Considero un mio privilegio ricevere, di volta in volta,
qualche perla di un’intelligenza sensibile che illumina i giorni bui di una
società in perdizione. M’incarico, dunque, della piacevole funzione di far
circolare nelle lingue transalpine più diffuse degli elementi di coscienza
individuale e sociale che condivido in tutta libertà. A chi legge, decidere
dell’eventuale uso di questi consigli per smettere di fare acquisti compulsivi
e cominciare a vivere.
Il mondo sta voltando pagina, anche se chi si trova dentro il
libro del vissuto non necessariamente riesce a capire quel che sarà scritto
nella pagina seguente. Eppure, oltre il crollo ormai visibile del vecchio
mondo, qualche idea e qualche sentimento comune circolano tra rabbia e rivolta,
abbozzando un progetto in via di affinamento. Ognuno può apportare la sua
pietra, ora per lanciarla contro l’ingiustizia e l’alienazione, ora per
edificare una nuova casa comune.
Il testo che segue è un contributo alla discussione per l’incontro
avvenuto in questi giorni a Commercy, in Francia, a riguardo della Comune delle
Comuni identificata come il logico seguito delle precedenti assemblee delle
assemblee dei Gilets Jaunes.
Penso che la potenza poetica di queste riflessioni possa
essere utile per rompere l’accerchiamento che la società dello spettacolo
impone ai suoi spettatori imprigionati in un quotidiano totalitario, ma
desiderosi di una grande evasione verso una società finalmente acratica.
Sergio Ghirardi
Finora il
capitalismo ha vacillato unicamente a causa delle sue crisi di sviluppo
interno, dei suoi flussi di crescita e di decrescita. Ha progredito di
fallimento in fallimento. Non siamo mai riusciti a farlo cadere se non per il
tempo di brevissime occasioni in cui il popolo ha preso in mano il proprio
destino.
Non è un’affermazione profetica dire
che siamo entrati in un’epoca in cui la congiuntura storica è favorevole allo
sviluppo del divenire umano, alla rinascita di una vita ebbra di libertà.
Basta con i muri del pianto! Troppi
inni funebri minano in sordina il discorso anticapitalista caricandolo di un
retrogusto di sconfitta.
Non nego l’utilità di qualche
osservatorio del disastro. L’assortimento delle lotte s’iscrive nella volontà
di rompere con la mondializzazione finanziaria e d’instaurare un’internazionale
del genere umano. Desidero soltanto che si aggiungano a essa i progressi
sperimentali, i progetti di vita, gli apporti scientifici la cui poesia
individuale e collettiva marca troppo discretamente i territori.
Rivendicare il diritto della
soggettività è un atto solitario e solidale. Nulla è più esaltante che vedere
gli individui liberarsi del loro individualismo come l’essere si libera
dell’avere. Ci vorrà tempo? Senz’altro, ma imparare a vivere vuol dire apprendere
a spezzare le linee del tempo e cancellare dal presente il ritorno al passato,
laddove si scavano gli abissi del futuro.
Un divenire mantenuto allo stadio
fetale da diecimila anni risorge come un oggetto del passato che rimonti dalle
profondità della terra. È un ciuffo di paglia nel carro di fieno
dell’oscurantismo universale. Un’infima scintilla ha acceso l’incendio. Il
mondo intero s’infiamma.
Vedere l’affermarsi in questa
insurrezione plebea di una radicalità di cui non ho mai smesso di affinare la
coscienza, basta al mio giubilo. Ne va della mia stessa vita di aggiungere
qualche goccia d’acqua all’oceano di solidarietà festiva che echeggia sotto le
mie finestre. Perché il popolo non è più una folla cieca, è un insieme
d’individui risoluti a sottrarsi al rimbecillimento individualista, è un gruppo
di anonimi preservati dalla reificazione dalla loro qualità di soggetti. Hanno
revocato il loro statuto di oggetti, hanno disertato il gregge
quantitativamente manipolabile dai tribuni di destra e di sinistra.
Un giorno ho scritto: “La vita è
un’onda, il suo riflusso non è la morte, è la ripresa del suo slancio, il
soffio del suo amplificarsi”. Manifestavo così il mio rifiuto dell’impresa
mortifera alla quale ci sottomettiamo tanto servilmente. Invito dunque a
riflettere sulle implicazioni che questo proposito riveste nelle pratiche di
autodifesa impiegate dalla potenza poetica crescente delle insurrezioni
mondiali.
La terra è il nostro territorio.
