“I
Re si rovinano per portare a termine grandi imprese; i nobili si sfiniscono nelle
guerre private; i plebei si arricchiscono con il commercio. L’influenza del
denaro comincia a farsi sentire sugli affari di Stato. Il commercio è una nuova
fonte di potenza e i finanzieri diventano un potere politico disprezzato, ma
adulato”.
Alexis de Tocqueville, Introduzione a La democrazia in America.
Quando Alexis de
Tocqueville ha pubblicato i due volumi del testo con questo stesso titolo, tra
il 1835 e il 1840, aveva nel mirino la forma particolare della democrazia
rappresentativa repubblicana degli Stati Uniti che aveva visitato per un
periodo di dieci mesi quattro anni prima[1].
Quasi due secoli dopo,
voglio ritornare brevemente e molto più modestamente, non c’è dubbio, sulla
realtà attuale di questa società presa come modello di una democrazia esemplare
per mostrare che non è altro che una menzogna esemplare.
Infatti, dietro dei
valori universali chiaramente retorici di libertà e di uguaglianza nelle
possibilità, gli Stati Uniti s’identificano con l’America dominandola ancora in
quanto prima potenza mondiale – anche se il loro potere è in caduta libera e in
competizione permanente. L’esistenza un po’ surreale di questo Stato federale
quasi continentale fa in realtà parte del risultato finale di millenni di
produttivismo: cioè dello sfruttamento dell’essere umano da parte dell’uomo al
fine di estrarre dalla sua forza-lavoro del valore economico attraverso la
schiavitù, il razzismo, il sessismo e altri suprematismi che inquinano
lucrosamente il pianeta.
Incarnata
innanzitutto dalle Città-Stato della fertile mezzaluna mesopotamica, attorno al
4000 AC, la civiltà produttivista ha generato e diffuso il Leviatano bicefalo
composto di Stato e Mercato fino a deporre l’ultimo caput mundi del suo impero planetario negli Stati Uniti d’America
sedicenti democratici. Perché tra New York e Miami, New Orleans e Chicago,
Boston e S. Francisco, Dallas e Seattle, sono degli Stati coloniali che si sono
uniti, tra schiavismo e salariato, a detrimento delle nazioni indigene
organiche che esistevano sul continente americano ben prima degli sbarchi
disgraziati dei Padri Pellegrini,
puritani e patriarcali (Pilgrim Fathers).
Gli
Stati Uniti sono la peggiore manifestazione planetaria modernizzata della peste
emozionale europea arcaica, dell’irruzione nevrotica della morale sessuale
produttivista diventata psicosi bellicista e guerriera, assassina e
suprematista a piacere. Nel paese dei cowboy ognuno può rivendicare il diritto
di uccidere per primo, come nei migliori western.
Ormai, al produttivismo
arrivato in fondo al suo delirio e alle nostre pene, non resta più che
gargarizzarsi dappertutto con la sua democrazia spettacolare o scegliere
l’opzione del totalitarismo cibernetico assoluto, perfettamente incarnato dalla
Cina sedicente comunista. Il sistema globale sta facendo la sua scelta sempre
più trans umanista. A noi di fare la nostra prima che sia troppo tardi!
Dopo i genocidi
perpetrati dai puzzolenti conquistadores
spagnoli nell’America del sud e in Messico (colonialismo feroce al quale aveva
aperto la strada Cristoforo Colombo) è stata la volta dell’emisfero nord di
questo nuovo continente che si è popolato di bande di integralisti fanatici, di
contadini senza terra, di avventurieri, di mercanti, di banditi, di assassini,
tutti in fuga dall’Europa e dal suo capitalismo trionfante. Nello spazio-tempo
di due secoli, queste bande comunitariste eteroclite con un tasso di ferocia
emozionale elevata, hanno abbondantemente contribuito allo sterminio del 95%
della popolazione autoctona dell’intero continente americano, finendo per
stabilire dalla Costa Est alla California, una federazione repubblicana di
Stati coloniali dal capitalismo impeccabile.
La democrazia spettacolare
che il capitalismo ha instaurato come base politica necessaria al suo
imperialismo finale, ha sconfitto tutti i modelli alternativi di governo che
hanno cercato altrove di rimpiazzarla. Dalla Francia all’Inghilterra, dalle
nuove Repubbliche alle antiche monarchie, la democrazia parlamentare si è
venduta dappertutto sul mercato delle ideologie come il peggiore dei governi,
esclusi tutti gli altri.
