Si parla molto del
Rojava, ma che cosa se ne sa davvero oltre i cliché guerrieri? Nel 2017 le
edizioni Noir et Rouge hanno pubblicato Un
autre futur pour le Kurdistan?, scritto da Pier Bance. In ottobre uscirà,
frutto di questo stesso autore, La
Fascinante Democratie du Rojava, a proposito del contratto sociale della
Federazione della Siria del Nord. Mentre il primo libro tentava di spiegare il
municipalismo libertario e il confederalismo democratico cercandone
l’applicazione in Turchia e nel Kurdistan siriano, questo nuovo volume si
rivolge all’opera della rivoluzione nel Rojava e in particolare ai suoi aspetti
ideologici, giuridici e istituzionali. Curiose di saperne di più le Cronache
libertarie hanno intervistato l’autore.
Chroniques noir et rouge, Revue de critique bibliographique du mouvement
libertaire n° 2.
Perché
questo interesse per il Rojava? Non si è già detto tutto?
È in seguito alla
battaglia di Kobané, vinta dai Curdi contro lo Stato islamico nel gennaio 2015,
che la rivoluzione del Rojava suscita un vero interesse nella società francese.
Da allora ha avuto inizio la pubblicazione di testimonianze di autorità
politiche o di attori sul terreno, di racconti di viaggio di militanti o no, di
reportage giornalistici più o meno ben informati e di lavori di ricerca di
politologi o di strateghi di geopolitica. In tutto questo, il diritto delle
istituzioni e l’ideologia che lo ispira sono rimasti poco esplorati. Questi
scritti, quando non lo ignorano, si accontentano di citare il Contratto sociale
della Federazione democratica della Siria del Nord del 29 dicembre 2016. Si
tratta, tuttavia di un testo costituente che proclama i diritti e le libertà
dei cittadini e stabilisce gli organi politici che devono condurre al
confederalismo democratico. Un progetto politico di società senza Stato,
teorizzato da Abdullah Öcalan, leader curdo imprigionato in Turchia dal 1999, ispiratosi
a Murray Bookchin (1921-2006), teorico dell’ecologia sociale e del
municipalismo libertario: così gli uni lodarono un piccolo popolo coraggioso in
lotta contro i fanatici dello Stato islamico mentre altri denigravano i seguaci
del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK). Alcuni idealizzarono una
rivoluzione presentata come socialista, femminista ed ecologista, mentre altri mostravano
il loro scetticismo. Nessuno si è preoccupato troppo di sapere “come funziona”
e ciascuno esprimeva la propria opinione, tanto più tranciante che malamente
istruita.
Lo scopo del
tuo libro è dunque “istruire” le lettrici e i lettori sulla realtà
amministrativa e politica del Rojava?
L’obiettivo di questo libro è di
restituire informazioni e analisi che permettano di capire il funzionamento
delle istituzioni della Siria del Nord e di farsi un’opinione argomentata e
precisa. Il metodo seguito è altrettanto lontano dal romanticismo
rivoluzionario che dalla condanna dogmatica. Vuole capire una rivoluzione: da
un lato comparando l’idea del federalismo democratico rivendicato con
l’esposizione dei diritti e delle istituzioni così come figurano nel Contratto
sociale; dall’altro comparando, con la distanza necessaria, questa idea nuova e
questo testo costituente alla “prassi”, al movimento reale di
un’amministrazione della Siria del Nord, di un proto-Stato alle prese con le
peggiori difficoltà politiche, economiche, diplomatiche e militari. Si scoprirà
che il Contratto sociale della Siria del Nord è una riserva d’idee, ma anche
che mette in funzione una democrazia complessa suscettibile d’interessare tanto
i democratici che i rivoluzionari.
Allo stesso
titolo?
No! I democratici non sono disposti
a instaurare il confederalismo democratico che è la negazione della democrazia
parlamentare e dello Stato. D'altro canto, troveranno nel Contratto sociale delle
piste per rinnovare un sistema di rappresentazione logoro e screditato. Un
esempio: la costituzione di un’assemblea federale (nazionale) unica, composta
del 60% di eletti con suffragio diretto e di un 40% di delegati designati dalla
società civile.