Questo territorio ha le dimensioni della nostra esistenza personale. È locale e
globale poiché non passa un solo istante senza che cerchiamo di districare, in
noi e nel mondo, le felicità che ci sfuggono e le disgrazie che ci colpiscono.
Noi evolviamo costantemente tra quel che ci fa vivere e quel che ci uccide.
Soltanto nell’individualista (questo
cretino convertito da soggetto in oggetto) la preoccupazione di sé diventa
fissazione egocentrica, il calcolo egoista predomina sulla generosità solidale,
una libertà fittizia recluta nelle schiere della servitù volontaria e della
rassegnazione rissosa.
Occupare il territorio della nostra
esistenza vuol dire imparare a vivere, non a sopravvivere. Ne deriva la
questione: come vivere senza spezzare il giogo delle multinazionali della
morte?
Prendersi la libertà dell’insurrezione permanente. Il tempo della vita non è quello
dell’economia. Il capitalismo è caduto nella trappola della redditività a tempi
brevi. La nostra determinazione vitale gioca, invece, nei tempi lunghi.
Resistere, infliggere alla finanza
dei colpi ripetuti, moltiplicare le zone di gratuità, tutto ciò rileva di una
guerriglia di molestia a bassa intensità che richiede più ingegnosità che
violenza (come illustrano la soppressione dei pedaggi autostradali, il libero
passaggio alle casse dei supermercati, il blocco dell’economia).
Lo Stato fuorilegge. Il capitalismo e il suo gendarme statale non ci faranno regali.
Combatteranno l’emergenza di zone liberate dall'oppressione statale e dalla
reificazione mercantile. Sanno che noi ne siamo a conoscenza e credono di farci
strisciare impauriti sotto la minaccia dei loro grossi battaglioni.
Tuttavia, la loro arroganza li
acceca. Quel che ci trasmettono è davvero un regalo. Ci danno nientemeno che
una ragione che annulla la ragione di Stato. A forza di riformare, di
rimodellare la democrazia a colpi di manganello e di menzogne, il governo vira
alla dittatura. Fa allora giocare contro di sé il diritto imprescrittibile alla
dignità umana. Giustifica la disobbedienza civile come ricorso riconosciuto
contro la disumanità.
Sì, il nostro diritto di vivere
garantisce ormai la legittimità del popolo insorto.
Questo diritto mette fuori legge lo
Stato che se ne fa beffe.
L’autodifesa partecipa all’autorganizzazione. Essa ci pone di fronte a
un’alternativa: lasciarla disarmata è un atto suicida, militarizzarla la
uccide. La nostra sola risorsa è l’innovazione, il superamento della dualità
dei contrari e dell’opposizione tra pacifismo e guerriglia. L'esperimento è in
corso, è appena iniziato.
L’Esercito zapatista di liberazione
nazionale (EZLN) possiede, come ogni esercito, una struttura verticale.
Tuttavia, la sua funzione ha lo scopo di garantire la libertà e l’orizzontalità
delle assemblee in cui gli individui prendono collettivamente le decisioni
giudicate migliori per tutte e per tutti. Le donne hanno ottenuto, con un voto
democratico, la garanzia che l’EZLN intervenga unicamente a titolo difensivo,
mai con un obiettivo offensivo. La sola presenza di una forza armata è bastata
fino a oggi a dissuadere il governo dallo schiacciare gli zapatisti ricorrendo
all’esercito e ai paramilitari. Niente è acquisito, tutto è permanentemente in
gioco.
La situazione in Rojava è diversa. La
guerra condotta dall'internazionale del profitto ha condannato la resistenza
popolare a rispondere sul terreno del nemico, con le sue armi tradizionali. Si
è trattato di uno stato d’urgenza. Tuttavia, il ruolo preponderante delle
donne, la volontà di fondare delle comunità libere dal comunitarismo, il
rigetto della politica affarista e il predominio accordato all’umano, lasciano
augurare un rinnovamento radicale dei modi di lotta. Evidentemente questi
esempi non sono per noi un modello, ma possiamo trarre utili insegnamenti dal
loro carattere sperimentale.
Federare le lotte. Quel che manca più crudelmente alle insurrezioni che occupano poco a
poco la nostra terra minacciata da ogni parte, è una coordinazione
internazionale. Se la nascita del movimento zapatista non è stata subito soffocata,
è a causa di una mobilitazione immediata delle coscienze. Un’onda di choc ha
scosso l’apatia generale.
