"Questo bisogno incomprimibile di superarsi,
sulla punta dei piedi, per sembrare più grande di quanto si è, a dispetto della
nostra piccolezza che non si può nascondere, ecco come un’immagine svela di più
su un personaggio costruito dal nulla che un libro intero"
In questi tempi di
complotti immaginari che alle menzogne di Stato onnipresenti oppongono un
misticismo idiota incapace di guardare la realtà in faccia, qualcuno potrebbe
pensare (sbagliando, mentre qualcun altro avrebbe interesse a dire) che ho
fatto di Bernard-Henri Lévy il mio capro espiatorio preferito, il mio feticcio
vudù di una rabbia irrisolta, la mia testa di turco da prendere a torte in
faccia a ripetizione.
Una mania, dunque, irrazionale
e morbosa, come amano additare al pubblico ludibrio quelli che, sprovvisti di “divine”
manie gaudenti di qualunque sorta, ripiegano sulla denuncia poliziesca di ogni critica
radicale, in nome di un lapalissiano buon senso demo parlamentare ormai condito
con le salse più putride e poi servito alle masse affamate di servitori
volontari.
La fama coltivata e
sempre rinnovata, è il fondo di magazzino e il godimento preferito degli eroi
spettacolari che i nostri tempi producono a caterve, investendoli di quindici
minuti virtuali di notorietà mediaticamente riprodotta in serie, come gli
episodi di un feuilleton interminabile. Alcune di queste celebrità
autoproclamate sono ormai dei prodotti industriali non sottomessi
all’obsolescenza programmata; passano, dunque, il loro tempo a rinnovare gli
spot pubblicitari della loro fama fondata sulla nullità fantasmagorica del loro
pensiero critico che scommette sul vuoto di chi li sta a sentire.
Sarebbe dunque saggio
ignorarle sempre, come mi consiglia spesso un mio grande e buon amico la cui
saggezza non è da provare e che ha il merito di aver deturnato dal suo nome ogni
notorietà spettacolare, al punto che eviterò di farne il nome. Sono d’accordo
con lui, ma faccio qui un’eccezione perché, oltre la popolarità di un preteso filosofo
autoproclamato di cui nulla mi fotte, si mette in moto, ancora una volta, la
macchina della desertificazione dell’intelligenza sensibile.
Penso, infatti, che sia
salutare per chi non è ancora ottenebrato dai media di ogni tipo e
dall’alienazione ben reale di un mondo virtuale che si allarga a macchia
d’olio, far luce su ogni elucubrazione ideologica che si venda come umanistica e
radicale, quando promuove, in realtà, i valori più putridi del vecchio mondo. Oscillando
tra i parametri della stupidità e dell’opportunismo predatorio, non saprei
attribuire il suo posto a Bernard-Henri Lévi, ma è certo che è un prototipo intergenerazionale
dell’odioso contesto spettacolare mercantile.
In effetti, fin da
giovane ho avuto occasione e volontà di denunciare l’emergenza spettacolare dei
nouveaux philosophes (di cui Besciamelle[1], l’ex maoista di un
mattino, era allora un giovane-vergine-ideologico-sgomento), avanguardia
confusionista e nel peggiore dei casi coscientemente reazionaria che ha
cavalcato volgarmente, subito dopo la fine del maggio 68, la causa in crescita dell’anticomunismo.
Dei miei scritti
giovanili fa parte un pamphlet che un editore anarchico ha deciso di pubblicare[2]. Quella mia storia
psicogeografica ha dunque visto la luce alla metà degli anni settanta, poi una
seconda volta negli anni ottanta e una terza di recente (come ho scoperto su
Internet), accompagnata da una doccia scozzese di critiche feroci e concessioni
gentili. Poco
importa. In appendice a questo mio Viaggio
nell’arcipelago occidentale[3],
avevo aggiunto una nota finale critica nei confronti dei nouveaux philosophes, denunciando una nuova miseria della filosofia.
Nonostante le sue ambigue
e perverse concessioni al democraticismo dell’Occidente liberale, Solgenitsin
era ai miei occhi giustamente antisovietico. Ne condividevo, dunque, la
denuncia vissuta e sofferta – libertaria aldilà della sua volontà – di un
comunismo autoritario il cui spettacolo concentrato si è dimostrato, per quasi
un secolo, la miglior propaganda per il capitalismo occidentale e per il suo spettacolo
diffuso.