Dei fascismi e dei
comunismi diversi hanno miseramente fallito i loro tentativi di scalzarla,
finendo per diventare così la miglior propaganda, se non l’unica, che ancora
oggi garantisce alle variazioni esistenti di democrazia parlamentare di
indirizzare il mondo verso un totalitarismo mercantile assoluto.
Più che mai, da un
mezzo secolo, gli Stati Uniti sono diventati il fiore all’occhiello
imperialista dell’ideale democratico spettacolare e del denaro re, laicamente
divinizzato (In God We Trust, è
chiaramente scritto sul biglietto verde chiamato dollaro).
Ecco dunque, a seguire,
una riflessione il cui détournement è
altrettanto chiaro che la sua pertinenza è lampante. Aggiungendovi o levando a
piacere quel che ciascuno trova necessario – poiché non è questione, per me, di
corroborare nessuna ideologia, fosse anche il situazionismo –, essa potrà forse
avere una qualche utilità per confrontarsi all’urgenza di abbandonare la nave
che affonda, in un secolo ancora giovane ma già molto malato che ha edificato
sulle rovine del precedente il suo crollo programmato.
Che la coscienza di
specie che auspico dal profondo del cuore, ci insegni a esercitare il
superamento necessario di una coscienza di classe sconfitta dal consumismo,
superamento che sarebbe contemporaneamente la realizzazione possibile dei
desideri più seducenti degli umani degni di questo nome.
Il
declino finale prima della caduta dell’economia spettacolare-mercantile
[Détournement de Il Declino e la caduta dell’economia spettacolare- mercantile,
Internazionale situazionista, n° 10, pagg. 3/11,
Marzo 1966]
A partire dal 25 marzo
2020, la popolazione nera degli Stati Uniti si è sollevata. L’assassinio di
George Floyd da parte di un poliziotto bianco dal nome che più emblematico non
si può – Chauvin[2]
– ha provocato l’esplosione di sollevamenti spontanei in tutto il paese. Dopo
una settimana di moti, i rinforzi crescenti delle forze dell’ordine non sono
stati capaci di riprendere il controllo della piazza. Il primo giugno, i
rivoltosi hanno persino attaccato la chiesa Saint John, edificio emblematico
vicino alla Casa Bianca che ha subito degradazioni in margine a un’ennesima
manifestazione contro il razzismo.
Migliaia di soldati e
di poliziotti sono stati spediti nella lotta per confinare la rivolta in innumerevoli
quartieri di parecchie città del paese: a Minneapolis, luogo in cui è stato
perpetrato l’omicidio, a New York, a Washington, in California e altrove. Per
il momento la repressione non funziona, nonostante le minacce del presidente
Ubu di far tirare sulla folla e sui saccheggiatori. In effetti, un buon numero
di poliziotti ha messo il ginocchio a terra in simbolica adesione alle
motivazioni degli insorti ed è lui, il Trump dalla mascella mussoliniana, che è
stato obbligato a rifugiarsi due volte in un bunker della Casa Bianca come un
Hitler qualsiasi, per paura dell’arrivo dei “sovietici” che teme nei suoi
incubi imbecilli di perfetto prodotto mediatico di stampo fascista.
Naturalmente i preti
dei media protestano nell’urgenza di fronte a una rivolta premeditata e
appellano a opporsi ai saccheggi e alle violenze ingiustificate che – secondo
loro e la loro propaganda ottusa – non hanno niente a che vedere con
l’assassinio in questione.
La loro malafede risale
lontano nella storia in generale e in quella americana in particolare, ma si
possono lasciare gli economisti piangere sui milioni di dollari perduti e gli
urbanisti su uno dei loro supermercati più belli andato in fumo; lasciamo i
sociologi lamentarsi dell’assurdità e dell’ubriacatura di questa rivolta.
Il movimento dei Neri
americani, e ognuno di loro individualmente, ha continuato a subire le peggiori
violenze da parte delle forze dell’ordine e dei razzisti dovunque nel paese. È
logico appellarsi legalmente alla legge. Quel che è irrazionale, è elemosinare
legalmente di fronte all’illegalità patente, come se fosse un non-senso
destinato a dissolversi una volta denunciato.
