venerdì 26 giugno 2020

Il mostro si sbatte da solo in prima pagina



 
"Questo bisogno incomprimibile di superarsi, sulla punta dei piedi, per sembrare più grande di quanto si è, a dispetto della nostra piccolezza che non si può nascondere, ecco come un’immagine svela di più su un personaggio costruito dal nulla che un libro intero"


In questi tempi di complotti immaginari che alle menzogne di Stato onnipresenti oppongono un misticismo idiota incapace di guardare la realtà in faccia, qualcuno potrebbe pensare (sbagliando, mentre qualcun altro avrebbe interesse a dire) che ho fatto di Bernard-Henri Lévy il mio capro espiatorio preferito, il mio feticcio vudù di una rabbia irrisolta, la mia testa di turco da prendere a torte in faccia a ripetizione.
Una mania, dunque, irrazionale e morbosa, come amano additare al pubblico ludibrio quelli che, sprovvisti di “divine” manie gaudenti di qualunque sorta, ripiegano sulla denuncia poliziesca di ogni critica radicale, in nome di un lapalissiano buon senso demo parlamentare ormai condito con le salse più putride e poi servito alle masse affamate di servitori volontari.
La fama coltivata e sempre rinnovata, è il fondo di magazzino e il godimento preferito degli eroi spettacolari che i nostri tempi producono a caterve, investendoli di quindici minuti virtuali di notorietà mediaticamente riprodotta in serie, come gli episodi di un feuilleton interminabile. Alcune di queste celebrità autoproclamate sono ormai dei prodotti industriali non sottomessi all’obsolescenza programmata; passano, dunque, il loro tempo a rinnovare gli spot pubblicitari della loro fama fondata sulla nullità fantasmagorica del loro pensiero critico che scommette sul vuoto di chi li sta a sentire.
Sarebbe dunque saggio ignorarle sempre, come mi consiglia spesso un mio grande e buon amico la cui saggezza non è da provare e che ha il merito di aver deturnato dal suo nome ogni notorietà spettacolare, al punto che eviterò di farne il nome. Sono d’accordo con lui, ma faccio qui un’eccezione perché, oltre la popolarità di un preteso filosofo autoproclamato di cui nulla mi fotte, si mette in moto, ancora una volta, la macchina della desertificazione dell’intelligenza sensibile.
Penso, infatti, che sia salutare per chi non è ancora ottenebrato dai media di ogni tipo e dall’alienazione ben reale di un mondo virtuale che si allarga a macchia d’olio, far luce su ogni elucubrazione ideologica che si venda come umanistica e radicale, quando promuove, in realtà, i valori più putridi del vecchio mondo. Oscillando tra i parametri della stupidità e dell’opportunismo predatorio, non saprei attribuire il suo posto a Bernard-Henri Lévi, ma è certo che è un prototipo intergenerazionale dell’odioso contesto spettacolare mercantile.
In effetti, fin da giovane ho avuto occasione e volontà di denunciare l’emergenza spettacolare dei nouveaux philosophes (di cui Besciamelle[1], l’ex maoista di un mattino, era allora un giovane-vergine-ideologico-sgomento), avanguardia confusionista e nel peggiore dei casi coscientemente reazionaria che ha cavalcato volgarmente, subito dopo la fine del maggio 68, la causa in crescita dell’anticomunismo.
Dei miei scritti giovanili fa parte un pamphlet che un editore anarchico ha deciso di pubblicare[2]. Quella mia storia psicogeografica ha dunque visto la luce alla metà degli anni settanta, poi una seconda volta negli anni ottanta e una terza di recente (come ho scoperto su Internet), accompagnata da una doccia scozzese di critiche feroci e concessioni gentili. Poco importa. In appendice a questo mio Viaggio nell’arcipelago occidentale[3], avevo aggiunto una nota finale critica nei confronti dei nouveaux philosophes, denunciando una nuova miseria della filosofia.
Nonostante le sue ambigue e perverse concessioni al democraticismo dell’Occidente liberale, Solgenitsin era ai miei occhi giustamente antisovietico. Ne condividevo, dunque, la denuncia vissuta e sofferta – libertaria aldilà della sua volontà – di un comunismo autoritario il cui spettacolo concentrato si è dimostrato, per quasi un secolo, la miglior propaganda per il capitalismo occidentale e per il suo spettacolo diffuso.