Anche e forse soprattutto
per la mia percezione situazionistizzata, sensibile alla critica dello
spettacolo sociale globale che preparava la mondializzazione in corso, non
potevo che esecrare la moda anticomunista volgare di un gruppo di nuovi filosofi autoproclamati [4] che il giorno prima erano ancora
seguaci del fascismo rosso maoista.
Il loro show è cominciato
facendo di Yves Montand l’icona pentita del Gulag pseudo sovietico. Il loro
capitale ideologico aveva in JP Sartre il filosofo salottiero passato dalla
filosofia accademica alla letteratura, poi al maoismo e infine ai boat people come si cambia camicia
dimenticando di rinnovare la biancheria intima. Questa banda francofona di
statalisti pestilenziali – coerentemente nemici della rivolta radicale
libertaria in corso, prima, durante e dopo il maggio 68 – ha barattato il collo
di Mao con la cravatta liberale. Ha così potuto coltivare intatto il ruolo
odioso dell’intellettuale storicamente analfabeta e filosoficamente adialettico.
Dall’alto della loro falsa
coscienza di classe intellettualmente dominante sul volgo bue e comunista, i nouveaux philosophes non hanno mai
smesso di dare lezioni di umanesimo ipocrita difendendo, in realtà, la società
disumana di una democrazia inesistente, i suoi privilegiati e la loro libertà
di sfruttare le masse, idiotizzandole. Il tutto condito con un aiuto ai
disperati più visibili che il loro universo sociale ha sempre prodotto.
Ogni azione di
solidarietà nei confronti dei più deboli è evidentemente di per sé nobile e decisamente
benvenuta ma diventa un alibi ambiguo quando in fondo si sostiene l’essenziale
della società dominante. Perché i poveri sono il prodotto finale della
ricchezza capitalista, liberale o di Stato e ormai le due insieme ; sono i
dannati della terra, i disperati, gli esclusi, i ghettizzati, i Gilet gialli,
gli zapatisti del mondo intero che alzano la testa e che brulicano sul pianeta,
mentre i missionari della solidarietà ideologica, interessata e calcolata, promuovono
i valori del mondo che di questa povertà oscena è responsabile.
Tutto questo era già percepibile
alla metà degli anni settanta. E oggi, mezzo secolo dopo?
Morti Montand, Sartre e
Gluksman, BHL è rimasto l’ultimo erede di un anticomunismo degno di Denikin proprio
quando una sensibilità libertaria poeticamente machnovista circola di nuovo nel
respiro del mondo, dal Chiapas al Rojava.
Lascio agli specialisti
in complotti stabilire se BHL è pagato dalla CIA o dal Mossad, finanziato dalla
moglie o dalle multinazionali delle armi e dell’editoria. Può darsi sia
semplicemente spinto da un narcisismo mescolato al calcolo redditizio, può
darsi persino che ci rimetta dei soldi, ma mi stupirebbe. Il mio obiettivo non
è quello di processare un individuo, ma di denunciarne le idee pestifere come
un virus di vecchia data eppur sempre attuale.
E a proposito di virus,
il BHL aristocratico ma nazionalpopolare, approfitta per l’ennesima volta di una
tragedia sociale come quella che si manifesta nell’isola di Lesbo, diventata un
campo di concentramento per rifugiati senza rifugio – un campo tra i tanti,
ieri come oggi, ma con il coronavirus in più, che se non imperversa a Lesbo
provoca un caos mortale nelle favelas dell’America del sud e di altrove.
BHL, questo colonialista parigino,
è recidivo nell’appropriazione privativa delle tragedie sociali in corso. Questo
guerrafondaio che dà lezioni di pace, questo suprematista che dà lezioni di
antirazzismo, aggiunge ora le sue elucubrazioni irresponsabili sul Covid 19.
Questo rivoluzionario
permanente contro tutte le rivoluzioni in corso, era maoista nel 68,
anticomunista viscerale quando si sarebbe potuto e dovuto far luce sulla
tragedia dei veri rivoluzionari demoliti e distrutti dal bolscevismo. Continua
a difendere l’imperialismo d’Israele come la patria cristallina di ebrei
immacolati; si erge a Zorro giustiziere in nome dell’umanesimo planetario sopravvissuto
alla terribile tragedia dei campi di concentramento nazisti, come se Gaza o le
colonie giordane non fossero anche l’evoluzione della stessa struttura
caratteriale suprematista che usa il tabù del fascismo passato per imporre il
proprio al presente.