Benché il movimento dei Gilets Jaunes
abbia affrancato l’intelligenza popolare da una lunga letargia, la grettezza
mediatica, il martellamento del linguaggio “politichese”, della novlingua che rovescia
il senso delle parole, hanno ripreso il sopravvento e hanno aumentato
sensibilmente l’efficacia della macchina per rincretinire. Si sarebbe potuto
supporre che un’ondata d’indignazione e di protesta mondiale – un “J’accuse”
universale – liberasse Julien Assange e proteggesse le sentinelle
dell’informazione. Il pesante silenzio ha dimostrato che l’era degli assassini s’installa
a passi felpati. Il cimitero è il modello sociale programmato. Lo tollereremo?
Né trionfalismo né disfattismo! La vita ha lanciato un grido che non si spegnerà. Ci basti
propagarne la coscienza ai quattro angoli del mondo. Deteniamo una potenza
creatrice inesauribile che ha il potere di soppiantare con i ritmi della vita
ritrovata la noiosa danza macabra in cui il vivente marcisce.
Spogliandoci dei nostri mezzi di
esistenza, lo Stato non ci protegge più contro il crimine, è il crimine. La
nostra legittimità è di abbatterlo. La difesa della vita, della natura, del
senso umano lo implica. Abbatterlo? No. Concepito così il progetto si macchia
di una connotazione militare e fanfarona di cui gli esempi passati invitano a
diffidare. Non conviene piuttosto svuotarlo dall'’interno, raccogliere e
prendere in carico quel bene pubblico le cui conquiste lo Stato era incaricato
di garantire mentre le ha vendute agli interessi privati? Non è forse questo la
Comune?
A ciascuna e a ciascuno la libertà di
analizzare minuziosamente dall’alto lo Stato e il sistema mafioso di cui è il
braccio oppressivo. Sotto lo scalpello della precisione analitica, si sono
viste numerose rivelazioni e denunce moltiplicarsi e spogliare il re fino alla
carcassa della sua disumanità trans umanista. Esse puntavano il dito sulle
azioni poco pulite ordite nei retroscena dorati del teatro dell’Eliseo.
Mostravano come la realtà forgiata dagli sfruttatori, a causa dell’enormità
della loro menzogna, tende a sostituirsi alla realtà vissuta dagli sfruttati;
come siamo arruolati forzatamente in un mondo a rovescio dove siamo solo pedine
manipolate da mentecatti. Si tratta di requisitorie implacabili contro lo
Stato, ma quest’ultimo le respingerà a pedate finché non ne avremo tranciato il
piede.
Il governo legifera disprezzando le
sofferenze del popolo così come gli aficionados
della corrida eclissano la sofferenza animale dal loro spettacolo. Da parte
mia non posso insorgere che di fronte all’innocenza oppressa. Ho sempre scelto
di sradicare la miseria del vissuto – a cominciare dalla mia – per abolire,
attaccandolo dal basso, il sistema che dall'alto ne è la causa.
Ridiscendiamo sulla nostra terra! Lo scandalo non è lassù dove i sociologi e gli economisti
atterriti esaminano l’ammucchiarsi delle immondizie. È qui, alla base della
piramide, nel fatto che abbandoniamo nelle mani d’incompetenti e di truffatori
dei settori che ci riguardano da vicino: l’educazione, la salute, il clima,
l’ambiente, la sicurezza, le finanze, i trasporti, l’angoscia dei diseredati e
dei migranti.
Il nostro impoverimento paga il
prezzo delle guerre per il petrolio, dei raid di predazione del bronzo, del
tungsteno, delle terre rare, delle piante catturate dai brevetti farmaceutici.
Continueremo, dunque, a finanziare, con le tasse e le imposte, il furto delle
nostre risorse e il divieto di gestirne l’uso?
I fatturati e i loro manager si fanno
beffe delle scuole come dei letti e delle cure di cui l’ospedale ha bisogno.
Restiamo a bocca aperta di fronte all’abietta disumanità che i governanti abbigliano
col cilicio felpato della loro arroganza. Che cosa c’importano i loro discorsi
contro la violenza, lo stupro, la pedofilia quando la predazione, base
dell’economia, è promossa dappertutto e insegnata ai bambini con la sferza
della concorrenza e della competizione?
A che ignobile grado di schiavitù
consentita deve cadere un popolo per accettare che i ricchi manager della sua
miseria lo spoglino di un’esistenza, di una famiglia e di un ambiente che è in
grado di gestire esso stesso? Il fallimento dello Stato è la vittoria di Pirro
delle multinazionali del “profitto in pura perdita”. Tocca a noi giocare, ma
giocare in favore della vita significa lasciarla vincere.
