giovedì 4 giugno 2020

La democrazia in America





“I Re si rovinano per portare a termine grandi imprese; i nobili si sfiniscono nelle guerre private; i plebei si arricchiscono con il commercio. L’influenza del denaro comincia a farsi sentire sugli affari di Stato. Il commercio è una nuova fonte di potenza e i finanzieri diventano un potere politico disprezzato, ma adulato”.
Alexis de Tocqueville, Introduzione a La democrazia in America.

Quando Alexis de Tocqueville ha pubblicato i due volumi del testo con questo stesso titolo, tra il 1835 e il 1840, aveva nel mirino la forma particolare della democrazia rappresentativa repubblicana degli Stati Uniti che aveva visitato per un periodo di dieci mesi quattro anni prima[1].
Quasi due secoli dopo, voglio ritornare brevemente e molto più modestamente, non c’è dubbio, sulla realtà attuale di questa società presa come modello di una democrazia esemplare per mostrare che non è altro che una menzogna esemplare.
Infatti, dietro dei valori universali chiaramente retorici di libertà e di uguaglianza nelle possibilità, gli Stati Uniti s’identificano con l’America dominandola ancora in quanto prima potenza mondiale – anche se il loro potere è in caduta libera e in competizione permanente. L’esistenza un po’ surreale di questo Stato federale quasi continentale fa in realtà parte del risultato finale di millenni di produttivismo: cioè dello sfruttamento dell’essere umano da parte dell’uomo al fine di estrarre dalla sua forza-lavoro del valore economico attraverso la schiavitù, il razzismo, il sessismo e altri suprematismi che inquinano lucrosamente il pianeta.
Incarnata innanzitutto dalle Città-Stato della fertile mezzaluna mesopotamica, attorno al 4000 AC, la civiltà produttivista ha generato e diffuso il Leviatano bicefalo composto di Stato e Mercato fino a deporre l’ultimo caput mundi del suo impero planetario negli Stati Uniti d’America sedicenti democratici. Perché tra New York e Miami, New Orleans e Chicago, Boston e S. Francisco, Dallas e Seattle, sono degli Stati coloniali che si sono uniti, tra schiavismo e salariato, a detrimento delle nazioni indigene organiche che esistevano sul continente americano ben prima degli sbarchi disgraziati dei Padri Pellegrini, puritani e patriarcali (Pilgrim Fathers).
Gli Stati Uniti sono la peggiore manifestazione planetaria modernizzata della peste emozionale europea arcaica, dell’irruzione nevrotica della morale sessuale produttivista diventata psicosi bellicista e guerriera, assassina e suprematista a piacere. Nel paese dei cowboy ognuno può rivendicare il diritto di uccidere per primo, come nei migliori western.
Ormai, al produttivismo arrivato in fondo al suo delirio e alle nostre pene, non resta più che gargarizzarsi dappertutto con la sua democrazia spettacolare o scegliere l’opzione del totalitarismo cibernetico assoluto, perfettamente incarnato dalla Cina sedicente comunista. Il sistema globale sta facendo la sua scelta sempre più trans umanista. A noi di fare la nostra prima che sia troppo tardi!
Dopo i genocidi perpetrati dai puzzolenti conquistadores spagnoli nell’America del sud e in Messico (colonialismo feroce al quale aveva aperto la strada Cristoforo Colombo) è stata la volta dell’emisfero nord di questo nuovo continente che si è popolato di bande di integralisti fanatici, di contadini senza terra, di avventurieri, di mercanti, di banditi, di assassini, tutti in fuga dall’Europa e dal suo capitalismo trionfante. Nello spazio-tempo di due secoli, queste bande comunitariste eteroclite con un tasso di ferocia emozionale elevata, hanno abbondantemente contribuito allo sterminio del 95% della popolazione autoctona dell’intero continente americano, finendo per stabilire dalla Costa Est alla California, una federazione repubblicana di Stati coloniali dal capitalismo impeccabile.
La democrazia spettacolare che il capitalismo ha instaurato come base politica necessaria al suo imperialismo finale, ha sconfitto tutti i modelli alternativi di governo che hanno cercato altrove di rimpiazzarla. Dalla Francia all’Inghilterra, dalle nuove Repubbliche alle antiche monarchie, la democrazia parlamentare si è venduta dappertutto sul mercato delle ideologie come il peggiore dei governi, esclusi tutti gli altri.
Dei fascismi e dei comunismi diversi hanno miseramente fallito i loro tentativi di scalzarla, finendo per diventare così la miglior propaganda, se non l’unica, che ancora oggi garantisce alle variazioni esistenti di democrazia parlamentare di indirizzare il mondo verso un totalitarismo mercantile assoluto.
Più che mai, da un mezzo secolo, gli Stati Uniti sono diventati il fiore all’occhiello imperialista dell’ideale democratico spettacolare e del denaro re, laicamente divinizzato (In God We Trust, è chiaramente scritto sul biglietto verde chiamato dollaro).
Ecco dunque, a seguire, una riflessione il cui détournement è altrettanto chiaro che la sua pertinenza è lampante. Aggiungendovi o levando a piacere quel che ciascuno trova necessario – poiché non è questione, per me, di corroborare nessuna ideologia, fosse anche il situazionismo –, essa potrà forse avere una qualche utilità per confrontarsi all’urgenza di abbandonare la nave che affonda, in un secolo ancora giovane ma già molto malato che ha edificato sulle rovine del precedente il suo crollo programmato.
Che la coscienza di specie che auspico dal profondo del cuore, ci insegni a esercitare il superamento necessario di una coscienza di classe sconfitta dal consumismo, superamento che sarebbe contemporaneamente la realizzazione possibile dei desideri più seducenti degli umani degni di questo nome.