Per i rivoluzionari, è interessante la
questione dello Stato. L’esperienza della Federazione della Siria del Nord
illustra a grandezza reale le difficoltà incontrate per fare a meno dello Stato
o almeno ridurlo a compiti funzionali come la diplomazia. Essa conduce ad
abbandonare ogni posizione dogmatica per riflettere su tutti gli aspetti della
società futura (diritti civili e libertà fondamentali, lavoro e impiego, salute
e protezione sociale, sicurezza pubblica e difesa, imposte e bilancio, economia
e consumo, ecc.). Quest’approccio è senz’altro il miglior modo di trovare le
procedure che condurranno all’eliminazione dello Stato e a un’auto
amministrazione della società emancipata in grado di prevenire ogni rinascita dello Stato. Così come l’ha fatto, del resto, Bookchin con la sua strategia di
marginalizzazione dello Stato e di elaborazione di Carte municipali che negli
anni settanta, hanno sconcertato un buon numero di anarchici.
Allora, con
quale disposizione di spirito tu affronti il tema della democrazia del
Rojava?
Non ho il compito di fare la propaganda del Partito dell’unione democratica
(PYD), partito motore della rivoluzione del Rojava, né del PKK che ne sarebbe
la casa madre, altri se ne occupano. Il dossier non è istruito né a carico né a
difesa, dando per scontato che non nascondo la mia simpatia per l’esperienza.
M’iscrivo, dunque, in quel che si chiama la critica costruttiva e, più
precisamente, in una critica anarchica costruttiva.
Anarchica
perché prende l’anarchismo come una griglia di lettura particolarmente operante
sulla questione dello Stato, con il teorema secondo il quale più si tergiversa
nel distruggere lo Stato, più presto esso si ricostituisce. Il che autorizza a
porsi due questioni collegate: perché dopo sette anni, l’Amministrazione
autonoma non è ancora venuta a capo dello Stato e per quali ragioni sussiste un
proto-Stato incarnato da esecutivi che si rinforzano, allorché dovrebbero
deperire?
Costruttiva
perché supera la rigidità dell’ortodossia teorica per interessarsi alla
dinamica del movimento, per apprezzarlo nella sua complessità, anche se alla
lettura del libro alcuni troveranno la critica severa. In effetti, lo è, ma si
tratta di tutto il contrario di un’impresa di demolizione. Attraverso una
lettura applicata del Contratto sociale[1], un’osservazione minuziosa
della sua messa in atto, uno sguardo attento al rispetto dello spirito del
confederalismo democratico, questo contributo s’iscrive nel processo
rivoluzionario. Esso non perde mai di vista gli sforzi e i sacrifici consentiti
dalle popolazioni della Federazione Rispetta la determinazione di quanti,
investiti da un mandato comunale o federale, conducono la lotta con abnegazione
e mettono in gioco la loro responsabilità di fronte alla storia.
Il Contratto sociale è una
costituzione?
Il
Contratto sociale della Federazione democratica della Siria del Nord enuncia i
diritti e le libertà dei cittadini riferendosi alle carte internazionali sui
diritti dell’uomo come la maggior parte delle costituzioni. Mette in funzione
delle istituzioni politiche di rappresentanza attraverso assemblee e di
governo attraverso dei consigli esecutivi, come tutte le costituzioni. Eppure
il Contratto sociale non è esattamente una costituzione. Sul terreno del
diritto internazionale, una costituzione si applica in uno Stato e le tre
regioni curde riunite alle quattro regioni arabe liberate non pretendono di
costituire uno Stato e neppure lo vogliono. Desiderano restare una federazione
di regioni autonome in una Siria democratica, essa stessa dotata di una
costituzione repubblicana, laica e federale. Sul piano politico, il Contratto
sociale si distingue dalle costituzioni conosciute mettendo in atto, più in
osmosi che in parallelo o in competizione, una democrazia diretta fondata sulla
comune e una federazione di tipo parlamentare con assemblee elette ed esecutivi
con poteri regolamentari estesi. Da qui la sua complessità.
È per questo che la democrazia del
Rojava è affascinante?
In
effetti, per molti e in particolare per le lettrici e i lettori di questa
rivista, il Contratto sociale sembrerà, a prima vista, congiungere due sistemi
politici incompatibili. Il municipalismo, inseparabile dalla democrazia diretta,
cioè dal governo del popolo, da parte del popolo e per il popolo, è l’opposto
del parlamentarismo e del suo crogiolo, il capitalismo che governa tramite la
rappresentazione e il denaro. Parlamentarismo e capitalismo non possono
accomodarsi né col municipalismo né con la democrazia diretta che li privano
dei loro poteri politici ed economici, se non ammettendoli edulcorati e a dosi omeopatiche
per calmare la rivendicazione dei cittadini. Il libro spiega come la democrazia
del Rojava associandoli inventa una “meraviglia politica” in cui, alla fine, la
democrazia diretta avrà partita vinta sulla democrazia rappresentativa, il
federalismo sullo Stato.