È manifesto che
l’illegalità superficiale, oltraggiosamente visibile, ancora applicata ai Neri
in molti Stati americani, ha le sue radici in una contraddizione
economico-sociale che non dipende dalle
leggi esistenti, e che nessuna legge giuridica
futura potrà neppure eliminare, contro le più fondamentali leggi della società
in cui i Neri americani osano finalmente domandare di vivere.
L’inevitabilità della
sovversione necessaria appare di per sé appena i Neri approdano ai mezzi
sovversivi; ebbene, il passaggio a tali mezzi sorge nella loro vita quotidiana
come quel che succede di più accidentale e obiettivamente giustificato. Non è
la crisi dello statuto dei Neri in America; è la crisi dello statuto
dell’America, percepita innanzitutto tra i Neri. Non c’è stato qui conflitto
razziale: i Neri non hanno attaccato i Bianchi incontrati sul loro cammino, ma
solo i poliziotti bianchi.
Una volta di più,
tuttavia, la rivolta che esplode di fronte alla violenza assassina del potere è
anche una rivolta contro il potere della merce, contro il suo mondo e contro
quello del lavoratore-consumatore gerarchicamente
sottomesso alle misure della merce. Questi rivoltosi esasperati dalla
perdita della coscienza di classe prendono
in parola la propaganda del capitalismo moderno, la sua pubblicità
dell’abbondanza.
Vogliono subito tutti
gli oggetti mostrati e astrattamente disponibili, perché vogliono usufruirne. Per questo ne ricusano il
valore di scambio, la realtà mercantile
che ne è lo stampo, la motivazione e il fine ultimo, e che ha tutto selezionato.
Con il furto e il dono, ritrovano un uso che smentisce immediatamente la
razionalità oppressiva della merce che fa sembrare le sue relazioni e la sua
stessa fabbricazione arbitrarie e non necessarie. Il saccheggio manifesta la
realizzazione più sommaria del principio bastardo “A ciascuno secondo i suoi
falsi bisogni”, bisogni determinati e prodotti dal sistema economico che il
saccheggio precisamente rigetta.
La società
dell’abbondanza trova la sua risposta naturale
nel saccheggio[3],
ma essa non era per niente abbondanza naturale e umana, essa era abbondanza di
merci.
Il proletariato
classico, ormai in via di sparizione, nella misura in cui lo si era
provvisoriamente integrato al sistema capitalista, non aveva potuto integrare
completamente i Neri, non più di quanto integri gli abitanti disperati delle
periferie di qualunque megalopoli. Il confort, il più sovente inesistente, non
sarà mai abbastanza confortevole da soddisfare quelli che cercano quel che non
è sul mercato, quello che appunto il mercato elimina. Il livello raggiunto
dalla tecnologia dei più privilegiati diventa un’offesa, più facile da
esprimere dell’offesa essenziale della reificazione[4].
I Neri hanno in America
il loro spettacolo, la loro stampa, le loro riviste e le loro star di colore,
cosicché lo riconoscono e lo vomitano come spettacolo falso, come espressione
della loro indegnità, perché lo vedono minoritario,
semplice appendice di uno spettacolo generale. Riconoscono che questo
spettacolo del loro consumismo augurabile è una colonia di quello dei Bianchi,
e vedono dunque più rapidamente la menzogna di tutto lo spettacolo economico-culturale.
Chiedono, volendo effettivamente e subito partecipare all’abbondanza che è il
valore ufficiale di ogni Americano, la realizzazione
egualitaria dello spettacolo della vita quotidiana in America, la verifica
dei valori semi celesti e semi terrestri di questo spettacolo. Rivendicazione,
del resto, che la crisi del coronavirus non ha fatto oggi che esacerbare.
Quando i Neri esigono
di prendere alla lettera lo spettacolo capitalista, rigettano già lo spettacolo
stesso. Lo spettacolo è una droga per schiavi. In effetti, negli Stati Uniti, i
Bianchi sono oggi gli schiavi della merce, e i Neri i suoi negatori. I Neri
vogliono più dei Bianchi: ecco il
cuore di un problema insolubile, o solubile soltanto con la dissoluzione di
questa società bianca. Anche i Bianchi che vogliono uscire dalla loro stessa
schiavitù devono aderire innanzitutto alla rivolta nera, non come affermazione
di colore, evidentemente, ma come rifiuto universale della merce, e finalmente
dello Stato.