Il declino finale prima della caduta dell’economia spettacolare-mercantile
[Détournement de Il Declino e la caduta dell’economia spettacolare- mercantile,
Internazionale situazionista, n° 10, pagg. 3/11, Marzo 1966]

A partire dal 25 marzo 2020, la popolazione nera degli Stati Uniti si è sollevata. L’assassinio di George Floyd da parte di un poliziotto bianco dal nome che più emblematico non si può – Chauvin[2] – ha provocato l’esplosione di sollevamenti spontanei in tutto il paese. Dopo una settimana di moti, i rinforzi crescenti delle forze dell’ordine non sono stati capaci di riprendere il controllo della piazza. Il primo giugno, i rivoltosi hanno persino attaccato la chiesa Saint John, edificio emblematico vicino alla Casa Bianca che ha subito degradazioni in margine a un’ennesima manifestazione contro il razzismo.
Migliaia di soldati e di poliziotti sono stati spediti nella lotta per confinare la rivolta in innumerevoli quartieri di parecchie città del paese: a Minneapolis, luogo in cui è stato perpetrato l’omicidio, a New York, a Washington, in California e altrove. Per il momento la repressione non funziona, nonostante le minacce del presidente Ubu di far tirare sulla folla e sui saccheggiatori. In effetti, un buon numero di poliziotti ha messo il ginocchio a terra in simbolica adesione alle motivazioni degli insorti ed è lui, il Trump dalla mascella mussoliniana, che è stato obbligato a rifugiarsi due volte in un bunker della Casa Bianca come un Hitler qualsiasi, per paura dell’arrivo dei “sovietici” che teme nei suoi incubi imbecilli di perfetto prodotto mediatico di stampo fascista.
Naturalmente i preti dei media protestano nell’urgenza di fronte a una rivolta premeditata e appellano a opporsi ai saccheggi e alle violenze ingiustificate che – secondo loro e la loro propaganda ottusa – non hanno niente a che vedere con l’assassinio in questione.
La loro malafede risale lontano nella storia in generale e in quella americana in particolare, ma si possono lasciare gli economisti piangere sui milioni di dollari perduti e gli urbanisti su uno dei loro supermercati più belli andato in fumo; lasciamo i sociologi lamentarsi dell’assurdità e dell’ubriacatura di questa rivolta.
Il movimento dei Neri americani, e ognuno di loro individualmente, ha continuato a subire le peggiori violenze da parte delle forze dell’ordine e dei razzisti dovunque nel paese. È logico appellarsi legalmente alla legge. Quel che è irrazionale, è elemosinare legalmente di fronte all’illegalità patente, come se fosse un non-senso destinato a dissolversi una volta denunciato.
È manifesto che l’illegalità superficiale, oltraggiosamente visibile, ancora applicata ai Neri in molti Stati americani, ha le sue radici in una contraddizione economico-sociale che non  dipende dalle leggi esistenti, e che nessuna legge giuridica futura potrà neppure eliminare, contro le più fondamentali leggi della società in cui i Neri americani osano finalmente domandare di vivere.
L’inevitabilità della sovversione necessaria appare di per sé appena i Neri approdano ai mezzi sovversivi; ebbene, il passaggio a tali mezzi sorge nella loro vita quotidiana come quel che succede di più accidentale e obiettivamente giustificato. Non è la crisi dello statuto dei Neri in America; è la crisi dello statuto dell’America, percepita innanzitutto tra i Neri. Non c’è stato qui conflitto razziale: i Neri non hanno attaccato i Bianchi incontrati sul loro cammino, ma solo i poliziotti bianchi.
Una volta di più, tuttavia, la rivolta che esplode di fronte alla violenza assassina del potere è anche una rivolta contro il potere della merce, contro il suo mondo e contro quello del lavoratore-consumatore gerarchicamente sottomesso alle misure della merce. Questi rivoltosi esasperati dalla perdita della coscienza di classe prendono in parola la propaganda del capitalismo moderno, la sua pubblicità dell’abbondanza.