Anche e forse soprattutto per la mia percezione situazionistizzata, sensibile alla critica dello spettacolo sociale globale che preparava la mondializzazione in corso, non potevo che esecrare la moda anticomunista volgare di un gruppo di nuovi filosofi autoproclamati [4] che il giorno prima erano ancora seguaci del fascismo rosso maoista.
Il loro show è cominciato facendo di Yves Montand l’icona pentita del Gulag pseudo sovietico. Il loro capitale ideologico aveva in JP Sartre il filosofo salottiero passato dalla filosofia accademica alla letteratura, poi al maoismo e infine ai boat people come si cambia camicia dimenticando di rinnovare la biancheria intima. Questa banda francofona di statalisti pestilenziali – coerentemente nemici della rivolta radicale libertaria in corso, prima, durante e dopo il maggio 68 – ha barattato il collo di Mao con la cravatta liberale. Ha così potuto coltivare intatto il ruolo odioso dell’intellettuale storicamente analfabeta e filosoficamente adialettico.
Dall’alto della loro falsa coscienza di classe intellettualmente dominante sul volgo bue e comunista, i nouveaux philosophes non hanno mai smesso di dare lezioni di umanesimo ipocrita difendendo, in realtà, la società disumana di una democrazia inesistente, i suoi privilegiati e la loro libertà di sfruttare le masse, idiotizzandole. Il tutto condito con un aiuto ai disperati più visibili che il loro universo sociale ha sempre prodotto.
Ogni azione di solidarietà nei confronti dei più deboli è evidentemente di per sé nobile e decisamente benvenuta ma diventa un alibi ambiguo quando in fondo si sostiene l’essenziale della società dominante. Perché i poveri sono il prodotto finale della ricchezza capitalista, liberale o di Stato e ormai le due insieme ; sono i dannati della terra, i disperati, gli esclusi, i ghettizzati, i Gilet gialli, gli zapatisti del mondo intero che alzano la testa e che brulicano sul pianeta, mentre i missionari della solidarietà ideologica, interessata e calcolata, promuovono i valori del mondo che di questa povertà oscena è responsabile.
Tutto questo era già percepibile alla metà degli anni settanta. E oggi, mezzo secolo dopo?
Morti Montand, Sartre e Gluksman, BHL è rimasto l’ultimo erede di un anticomunismo degno di Denikin proprio quando una sensibilità libertaria poeticamente machnovista circola di nuovo nel respiro del mondo, dal Chiapas al Rojava.
Lascio agli specialisti in complotti stabilire se BHL è pagato dalla CIA o dal Mossad, finanziato dalla moglie o dalle multinazionali delle armi e dell’editoria. Può darsi sia semplicemente spinto da un narcisismo mescolato al calcolo redditizio, può darsi persino che ci rimetta dei soldi, ma mi stupirebbe. Il mio obiettivo non è quello di processare un individuo, ma di denunciarne le idee pestifere come un virus di vecchia data eppur sempre attuale.
E a proposito di virus, il BHL aristocratico ma nazionalpopolare, approfitta per l’ennesima volta di una tragedia sociale come quella che si manifesta nell’isola di Lesbo, diventata un campo di concentramento per rifugiati senza rifugio – un campo tra i tanti, ieri come oggi, ma con il coronavirus in più, che se non imperversa a Lesbo provoca un caos mortale nelle favelas dell’America del sud e di altrove.
BHL, questo colonialista parigino, è recidivo nell’appropriazione privativa delle tragedie sociali in corso. Questo guerrafondaio che dà lezioni di pace, questo suprematista che dà lezioni di antirazzismo, aggiunge ora le sue elucubrazioni irresponsabili sul Covid 19.
