sabato 10 agosto 2019

Viva la Comune d’Europa!




Un secolo e mezzo dopo che Marx ripeteva a iosa di non essere marxista e mezzo secolo dopo che Bookchin ha scritto “Listen Marxiste!”[1] per denunciare il dogmatismo dei preti rossi (che siano bruni, neri o gialli, poco importa il colore del misticismo) di tutti i paesi e di tutte le ideologie di raccatto, dei nuovi chierichetti sniffano il sovranismo per rivitalizzare il sacro mentre gli ultimi diavoletti libertari prigionieri dello spettacolo si accontentano della foglia di fico di un internazionalismo da salotto.
Con nemici così il capitale non ha più bisogno di amici. Infatti, con l’uso confusionista e reazionario del termine di sovranismo si cortocircuita, banalizzandolo, il tema fondamentale della nazione (concetto evidentemente indispensabile per formulare quello d’internazionalismo) sulla cui falsificazione storico-filosofica si fonda il Leviatano produttivista nella sua forma moderna capitalistica[2].
La civiltà produttivista ha visto la luce con il passaggio dall'’agricoltura organica (legata al valore d’uso) a quella totalmente acquisita al valore di scambio da cui deriva l’economia politica (processo plurimillenario che la coscienza storica e antropologica dominante continua a ignorare – vedi in proposito l’interessante Homo Domesticus di H. C. Scott) e si è manifestata concretamente attraverso la sua struttura gerarchica e patriarcale con la nascita delle città-stato dell’inizio della civiltà agraria e mercantile.
In seguito, dopo millenni di sviluppo della civiltà mercantile fino alla sostituzione dell’ideologia teologica con quella pseudoscientifica dell’economia politica, il passaggio dal Leviatano feudale al Leviatano capitalista si è fatto con la vampirizzazione della nazione antropologica nello Stato-nazione che ha trasformato le gerarchie celesti dell’Ancien Régime nelle gerarchie terrestri della modernità capitalista. Lo Stato nazione è stato il testimone del passaggio nella continuità dall'Ancien Régime aristocratico alla società borghese cosiddetta moderna.
Laddove le radici della nazione organica (la gemeinwesen di cui parlava un Marx assai poco marxista) sono la base per un internazionalismo fraterno – o ancor meglio sororale – il sovranismo (che si realizza attraverso la gemeinschaft, comunità produttivista criticata dal barbuto di Treviri dal quale prende nome il marxismo)[3] è la regressione allo stadio di un nazionalismo che non basta esecrare a parole se si vuole respingere la peste emozionale fascista in agguato. Questa è, infatti, una patologia per sua natura ferocemente aggressiva contro barbari e stranieri, presunti invasori di una nazione trafficata (Stato-nazione), paranoica e bellicosa, ridotta a un territorio accerchiato da nemici e predatori, la cui popolazione, odiante e impaurita, è in cerca di nuovi spazi vitali e mitici posti al sole. Così, in effetti, lo Stato mascherato da nazione giustifica la sua intrinseca tendenza alla predazione imperialista che lo spinge a dominare il nemico preso di mira per taglieggiarlo e schiavizzarlo secondo le esigenze del produttivismo mercantile e guerriero, patriarcale e caratterialmente fascista.
Opporre al sovra nazionalismo della fase terminale del capitale (la cui tendenza è la concentrazione monopolistica del potere attraverso la riduzione del numero di Stati partecipanti alla mondializzazione mercantile) la nazione fantasma dello Stato sovrano del produttivismo arcaico, equivale a proporre la città-stato invece della Comune. Perché sia chiaro: la Comune è la città emancipata dallo Stato e autogestita da liberi cittadini. Con essa la cittadinanza, decisa ad abrogare lo Stato nella città e nel mondo, riprende in mano la gestione della vita quotidiana attraverso l’assemblea locale e le assemblee allargate progressivamente per mezzo di deleghe revocabili e sotto permanente controllo della base popolare.
La città-stato e lo Stato-Nazione sono stati le strutture dell’evoluzione alienante del principio gerarchico necessario allo sfruttamento di genere e di classe da parte delle minoranze dominanti durante tutta la civiltà produttivista: clero, guerrieri e mercanti hanno inventato dappertutto lo Stato per imporre e dominare il mercato nella città, nella nazione e nel mondo. La mondializzazione è iscritta fin dal principio nella società produttivista e ha trovato nell’industrializzazione i mezzi per realizzare il suo sogno artificiale, al prezzo dell’incubo della distruzione progressiva della vita naturale.
All’Europa sovranazionale di oggi (cioè un super Stato ancora meno controllabile che gli Stati nazione da parte dei cittadini di ogni Comune locale delle diverse nazioni antropologiche) non si tratta di opporre il sovranismo nazionale passato, ma la federazione delle comunità locali autonome, future e presenti.
Come hanno capito i Curdi del Rojava e gli zapatisti del Chiapas, non si tratta di elemosinare alle istanze statali l’indipendenza, ma di conquistare l’autonomia dallo Stato fino alla sua abrogazione decisa da una federazione di libere Comuni a democrazia diretta[4] In effetti, emerge finalmente la coscienza collettiva che la democrazia reale è incompatibile con lo Stato e con una democrazia parlamentare che è l’ultima truffa capitalistica della lotta di classe e di genere.
Per quanto riguarda il vecchio continente europeo, questa transizione in via di affermazione ineluttabile – ormai necessaria per salvare la sopravvivenza stessa della specie – sarà il passaggio dal super Stato europeo produttivista[5] alla Comune d’Europa, elaborata come federazione dei Consigli di tutte le Comuni locali, regionali e plurinazionali delle diverse popolazioni europee.
Certo, questo cammino verso la liberazione di donne e uomini dal feticismo della merce è ancora tutto da compiere, ma è imperativo cominciare a formularlo concretamente per arginare il confusionismo che opera a 360 gradi in favore del mantenimento del Leviatano statalista e produttivista. Il desiderio di liberarsi del vampiro che succhia il sangue umano da millenni è impellente e destinato a crescere intensamente di fronte al crollo ormai tangibile del sistema dominante e dell’industrialismo tecnocratico che ne è l’essenza. Una civiltà sta finendo e i servitori volontari piagnucolosi di un sovranismo desueto non hanno alcuna voce in capitolo nell’emancipazione dei popoli, degli individui e delle loro felicità desiderabili.
Che i sacrestani del vecchio mondo raccolgano il loro marxismo stantio per mescolarlo alla rinfusa con il liberalismo, il misticismo, il fascismo e tutte le altre ideologie che continuano a regolare i loro conti tra gerarchie autoritarie contro la volontà e il desiderio di emancipazione dei popoli.
Oltre che auspicabile, un altro mondo che comprenda molti mondi è l’unico ancora possibile.
Sergio Ghirardi, 14 luglio 2019
  