Vogliono subito tutti gli oggetti mostrati e astrattamente disponibili, perché vogliono usufruirne. Per questo ne ricusano il valore di scambio, la realtà mercantile che ne è lo stampo, la motivazione e il fine ultimo, e che ha tutto selezionato. Con il furto e il dono, ritrovano un uso che smentisce immediatamente la razionalità oppressiva della merce che fa sembrare le sue relazioni e la sua stessa fabbricazione arbitrarie e non necessarie. Il saccheggio manifesta la realizzazione più sommaria del principio bastardo “A ciascuno secondo i suoi falsi bisogni”, bisogni determinati e prodotti dal sistema economico che il saccheggio precisamente rigetta.
La società dell’abbondanza trova la sua risposta naturale nel saccheggio[3], ma essa non era per niente abbondanza naturale e umana, essa era abbondanza di merci.
Il proletariato classico, ormai in via di sparizione, nella misura in cui lo si era provvisoriamente integrato al sistema capitalista, non aveva potuto integrare completamente i Neri, non più di quanto integri gli abitanti disperati delle periferie di qualunque megalopoli. Il confort, il più sovente inesistente, non sarà mai abbastanza confortevole da soddisfare quelli che cercano quel che non è sul mercato, quello che appunto il mercato elimina. Il livello raggiunto dalla tecnologia dei più privilegiati diventa un’offesa, più facile da esprimere dell’offesa essenziale della reificazione[4].
I Neri hanno in America il loro spettacolo, la loro stampa, le loro riviste e le loro star di colore, cosicché lo riconoscono e lo vomitano come spettacolo falso, come espressione della loro indegnità, perché lo vedono minoritario, semplice appendice di uno spettacolo generale. Riconoscono che questo spettacolo del loro consumismo augurabile è una colonia di quello dei Bianchi, e vedono dunque più rapidamente la menzogna di tutto lo spettacolo economico-culturale. Chiedono, volendo effettivamente e subito partecipare all’abbondanza che è il valore ufficiale di ogni Americano, la realizzazione egualitaria dello spettacolo della vita quotidiana in America, la verifica dei valori semi celesti e semi terrestri di questo spettacolo. Rivendicazione, del resto, che la crisi del coronavirus non ha fatto oggi che esacerbare.
Quando i Neri esigono di prendere alla lettera lo spettacolo capitalista, rigettano già lo spettacolo stesso. Lo spettacolo è una droga per schiavi. In effetti, negli Stati Uniti, i Bianchi sono oggi gli schiavi della merce, e i Neri i suoi negatori. I Neri vogliono più dei Bianchi: ecco il cuore di un problema insolubile, o solubile soltanto con la dissoluzione di questa società bianca. Anche i Bianchi che vogliono uscire dalla loro stessa schiavitù devono aderire innanzitutto alla rivolta nera, non come affermazione di colore, evidentemente, ma come rifiuto universale della merce, e finalmente dello Stato.
Si può dire di nuovo della gioventù americana che risorge come forza di contestazione, che viene a trovare la sua guerra di Spagna nella rivolta nera. Bisogna che questa volta i suoi “battaglioni Lincoln” comprendano tutto il senso della lotta in cui s’impegnano e la sostengano completamente in quel che essa ha di universale. Gli “eccessi” attuali non sono un errore politico dei Neri più di quanto la resistenza armata del POUM a Barcellona, nel maggio 1937, sia stata un tradimento della guerra antifranchista. Una rivolta contro lo spettacolo si situa al livello della totalità perché essa è una protesta dell’essere umano contro la vita disumana; perché essa comincia al livello del solo individuo reale e perché la comunità da cui l’individuo reale è separato è la vera natura sociale dell’essere umano, la natura umana: il superamento positivo dello spettacolo.
Sergio Ghirardi, 2 giugno 2020