In effetti è affascinante, ma la
democrazia del Rojava lo è solo per questo?
No!
Lo è anche perché questo cammino verso la democrazia diretta si fa sotto la
direzione di un partito, il PYD. Un’avanguardia che non vuole essere
dominatrice ma educatrice e che contribuisce così alla propria fine. Una
condotta altrettanto difficile da ammettere per dei libertari che non ci
credono che per dei marxisti che non la vogliono. Affascinante anche perché la
si sperimenta nel cuore di un Medio Oriente pieno di dittature politiche, di
democrazie autoritarie o caotiche, di Stati con mire egemoniche o
espansionistiche, di guerre civili e di terrorismo. Sempre affascinante perché
mette su un piano uguale le donne e gli uomini all’opposto dei costumi ancestrali
patriarcali e delle pratiche religiose conservatrici. Affascinante, infine, per
la riunione in un’amministrazione comunalista, solidale e federale, con
uguaglianza di diritti e di doveri, del popolo curdo, arabo, assiro, caldeo,
turkmeno, armeno, ceceno, caucasico... di diverse religioni musulmane,
cristiane o yézidie, laddove regnava la legge del più forte. Altre sorprese a
proposito di quest’oasi di libertà e di democrazia attendono le lettrici e i
lettori. Conviene ancora rilevare, anche se non è “affascinante”, l’importanza
dell’ecologia nel progetto del confederalismo democratico eredità di Bookchin.
Nel Contratto sociale, l’ecologia è definita come “il diritto dei cittadini di
vivere in una società ecologica sana”. L’Amministrazione autonoma e la comune
fanno sforzi in questo senso, ma non è difficile capire che la situazione
militare ed economica complica le iniziative nel settore agricolo quanto in
quelli industriale o ambientale.
Si è davvero in presenza di una
democrazia?
L’esecutivo
della Federazione della Siria del Nord trae la sua legittimità da un consenso
tra i diversi segmenti della società e non da un’elezione legislativa o da una
procedura di designazione da parte di assemblee generali. Se questo “governo”
non è democratico nel senso della scienza politica e neppure a riguardo delle
procedure di designazione del Contratto sociale, non è, tuttavia, una
dittatura. Il miglior esempio è certamente il rispetto dei diritti umani e
delle libertà fondamentali da parte delle autorità locali e federali che non ha
nulla da invidiare alle democrazie occidentali, con gli stessi incidenti
puntuali. Si potrebbe anche parlare della giustizia fondata sul consenso, la
conciliazione piuttosto che la repressione, oltre che della particolarità di
una giustizia autonoma delle donne. Dell’educazione in cerca di pedagogie
antiautoritarie, dell’autogestione delle università e degli insegnamenti nelle
lingue madri (arabo, curdo o siriano). E di molti altri soggetti come quel
diritto civile o quel diritto penale che smontano il diritto consuetudinario. Se
la Siria del Nord non è una democrazia corrispondente all’immagine delle
democrazie occidentali, cosa che non vuole del resto essere, non bisogna mai
dimenticare che la situazione militare impedisce di mettere in atto le
istituzioni parlamentari democratiche con tutta la loro pesantezza e di far
funzionare la democrazia diretta con tutta la sua lentezza. Del resto le
cosiddette democrazie, in una tale situazione, decreterebbero lo stato
d’assedio o lo stato d’urgenza per sospendere certe libertà costituzionali o
modificare il normale funzionamento dei poteri pubblici.
In questo contesto di guerra,
l’esercito interviene nel gioco politico?
In
una democrazia parlamentare, l’esercito è sottomesso al potere civile, in una
democrazia diretta alle assemblee comunali e federali. La Federazione
democratica della Siria del Nord è in guerra, l’esercito vi occupa dunque un
ruolo importante. La militarizzazione delle milizie, il militarismo e il
martirologio sono questioni etiche sviluppate nel libro. Per quel che riguarda
l’interventismo nella politica non è l’esercito in quanto tale che pone
problema, è il suo comandante in capo Mazloum Abdî che interferisce negli
affari interni ed esteri come se fosse membro dell’esecutivo federale o come se
fosse stato dichiarato lo stato d’assedio, cosa non avvenuta. Quali siano le
sue buone intenzioni, le sue dichiarazioni e iniziative intempestive
costituiscono una reale violazione del gioco democratico e soprattutto della
democrazia diretta. Il fatto non è sfuggito a certi dirigenti storici di questa
rivoluzione ma i loro richiami all’ordine però non hanno avuto effetto.