Si può dire di nuovo
della gioventù americana che risorge come forza di contestazione, che viene a
trovare la sua guerra di Spagna nella rivolta nera. Bisogna che questa volta i
suoi “battaglioni Lincoln” comprendano tutto il senso della lotta in cui
s’impegnano e la sostengano completamente in quel che essa ha di universale.
Gli “eccessi” attuali non sono un errore politico dei Neri più di quanto la
resistenza armata del POUM a Barcellona, nel maggio 1937, sia stata un
tradimento della guerra antifranchista. Una rivolta contro lo spettacolo si
situa al livello della totalità
perché essa è una protesta dell’essere umano contro la vita disumana; perché
essa comincia al livello del solo
individuo reale e perché la comunità da cui l’individuo reale è separato è la vera natura sociale dell’essere
umano, la natura umana: il superamento positivo dello spettacolo.
Sergio Ghirardi,
2 giugno 2020
[1] Gustave de Beaumont che l’aveva
accompagnato nel suo viaggio d’esplorazione in America nel 1831, ha scritto in
seguito un romanzo sulle relazioni razziali negli Stati Uniti.
[2] Nicolas Chauvin è un soldato
francese immaginario, incarnazione del patriottismo oltraggioso che ha dato corpo
all’espressione “sciovinismo”.
[3] L’apologia del saccheggio è uno
dei punti dolens dell’ideologia
rivoluzionaria insurrezionalista. Se infatti, come qui è ben descritto, il
saccheggio è un sintomo inequivocabile e inevitabile del conflitto di classe,
non è affatto parte della soluzione. Al contrario favorisce la regressione
rinforzando il Leviatano. Come l’ossimoro disgraziato della “dittatura del
proletariato”, il saccheggio rappresenta non il superamento della lotta di
classe ma il rovesciamento dei rapporti di forza tra le classi senza abolirle.
Ciò ha costituito un limite regressivo della coscienza di classe del
proletariato. Una nuova coscienza di specie nascente ha il compito di superare
questa impasse storica attraverso un’autogestione generalizzata della vita
quotidiana. La quale si occuperà delle attività necessarie alla riproduzione
delle ricchezze e alla loro equa ridistribuzione come beni comuni esenti da
qualunque appropriazione privativa possibile.
[4] Processo che riduce gli esseri a
cose.
De la démocratie en Amérique
« Les rois se
ruinent dans les grandes entreprises ; les nobles s’épuisent dans les
guerres privées ; les roturiers s’enrichissent dans le commerce.
L’influence de l’argent commence à se faire sentir sur les affaires de l’État.
Le négoce est une source nouvelle qui s’ouvre à la puissance, et les financiers
deviennent un pouvoir politique qu’on méprise et qu’on flatte ».
Alexis
de Tocqueville, Introduction à De la
démocratie en Amérique.
Quand Alexis de Tocqueville a publié les deux volumes du
texte avec ce même titre, entre 1835 et 1840, il avait dans le collimateur la
forme particulière de la démocratie représentative républicaine des Etats-Unis
qu’il avait visités pendant dix mois quatre années auparavant[1].
Presque deux siècles après, je veux revenir brièvement,
et bien plus modestement, bien-sûr, sur la réalité actuelle de cette société
prise à modèle d’une démocratie exemplaire, pour montrer qu’elle n’est qu’un
mensonge exemplaire.
Car, derrière des valeurs universelles, et clairement
rhétoriques, de liberté et d’egalité des chances, les Etats Unis s’identifient
avec l’Amérique en la dominant encore en tant que première puissance mondiale –
même si leur pouvoir est en chute libre et en compétition permanente. L’existence
un peu surréelle de cet Etat fédéral quasi continental fait, en fait, partie du
résultat final de millénaires de productivisme : c'est-à-dire de
l’exploitation de l’être humain par l’homme afin d’extraire de sa force de
travail de la valeur économique par l’esclavage, le racisme, le sexisme et
autres suprématismes qui polluent rentablement la planète.
Incarnée avant tout par les Cités-Etat du croissant
fertile mésopotamien, autour de 4000 AC, la civilisation productiviste, a
engendré et répandu le Léviathan bicéphale composé de l’Etat et du Marché
jusqu’à déposer le dernier caput mundi
de son empire planétaire dans les Etats-Unis d’Amérique soi-disant
démocratiques. Car, entre New York et Miami, New Orléans et Chicago, Boston et
S. Francisco, Dallas et Seattle, ce sont des Etats coloniaux qui se sont unis,
entre esclavagisme et salariat, au détriment des nations indigènes organiques
qui existaient sur le continent bien avant les malheureux débarquements des Peres Pèlerins, puritains et patriarcaux
(Pilgrim Fathers).