Oggi, anziché denunciare la
totalità di un mondo di cui BHL è un privilegiato consenziente qualunque, questo
militante autoproclamato di tutte le tragedie altrui è arrivato a farsi
pubblicità scaricando il suo disprezzo da intellettuale separato su chi ha
sopportato il confinamento dovuto al pericolo sanitario e all’imperizia colpevole
della società capitalista. Una società di cui BHL è figliol prodigo, una
società che manca crudelmente e criminalmente di maschere di protezione (soccorso
molto relativo ma reale per i poveri cristi obbligati a lavorare negli
ospedali, nei supermercati o altrove) ma non delle camicie alla moda di BHL.
Qualche giorno fa, questo
spiacevole individuo è passato (guarda caso per parlare del suo ultimo
capolavoro a proposito del coronavirus) sul servizio pubblico della televisione
francese, da quel maggiordomo del sistema che è Laurent Ruquier – piccola
formica mediatica che ha fatto della sua presunta insonnia uno spettacolo
redditizio. Da guitto consumato, BHL è venuto con l’aria di un Che Guevara da
salotto, ravveduto, più democratico e filosofo che mai (ma pur sempre fautore
dell’ossimoro delle guerre umanitarie), per spiegare al volgo che il mondo è
impazzito di fronte al virus.
A ognuno la sua follia.
Senza dilungarmi troppo, io, ancora una volta, ho trovato delirante, dunque
folle, il discorso di BHL che prima ha lodato l’azione coraggiosa del personale
curante poi ha dato ostentatamente la mano a tutti i presenti, negando per
provocazione la realtà di una pandemia su cui aveva a lungo blaterato. Come un
ragazzino capriccioso e incoerente che ha bisogno di negare la realtà per
occupare il palcoscenico, ha ridicolizzato i gesti barriera precauzionali che
hanno salvato qualche vita di fronte alle centinaia di migliaia di morti
causati tanto dal virus che dall’economia politica e dai suoi banalizzatori di
governo e di spettacolo.
Ecco che, intrinsecamente
reazionario da sempre, BHL ha finito per giocare anche lui al negazionismo del piccolo virus sinecura, non so se ignaro
o cinicamente cosciente, ma certamente per riflesso auto valorizzatore. Interessante
ma insostenibile lapsus del pensiero quello che porta a negare la realtà
evidente per promuovere un’ideologia delirante e perversa. Corsi e ricorsi
della storia. Miseria delle paranoie mistiche copiose che la logica binaria del
Web moltiplica all’infinito.
Più che un filosofo BHL è
un credente leggermente eretico, quanto basta per stupire la platea più di
bocca buona; è un millenarista da salotto che difende il suo spettacolo contro
quello altrui: merce contro merce. Ha il coraggio dei rischi ben calcolati, lui
che non vive in una favela, ma osa passarvi i minuti necessari per una foto,
una rapida ripresa per dare l’impressione di condividere i rischi delle sue
cavie. Sono i rischi del business ideologico di uno che ama la notorietà a
qualunque costo e in qualunque forma: economica e narcisistica. Sono i rischi
connessi alla pubblicità del suo Io spettacolare su cui si è costruito un
business e un’identità redditizia socialmente e psicologicamente.
Non mi stupirebbe che di
fronte a queste critiche che vengono dal profondo del mio cuore, BHL – nell’aria
del tempo e di un antifascismo utilizzato come uno dei peggiori prodotti del
fascismo – mi dichiarasse antisemita, estremista, terrorista o qualche altra
ingiuria abituale dell’inquisizione spettacolare di cui è ricco il democratismo
parlamentare al servizio del totalitarismo mercantile.
Ne denuncio dunque l’incompatibilità
con disgusto ma senza odio (con l’età ne ho esaurito lo stock, non riesco più a
odiare profondamente nessuno mentre, per contro, posso frequentare soltanto chi
amo), augurandomi il crollo del Leviatano produttivista di cui BHL è un
miserabile ma ostinato sostenitore.