Abbiamo dimenticato di parlare del
capitalismo. Che sorte gli è riservata?
Nella
teoria del confederalismo democratico di Öcalan come nel municipalismo
libertario di Bookchin, il capitalismo è la fonte di tutti i mali ancora più
dello Stato che ne è il servitore. Nel Contratto sociale, “il diritto alla
proprietà privata è garantito”. La questione del capitalismo non è
apparentemente all’ordine del giorno. Ho cercato di comprendere le ragioni di
questa sopravvivenza. Nell’immediato, si tratta tanto di preservare la piccola
proprietà agricola o artigianale quanto di risolvere dei problemi di sfruttamento
industriale come, per esempio, l’estrazione petrolifera che necessita la
partecipazione di multinazionali straniere. La soppressione del capitalismo non
è tuttavia sepolta. L’idea è che sarà progressivamente sostituito dall’economia
sociale, così come lo Stato lo sarà dall’amministrazione delle comuni federate.
E domani?
L’avvenire
della Federazione democratica della Siria del Nord è molto incerta. Domani
potrà essere invasa dai Turchi o da Assad, dopo un ultimo tradimento dei Russi
e degli Americani. Se, per disgrazia, dovesse essere il caso, non diversamente
dalla Comune di Parigi, la Comune del Rojava vivrà nel cuore delle donne e
degli uomini amanti della libertà e dell’uguaglianza. La sua opera costruttiva
resterà e ispirerà altre comuni. Auspico, però, che viva per riuscire nella sua
missione emancipatrice, per realizzare la sua ambizione libertaria, provarci
che il cammino intrapreso verso un altro futuro è quello giusto. Che essa viva
per aprire delle nuove prospettive rivoluzionarie.
Pierre Bance, La Fascinante Démocratie du Rojava. Le Contrat social de la
Fédération de la Syrie du Nord, Paris, Éditions Noir et Rouge, 2020, 500 pages, 25 euros. Précommande par
courrier aux Éditions Noir et Rouge - 75, avenue de Flandre, 75019 Paris (frais
de port gratuit pour une réservation avant parution).
La geopolitica del
Rojava
Il
Rojava è una regione popolata per la maggior parte da curdi, grande come il
Belgio e situata al nord della Siria. I territori a predominanza araba liberati
dall’impresa dello Stato islamico occupano una superficie equivalente. La loro
associazione con il Rojava nella Federazione democratica della Siria del Nord e
dell’Est copre un territorio equivalente al Benelux, corrispondente a un terzo
della superficie totale della Siria. La popolazione del Rojava è di circa tre
milioni e mezzo di abitanti. Quella della Federazione è di circa cinque milioni
di abitanti o forse più, visto che il censimento è carente. La Federazione
confina al nord con la bellicosa Turchia che ha invaso tre volte il Rojava nel
2016, 2018, 2019. Ancora al nord e all’ovest, confina con territori occupati
dai Turchi e dai loro mercenari che non smettono di molestare le popolazioni limitrofe
curde, siriane o arabe. All’ovest e al sud c’è il regime di Bachar al-Assad che
sogna di riconquistare tutti i territori della Federazione. All’est c’è la
regione autonoma del Kurdistan d’Iraq, poco cooperante, e l’Iraq alle prese con
i suoi numerosi problemi e in particolare l’attivismo dello Stato islamico. Chi
non capisce che, in queste condizioni, far funzionare una democrazia, senza
neppure parlare di confederalismo democratico, non è un’impresa facile?
[1] La sola nota stonata, a mio avviso,
è la formula del giuramento costituzionale da parte dei membri dell’Assemblea
Legislativa che manca crudelmente di laicità (Articolo 86): “Giuro su Dio Onnipotente di rispettare la
Carta e le leggi delle regioni Autonome, di difendere la libertà e il benessere
del popolo, di salvaguardare la sicurezza delle Regioni Autonome, di proteggere
il diritto alla legittima difesa e di adoperarmi per la giustizia sociale, in
accordo con i principi democratici qui racchiusi” [Nota del traduttore in
italiano].
La Fascinante Démocratie du Rojava
On parle
beaucoup du Rojava, mais qu’en sait-on vraiment au-delà des clichés guerriers ?