Les Etats Unis sont la pire manifestation planétaire
modernisée de la peste émotionnelle européenne archaïque, l’irruption
névrotique de la morale sexuelle productiviste devenue psychose belliciste et
guerrière, meurtrière et suprématiste à souhait. Dans le pays des cowboys,
chacun peut revendiquer son droit à tuer en premier, comme dans les meilleurs
westerns.
Désormais, pour le productivisme arrivé au bout de son
délire et de nos peines, ne reste plus que se gargariser partout de sa
démocratie spectaculaire ou choisir l’option du totalitarisme cybernétique
absolu, incarné parfaitement par la Chine soi-disant communiste. Le système global
est en train de faire son choix de plus en plus trans humaniste. A nous de
faire le nôtre avant qu’il soit trop tard !
Après les génocides perpétrés par les puants conquistadores espagnols dans l’Amérique
du sud et au Mexique (colonialisme féroce auquel Christophe Colomb avait ouvert
la route) ce fut l’hémisphère nord de ce continent nouveau qui s’est peuplé des
bandes de fanatiques intégristes, de paysans sans terre, d’aventuriers, de
marchands, de bandits, de meurtriers, tous en fuite de l’Europe et de son
capitalisme triomphant. Dans l’espace-temps de deux siècles, ces bandes
communautaristes hétéroclites, au taux de férocité émotionnelle élevé, ont
abondement contribué à l’extermination du 95 % de la population autochtone de
l’entier continent américain, en finissant par établir, de la Côte est à la
Californie, une fédération républicaine d’Etats coloniaux au capitalisme sans
faille.
La démocratie spectaculaire que le capitalisme a
instaurée comme base politique nécessaire à son impérialisme final, a vaincu
tous les modèles alternatifs de gouvernement qui ont cherché, ailleurs, de la
remplacer. De la France à l’Angleterre, des nouvelles républiques aux anciennes
monarchies, la démocratie parlementaire s’est vendue partout sur le marché des
idéologies comme le pire des gouvernements, tous les autres exclus.
Des fascismes et des communismes divers ont misérablement
échoué dans leurs essais d’en prendre la place, devenant ainsi la meilleur
propagande, sinon la seule, qui garantit, encore aujourd’hui, aux variations
existantes de démocratie parlementaire de diriger le monde vers un
totalitarisme marchand absolu.
Plus que jamais, depuis un demi-siècle, les Etats-Unis
sont devenus le fleuron impérialiste de l’idéal démocratique spectaculaire et
de l’argent roi, laïquement divinisé (In
God We Trust, c’est clairement écrit sur le billet vert qui est le dollar).
Voici, donc, à suivre, une réflexion dont le détournement
est aussi visible que sa pertinence évidente. En y ajoutant ou enlevant à
souhait ce que chacun pense nécessaire – car il n’est pas question, pour moi,
de corroborer aucune idéologie, fusse-t-elle le situationnisme –, elle pourra,
peut-être, avoir une quelque utilité pour se confronter à l’urgence
d’abandonner le navire qui coule, dans un siècle encore jeune mais déjà bien
malade qui a échafaudé sur les ruines du précédent son effondrement programmé.
Que la conscience
d’espèce que j’appelle de mes vœux, apprenne à exercer le dépassement
nécessaire d’une conscience de classe vaincue par le consumérisme, dépassement
qui serait en même temps la réalisation possible des désirs les plus séduisants
des humains dignes de ce nom.
Le déclin final avant la chute
de l’économie spectaculaire-marchande
[Détournement de : Le déclin et la chute de l’économie
spectaculaire marchande,
Internationale
situationniste, n°10, page 3/11, Mars 1966].
A partir du 25 mai 2020, la population noire des Etats
Unis s’est soulevée. Le meurtre de George Floyd par un policier blanc au nom on
ne peut plus emblématique – Chauvin[2] – a
provoque le déclenchement de soulèvements spontanées dans tout le pays. Après
une semaine d’émeutes, les renforts croissants des forces de l’ordre n’ont pas
été capables de reprendre le contrôle de la rue. Le 1 juin, les révoltés ont
même attaqué l’église Saint John, bâtiment emblématique proche de le Maison
Blanche qui a été dégradé en marge d'une énième manifestation contre le
racisme.