Ha sbattuto il suo mostro
in prima pagina in ogni epoca che ha attraversato. Che riposi in pace, il mondo
non avrà difficoltà a dimenticarlo quando lo spettacolo sarà finito per il bene
di un’umanità ritrovata o a causa della definitiva scomparsa degli esseri
umani.
Sergio Ghirardi 24
giugno 2020
[1] BHL, acronimo della star
Bernard-Henri Lévy, ha ereditato in Francia questo soprannome che corrisponde
assai bene alla potenza del suo pensiero. Quando Besciamelle si diceva maoista il suo filosofo di riferimento era
Sartre. Poi come sempre nello spettacolo, mentre Sartre ha aderito al delirio
maoista, fornendo finalmente prova della consistenza autentica del suo
pensiero, Besciamelle ha deciso di
essere un filosofo, dimostrando così la consistenza autentica del suo
confusionismo politico.
[2]
In realtà ho liberamente sempre
scritto a ogni età, senza mai pormi la questione se io fossi uno scrittore
(buono o cattivo); l’ho sempre fatto per quella voglia e necessità di
comunicare che mi muove da quando ho imparato che respirando, godendo e pensando,
ero vivo. Con l’editore in questione, del resto, non ci siamo mai conosciuti
poiché avevo dato il mio primo e unico consenso alla pubblicazione per
interposta persona.
[3] Il titolo di questo testo rimasto,
in realtà, una bozza incompiuta che non rinnego né decanto, aveva l’intenzione
di ricordare l’esistenza specifica del Gulag occidentale che io denunciavo
appunto ai tempi in cui imperversava la figura di un Solgenitsin in lotta
contro la barbarie pseudo sovietica del capitalismo di Stato sedicente
comunista. Lotta sacrosanta (cioè né sacra né santa, ma assolutamente
necessaria), recuperata, però, allo spettacolo dominante dalla propaganda di un
parlamentarismo mercantile in offerta speciale su tutto il pianeta.
[4]
I filosofi sono sempre
autoproclamati, soprattutto quando passano attraverso la pubblicità dei loro
seguaci che non esistono mai in quanto soggetti, ma solo come discepoli di una verticalità
del sapere che rinvia ineluttabilmente alle radici della civiltà produttivista
e alle sue gerarchie gerontofile, di classe e di genere.
Le monstre se projette tout seul en première page
Pendant ces temps de complots imaginaires qui opposent le mysticisme idiot d’un
déni de réalité aux mensonges d’Etat omniprésents, certains pourraient penser
(en se trompant, alors que d’autres auraient un intérêt à le dire) que j’ai
fait de Bernard-Henri Lévi mon bouc emissaire préféré, mon fétiche vaudou d’une
rage insatisfaite, ma tète de turc à entarter encore et encore.
Une manie, quoi, irrationnelle et morbide, comme aiment l’exposer aux yeux
de la foule ceux qui, dépourvus de la moindre « divine » manie
jouissive, se replient sur la dénonciation policière de toute critique radicale,
au nom de la lapalissade d’un bon sens démo parlementaire désormais assaisonné
avec les sauces les plus pourries, puis servi aux masses affamées des
serviteurs volontaires.
La célébrité entretenue et toujours renouvelée est le fond de commerce et
la jouissance préférée par les héros spectaculaires que nos temps produisent à
foison en les dotant de quinze minutes virtuels de notoriété médiatiquement
reproduite en série, comme les épisodes d’un feuilleton interminable. Certaines
de ces célébrités autoproclamées sont désormais del produits industriels non
soumis à l’obsolescence programmée ; ils passent, donc, leur temps à
renouveler les spots publicitaires de leur renommée fondée sur la nullité
fantasmagorique de leur pensée critique pariant sur le vide de ceux qui les
écoutent.
Il serait donc sage les ignorer toujours, comme me conseille souvent un
grand et bon ami dont la sagesse n’est pas à prouver et qui a le mérite d’avoir
détourné de son nom toute notoriété spectaculaire, au point que je vais éviter
de le citer. Je suis d’accord avec lui, mais je fais ici une exception car,
au-delà de la popularité d’un prétendu philosophe autoproclamé dont je n’ai
rien à foutre, la machine de la désertification de l’intelligence sensible se met
en branle une fois de plus.