En 2017, les Éditions Noir et Rouge publiaient Un autre futur pour le Kurdistan ? Municipalisme libertaire et
confédéralisme démocratique écrit par Pierre Bance. En octobre sortira, de ce
même auteur, La Fascinante Démocratie du
Rojava. Le Contrat social de la Fédération de la Syrie du Nord. Alors que
le premier livre s’attachait à expliquer le municipalisme libertaire et le
confédéralisme démocratique, puis en recherchait la mise en application en
Turquie et au Kurdistan de Syrie, ce nouveau volume se penche sur l’œuvre de la
révolution du Rojava, et plus spécialement sur ses aspects idéologiques,
juridiques et institutionnels. Curieuses d’en savoir un peu plus, les Chroniques
se sont entretenues avec l’auteur.
Chroniques noir et rouge, Revue de critique bibliographique du mouvement
libertaire n° 2.
Pourquoi s’intéresser au Rojava,
tout n’a-t-il pas été dit ?
C’est après la
bataille de Kobané, gagnée en janvier 2015 par les Kurdes contre l’État
islamique, que la révolution du Rojava suscita un véritable intérêt dans la
société française. Commença alors la publication de témoignages d’autorités
politiques ou d’acteurs de terrain, de récits de voyageurs, certains militants
d’autres non, de reportages de journalistes plus ou moins bien informés et
d’études de politologues ou de stratèges en géopolitique. Dans tout cela, le
droit des institutions et l’idéologie qui l’inspire restèrent peu explorés. Ces
écrits, quand ils ne l’ignorent pas, se contentent de citer le Contrat social
de la Fédération démocratique de la Syrie du Nord du 29 décembre 2016. Il
s’agit pourtant d’un texte constituant qui proclame les droits et libertés des
citoyens, met en place les organes politiques devant conduire au confédéralisme
démocratique. Un projet politique de société sans État,
théorisé par Abdullah Öcalan, leader kurde emprisonné en Turquie depuis 1999, lui-même
inspiré par Murray Bookchin (1921-2006), penseur de l’écologie sociale et du
municipalisme libertaire. Ainsi les uns louèrent un petit peuple courageux
luttant contre les fanatiques de l’État islamique alors que d’autres
dénigraient les suppôts du Parti des travailleurs du Kurdistan (PKK). Certains
idéalisèrent une révolution présentée comme socialiste, féministe et
écologique, pendant que d’autres faisaient part de leur scepticisme. Personne
ne s’inquiétant trop de savoir« comment ça marche » et chacun y allant de son
opinion, d’autant plus tranchée que mal instruite.
L’objet de ton
livre est donc« d’instruire » ses lectrices et lecteurs sur la réalité administrative
et politique du Rojava ?
L’objet de ce livre est de donner des informations
et des analyses qui permettent de saisir le fonctionnement des institutions de
la Syrie du Nord et de se forger un point de vue argumenté et nuancé. La
démarche suivie est aussi éloignée du romantisme révolutionnaire que de la
condamnation dogmatique. Elle veut comprendre une révolution :– d’une part, en
comparant l’idée du confédéralisme démocratique revendiqué à l’exposé des
droits et des institutions tels qu’ils figurent dans le Contrat social ; –
d’autre part, en comparant, avec la distance nécessaire, cette idée nouvelle et
ce texte constituant à la « praxis », au mouvement réel d’une administration de
la Syrie du Nord, d’un proto-État aux prises avec les pires difficultés
politiques, économiques, diplomatiques et militaires. On découvrira que le
Contrat social de la Syrie du Nord est un réservoir d’idées. Aussi qu’il met en
place une démocratie complexe susceptible d’intéresser aussi bien les
démocrates que les révolutionnaires.
Au même titre ?
Non ! Les démocrates ne sont pas disposés à
instaurer le confédéralisme démocratique, qui est la négation de la démocratie parlementaire
et de l’État. En revanche, ils trouveront dans le Contrat social des pistes
pour rénover un système de représentation usé et déconsidéré. Un exemple : la
constitution d’une assemblée fédérale (nationale) unique, composée de 60 %
d’élus au suffrage direct et de 40 % de délégués désignés par la société
civile.