[1] Questo interessante articolo di Bookchin del 1969 è stato tradotto malamente in francese “Ascolta compagno!” (come se tutti i “compagni” fossero marxisti) mentre “Ascolta Marxista!” della traduzione italiana del 1979 di Post Scarcity Anarchisme, è una delle rare frasi non tradotte male di quell’illeggibile versione, fortunatamente esaurita ma purtroppo ancora reperibile su Internet (Il testo in questione, Oltre la penuria, l’anarchismo in una società d’abbondanza, è stato da me totalmente ritradotto da più di un anno e attende pazientemente un editore antiproduttivista).
[2] Nato come superamento del mondo feudale, il modo di produzione capitalista è arrivato ormai alla fase terminale dell’ideologia della crescita infinita in un mondo finito, diventando un modo di distruzione della biosfera e della vita che ne dipende.
[3] Marx distingueva la comunità organica, naturale (gemeinwesen) da quella artificiale, produttivista (gemeinschaft).
[4] Plausibile o no, questo è il vero obiettivo del municipalismo di Bookchin e compagnia.
[5] Europeo, cinese, indiano o americano che sia, un super Stato è sempre il risultato di un amalgama di precedenti Stati canaglia nazionali preesistenti, essi stessi nati sulle rovine di nazioni antropologiche violentate. Ogni Stato, passato, presente e futuro è lo sfruttatore di culture, lingue, costumi e produzioni di beni comuni privatizzati nel tempo da un qualche potere imperiale e/o federale. Dalle città-Stato agli Stati-nazione, fino ai super Stati recenti della mondializzazione, tutti sono responsabili di genocidi e stermini per arrivare al fine imperialista globale del Leviatano produttivista.