Je pense, en effet, qu’il est salutaire pour ceux qui ne sont pas encore
obnubilés par les médias en tout genre e par l’aliénation bien réelle d’un monde
virtuel qui se répand comme une traînée de poudre, faire de la lumière sur
toute élucubration idéologique qui se vend comme humaniste et radicale, alors qu’elle
soutient, en fait, les valeurs les plus pourries du vieux monde. Balançant
entre les paramètres de la stupidité et de l’opportunisme prédateur, je ne
saurais attribuer sa place à Bernard-Henri Lévi, mais c’est certain qu’il est
un prototype intergénérationnel de l’odieux contexte spectaculaire marchand.
En effet, depuis ma jeunesse j’ai eu l’occasion et la volonté de dénoncer
l’émergence spectaculaire des nouveaux
philosophes (dont Besciamelle[1], l’ex maoïste d’un matin, était alors
un jeune-vierge-idéologique-effarouché), avant-garde confusionniste et, dans le
pire des cas, consciemment réactionnaire qui a chevauché vulgairement, toute
suite après la fin de mai 68, la cause croissante de l’anticommunisme.
Parmi mes écrits juvéniles il y a un pamphlet qu’un éditeur anarchiste a
décidé alors de publier[2].
Ce récit psychogeographique a donc vu le jour à la moitié des années
soixante-dix, puis une deuxième fois dans les années quatre-vingt et une
troisième récemment (comme j’ai découvert sur Internet), accompagné d’une
douche écossaise de critiques féroces et de concessions aimables. Peu importe.
En appendice de ce Voyage dans l’archipel
occidental[3],
j’avais ajouté une note finale critique des nouveaux
philosophes, dénonçant une nouvelle
misère de la philosophie.
Malgré ses ambigües et perverses concessions au démocratisme de l’Occident
libéral, Soljenitsyne était, à mes yeux,
légitimement antisoviétique : J’en partageais, donc, la dénonciation vécue
et soufferte – libertaire au-delà
de sa volonté – d’un communisme
autoritaire dont le spectacle concentré s’est montré, pendant presque un
siècle, la meilleure propagande pour le capitalisme occidental et pour son
spectacle diffus.
Aussi et peut-être surtout à cause de ma
perception situationnistisée, sensible à la critique du spectacle social global
qui préparait la mondialisation en cours, je ne pouvais qu’exécrer la mode
anticommuniste vulgaire d’un groupe de nouveaux
philosophes autoproclamés[4],
encore adeptes du fascisme rouge maoïste le jour d’avant.
Leur show a commencé en faisant d’Yves Montand l’icône repentie du Goulag pseudo soviétique. Leur capital idéologique avait en JP Sartre le philosophe de salon passé de la philosophie académique à la littérature, puis au maoïsme et enfin aux boat peoples comme on change de chemise en oubliant de renouveler les sous-vêtements. Cette bande francophone d’étatistes pestifères – ennemis cohérents de la révolte radicale libertaire en cours, avant, pendant et après mai 68 – a troqué le col de Mao avec la cravate libérale. Ainsi elle a pu entretenir intacte le rôle odieux de l’intellectuel historiquement analphabète et philosophiquement adialectique.
Du haut de leur fausse conscience de classe, intellectuellement dominante
sur les gens ordinaires, bœufs et communistes, les nouveaux philosophes n’ont jamais arrêté de donner des leçons
d’humanisme hypocrite en soutenant, en fait, la société inhumaine d’une démocratie
inexistante, ses privilégiés et leur liberté d’exploiter les masses, en les
idiotisant. Le tout assaisonné avec une aide aux désespérés les plus visibles
que leur univers social a toujours produit.
Toute action de solidarité envers les plus faibles est évidemment en soi
noble et combien bienvenue, mais elle devient un alibi ambigu quand on soutient,
finalement, l’essentiel de la société dominante. Car les pauvres sont le
produit final de la richesse capitaliste, libérale ou d’Etat et désormais les
deux ensemble ; ils sont les damnés de la terre, les désespères, les
exclus, les ghettoïsés, les Gilets jaunes, les zapatistes du monde entier qui
lèvent la tète et qui pullulent sur la planète, alors que les missionnaires de
la solidarité idéologique, intéressée et calculée, promeuvent les valeurs du
monde responsable de cette obscène pauvreté.