Questo rivoluzionario permanente contro tutte le rivoluzioni in corso, era maoista nel 68, anticomunista viscerale quando si sarebbe potuto e dovuto far luce sulla tragedia dei veri rivoluzionari demoliti e distrutti dal bolscevismo. Continua a difendere l’imperialismo d’Israele come la patria cristallina di ebrei immacolati; si erge a Zorro giustiziere in nome dell’umanesimo planetario sopravvissuto alla terribile tragedia dei campi di concentramento nazisti, come se Gaza o le colonie giordane non fossero anche l’evoluzione della stessa struttura caratteriale suprematista che usa il tabù del fascismo passato per imporre il proprio al presente.
Oggi, anziché denunciare la totalità di un mondo di cui BHL è un privilegiato consenziente qualunque, questo militante autoproclamato di tutte le tragedie altrui è arrivato a farsi pubblicità scaricando il suo disprezzo da intellettuale separato su chi ha sopportato il confinamento dovuto al pericolo sanitario e all’imperizia colpevole della società capitalista. Una società di cui BHL è figliol prodigo, una società che manca crudelmente e criminalmente di maschere di protezione (soccorso molto relativo ma reale per i poveri cristi obbligati a lavorare negli ospedali, nei supermercati o altrove) ma non delle camicie alla moda di BHL.
Qualche giorno fa, questo spiacevole individuo è passato (guarda caso per parlare del suo ultimo capolavoro a proposito del coronavirus) sul servizio pubblico della televisione francese, da quel maggiordomo del sistema che è Laurent Ruquier – piccola formica mediatica che ha fatto della sua presunta insonnia uno spettacolo redditizio. Da guitto consumato, BHL è venuto con l’aria di un Che Guevara da salotto, ravveduto, più democratico e filosofo che mai (ma pur sempre fautore dell’ossimoro delle guerre umanitarie), per spiegare al volgo che il mondo è impazzito di fronte al virus.
A ognuno la sua follia. Senza dilungarmi troppo, io, ancora una volta, ho trovato delirante, dunque folle, il discorso di BHL che prima ha lodato l’azione coraggiosa del personale curante poi ha dato ostentatamente la mano a tutti i presenti, negando per provocazione la realtà di una pandemia su cui aveva a lungo blaterato. Come un ragazzino capriccioso e incoerente che ha bisogno di negare la realtà per occupare il palcoscenico, ha ridicolizzato i gesti barriera precauzionali che hanno salvato qualche vita di fronte alle centinaia di migliaia di morti causati tanto dal virus che dall’economia politica e dai suoi banalizzatori di governo e di spettacolo.
Ecco che, intrinsecamente reazionario da sempre, BHL ha finito per giocare anche lui al negazionismo del piccolo virus sinecura, non so se ignaro o cinicamente cosciente, ma certamente per riflesso auto valorizzatore. Interessante ma insostenibile lapsus del pensiero quello che porta a negare la realtà evidente per promuovere un’ideologia delirante e perversa. Corsi e ricorsi della storia. Miseria delle paranoie mistiche copiose che la logica binaria del Web moltiplica all’infinito.
Più che un filosofo BHL è un credente leggermente eretico, quanto basta per stupire la platea più di bocca buona; è un millenarista da salotto che difende il suo spettacolo contro quello altrui: merce contro merce. Ha il coraggio dei rischi ben calcolati, lui che non vive in una favela, ma osa passarvi i minuti necessari per una foto, una rapida ripresa per dare l’impressione di condividere i rischi delle sue cavie. Sono i rischi del business ideologico di uno che ama la notorietà a qualunque costo e in qualunque forma: economica e narcisistica. Sono i rischi connessi alla pubblicità del suo Io spettacolare su cui si è costruito un business e un’identità redditizia socialmente e psicologicamente.
Non mi stupirebbe che di fronte a queste critiche che vengono dal profondo del mio cuore, BHL – nell’aria del tempo e di un antifascismo utilizzato come uno dei peggiori prodotti del fascismo – mi dichiarasse antisemita, estremista, terrorista o qualche altra ingiuria abituale dell’inquisizione spettacolare di cui è ricco il democratismo parlamentare al servizio del totalitarismo mercantile.
Ne denuncio dunque l’incompatibilità con disgusto ma senza odio (con l’età ne ho esaurito lo stock, non riesco più a odiare profondamente nessuno mentre, per contro, posso frequentare soltanto chi amo), augurandomi il crollo del Leviatano produttivista di cui BHL è un miserabile ma ostinato sostenitore.