[1] Gustave de Beaumont che l’aveva accompagnato nel suo viaggio d’esplorazione in America nel 1831, ha scritto in seguito un romanzo sulle relazioni razziali negli Stati Uniti.
[2] Nicolas Chauvin è un soldato francese immaginario, incarnazione del patriottismo oltraggioso che ha dato corpo all’espressione “sciovinismo”.
[3] L’apologia del saccheggio è uno dei punti dolens dell’ideologia rivoluzionaria insurrezionalista. Se infatti, come qui è ben descritto, il saccheggio è un sintomo inequivocabile e inevitabile del conflitto di classe, non è affatto parte della soluzione. Al contrario favorisce la regressione rinforzando il Leviatano. Come l’ossimoro disgraziato della “dittatura del proletariato”, il saccheggio rappresenta non il superamento della lotta di classe ma il rovesciamento dei rapporti di forza tra le classi senza abolirle. Ciò ha costituito un limite regressivo della coscienza di classe del proletariato. Una nuova coscienza di specie nascente ha il compito di superare questa impasse storica attraverso un’autogestione generalizzata della vita quotidiana. La quale si occuperà delle attività necessarie alla riproduzione delle ricchezze e alla loro equa ridistribuzione come beni comuni esenti da qualunque appropriazione privativa possibile.
[4] Processo che riduce gli esseri a cose.





De la démocratie en Amérique

« Les rois se ruinent dans les grandes entreprises ; les nobles s’épuisent dans les guerres privées ; les roturiers s’enrichissent dans le commerce. L’influence de l’argent commence à se faire sentir sur les affaires de l’État. Le négoce est une source nouvelle qui s’ouvre à la puissance, et les financiers deviennent un pouvoir politique qu’on méprise et qu’on flatte ».
Alexis de Tocqueville, Introduction à De la démocratie en Amérique.