Des milliers de soldats et de policiers ont du être jetés
dans la lutte pour cerner la révolte dans innombrables quartiers de plusieurs
villes du pays : à Minneapolis, lieu de l’homicide, à New York, à
Washington, en Californie et ailleurs. Pour le moment la répression est sans
réussite, malgré les menaces de l’Ubu président de faire tirer sur la foule et
les pillards. En fait, un bon nombre de policiers ont mis genoux à terre en
symbolique adhésion aux motivations des insurgées et c’est lui, le Trump à la
mâchoire mussolinienne, qui a du se refugier deux fois dans un bunker de la
Maison Blanche comme un Hitler quelconque, par peur de l’arrivée des
« soviétiques » qu’il craint dans ses cauchemars imbéciles de parfait
produit médiatique fascisant.
Naturellement les prêtres des médias protestent au plus
urgent devant une révolte préméditée et appellent à s’opposer aux pillages et à
ses violences injustifiées qui – selon eux et leur propagande bornée – n’ont
rien à voire avec le meurtre en question.
Leur mauvaise foi remonte loin dans l’histoire en général
et dans celle américaine en particulier, mais on peut laisser les économistes
pleurer sur les millions de dollars perdus et les urbanistes sur un de leur
plus beaux supermarchés parti en fumée ; laissons les sociologues se
lamenter sur l’absurdité et l’ivresse dans cette révolte.
Le mouvement des Noirs américains, et chacun d’eux
individuellement, a continué à subir les pires violences des forces de l’ordre
et des racistes partout dans le pays. Il est logique de n’appeler légalement à
la loi. Ce qui est irrationnel, c’est de quémander légalement devant
l’illégalité patente, comme si elle était un non-sens qui se dissoudra en étant
montré du doigt.
Il est manifeste que l’illégalité superficielle,
outrageusement visible, encore appliquée aux Noirs dans beaucoup d’Etats
américains, a ses racines dans une contradiction économico-sociale qui n’est
pas du ressort de lois existantes ; et qu’aucune loi juridique future ne peut même défaire, contre les lois plus
fondamentales de la société où le Noirs américains finalement osent demander de
vivre.
L’inévitabilité de la subversion nécessaire apparait
d’elle-même dés que les Noirs en viennent aux moyens subversifs ; or le
passage à de tels moyens surgit dans leur vie quotidienne comme ce qui y est à
la fois le plus accidentel et le plus objectivement justifié. Ce n’est plus la
crise du statut des Noirs en Amérique ; c’est la crise du statut de
l’Amérique, posé d’abord parmi les Noirs. Il n’y a pas eu ici de conflit
racial : les Noirs n’ont pas attaqué les Blancs qui étaient sur leur
chemin, mais seulement les policiers blancs.
Une fois de plus, néanmoins, la révolte qui éclate face à
la violence meurtrière du pouvoir est aussi une révolte contre le pouvoir de la
marchandise, contre son monde et contre celui du travailleur-consommateur hiérarchiquement soumis aux mesures de
la marchandise. Ces révoltés exaspérés par la perte de la conscience de classe prennent au mot la propagande du capitalisme
moderne, sa publicité de l’abondance.
Ils veulent tout de suite tous les objets montrés et
abstraitement disponibles, parce qu’ils veulent en faire usage. De ce fait ils
en récusent la valeur d’échange, la
réalité marchande qui en est le moule, la motivation et la fin dernière, et
qui a tout sélectionné. Par le vol et le cadeau, ils retrouvent un usage qui
aussitôt, dément la rationalité oppressive de la marchandise qui fait
apparaitre ses relations et sa fabrication même comme arbitraires et non
nécessaires. Le pillage manifeste la réalisation la plus sommaire du principe
bâtard « A chacun selon ses faux besoins », les besoins déterminés et
produits par le système économique que le pillage précisément rejette.
La société de l’abondance trouve sa réponse naturelle dans le pillage[3], mais
elle n’était aucunement abondance naturelle et humaine, elle était abondance de
marchandises.