Che cosa possiamo farcene dei loro
ministeri e delle loro burocrazie che hanno per missione di dimostrare che
l’arricchimento dei ricchi migliora la condizione dei poveri, che il progresso
sociale consiste nel diminuire le pensioni, i sussidi di disoccupazione, le
stazioni ferroviarie, i treni, le scuole, gli ospedali, la qualità
dell’alimentazione?
Quando ci decideremo a riappropriarci
di quel che appartiene all’umanità ed è alla nostra portata? In effetti, questo
bene pubblico è quel che ci riguarda più da vicino e fa parte della nostra
esistenza, della nostra famiglia, del nostro ambiente.
Al contrario delle istituzioni che
pretendono di dirigerci, noi ci proponiamo come esigenza assoluta che la
libertà umana revochi la libertà del profitto, che la vita importi più che
l’economia, che l’oggetto manipolato ceda il posto al soggetto, che il
lavoratore, prodotto e produttore della disgrazia, impari a diventare il
creatore del mondo creando il proprio destino.
Gli inquinatori e gli incendiari del
pianeta usano l’ecologia come un detergente per lavare il denaro sporco. Nel
frattempo, al bar della menzogna quotidiana, i consumatori brindano alle misure
in favore del clima mentre a dieci metri di distanza da loro si combatte la
battaglia contro i pesticidi, contro le industrie-Seveso, contro le nocività
del profitto. Come non vedere in ciò la prova che le nostre lotte sono locali e
internazionali?
Il villaggio, il quartiere, la
regione non hanno bisogno di un ministero per promulgare il divieto di imprese
tossiche dal momento che lo fondano su pratiche e sperimentazioni nuove come la
permacultura, la reinvenzione di prodotti utili, piacevoli e di qualità.
Promuovere trasporti gratuiti è una
risposta plausibile alla privatizzazione delle ferrovie e della rete
autostradale messa in atto dalla truffa governativa. L’autocostruzione è in
grado di demolire la speculazione immobiliare: stimolare la ricerca di energie
non inquinanti (Centrali solari?) può essere in grado di sbarazzarci del petrolio, del nucleare, del
gas di scisto. Per quel che riguarda il ministero dell’educazione
concentrazionaria, essa non resisterà alle scuole di vita che le iniziative
individuali e familiari propagano dappertutto.
Lasciamo che l’affarismo esca o no
dall'euro, non è un problema nostro. La vera questione è prevedere la
sparizione del denaro e la concezione di cooperative che favoriscano lo scambio
di beni e di servizi ricorrendo o no a una moneta non cumulabile. Che queste
soluzioni, praticabili in piccole entità siano in seguito federate
regionalmente e in campo internazionale, marcherà un tornante decisivo nel
corso dell’organizzazione tradizionale delle cose.
Fino a oggi la quantità è stata
privilegiata. Si è ragionato solo in termini di grandi strutture. Il regno del
numero, delle cifre, delle statistiche imponeva alle folle gregarie un
disordine in cui l’ordine repressivo sembrava in maniera illusoria un fattore
di equilibrio.
Vivere la Comune. La comune autogestita è il potere del popolo per il popolo. Così come
la struttura patriarcale familiare fu la base dello Stato, sacro o profano, la
Comune e le sue assemblee autogestite faranno battere il cuore della generosità
individuale. Come la religione è stata, un tempo, il cuore fittizio di un mondo
senza cuore, la vita umana imprime ormai il suo ritmo al mondo nuovo. Essa
abbandona la faticosa tachicardia delle speculazioni borsistiche.
L’insurrezione pacifica è una guerriglia demilitarizzata. Essa deve avere
come base e come obiettivo l’autorganizzazione di comuni autonome. Il nostro nemico più pericoloso è
la rassegnazione degli schiavi piuttosto che l’autorità del signore.
L’abolizione dello Stato in quanto organo di repressione passa per lo sviluppo
crescente della disobbedienza civile. La resistenza, la testardaggine e
l’ingegnosità dei Gilets jaunes mi hanno suggerito di chiamare “pacifismo
insurrezionale” o “insurrezione pacifica” la determinazione ad affrontare la
violenza della repressione statale e di tener duro senza finire nel gauchismo
paramilitare, nel retro bolscevismo e altre palinodie guevariste.