Quand Alexis de Tocqueville a publié les deux volumes du texte avec ce même titre, entre 1835 et 1840, il avait dans le collimateur la forme particulière de la démocratie représentative républicaine des Etats-Unis qu’il avait visités pendant dix mois quatre années auparavant[1].
Presque deux siècles après, je veux revenir brièvement, et bien plus modestement, bien-sûr, sur la réalité actuelle de cette société prise à modèle d’une démocratie exemplaire, pour montrer qu’elle n’est qu’un mensonge exemplaire.
Car, derrière des valeurs universelles, et clairement rhétoriques, de liberté et d’egalité des chances, les Etats Unis s’identifient avec l’Amérique en la dominant encore en tant que première puissance mondiale – même si leur pouvoir est en chute libre et en compétition permanente. L’existence un peu surréelle de cet Etat fédéral quasi continental fait, en fait, partie du résultat final de millénaires de productivisme : c'est-à-dire de l’exploitation de l’être humain par l’homme afin d’extraire de sa force de travail de la valeur économique par l’esclavage, le racisme, le sexisme et autres suprématismes qui polluent rentablement la planète.
Incarnée avant tout par les Cités-Etat du croissant fertile mésopotamien, autour de 4000 AC, la civilisation productiviste, a engendré et répandu le Léviathan bicéphale composé de l’Etat et du Marché jusqu’à déposer le dernier caput mundi de son empire planétaire dans les Etats-Unis d’Amérique soi-disant démocratiques. Car, entre New York et Miami, New Orléans et Chicago, Boston et S. Francisco, Dallas et Seattle, ce sont des Etats coloniaux qui se sont unis, entre esclavagisme et salariat, au détriment des nations indigènes organiques qui existaient sur le continent bien avant les malheureux débarquements des Peres Pèlerins, puritains et patriarcaux (Pilgrim Fathers).
Les Etats Unis sont la pire manifestation planétaire modernisée de la peste émotionnelle européenne archaïque, l’irruption névrotique de la morale sexuelle productiviste devenue psychose belliciste et guerrière, meurtrière et suprématiste à souhait. Dans le pays des cowboys, chacun peut revendiquer son droit à tuer en premier, comme dans les meilleurs westerns.
Désormais, pour le productivisme arrivé au bout de son délire et de nos peines, ne reste plus que se gargariser partout de sa démocratie spectaculaire ou choisir l’option du totalitarisme cybernétique absolu, incarné parfaitement par la Chine soi-disant communiste. Le système global est en train de faire son choix de plus en plus trans humaniste. A nous de faire le nôtre avant qu’il soit trop tard !
Après les génocides perpétrés par les puants conquistadores espagnols dans l’Amérique du sud et au Mexique (colonialisme féroce auquel Christophe Colomb avait ouvert la route) ce fut l’hémisphère nord de ce continent nouveau qui s’est peuplé des bandes de fanatiques intégristes, de paysans sans terre, d’aventuriers, de marchands, de bandits, de meurtriers, tous en fuite de l’Europe et de son capitalisme triomphant. Dans l’espace-temps de deux siècles, ces bandes communautaristes hétéroclites, au taux de férocité émotionnelle élevé, ont abondement contribué à l’extermination du 95 % de la population autochtone de l’entier continent américain, en finissant par établir, de la Côte est à la Californie, une fédération républicaine d’Etats coloniaux au capitalisme sans faille.
La démocratie spectaculaire que le capitalisme a instaurée comme base politique nécessaire à son impérialisme final, a vaincu tous les modèles alternatifs de gouvernement qui ont cherché, ailleurs, de la remplacer. De la France à l’Angleterre, des nouvelles républiques aux anciennes monarchies, la démocratie parlementaire s’est vendue partout sur le marché des idéologies comme le pire des gouvernements, tous les autres exclus.
Des fascismes et des communismes divers ont misérablement échoué dans leurs essais d’en prendre la place, devenant ainsi la meilleur propagande, sinon la seule, qui garantit, encore aujourd’hui, aux variations existantes de démocratie parlementaire de diriger le monde vers un totalitarisme marchand absolu.
Plus que jamais, depuis un demi-siècle, les Etats-Unis sont devenus le fleuron impérialiste de l’idéal démocratique spectaculaire et de l’argent roi, laïquement divinisé (In God We Trust, c’est clairement écrit sur le billet vert qui est le dollar).
Voici, donc, à suivre, une réflexion dont le détournement est aussi visible que sa pertinence évidente. En y ajoutant ou enlevant à souhait ce que chacun pense nécessaire – car il n’est pas question, pour moi, de corroborer aucune idéologie, fusse-t-elle le situationnisme –, elle pourra, peut-être, avoir une quelque utilité pour se confronter à l’urgence d’abandonner le navire qui coule, dans un siècle encore jeune mais déjà bien malade qui a échafaudé sur les ruines du précédent son effondrement programmé.
Que la conscience d’espèce que j’appelle de mes vœux, apprenne à exercer le dépassement nécessaire d’une conscience de classe vaincue par le consumérisme, dépassement qui serait en même temps la réalisation possible des désirs les plus séduisants des humains dignes de ce nom.



Le déclin final avant la chute
de l’économie spectaculaire-marchande
[Détournement de : Le déclin et la chute de l’économie spectaculaire marchande,
Internationale situationniste, n°10, page 3/11, Mars 1966].

