Un secolo e
mezzo dopo che Marx ripeteva a iosa di non essere marxista e mezzo secolo dopo
che Bookchin ha scritto “Listen Marxiste!”[1]
per denunciare il dogmatismo dei preti rossi (che siano bruni, neri o gialli,
poco importa il colore del misticismo) di tutti i paesi e di tutte le ideologie
di raccatto, dei nuovi chierichetti sniffano il sovranismo per rivitalizzare il
sacro mentre gli ultimi diavoletti libertari prigionieri dello spettacolo si
accontentano della foglia di fico di un internazionalismo da salotto.
Con nemici
così il capitale non ha più bisogno di amici. Infatti, con l’uso confusionista
e reazionario del termine di sovranismo si cortocircuita, banalizzandolo, il
tema fondamentale della nazione (concetto evidentemente indispensabile per
formulare quello d’internazionalismo) sulla cui falsificazione
storico-filosofica si fonda il Leviatano produttivista nella sua forma moderna
capitalistica[2].
La civiltà
produttivista ha visto la luce con il passaggio dall'’agricoltura organica (legata
al valore d’uso) a quella totalmente acquisita al valore di scambio da cui
deriva l’economia politica (processo plurimillenario che la coscienza storica e
antropologica dominante continua a ignorare – vedi in proposito l’interessante Homo Domesticus di H. C. Scott) e si è
manifestata concretamente attraverso la sua struttura gerarchica e patriarcale
con la nascita delle città-stato dell’inizio della civiltà agraria e
mercantile.
In seguito,
dopo millenni di sviluppo della civiltà mercantile fino alla sostituzione
dell’ideologia teologica con quella pseudoscientifica dell’economia politica,
il passaggio dal Leviatano feudale al Leviatano capitalista si è fatto con la
vampirizzazione della nazione antropologica nello Stato-nazione che ha
trasformato le gerarchie celesti dell’Ancien
Régime nelle gerarchie terrestri
della modernità capitalista. Lo Stato nazione è stato il testimone del
passaggio nella continuità dall'Ancien
Régime aristocratico alla società borghese cosiddetta moderna.
Laddove le
radici della nazione organica (la
gemeinwesen di cui parlava un Marx assai poco marxista) sono la base per un
internazionalismo fraterno – o ancor meglio sororale – il sovranismo (che si
realizza attraverso la gemeinschaft,
comunità produttivista criticata dal barbuto di Treviri dal quale prende nome
il marxismo)[3] è la
regressione allo stadio di un nazionalismo che non basta esecrare a parole se si
vuole respingere la peste emozionale fascista in agguato. Questa è, infatti,
una patologia per sua natura ferocemente aggressiva contro barbari e stranieri,
presunti invasori di una nazione trafficata (Stato-nazione), paranoica e
bellicosa, ridotta a un territorio accerchiato da nemici e predatori, la cui
popolazione, odiante e impaurita, è in cerca di nuovi spazi vitali e mitici
posti al sole. Così, in effetti, lo Stato mascherato da nazione giustifica la
sua intrinseca tendenza alla predazione imperialista che lo spinge a dominare
il nemico preso di mira per taglieggiarlo e schiavizzarlo secondo le esigenze
del produttivismo mercantile e guerriero, patriarcale e caratterialmente
fascista.
Opporre al
sovra nazionalismo della fase terminale del capitale (la cui tendenza è la
concentrazione monopolistica del potere attraverso la riduzione del numero di
Stati partecipanti alla mondializzazione mercantile) la nazione fantasma dello
Stato sovrano del produttivismo arcaico, equivale a proporre la città-stato invece
della Comune. Perché sia chiaro: la Comune è la città emancipata dallo Stato e
autogestita da liberi cittadini. Con essa la cittadinanza, decisa ad abrogare
lo Stato nella città e nel mondo, riprende in mano la gestione della vita
quotidiana attraverso l’assemblea locale e le assemblee allargate
progressivamente per mezzo di deleghe revocabili e sotto permanente controllo
della base popolare.
La
città-stato e lo Stato-Nazione sono stati le strutture dell’evoluzione
alienante del principio gerarchico necessario allo sfruttamento di genere e di
classe da parte delle minoranze dominanti durante tutta la civiltà
produttivista: clero, guerrieri e mercanti hanno inventato dappertutto lo Stato
per imporre e dominare il mercato nella città, nella nazione e nel mondo. La
mondializzazione è iscritta fin dal principio nella società produttivista e ha
trovato nell’industrializzazione i mezzi per realizzare il suo sogno
artificiale, al prezzo dell’incubo della distruzione progressiva della vita
naturale.