Ha sbattuto il suo mostro in prima pagina in ogni epoca che ha attraversato. Che riposi in pace, il mondo non avrà difficoltà a dimenticarlo quando lo spettacolo sarà finito per il bene di un’umanità ritrovata o a causa della definitiva scomparsa degli esseri umani.


Sergio Ghirardi 24 giugno 2020



[1] BHL, acronimo della star Bernard-Henri Lévy, ha ereditato in Francia questo soprannome che corrisponde assai bene alla potenza del suo pensiero. Quando Besciamelle si diceva maoista il suo filosofo di riferimento era Sartre. Poi come sempre nello spettacolo, mentre Sartre ha aderito al delirio maoista, fornendo finalmente prova della consistenza autentica del suo pensiero, Besciamelle ha deciso di essere un filosofo, dimostrando così la consistenza autentica del suo confusionismo politico.
[2] In realtà ho liberamente sempre scritto a ogni età, senza mai pormi la questione se io fossi uno scrittore (buono o cattivo); l’ho sempre fatto per quella voglia e necessità di comunicare che mi muove da quando ho imparato che respirando, godendo e pensando, ero vivo. Con l’editore in questione, del resto, non ci siamo mai conosciuti poiché avevo dato il mio primo e unico consenso alla pubblicazione per interposta persona.
[3] Il titolo di questo testo rimasto, in realtà, una bozza incompiuta che non rinnego né decanto, aveva l’intenzione di ricordare l’esistenza specifica del Gulag occidentale che io denunciavo appunto ai tempi in cui imperversava la figura di un Solgenitsin in lotta contro la barbarie pseudo sovietica del capitalismo di Stato sedicente comunista. Lotta sacrosanta (cioè né sacra né santa, ma assolutamente necessaria), recuperata, però, allo spettacolo dominante dalla propaganda di un parlamentarismo mercantile in offerta speciale su tutto il pianeta.
[4] I filosofi sono sempre autoproclamati, soprattutto quando passano attraverso la pubblicità dei loro seguaci che non esistono mai in quanto soggetti, ma solo come discepoli di una verticalità del sapere che rinvia ineluttabilmente alle radici della civiltà produttivista e alle sue gerarchie gerontofile, di classe e di genere.



Le monstre se projette tout seul en première page





Pendant ces temps de complots imaginaires qui opposent le mysticisme idiot d’un déni de réalité aux mensonges d’Etat omniprésents, certains pourraient penser (en se trompant, alors que d’autres auraient un intérêt à le dire) que j’ai fait de Bernard-Henri Lévi mon bouc emissaire préféré, mon fétiche vaudou d’une rage insatisfaite, ma tète de turc à entarter encore et encore.
Une manie, quoi, irrationnelle et morbide, comme aiment l’exposer aux yeux de la foule ceux qui, dépourvus de la moindre « divine » manie jouissive, se replient sur la dénonciation policière de toute critique radicale, au nom de la lapalissade d’un bon sens démo parlementaire désormais assaisonné avec les sauces les plus pourries, puis servi aux masses affamées des serviteurs volontaires.
La célébrité entretenue et toujours renouvelée est le fond de commerce et la jouissance préférée par les héros spectaculaires que nos temps produisent à foison en les dotant de quinze minutes virtuels de notoriété médiatiquement reproduite en série, comme les épisodes d’un feuilleton interminable. Certaines de ces célébrités autoproclamées sont désormais del produits industriels non soumis à l’obsolescence programmée ; ils passent, donc, leur temps à renouveler les spots publicitaires de leur renommée fondée sur la nullité fantasmagorique de leur pensée critique pariant sur le vide de ceux qui les écoutent.
Il serait donc sage les ignorer toujours, comme me conseille souvent un grand et bon ami dont la sagesse n’est pas à prouver et qui a le mérite d’avoir détourné de son nom toute notoriété spectaculaire, au point que je vais éviter de le citer. Je suis d’accord avec lui, mais je fais ici une exception car, au-delà de la popularité d’un prétendu philosophe autoproclamé dont je n’ai rien à foutre, la machine de la désertification de l’intelligence sensible se met en branle une fois de plus.
