono di aprire gli occhi ed agire prima che le rovine si
trasformino nel NULLA.