Evitare il faccia a faccia con la
potenza repressiva del nemico implica nuove angolazioni nel trattamento dei
conflitti. Finora quel che ha dato prova della più grande efficacia è la
risoluzione, nello stesso tempo ferma e fluttuante, dei Gilets Jaunes. È il
loro modo d’intervenire là dove non li si attende, di colpire, disturbare,
apparire, allontanarsi ed essere onnipresenti. Un’insolita e sorprendente
vitalità ha la funzione di un “coltello senza manico la cui lama è sparita”.
Come l’ha espresso politicamente un insorto: “ Noi non tiriamo con un’arma, noi
tiriamo con la nostra anima”.
Raoul Vaneigem, 12 gennaio 2020
Dans
le désir d’apporter ma contribution personnelle au débat crucial sur la Commune
et le communalisme, je prends la liberté de vous communiquer quelques
réflexions. Faites-en l’usage qui vous plaira. Mon nom est de peu d’importance,
seule l’efflorescence des idées est indispensable à la conscience d’un
mouvement insurrectionnel qui peu à peu gagne le monde entier.
Tout
ce que je vous demande, c’est de ne pas altérer le sens de mes propos (mais
cela va de soi) et de m’envoyer un simple accusé de bonne réception.
Merci. Bons débats.
¡Viva la revolución !
TOUT COMMENCE ICI
ET MAINTENANT
Jusqu'à
présent le capitalisme n'a vacillé qu'en raison de ses crises de développement
interne, de ses flux de croissance et de décroissance. Il a progressé de
faillite en faillite. Jamais nous n'avons réussi à le faire tomber, si ce n'est
en de très brèves occasions où le peuple a pris en main sa propre destinée.
Ce
n'est pas jouer les prophètes que de l'affirmer : nous sommes entrés dans
une ère où la conjoncture historique est favorable à l'essor du devenir humain,
à la renaissance d'une vie ivre de liberté.
C'en
est assez des murs de lamentations ! Trop d'hymnes funèbres minent en
sourdine le discours anticapitaliste et lui donnent un arrière-fond de défaite.
Je
ne nie pas l’intérêt d'observatoires du désastre. Le répertoire des luttes
s'inscrit dans la volonté de briser la mondialisation financière et d'instaurer
une internationale du genre humain. Je souhaite seulement que viennent s'y
ajouter les avancées expérimentales, les projets de vie, les apports
scientifiques dont la poésie individuelle et collective jalonne trop
discrètement ses territoires.
Revendiquer
les droits de la subjectivité est un acte solitaire et solidaire. Rien n'est
plus exaltant que de voir les individus se libérer de leur individualisme comme
l'être se libère de l'avoir. Il y faudra du temps ? Sans doute mais
apprendre à vivre c'est apprendre à briser la ligne du temps et bannir du
présent le retour au passé, où se creusent les abîmes du futur.
Un
devenir maintenu au stade fœtal pendant dix mille ans resurgit comme on voit un
objet du passé remonter des tréfonds de la terre. C'est un brin de paille dans la
charrette de foin de l'obscurantisme universel. Une étincelle infime y a mis le
feu. Le monde entier s'embrase.
Voir
s'affirmer dans cette insurrection plébéienne une radicalité, dont je n'ai
cessé d'affiner la conscience, suffit à ma jubilation. Il en va de ma propre
vie d'ajouter quelques gouttes d'eau à l'océan de solidarité festive qui bat
sous mes fenêtres. Car le peuple n'est plus une foule aveugle, c'est un
ensemble d'individus résolus d'échapper au décervelage individualiste, c'est un
nombre d'anonymes que leur qualité de sujet prémunit contre la réification. Ils
ont révoqué leur statut d'objet, ils ont déserté le troupeau quantitativement
manipulable par les tribuns de droite et de gauche.
J'ai
écrit un jour : « La vie est une vague,
son reflux n'est pas la mort, c'est la reprise de son élan, le souffle de son
essor. » Je manifestais par là mon refus de l'emprise mortifère à laquelle
nous acquiesçons si servilement. J'invite ici à réfléchir sur les implications
que le propos revêt dans les pratiques d'autodéfense que met en œuvre la puissance
poétique croissante des insurrections mondiales.
La
terre est notre territoire. Ce territoire a les dimensions de notre existence
personnelle. Il est local et il est global, car il ne s'écoule pas un seul
instant sans que nous tentions de démêler, en nous et dans le monde, les
bonheurs qui nous échoient et les malheurs qui nous accablent. Nous évoluons en
permanence entre ce qui nous fait vivre et ce qui nous tue.
