sabato 15 giugno 2019

Quale scuola? (di Marco Minoletti)






Una morte bellissima: addormentarsi nella neve prima che la terra esploda […]
Elias Canetti, Il libro contro la morte


Il sistema scolastico occidentale è parte integrante del sistema capitalistico. Tale sistema non è un mezzo, ma il fine stesso. Il sistema capitalistico è un sistema sociale di produzione che informa a sé tutta la nostra vita. È una visione del mondo, una Weltanschauung che è divenuta globale. Del resto, come idea regolativa, esso è nato globale, come sistema sociale mondiale di produzione e quindi tale carattere globale rappresenta il suo essere in sé e per sé. Esso impronta di sé tutto, anche la nostra visione della natura come utile e, non da ultimo, il sistema scolastico ed educativo che ne è parte. All’interno di questa grandiosa e totalizzante visione del mondo, caratterizzata da un’idea di prosperità e predazione infinita, la scuola si trova a giocare un ruolo chiave. In un pianeta in cui si saccheggia la natura in nome del profitto, che crea e genera ricchezza materiale, non c’è da stupirsi che le scuole si siano trasformate in succursali del mercato. L' insegnamento è soggetto alla domanda mercantile di finanzieri e lobbisti e a costoro non importa nulla di  Cavalcanti o di Cesarano. Sia comunque chiaro che, da buoni seguaci di Keynes, essi non esiterebbero a seguirne l'adagio “spegneremmo anche il sole e la luna se ci dessero dei dividendi” e a prescriverne lo studio qualora fossero quotati in borsa. In una società realmente tesa allo sviluppo delle coscienze, della vita e dell'intelligenza sensibile, gli insegnanti dovrebbero essere posti nella condizione di diffondere i valori della solidarietà, della generosità, del rispetto per gli altri esseri umani. La prevenzione dei crimini contro l'umanità non comincia, forse, durante l'infanzia? Ma la scuola, purtroppo, non si occupa più della formazione dell'uomo, delle coscienze e di quelli che dovrebbero essere i “veri” valori della vita e, vittima dell'ingranaggio, ha subordinato il sapere alla domanda mercantile. Una scuola al servizio di una scienza senza coscienza sforna soltanto individualisti esasperati, carrieristi ignoranti, giovani violenti e frustrati.  Noi invece vogliamo una scuola che produca sapere, conoscenza e attitudini all'interesse civico legati alla qualità della vita quotidiana e non subordinata alle leggi del mercato. Altro che meritocrazia, fuga di cervelli e baggianate simili, di cui si riempiono la bocca i beccai della politica. Lo sfacelo reale in cui versa il sistema scolastico italiano è sotto gli occhi di tutti. Gli insegnanti nell'ultimo quarantennio hanno gradualmente perso non solo il loro ruolo e status sociale, ma anche la loro funzione propedeutica. Se, come ha fatto notare Walter Benjamin nella Metafisica della gioventù, “la riforma della scuola non è solo riforma dei modi di propagazione dei valori, è revisione dei valori stessi”, in Italia le riforme scolastiche che si sono susseguite da Gentile in poi hanno mortificato anche l'ultimo pseudo-valore che ancora tiene saldata la scuola alla società dei consumi: quello utilitaristico. In un'epoca in cui all'assioma cartesiano del cogito ergo sum si è andato vieppiù sostituendo quello falsamente edonistico messo in onda dalle reti di Mediaset e dei grandi magnati della pace sociale (consumo, dunque sono), in un'epoca in cui la scuola si è gradualmente, ma inesorabilmente, trasformata in un'istituzione che riflette specularmente le istanze dell'unico valore su cui poggia la società dello spettacolo (quello della merce), non c'è da stupirsi più di tanto che proprio la scuola, in sintonia col resto della società, non creda più alla potenza dello spirito, della parola, del pensiero, dell'arte, ma solo alla scienza della pubblicità come reale programmatrice degli umani destini, dei sogni, delle aspettative, dei desideri e dunque come regolatrice occulta e occultata dell'iter scolastico dei giovani in età scolare. La scuola, da trampolino di lancio e promessa di un futuro professionale facilmente convertibile in moneta sonante, si è trasformata in un girone infernale per insegnanti precari a vita e studenti di belle speranze senza futuro, ormai uniti dalla medesima penuria e dallo stesso obiettivo: i fondi per tenere a galla una barca che, dal dopoguerra in poi, non ha conosciuto altro che vortici, mulinelli e venti contrari. L'Arca di Noè che doveva traghettare la specie studentesca – il nerbo della futura nazione – verso il paradiso dei consumi in terra si è trasformata nell'incubo del Titanic che affonda. Non sarà il voto in condotta, né la redistribuzione dei fondi alle università a seconda dei gradi di meritocrazia didattico-aziendale e ancor meno la reintroduzione dell'ora di educazione civica a mettere al riparo gli studenti dall'assenza di futuro e dal vuoto di prospettive che li attende. Non sono i grembiulini rosa o blu che faranno la differenza, ma magari i gilet gialli. Oggi l'onda lunga della contestazione non schiumeggia più di rabbia risentita contro l'autoritarismo dei padri edipici da uccidere a tutti i costi, non ha conti da regolare con le mentalità antiquate, non ha nulla da contrapporre alle inadeguate idee politiche dei governanti e dei loro fiancheggiatori, non si scompone di fronte ai fanatismi religiosi, ma si infrange e si spegne – coscientemente o meno – contro le barriere del tempo, mettendo a nudo i limiti di un'economia reale dominata dal folle perseguimento del tornaconto capitalistico e quindi sempre più impaludata nelle sabbie mobili della contraddizione epocale che oscilla tra razionalizzazione da un lato e bisogno di lavorare dall'altro. Se dunque il postulato della piena occupazione è già da anni messo radicalmente in crisi dall'inarrestabile, ma non illimitata, crescita del livello tecnologico, come è possibile uscire da questo cul -de- sac? Uno slogan del maggio 1968 recitava: le rovine non ci fanno paura, noi erediteremo il mondo. La sconfitta di quella rivolta e le condizioni in cui versa il pianeta malato c'impongono di aprire gli occhi ed agire prima che le rovine si trasformino nel NULLA.