Pour les
révolutionnaires, son intérêt tient à la question de l’État. L’expérience de la
Fédération de la Syrie du Nord illustre en grandeur réelle les difficultés rencontrées
pour se passer de l’État, ou tout au moins le réduire à des tâches
fonctionnelles telles que la diplomatie. Elle conduit à abandonner toute
position dogmatique pour réfléchir à tous les aspects de la société future
(droits civils et libertés fondamentales, travail et emploi, santé et protection
sociale, sécurité publique et défense, impôts et budget, économie et
consommation, etc.). Cette démarche est sans doute la meilleure façon de
trouver les procédures qui conduiront à l’élimination de l’État et à une auto-administration
de la société émancipée prévenant toute résurgence étatique. Comme le fit d’ailleurs
Bookchin avec sa stratégie de marginalisation de l’État et d’élaboration de
chartes municipales qui, dans les années soixante-dix, déconcertèrent bien des
anarchistes.
Alors, dans
quelle disposition d’esprit abordes-tu le sujet de la démocratie du Rojava ?
Je ne suis pas mandaté pour assurer la propagande
du Parti de l’union démocratique (PYD), parti moteur de la révolution du Rojava,
ou du PKK, qui en serait la maison mère, d’autres s’en acquittent. Le dossier
n’est instruit ni à charge ni en défense, étant entendu que je ne cache pas ma sympathie
pour l’expérience. Je m’inscris donc dans ce qu’on appelle la critique
constructive et, plus précisément, dans une critique anarchiste constructive.
Anarchiste, car elle prend l’anarchisme comme grille de lecture, laquelle est
particulièrement opérante sur la question de l’État, avec ce théorème selon
lequel plus on attend pour détruire l’État, plus vite il se reconstitue. Ce qui
autorise à poser deux questions liées : pourquoi l’Administration autonome,
depuis sept ans, n’est-elle pas venue à bout de l’État, pour quelles raisons
subsiste un proto-État incarné par des exécutifs qui se renforcent, alors
qu’ils devraient dépérir ?
Constructive, parce qu’elle dépasse la rigidité de
l’orthodoxie théorique pour s’intéresser à la dynamique du mouvement,
l’apprécier dans sa complexité, même si à la lecture du livre certains trouveront
la critique sévère. Elle l’est. Mais c’est tout le contraire d’une entreprise
de démolition. Par une lecture appliquée du Contrat social[1],
une observation minutieuse de sa mise en œuvre, un regard attentif au respect
de l’esprit du confédéralisme démocratique, cette contribution s’inscrit dans
le processus révolutionnaire. Elle ne perd jamais de vue les efforts et les sacrifices
consentis par les populations de la Fédération. Elle respecte la détermination
de ceux qui, investis d’un mandat communal ou fédéral, conduisent la lutte avec
abnégation et engagent leur responsabilité devant l’histoire.
Le Contrat
social est-il une constitution ?
Le Contrat social de la Fédération démocratique de
la Syrie du Nord énonce les droits et libertés des citoyens en se référant aux chartes
internationales sur les droits de l’homme, comme la plupart des constitutions.
Il met en place des institutions politiques de représentation par des assemblées
et de gouvernement par des conseils exécutifs, comme toutes les constitutions. Pourtant
le Contrat social n’est pas exactement une constitution. Sur le terrain du
droit international, une constitution s’applique dans un État et les trois régions
kurdes réunies aux quatre régions arabes libérées ne prétendent pas constituer
un État et ne veulent pas en être un. Elles souhaitent rester une fédération de
régions autonomes dans une Syrie démocratique, elle-même dotée d’une
constitution républicaine, laïque et fédérale. Sur le plan politique, le Contrat
social se distingue des constitutions connues en mettant en place, plus en
osmose qu’en parallèle ou compétition, une démocratie directe fondée
sur la commune et une fédération de type parlementaire avec des assemblées
élues et des exécutifs aux pouvoirs réglementaires étendus. D’où sa complexité.
C’est en cela
que la démocratie du Rojava est fascinante ?
En effet, pour beaucoup, et notamment les lectrices
et lecteurs de cette revue, le Contrat social paraîtra, au premier abord,
allier deux systèmes politiques incompatibles. Le communalisme, inséparable de
la démocratie directe, c’est-à-dire du gouvernement du peuple, par le peuple et
pour le peuple, est le contraire du parlementarisme et de son creuset, le capitalisme,
gouvernement par la représentation et l’argent. Parlementarisme et capitalisme
ne peuvent s’accommoder ni du municipalisme ni de la démocratie directe qui les
privent de leurs pouvoirs politiques et économiques, sauf à les admettre, édulcorés
et à doses homéopathiques, pour calmer la revendication citoyenne. Le livre
explique comment la démocratie du Rojava en les associant invente un «
merveilleux-politique » où, à terme, la démocratie directe l’emportera sur la
démocratie représentative, le fédéralisme sur l’État.