Tout cela était déjà perceptible à la moitié des années soixante-dix. Et
aujourd’hui, un demi-siècle après ?
Montand, Sartre et Gluksman sont morts, BHL est resté le dernier héritier
d’un anticommunisme digne de Denikine alors qu’une sensibilité libertaire poétiquement
makhnoviste circule de nouveau dans la respiration du monde, du Chiapas au
Rojava.
Je laisse aux spécialistes en complots d’échafauder si BHL est payé par la
CIA ou par le Mossad, financé par sa femme ou par les multinationales des armes
ou de l’edition. Peut-être qu’il est simplement poussé par un narcissisme
mélangé au calcul rentable, peut-être même qu’il y perd de l’argent, mais cela
m’étonnerait. Mon objectif ce n’est pas d’entamer un procès à un individu, mais
d’en dénoncer les idées pestifères comme un virus ancien et toujours actuel.
Et à propos de virus, Le BHL aristocratique mais national populaire,
profite, une fois de plus, d’une tragédie sociale comme celle qui se passe dans
l’ile de Lesbos, devenue un camp de concentration pour des refugiés sans refuge
– un camp entre autres, hier comme aujourd’hui, mais avec le coronavirus en
plus qui s’il ne sévit pas à Lesbos, il fait des ravages mortels dans les
favelas de l’Amérique du sud et d’ailleurs.
BHL, ce colonialiste parisien, est récidiviste dans l’appropriation
privative des tragédies sociales en cours. Ce belliciste qui donne des cours
sur la paix, ce suprématiste qui donne des leçons d’antiracisme, ajoute
maintenant ses élucubrations irresponsables sur le Covid-19.
Ce révolutionnaire permanent contre toutes les révolutions en cours, était
maoïste en 1968, anticommuniste viscéral quand on pouvait et on devait faire la
lumière sur la tragédie des vrais révolutionnaires démolis et détruits par le
bolchevisme. Il continue à défendre l’impérialisme d’Israël comme la patrie cristalline
de juifs immaculés ; il se lève en Zorro justicier au nom de
l’humanitarisme planétaire survécu à la terrible tragédie des camps de
concentration nazis, comme si Gaza ou les colonies de Jordanie ne seraient pas aussi
l’évolution de la même structure caractérielle suprématiste qui utilise le
tabou du fascisme passé pour imposer le sien au présent.
Aujourd’hui, plutôt que dénoncer la totalité d’un monde dont BHL est un
privilégié consentant quelconque, ce militant autoproclamé de toutes les
tragédies d’autrui arrive à se faire de la publicité en déchargeant son mépris
d’intellectuel séparé sur ceux qui ont supporté le confinement du autant au
danger sanitaire qu’à l’impéritie coupable de la société capitaliste. Une
société dont BHL est le fils prodigue, une société qui manque cruellement et
criminellement de masques de protection (protection très relative mais bien
réelle pour les pauvres bougres obligés à travailler dans les hôpitaux, les
supermarchés ou ailleurs) et de respirateurs, mais jamais des chemises à la
mode de BHL.
Il y a quelques jours, cet individu déplaisant est passé (comme par hasard
pour parler de son dernier chef d’œuvre concernant le coronavirus) sur le
service public télévisuel chez ce majordome du système qui est Laurent Ruquier –
petite fourmi médiatique qui a fait de son insomnie supposée un spectacle
rentable. En clown accompli, BHL est arrivé avec l’allure d’un Che Guevara de
salon, assagi, plus démocratique et philosophe que jamais (et pourtant toujours
supporter de l’oxymore des guerres humanitaires), afin d’expliquer aux gens
ordinaires que le monde est devenu fou face au virus.
A chacun sa folie. Sans trop m’y attarder, encore une fois j’ai trouvé
délirant, donc fou, le discours de BHL qui d’abord a loué l’action courageuse
du personnel soignant puis a donné la main à tous les présents de façon
ostentatoire, niant, par provocation, la réalité d’une pandémie sur laquelle il
avait longuement babillé. Comme un gosse capricieux et incohérent qui a besoin
de nier la réalité pour occuper la scène, il a ridiculisé les gestes barrière
de précaution qui ont sauvé quelques vies face aux centaines de milliers de
morts dus autant au coronavirus qu’à l’économie politique et à ses
banalisateurs de gouvernement et de spectacle.