Il
n'y a que chez l'individualiste (ce crétin converti de sujet en objet) que la
préoccupation de soi devient nombriliste, que le calcul égoïste l'emporte sur
la générosité solidaire, qu'une liberté fictive enrôle dans les cohortes de la
servitude volontaire et de la résignation hargneuse.
Occuper
le territoire de notre existence, c'est y apprendre à vivre, non à survivre.
D'où la question : comment vivre sans briser le joug des multinationales
de la mort ?
Prendre
le loisir de l'insurrection permanente. Le temps de la vie n'est pas celui
de l'économie. Le capitalisme s'est pris au piège de la rentabilité à court
terme. Notre détermination vitale joue, elle, sur le long terme.
Tenir
bon, frapper la finance à coups répétés, multiplier les zones de gratuité
relèvent d'une guérilla de harcèlement qui réclame plus d'ingéniosité que de
violence (ainsi que l'illustrent la levée des péage autoroutiers, le libre
passage aux caisses de supermarché, le blocage de l'économie)
L’État
hors la loi. Le capitalisme et son gendarme étatique ne nous feront pas de
cadeau. Ils combattront l'émergence de zones d'où seront bannis oppression
étatique et réification marchande. Ils savent que nous le savons et croient
nous faire ramper chétivement sous la menace de leurs gros bataillons.
Leur
jactance cependant les aveugle. Ce qu'ils nous délivrent est bel et bien un
cadeau. Ils ne nous lèguent rien de moins qu'une raison qui annule la raison
d’État. A réformer, à remodeler la démocratie à coups de matraques et de
mensonges, le gouvernement tourne à la dictature. Il fait dès lors jouer contre
lui le droit imprescriptible à la dignité humaine. Il justifie la désobéissance
civile en recours attitré contre l'inhumanité.
Oui,
notre droit de vivre garantit désormais la légitimité du peuple insurgé.
Ce
droit met hors la loi l’État qui le bafoue.
L'autodéfense
participe de l'auto-organisation. Elle nous place devant une
alternative : la laisser sans armes est un acte suicidaire, la militariser
la tue. Notre seule ressource est d'innover, de dépasser la dualité des
contraires, l'opposition entre le pacifisme et la guérilla. L'expérience est en
cours, elle ne fait que commencer.
L'armée
zapatiste de libération nationale (EZLN) possède, comme toute armée, une
structure verticale. Cependant sa fonction a pour but de garantir la liberté et
l'horizontalité des assemblées où les individus prennent collectivement les
décisions jugées les meilleures pour toutes et pour tous. Les femmes ont
obtenu, par vote démocratique, la garantie que l'EZLN interviendrait uniquement
à titre défensif, jamais dans un but offensif. La seule présence d'une force
armée a suffi jusqu'à ce jour à dissuader le gouvernement d'écraser les
zapatistes en recourant à l'armée et aux paramilitaires. Rien n'est joué, tout
se joue en permanence.
La
situation au Rojava est différente. La guerre menée par l'internationale du
profit a condamné la résistance populaire à répondre sur le terrain de
l'ennemi, avec ses armes traditionnelles. C'était un état d'urgence. Pourtant,
la place prépondérante des femmes, la volonté de fonder des communes libérées
du communautarisme, le rejet de la politique affairiste et la primauté accordée
à l'humain laissent augurer un renouvellement radical des modes de lutte. Évidemment, ces
exemples ne sont pas un modèle pour nous, mais de leur caractère expérimental,
nous pouvons tirer des leçons.
Fédérer
les luttes. Ce qui manque le plus cruellement aux insurrections qui gagnent
peu à peu notre terre menacée de toutes parts, c'est une coordination
internationale. Si la naissance du mouvement zapatiste n'a pas été étouffée sur
le champ, c'est en raison d'une mobilisation immédiate des consciences. Une
onde de choc a secoué l'apathie générale.
Bien
que le mouvement des gilets jaunes ait arraché l'intelligence populaire à une
longue léthargie, la veulerie médiatique, le martèlement de la langue de bois,
de la novlangue qui inverse le sens des mots ont repris le dessus et ont accru
considérablement l'efficacité de la machine à crétiniser. On aurait pu supposer
qu'une vague d'indignation et de protestations mondiales – un
« J'accuse » universel – libère Julien Assange et protège les lanceurs
d'alerte. L'épaisseur du silence a démontré que l'ère des assassins s'installe
à pas feutrés. Le cimetière est le modèle social programmé. Allons-nous le
tolérer ?