All’Europa
sovranazionale di oggi (cioè un super Stato ancora meno controllabile che gli
Stati nazione da parte dei cittadini di ogni Comune locale delle diverse
nazioni antropologiche) non si tratta di opporre il sovranismo nazionale
passato, ma la federazione delle comunità locali autonome, future e presenti.
Come hanno
capito i Curdi del Rojava e gli zapatisti del Chiapas, non si tratta di
elemosinare alle istanze statali l’indipendenza, ma di conquistare l’autonomia
dallo Stato fino alla sua abrogazione decisa da una federazione di libere
Comuni a democrazia diretta[4]
In effetti, emerge finalmente la coscienza collettiva che la democrazia reale è
incompatibile con lo Stato e con una democrazia parlamentare che è l’ultima
truffa capitalistica della lotta di classe e di genere.
Per quanto
riguarda il vecchio continente europeo, questa transizione in via di
affermazione ineluttabile – ormai necessaria per salvare la sopravvivenza
stessa della specie – sarà il passaggio dal super Stato europeo produttivista[5]
alla Comune d’Europa, elaborata come federazione dei Consigli di tutte le
Comuni locali, regionali e plurinazionali delle diverse popolazioni europee.
Certo,
questo cammino verso la liberazione di donne e uomini dal feticismo della merce
è ancora tutto da compiere, ma è imperativo cominciare a formularlo
concretamente per arginare il confusionismo che opera a 360 gradi in favore del
mantenimento del Leviatano statalista e produttivista. Il desiderio di
liberarsi del vampiro che succhia il sangue umano da millenni è impellente e
destinato a crescere intensamente di fronte al crollo ormai tangibile del
sistema dominante e dell’industrialismo tecnocratico che ne è l’essenza. Una
civiltà sta finendo e i servitori volontari piagnucolosi di un sovranismo
desueto non hanno alcuna voce in capitolo nell’emancipazione dei popoli, degli
individui e delle loro felicità desiderabili.
Che i
sacrestani del vecchio mondo raccolgano il loro marxismo stantio per mescolarlo
alla rinfusa con il liberalismo, il misticismo, il fascismo e tutte le altre
ideologie che continuano a regolare i loro conti tra gerarchie autoritarie
contro la volontà e il desiderio di emancipazione dei popoli.
Oltre che
auspicabile, un altro mondo che comprenda molti mondi è l’unico ancora
possibile.
Sergio Ghirardi, 14 luglio 2019
[1] Questo interessante articolo di Bookchin del 1969 è stato tradotto malamente in francese “Ascolta compagno!” (come se tutti i “compagni” fossero marxisti) mentre “Ascolta Marxista!” della traduzione italiana del 1979 di Post Scarcity Anarchisme, è una delle rare frasi non tradotte male di quell’illeggibile versione, fortunatamente esaurita ma purtroppo ancora reperibile su Internet (Il testo in questione, Oltre la penuria, l’anarchismo in una società d’abbondanza, è stato da me totalmente ritradotto da più di un anno e attende pazientemente un editore antiproduttivista).
[2] Nato come superamento del mondo feudale, il modo di produzione capitalista è arrivato ormai alla fase terminale dell’ideologia della crescita infinita in un mondo finito, diventando un modo di distruzione della biosfera e della vita che ne dipende.
[3] Marx distingueva la comunità organica, naturale (gemeinwesen) da quella artificiale, produttivista (gemeinschaft).
[4] Plausibile o no, questo è il vero obiettivo del municipalismo di Bookchin e compagnia.
[5] Europeo, cinese, indiano o americano che sia, un super Stato è sempre il risultato di un amalgama di precedenti Stati canaglia nazionali preesistenti, essi stessi nati sulle rovine di nazioni antropologiche violentate. Ogni Stato, passato, presente e futuro è lo sfruttatore di culture, lingue, costumi e produzioni di beni comuni privatizzati nel tempo da un qualche potere imperiale e/o federale. Dalle città-Stato agli Stati-nazione, fino ai super Stati recenti della mondializzazione, tutti sono responsabili di genocidi e stermini per arrivare al fine imperialista globale del Leviatano produttivista.