A partir du 25 mai 2020, la population noire des Etats Unis s’est soulevée. Le meurtre de George Floyd par un policier blanc au nom on ne peut plus emblématique – Chauvin[2] – a provoque le déclenchement de soulèvements spontanées dans tout le pays. Après une semaine d’émeutes, les renforts croissants des forces de l’ordre n’ont pas été capables de reprendre le contrôle de la rue. Le 1 juin, les révoltés ont même attaqué l’église Saint John, bâtiment emblématique proche de le Maison Blanche qui a été dégradé en marge d'une énième manifestation contre le racisme.
Des milliers de soldats et de policiers ont du être jetés dans la lutte pour cerner la révolte dans innombrables quartiers de plusieurs villes du pays : à Minneapolis, lieu de l’homicide, à New York, à Washington, en Californie et ailleurs. Pour le moment la répression est sans réussite, malgré les menaces de l’Ubu président de faire tirer sur la foule et les pillards. En fait, un bon nombre de policiers ont mis genoux à terre en symbolique adhésion aux motivations des insurgées et c’est lui, le Trump à la mâchoire mussolinienne, qui a du se refugier deux fois dans un bunker de la Maison Blanche comme un Hitler quelconque, par peur de l’arrivée des « soviétiques » qu’il craint dans ses cauchemars imbéciles de parfait produit médiatique fascisant.
Naturellement les prêtres des médias protestent au plus urgent devant une révolte préméditée et appellent à s’opposer aux pillages et à ses violences injustifiées qui – selon eux et leur propagande bornée – n’ont rien à voire avec le meurtre en question.
Leur mauvaise foi remonte loin dans l’histoire en général et dans celle américaine en particulier, mais on peut laisser les économistes pleurer sur les millions de dollars perdus et les urbanistes sur un de leur plus beaux supermarchés parti en fumée ; laissons les sociologues se lamenter sur l’absurdité et l’ivresse dans cette révolte.
Le mouvement des Noirs américains, et chacun d’eux individuellement, a continué à subir les pires violences des forces de l’ordre et des racistes partout dans le pays. Il est logique de n’appeler légalement à la loi. Ce qui est irrationnel, c’est de quémander légalement devant l’illégalité patente, comme si elle était un non-sens qui se dissoudra en étant montré du doigt.
Il est manifeste que l’illégalité superficielle, outrageusement visible, encore appliquée aux Noirs dans beaucoup d’Etats américains, a ses racines dans une contradiction économico-sociale qui n’est pas du ressort de lois existantes ; et qu’aucune loi juridique future ne peut même défaire, contre les lois plus fondamentales de la société où le Noirs américains finalement osent demander de vivre.
L’inévitabilité de la subversion nécessaire apparait d’elle-même dés que les Noirs en viennent aux moyens subversifs ; or le passage à de tels moyens surgit dans leur vie quotidienne comme ce qui y est à la fois le plus accidentel et le plus objectivement justifié. Ce n’est plus la crise du statut des Noirs en Amérique ; c’est la crise du statut de l’Amérique, posé d’abord parmi les Noirs. Il n’y a pas eu ici de conflit racial : les Noirs n’ont pas attaqué les Blancs qui étaient sur leur chemin, mais seulement les policiers blancs.
Une fois de plus, néanmoins, la révolte qui éclate face à la violence meurtrière du pouvoir est aussi une révolte contre le pouvoir de la marchandise, contre son monde et contre celui du travailleur-consommateur hiérarchiquement soumis aux mesures de la marchandise. Ces révoltés exaspérés par la perte de la conscience de classe prennent au mot la propagande du capitalisme moderne, sa publicité de l’abondance.
Ils veulent tout de suite tous les objets montrés et abstraitement disponibles, parce qu’ils veulent en faire usage. De ce fait ils en récusent la valeur d’échange, la réalité marchande qui en est le moule, la motivation et la fin dernière, et qui a tout sélectionné. Par le vol et le cadeau, ils retrouvent un usage qui aussitôt, dément la rationalité oppressive de la marchandise qui fait apparaitre ses relations et sa fabrication même comme arbitraires et non nécessaires. Le pillage manifeste la réalisation la plus sommaire du principe bâtard « A chacun selon ses faux besoins », les besoins déterminés et produits par le système économique que le pillage précisément rejette.
La société de l’abondance trouve sa réponse naturelle dans le pillage[3], mais elle n’était aucunement abondance naturelle et humaine, elle était abondance de marchandises.
Le prolétariat classique, désormais en voie de disparition, dans la mesure où on avait pu provisoirement l’intégrer au système capitaliste, n’avait pas pu intégrer complétement les Noirs, pas plus qu’il intègre les habitants désespérés de la banlieue de n’importe quelle mégapole. Le confort, le plus souvent inexistant, ne sera jamais assez confortable pour satisfaire ceux qui cherchent ce qui n’est pas sur le marché, ce que le marché précisément élimine. Le niveau atteint par la technologie des plus privilégiés devient une offense, plus facile à exprimer que l’offense essentielle de la réification[4].
Les Noirs ont en Amérique leur propre spectacle, leur presse, leurs revues et leurs vedettes de couleur, et ainsi ils le reconnaissent et le vomissent comme spectacle fallacieux, comme expression de leur indignité, parce qu’ils le voient minoritaire, simple appendice d’un spectacle général. Ils reconnaissent que ce spectacle de leur consommation souhaitable est une colonie de celui des Blancs, et ils voient donc plus vite le mensonge de tout le spectacle économico-culturel. Ils demandent, en voulant effectivement et tout de suite participer à l’abondance qui est la valeur officielle de tout Americain, la réalisation égalitaire du spectacle de la vie quotidienne en Amérique, la mise à l’épreuve des valeurs mi-célestes mi-terrestres de ce spectacle. Revendication, d’ailleurs, que la crise du Coronavirus n’a fait maintenant qu’exacerber.
Quand les Noirs exigent de prendre à la lettre le spectacle capitaliste, ils rejettent déjà le spectacle même. Le spectacle est une drogue pour esclave. En fait, aux Etats-Unis, les Blancs sont aujourd’hui les esclaves de la marchandise, et les Noirs ses négateurs. Les Noirs veulent plus que les Blancs : voilà le cœur d’un problème insoluble, ou soluble seulement avec la dissolution de cette société blanche. Aussi les Blancs qui veulent sortir de leur propre esclavage doivent rallier d’abord la révolte noire, non comme affirmation de couleur, évidemment, mais comme refus universel de la marchandise, et finalement de l’Etat.
On peut dire, de nouveau, de la jeunesse américaine qui ressurgit comme force de contestation, qu’elle vient de trouver sa guerre d’Espagne dans la révolte noire. Il faut que cette fois ses « bataillons Lincoln » comprennent tout le sens de la lutte où ils s’engagent et la soutiennent complétement dans ce qu’elle a d’universel. Les « excès » actuels ne sont pas plus une erreur politique des Noirs que la résistance armée du POUM à Barcelone, en mai 1937, n’a été une trahison de la guerre antifranquiste. Une révolte contre le spectacle se situe au niveau de la totalité car elle est une protestation de l’homme contre la vie inhumaine ; parce qu’elle commence au niveau du seul individu réel et parce que la communauté, dont l’individu révolté est séparé, est la vraie nature sociale de l’homme, la nature humaine : le dépassement positif du spectacle.