Ni
triomphalisme ni défaitisme ! La vie a poussé un cri qui ne s'éteindra
pas. Qu'il nous suffise d'en propager la conscience aux quatre coins du monde.
Nous détenons une puissance créatrice inépuisable. Elle a le pouvoir de
supplanter par les rythmes de la vie retrouvée l'ennuyeuse danse macabre où le
vivant pourrit.
En
nous dépouillant de nos moyens d'existence, l’État ne nous protège plus contre le crime, il est le crime. Notre légitimité,
c'est de l'abattre. La défense de la vie, de la nature, du sens humain
l'implique.
L'abattre ? Non. Ainsi conçu, le projet s'entache d'une
connotation militaire et fanfaronne dont les exemples du passé incitent à se
méfier. Ne convient-il pas plutôt de le vider par l'intérieur, de recueillir et
de prendre en charge ce bien public dont il était censé garantir les acquis et
qu'il a vendu aux intérêts privés ? C'est cela la Commune. Non ?
Libre à chacune et à chacun de
décortiquer par le haut l’État et le système mafieux dont il est le bras
oppressif. On a vu se multiplier sous le scalpel de la précision analytique
nombre de dévoilements et de dénonciations dénudant le roi jusqu'à la carcasse
de son inhumanité transhumaniste. Ils pointaient du doigt les basses œuvres
ourdies dans les coulisses dorées du théâtre élyséen. Ils montraient comment la
réalité forgée par les exploiteurs tend par l'énormité de leur mensonge à se
substituer à la réalité que vivent les exploités. Comment nous sommes enrôlés
de force dans un monde à l'envers où nous ne sommes que des pions manipulés par
des débiles. Ce sont d'implacables réquisitoires contre l’État mais l’État les
repoussera du pied, tant que, ce pied, nous ne l'aurons pas tranché.
Le gouvernement légifère au mépris
des souffrances du peuple de la même façon que les aficionados de la
corrida en éclipsent la douleur animale. Pour ma part, je ne puis m'insurger
que devant l'innocence opprimée. J'ai toujours choisi d'éradiquer la misère du
vécu – à commencer par la mienne –
afin d'abolir, en l'attaquant par le bas, le système du haut qui en est cause.
Redescendons
sur notre terre ! Le scandale n'est pas là-haut, où les sociologues et
les économistes atterrés examinent l'amoncellement d'immondices, il est ici, au
bas de la pyramide, il est dans le fait que nous abandonnons entre les mains
d'incompétents et d'escrocs des domaines qui nous touchent de près :
l'éducation, la santé, le climat, l'environnement, la sécurité, les finances,
les transports, la détresse des déshérités et des migrants.
Notre
paupérisation paie le prix des guerres pétrolières, des raids de prédation sur
le cuivre, le tungstène, les terres rares, les plantes capturées par les
brevets pharmaceutiques. Allons-nous continuer de financer de nos taxes et de
nos impôts l'arrachement de nos ressources et l'interdiction d'en gérer
l'usage ?
Les chiffres
d'affaires et leurs gestionnaires se moquent des écoles comme des lits et des
soins dont l'hôpital a besoin. Nous sommes là à béer devant la crapuleuse inhumanité
que les gouvernants drapent dans le cilice ouaté de leur arrogance.
Qu'avons-nous à faire de leurs discours contre la violence, le viol, la
pédophilie alors que la prédation, base de l'économie, est prônée partout et
assénée aux enfants avec la férule de la concurrence et de la
compétition ?
A quel ignoble degré d'esclavage
consenti un peuple doit-il descendre pour accepter que les riches gestionnaires
de sa misère le dépouillent de cette existence, de cette famille, de cet
environnement qu'il est capable de gérer lui-même ? La faillite de l’État
est la victoire à la Pyrrhus des multinationales du « profit en pure
perte. » C'est à nous de jouer, et
jouer en faveur de la vie, c'est la laisser gagner.
Qu'avons-nous à faire de leurs
ministères et de leurs bureaucraties qui ont pour mission de démontrer que
l'enrichissement des riches améliore la condition des pauvres ; que le
progrès social consiste à diminuer les retraites, les allocations de chômage,
les gares, les trains, les écoles, les hôpitaux, la qualité de l'alimentation.