C’est en effet
fascinant, mais la démocratie du Rojava ne l’est-elle que pour cela ?
Non ! Fascinante elle l’est aussi, car c’est sous
la direction d’un parti, le PYD, que se fait ce chemin vers la démocratie directe.
Une avant-garde qui ne se veut pas dominatrice mais éducatrice et concourt
ainsi à sa propre fin. Une démarche tout aussi difficile à admettre pour des
libertaires qui n’y croient pas que pour les marxistes qui n’en veulent pas. Fascinante,
elle l’est encore parce qu’elle est expérimentée au cœur d’un Proche-Orient
pétri de dictatures politiques, de démocraties autoritaires ou chaotiques, d’États
aux visées hégémoniques ou expansionnistes, de guerres civiles et de
terrorisme. Fascinante, elle l’est toujours parce qu’elle met sur un pied
d’égalité les femmes et les hommes à rebours des coutumes ancestrales patriarcales
et des pratiques religieuses conservatrices. Fascinante, elle l’est enfin par
la réunion dans une administration communaliste, solidaire et fédérale, à
égalité de droits et de devoirs, des peuples kurde, arabe, assyrien, chaldéen, turkmène,
arménien, tchéchène, tcherkesse... de diverses religions musulmanes,
chrétiennes ou yézidie, là où régnait la loi du plus fort. D’autres étonnements
sur cette oasis de liberté et de démocratie attendent les lectrices et lecteurs.
Il convient encore de souligner, même si ce n’est pas « fascinant »,
l’importance de l’écologie dans le projet du confédéralisme démocratique, héritage
de Bookchin. Dans le Contrat social, l’écologie est définie comme « le droit
des citoyens de vivre dans une société écologique saine ». L’Administration
autonome et les communes déploient des efforts en ce sens, mais il n’est pas
difficile de comprendre que la situation militaire et économique complique les initiatives
tant dans les domaines agricole, qu’industriel ou environnemental.
Est-on vraiment
en présence d’une démocratie ?
L’exécutif de la Fédération de la Syrie du Nord
tire sa légitimité d’un consensus entre les différents segments de la société,
et non d’une élection législative ou d’une procédure de désignation par des
assemblées générales. Si ce « gouvernement » n’est pas démocratique au sens de
la science politique, s’il ne l’est pas davantage au regard des procédures de
désignation du Contrat social, il n’est pas pour autant une dictature. Le
meilleur exemple est certainement le respect des droits humains et des libertés
fondamentales par les autorités locales et fédérales qui n’a rien à envier aux
démocraties occidentales, avec les mêmes accidents ponctuels. On pourrait aussi
parler de la justice fondée sur le consensus, la conciliation plutôt que la
répression, et de cette particularité, une justice autonome des femmes. De
l’éducation en recherche de pédagogies antiautoritaires, de l’autogestion des
universités et des enseignements dans les langues maternelles (arabe, kurde ou
syriaque). Et de bien d’autres sujets, comme ce droit civil ou ce droit pénal
déconstruisant le droit coutumier. Si la Syrie du Nord n’est pas une démocratie
à l’image des démocraties occidentales, ce qu’elle ne souhaite d’ailleurs pas
être, il ne faut jamais oublier que la situation militaire l’empêche de mettre
en place les institutions parlementaires démocratiques dans toute leur lourdeur
et de faire fonctionner la démocratie directe dans toute sa lenteur. D’ailleurs
lesdites démocraties, en pareille situation, décréteraient l’état de siège ou
l’état d’urgence pour suspendre certaines libertés constitutionnelles ou
modifier le fonctionnement normal des pouvoirs publics.
Dans ce
contexte de guerre, l’armée intervient-elle dans le jeu politique ?
Dans une démocratie parlementaire, l’armée est
soumise au pouvoir civil, dans une démocratie directe aux assemblées communales
et fédérales. La Fédération démocratique de la Syrie du Nord est en guerre,
l’armée y occupe donc une place importante. La militarisation des milices, le
militarisme et la martyrologie sont des questions éthiques développées dans le livre.
Pour ce qui est de l’interventionnisme dans la politique, ce n’est pas l’armée
comme telle qui pose problème, c’est son commandant en chef, Mazloum Abdî, qui
interfère dans les affaires intérieures et extérieures comme s’il était membre
de l’exécutif fédéral ou que l’état de siège ait été décrété, ce qui n’est pas
le cas. Quelles que soient ses bonnes intentions, ses déclarations et
initiatives intempestives constituent une réelle entorse au jeu démocratique et
plus encore à la démocratie directe. La chose n’a pas échappée à certains dirigeants
historiques de cette révolution. Leurs rappels à l’ordre n’ont toutefois pas
été suivis d’effet.