Voilà, intrinsèquement réactionnaire depuis toujours, BHL a fini par jouer lui
aussi au négationnisme du petit virus sinécure,
je ne sais pas si ignare ou cyniquement conscient, mais certainement par reflexe
d’auto valorisation. Intéressant mais insoutenable lapsus de la pensée celui
qui porte à nier une réalité évidente afin de promouvoir une idéologie
délirante et perverse. Cours et recours de l’histoire. Misère des paranoïas
mystiques foisonnantes que la logique binaire du Web multiplie à l’infini.
Plus qu’un philosophe, BHL est un croyant légèrement hérétique, ce qu’il
faut pour épater la galerie la plus facile à satisfaire ; il est un millénariste
de salon qui protège son spectacle contre celui d’autrui : marchandise
contre marchandise. Il a le courage des risques bien calculés, lui qui ne vit
pas dans une favela, mais qui ose y passer les minutes nécessaires à une photo,
à une prise de vue pour donner l’impression de partager les risques de ses
cobayes. Ce sont les risques du business idéologique d’un mec qui aime la
renommée à tout prix et en toutes ses formes : économique et narcissique.
Ce sont les risques liés à la publicité de son ego spectaculaire sur lequel il
a bâti un business et une identité rentable socialement et psychologiquement.
Je ne serais pas étonné si face à ces critiques qui viennent du profond de
mon cœur, BHL – dans l’air du temps et d’un antifascisme utilisé comme un des
pires produits du fascisme – m’accable comme antisémite, extrémiste, terroriste
ou une autre injure habituelle de l’inquisition spectaculaire dont est riche le
démocratisme parlementaire au service du totalitarisme marchand.
J’en dénonce, donc, l’incompatibilité avec dégout mais sans haine (avec
l’âge j’ai épuisé le stock, je n’arrive plus à haïr profondément personne alors
qu’en revanche, je peux fréquenter uniquement ceux que j’aime), en m’augurant
l’effondrement du Léviathan productiviste dont BHL est un misérable mais
obstiné soutien.
Il a projeté son monstre en première page à chaque époque qu’il a traversé.
Qu’il repose en paix, le monde n’aura pas de difficulté à l’oublier quand le
spectacle sera fini pour le bien d’une humanité retrouvée ou à cause de la définitive
disparition des humains.
Sergio Ghirardi 24 juin 2020
[1] BHL,
acronyme de la star Bernard-Henri Lévi, a hérité en France de ce surnom qui
corresponde assez bien à la puissance de sa pensée. Quand Besciamelle se disait maoïste son philosophe de reference était JP
Sartre. Puis, comme toujours dans le spectacle, alors que Sartre a adhéré au
délire maoïste, donnant finalement preuve de l’authentique consistance de sa
pensée, Besciamelle a décidé d’être
un philosophe, montrant ainsi la consistance authentique de son confusionnisme
politique.
[2] En
fait, j’ai toujours librement écrit à tout âge, sans jamais me demander si
j’étais un écrivain (bon ou mauvais). Je l’ai toujours fait pour cette envie et
nécessité de communiquer qui m’agit depuis que j’ai appris qu’en respirant, en
jouissant et en pensant j’étais vivant. Avec l’éditeur en question, d’ailleurs,
on ne s’est jamais connus car j’avais donné mon premier et unique consentement
à la publication par personne interposée.
[3] Le
titre de ce texte resté, en fait, à l’état d’ébauche que je ne renie pas ni j’encense, avait le but de rappeler l’existence spécifique du Goulag
occidental que je dénonçait justement quand sévissait la figure d’un Soljenitsyne en lutte contre la
barbarie pseudo soviétique du capitalisme d’Etat soi-disant communiste. Lutte
sacrosainte (c'est-à-dire ni sacrée ni sainte, mais absolument nécessaire),
récupérée, toutefois, au spectacle dominant par la propagande d’un
parlementarisme marchand en offre spéciale sur toute la planète.
[4] Les
philosophes sont toujours autoproclamés, surtout quand ils passent par la
publicité de leurs adeptes qui n’existent jamais en tant que sujets, mais
uniquement comme disciples d’une verticalité du savoir renvoyant
inéluctablement aux racines de la civilisation productiviste et à ses hiérarchies
gérontophiles, de classe et de genre.