Sergio Ghirardi, le 2 juin 2020


[1] Gustave de Beaumont qui l’avait accompagné dans son voyage d’exploration en Amérique en 1831, écrivit ensuite un roman sur les relations raciales aux États-Unis.

[2] Nicolas Chauvin est un soldat français imaginaire, incarnation du patriotisme outrancier qui a donné naissance à l'expression « chauvinisme ».
[3] L’apologie du pillage est un point dolens de l’idéologie révolutionnaire insurrectionnaliste. Car si, comme ici est bien décrit, le pillage est un symptôme sans équivoque et inévitable du conflit de classe, il ne fait absolument pas partie de la solution. Au contraire, il favorise la régression en renforçant le Léviathan. Ainsi que l’oxymore malheureux de la « dictature du prolétariat », le pillage représente non pas le dépassement de la lutte des classes, mais le renversement des rapports de force entre les classes sans les abolir. Cela a constitué une limite régressive de la conscience de classe du prolétariat. Une nouvelle conscience d’espèce naissante a la tâche de dépasser cette impasse par une autogestion généralisée de la vie quotidienne. Celle-ci s’occupera des activités nécessaires à la reproduction des richesses et à leur redistribution équitable comme des biens communs affranchis de toute appropriation privative possible.
[4] Processus qui réduit les êtres à des choses.