On a oublié de
parler du capitalisme. Quel sort lui est-il réservé ?
Dans la théorie du confédéralisme démocratique d’Öcalan
comme dans le municipalisme libertaire de Bookchin, le capitalisme est la
source de tous les malheurs de la société plus encore que l’État qui n’en est
que le servant. Dans le Contrat social,« le droit à la propriété privée est garanti
». La question du capitalisme n’est pas, apparemment, à l’ordre du jour. J’ai
essayé de comprendre les raisons de cette survivance. Dans l’immédiat, il s’agit
autant de préserver la petite propriété agricole ou artisanale que de résoudre
des problèmes d’exploitation industrielle comme, par exemple, l’extraction pétrolière
qui nécessite la participation de multinationales étrangères. La suppression du
capitalisme n’est cependant pas enterrée. L’idée est qu’il sera progressivement
remplacé par l’économie sociale comme l’État le sera par l’auto-administration
des communes fédérées.
Et demain ?
L’avenir de la Fédération démocratique de la Syrie
du Nord est des plus incertains. Demain, elle peut être envahie par les Turcs ou par
Assad, après une ultime trahison des Russes et des Américains. Si, par malheur,
ce devait être le cas, pas plus que la Commune de Paris, la Commune du Rojava
ne mourra dans le cœur des femmes et des hommes épris de liberté et d’égalité.
Son œuvre constructive restera et inspirera d’autres communes. Mais je souhaite
qu’elle vive pour mener à bien sa mission émancipatrice, pour réaliser son ambition
libertaire, nous prouver que la marche suivie vers un autre futur était la
bonne. Pour qu’elle ouvre de nouvelles perspectives révolutionnaires.
Pierre Bance, La
Fascinante Démocratie du Rojava. Le Contrat social de la Fédération de la Syrie
du Nord, Paris, Éditions Noir et Rouge,2020, 500 pages, 25 euros. Précommande
par courrier aux Éditions Noir et Rouge - 75,avenue de Flandre, 75019 Paris (frais
de port gratuit pour une réservation avant parution).
La géopolitique
du Rojava
Le Rojava est
une région peuplée majoritairement de Kurdes, grande comme la Belgique et située
au nord de la Syrie. Les territoires à dominante arabe libérés de l’emprise de
l’État islamique ont une surface équivalente. Leur association avec le Rojava
dans la Fédération démocratique de la Syrie du Nord et de l’Est couvre un
territoire comparable au Benelux, ce qui représente un tiers de la surface
totale de la Syrie. La population du Rojava est d’environ 3,5millions
d’habitants. Celle de la Fédération de quelque 5 millions d’habitants,
peut-être plus, car les chiffres sont sujet à caution faute de recensement. La
Fédération est bordée au nord par la Turquie, belliqueuse, qui a envahi trois
fois le Rojava en 2016, 2018, 2019. Au nord encore et à l’ouest, par des
territoires occupés par les Turcs et leurs mercenaires qui ne cessent d’harceler
les populations kurdes, assyriennes ou arabes vivant en bordure. À l’ouest et
au sud, par le régime de Bachar al-Assad qui rêve de reconquérir tous les
territoires de la Fédération. À l’est, par la région autonome du Kurdistan
d’Irak, peu coopérative, et l’Irak, aux prises avec ses nombreux problèmes notamment
l’activisme de l’État islamique. Qui ne comprend que, dans ces conditions,
mettre en place une démocratie, sans même parler de confédéralisme
démocratique, n’est pas une tâche facile ?
[1]La
seule fausse note, à mon avis, est la formule du Serment des membres de
l’Assemblée Législative (Article 6) qui manque cruellement de laïcité:
« Au nom de Dieu tout puissant et du
sang des Martyrs, je jure de respecter le Contrat social et ses articles, de
préserver les droits démocratiques des peuples et les valeurs des Martyrs, de
protéger la liberté, la sécurité et la paix des régions de la Fédération
Démocratique de la Syrie du Nord, de préserver l’unité de la Syrie, et de
travailler à atteindre la justice dans la société en accord avec les principes
de la nation démocratique ». [Dans une précédente version en français de la
Charte, ce serment, légèrement different (voir la traduction en italien),
figurait à l’article 86 – Note du
traducteur en italien].