Pane
di guerra
Mario
Silvestri - Isonzo 1917
Merci vendute per lungo tempo a prezzi
invariati, improvvisamente rincaravano senza alcuna apparente spiegazione.
Violente imprecazioni si levavano allora contro i commercianti, accusati di
speculare sulla pubblica fame per estorcere più cospicui guadagni. Protestavano
con malcelata soddisfazione i socialisti e gli ex neutralisti; protestavano i
partiti “interventisti” e i fautori dei metodi sbrigativi, che invocavano con
disinvoltura la fucilazione sommaria dei colpevoli; protestavano, benché in
tono più sommesso e rassegnato, i poveracci, che dovevano far quadrare il
bilancio d’ogni giorno. Tutti poi chiedevano l’imposizione dei “calmieri”,
nonostante i moniti di pochi scettici. Ma gli esperimenti calmieranti, tentati
in moltissimi comuni, diedero subito
risultati disastrosi, gli stessi che erano seguiti all’editto di Diocleziano o
alle gride del gran cancelliere Antonio Ferrer, di manzoniana memoria. Anziché
diminuire di prezzo, la merce spariva dalle vetrine e veniva venduta sottobanco
assai più cara. Ma la legge è protetta dal gendarme; e i giornali, in ciò
concordi nonostante le diverse opinioni politiche, plaudivano agli agenti di
polizia ed ai vigili urbani, che, entrando nei negozi come finti clienti, constatavano
la violazione del calmiere e si rendevano benemeriti con multe ed arresti di
pochi e sfortunati commercianti.
(…)
Ma vi era un genere essenziale, per il cui
approvvigionamento non era permesso commettere sbagli. Alla fine del 1916 il
pericolo della carestia si profilava grave, perché il governo ai primi di
luglio aveva abbassato il prezzo ufficiale del grano da 40 a 36 lire al
quintale, quando gli agricoltori si attendevano ragionevolmente un aumento.
Tale riduzione, in un periodo di prezzi crescenti, era motivata dalla
convinzione, che questo fosse il modo migliore per diminuire il prezzo del
pane. Le conseguenze del provvedimento dissiparono in fretta ogni illusione:
perché vennero ridotte le colture, nel momento in cui il trasporto del grano nord
americano attraverso l’Atlantico diveniva sempre più malsicuro; e i contadini, avvezzi
da tempo immemorabile a mangiar polenta e legumi, cominciarono ad apprezzare il
pane, che era poco rimunerativo vendere; o preferirono darlo al bestiame,
poiché nel frattempo era molto salito il prezzo delle biade, che i legislatori
si erano scorati di calmierare.
Già nell’estate del 1916 la razione di pane dei
soldati era stata ridotta da 750 a 600 grammi di pane al giorno
(…)
Ma l’aggravarsi della situazione esigeva ben
altre restrizioni, che andarono in vigore in tutta Italia dal 1 gennaio 1917.
Fra queste la più importante, escogitata dai funzionari del neo costituito
ministero dell’Agricoltura, consisteva nel rendere il pane stesso poco meno che
immangiabile. A tal fine venne imposta ai fornai la confezione di un’unica
forma grossa e mal lievitata, cui era proibito apportare il rituale taglio
trasversale, che facilita la cottura. Questo pane greve d’acqua e di crusca
doveva per di più essere venduto raffermo il giorno dopo la cottura. Per
correggere con un soffio di poesia l’indigesta composizione, la fantasia
crudele del ministero dell’Agricoltura stabilì di premiare quei panettieri che
meglio confezionassero il prescritto “pane di guerra”, assegnando loro una speciale
medaglia commemorativa, di cui Gabriele d’Annunzio fu pregato di comporre
l’iscrizione. Il poeta immaginifico accettò l’incarico e dettò:
Il pane di guerra /
fatto con mano pura / è pane di comunione / dove la patria intera /
transustanziata vive / come il Corpo del Redentore / nell’Offerta Eucaristica /
anno di vittoria MCMXVII
Quando però alcuni volonterosi fornai vollero
concorrere alla gara, non riuscirono a scoprire a chi dovessero rivolgersi per
conoscere le modalità del concorso.
Il pane restò immangiabile, nonostante i versi
e le medaglie, ma il suo consumo con sorpresa dei legislatori non diminuì.
Anzi, dalle prime statistiche disponibili a Torino, risultò che il consumo,
dopo i provvedimenti adottati, era aumentato, perché era aumentato lo spreco. E
il “Corriere della Sera” annotava scandalizzato che a Milano nell’ora dei pasti
si vedevano muratori esercitarsi al turo a segno sui passanti con palline di
mollica.