Le prolétariat classique, désormais en voie de
disparition, dans la mesure où on avait pu provisoirement l’intégrer au système
capitaliste, n’avait pas pu intégrer complétement les Noirs, pas plus qu’il
intègre les habitants désespérés de la banlieue de n’importe quelle mégapole.
Le confort, le plus souvent inexistant, ne sera jamais assez confortable pour
satisfaire ceux qui cherchent ce qui n’est pas sur le marché, ce que le marché
précisément élimine. Le niveau atteint par la technologie des plus privilégiés
devient une offense, plus facile à exprimer que l’offense essentielle de la
réification[4].
Les Noirs ont en Amérique leur propre spectacle, leur
presse, leurs revues et leurs vedettes de couleur, et ainsi ils le
reconnaissent et le vomissent comme spectacle fallacieux, comme expression de
leur indignité, parce qu’ils le voient minoritaire,
simple appendice d’un spectacle général. Ils reconnaissent que ce spectacle de
leur consommation souhaitable est une colonie de celui des Blancs, et ils
voient donc plus vite le mensonge de tout le spectacle économico-culturel. Ils
demandent, en voulant effectivement et tout de suite participer à l’abondance
qui est la valeur officielle de tout Americain, la réalisation égalitaire du spectacle de la vie quotidienne en
Amérique, la mise à l’épreuve des valeurs mi-célestes mi-terrestres de ce
spectacle. Revendication, d’ailleurs, que la crise du Coronavirus n’a fait
maintenant qu’exacerber.
Quand les Noirs exigent de prendre à la lettre le
spectacle capitaliste, ils rejettent déjà le spectacle même. Le spectacle est
une drogue pour esclave. En fait, aux Etats-Unis, les Blancs sont aujourd’hui
les esclaves de la marchandise, et les Noirs ses négateurs. Les Noirs veulent plus que les Blancs : voilà le cœur
d’un problème insoluble, ou soluble seulement avec la dissolution de cette
société blanche. Aussi les Blancs qui veulent sortir de leur propre esclavage
doivent rallier d’abord la révolte noire, non comme affirmation de couleur,
évidemment, mais comme refus universel de la marchandise, et finalement de
l’Etat.
On peut dire, de nouveau, de la jeunesse américaine qui
ressurgit comme force de contestation, qu’elle vient de trouver sa guerre
d’Espagne dans la révolte noire. Il faut que cette fois ses « bataillons
Lincoln » comprennent tout le sens de la lutte où ils s’engagent et la
soutiennent complétement dans ce qu’elle a d’universel. Les « excès »
actuels ne sont pas plus une erreur politique des Noirs que la résistance armée
du POUM à Barcelone, en mai 1937, n’a été une trahison de la guerre
antifranquiste. Une révolte contre le spectacle se situe au niveau de la totalité car elle est une protestation
de l’homme contre la vie inhumaine ; parce qu’elle commence au niveau du seul individu réel et parce que la
communauté, dont l’individu révolté est séparé, est la vraie nature sociale de l’homme, la nature humaine : le
dépassement positif du spectacle.
Sergio Ghirardi, le 2 juin 2020
[1] Gustave
de Beaumont qui l’avait accompagné
dans son voyage d’exploration en Amérique en 1831, écrivit ensuite un roman sur
les relations raciales aux États-Unis.
[2] Nicolas Chauvin
est un soldat français imaginaire, incarnation du patriotisme outrancier qui a
donné naissance à l'expression « chauvinisme ».
[3]
L’apologie du pillage est un point dolens
de l’idéologie révolutionnaire insurrectionnaliste. Car si, comme ici est bien
décrit, le pillage est un symptôme sans équivoque et inévitable du conflit de
classe, il ne fait absolument pas partie de la solution. Au contraire, il
favorise la régression en renforçant le Léviathan. Ainsi que l’oxymore
malheureux de la « dictature du prolétariat », le pillage représente
non pas le dépassement de la lutte des classes, mais le renversement des
rapports de force entre les classes sans les abolir. Cela a constitué une
limite régressive de la conscience de classe du prolétariat. Une nouvelle
conscience d’espèce naissante a la tâche de dépasser cette impasse par une
autogestion généralisée de la vie quotidienne. Celle-ci s’occupera des
activités nécessaires à la reproduction des richesses et à leur redistribution
équitable comme des biens communs affranchis de toute appropriation privative
possible.
[4]
Processus qui réduit les êtres à des choses.