Quand allons nous nous réapproprier
ce qui appartient à l'humanité et est là à notre portée ? Car ce bien
public est ce qui nous touche de plus près, il fait partie de notre existence,
de notre famille, de notre environnement.
A l'encontre des institutions
prétendument dirigeantes, nous érigeons en exigence absolue que la liberté
humaine révoque les libertés du profit, que la vie importe plus que l'économie,
que l'objet manipulé cède le pas au sujet, que le travailleur, produit et
producteur de l'infortune, apprenne à devenir le créateur du monde en créant sa
propre destinée.
Les pollueurs et les incendiaires de
la planète usent de l'écologie comme d'un détergent pour laver l'argent sale.
Pendant ce temps, au bar du mensonge quotidien, les consommateurs trinquent aux
mesures en faveur du climat alors qu'à dix mètres de chez eux se livre le
combat contre les pesticides, contre les industries-Seveso, contre les
nuisances du profit. Comment n'y voir pas la preuve que nos luttes sont locales
et internationales ?
Le village, le quartier, la région
n'ont pas besoin d'un ministère pour promulguer l'interdiction des entreprises
toxiques dès l'instant qu'ils la fondent sur des pratiques et des
expérimentations nouvelles, telles que la permaculture, la réinvention de
produits utiles, agréables et de qualité.
Promouvoir des transports gratuits
est une réponse plausible à la privatisation des chemins de fer et des réseaux
autoroutiers par le biais de l'escroquerie gouvernementale. L'auto construction
est en mesure de battre en brèche la spéculation immobilière. Stimuler la
recherche d'énergies non polluantes (centrale solaire?) est de nature à nous
débarrasser du pétrole, du nucléaire, du gaz de schiste. Quant au ministère de
l'éducation concentrationnaire, il ne résistera pas aux écoles de la vie que
les initiatives individuelles et familiales propagent partout.
Laissons l'affairisme sortir ou non
de l'euro, ce n'est pas notre problème. La vraie question est de prévoir la
disparition de l'argent et de concevoir des coopératives favorisant l'échange
de biens et de services, par le recours, ou non, à une monnaie non cumulable.
Que ces solutions, praticables dans des petites entités, soient ensuite
fédérées régionalement et internationalement, marquera d'un tournant décisif le
cours de l'organisation traditionnelle des choses.
Jusqu'à nos jours, la quantité a été
privilégiée. On ne raisonnait qu'en terme de grands ensembles. Le règne du
nombre, du chiffre, des statistiques imposait aux foules grégaires un désordre
où l'ordre répressif apparaissait illusoirement comme un facteur d'équilibre.
Vivre
la Commune. La commune autogérée est le pouvoir du peuple par le peuple. De même
que la structure patriarcale familiale fut la base de l’État, sacré ou profane,
la Commune et ses assemblées autogérées feront battre le cœur de la générosité
individuelle. De même que la religion avait jadis été le cœur factice d'un
monde sans cœur, la vie humaine imprime désormais son rythme au monde nouveau.
Elle abandonne l'ancien à l'épuisante tachycardie des spéculations boursières.
L'insurrection pacifique est une
guérilla démilitarisée. Elle doit avoir
pour base et pour but l'auto-organisation des communes autonomes. Notre ennemi le plus redoutable est moins l'autorité du maître que la
résignation des esclaves. L'abolition de l’État, en tant qu'organe de
répression, passe par le développement croissant de la désobéissance civile. La résistance,
l'opiniâtreté et l'ingéniosité des Gilets jaunes m'a suggéré d'appeler
« pacifisme insurrectionnel » ou « insurrection pacifique »
la détermination d'affronter la violence de la répression étatique et de tenir
bon sans verser dans le gauchisme paramilitaire, le rétro bolchévisme et autres
palinodies guévaristes.
Eviter le face à face avec la
puissance répressive de l'ennemi implique de nouveaux angles d'approche dans le
traitement des conflits. Jusqu'à présent ce qui a fait preuve de la plus grande
efficacité, c'est la résolution, à la fois ferme et fluctuante, des Gilets
jaunes. C'est leur façon d'intervenir là où on ne les attend pas, de frapper,
de harceler, d'apparaître, de s'éloigner et d'être omniprésents. Ce qui leur
tient lieu de « couteau sans manche dont la lame a disparu », c'est
une insolite et surprenante inventivité. Ainsi que l'exprimait poétiquement un
insurgé : « Nous ne tirons pas avec une arme, nous tirons avec notre
âme. »
R. Vaneigem, 12 janvier 2020