Je pense, en effet, qu’il est salutaire pour ceux qui ne sont pas encore obnubilés par les médias en tout genre e par l’aliénation bien réelle d’un monde virtuel qui se répand comme une traînée de poudre, faire de la lumière sur toute élucubration idéologique qui se vend comme humaniste et radicale, alors qu’elle soutient, en fait, les valeurs les plus pourries du vieux monde. Balançant entre les paramètres de la stupidité et de l’opportunisme prédateur, je ne saurais attribuer sa place à Bernard-Henri Lévi, mais c’est certain qu’il est un prototype intergénérationnel de l’odieux contexte spectaculaire marchand.
En effet, depuis ma jeunesse j’ai eu l’occasion et la volonté de dénoncer l’émergence spectaculaire des nouveaux philosophes (dont Besciamelle[1], l’ex maoïste d’un matin, était alors un jeune-vierge-idéologique-effarouché), avant-garde confusionniste et, dans le pire des cas, consciemment réactionnaire qui a chevauché vulgairement, toute suite après la fin de mai 68, la cause croissante de l’anticommunisme.
Parmi mes écrits juvéniles il y a un pamphlet qu’un éditeur anarchiste a décidé alors de publier[2]. Ce récit psychogeographique a donc vu le jour à la moitié des années soixante-dix, puis une deuxième fois dans les années quatre-vingt et une troisième récemment (comme j’ai découvert sur Internet), accompagné d’une douche écossaise de critiques féroces et de concessions aimables. Peu importe. En appendice de ce Voyage dans l’archipel occidental[3], j’avais ajouté une note finale critique des nouveaux philosophes, dénonçant une nouvelle misère de la philosophie.
Malgré ses ambigües et perverses concessions au démocratisme de l’Occident libéral, Soljenitsyne était, à mes yeux, légitimement antisoviétique : J’en partageais, donc, la dénonciation vécue et soufferte – libertaire au-delà de sa volonté – d’un communisme autoritaire dont le spectacle concentré s’est montré, pendant presque un siècle, la meilleure propagande pour le capitalisme occidental et pour son spectacle diffus.
Aussi et peut-être surtout à cause de ma perception situationnistisée, sensible à la critique du spectacle social global qui préparait la mondialisation en cours, je ne pouvais qu’exécrer la mode anticommuniste vulgaire d’un groupe de nouveaux philosophes autoproclamés[4], encore adeptes du fascisme rouge maoïste le jour d’avant.
Leur show a commencé en faisant d’Yves Montand l’icône repentie du Goulag pseudo soviétique. Leur capital idéologique avait en JP Sartre le philosophe de salon passé de la philosophie académique à la littérature, puis au maoïsme et enfin aux boat peoples comme on change de chemise en oubliant de renouveler les sous-vêtements. Cette bande francophone d’étatistes pestifères – ennemis cohérents de la révolte radicale libertaire en cours, avant, pendant et après mai 68 – a troqué le col de Mao avec la cravate libérale. Ainsi elle a pu entretenir intacte le rôle odieux de l’intellectuel historiquement analphabète et philosophiquement adialectique.
 
Du haut de leur fausse conscience de classe, intellectuellement dominante sur les gens ordinaires, bœufs et communistes, les nouveaux philosophes n’ont jamais arrêté de donner des leçons d’humanisme hypocrite en soutenant, en fait, la société inhumaine d’une démocratie inexistante, ses privilégiés et leur liberté d’exploiter les masses, en les idiotisant. Le tout assaisonné avec une aide aux désespérés les plus visibles que leur univers social a toujours produit.
Toute action de solidarité envers les plus faibles est évidemment en soi noble et combien bienvenue, mais elle devient un alibi ambigu quand on soutient, finalement, l’essentiel de la société dominante. Car les pauvres sont le produit final de la richesse capitaliste, libérale ou d’Etat et désormais les deux ensemble ; ils sont les damnés de la terre, les désespères, les exclus, les ghettoïsés, les Gilets jaunes, les zapatistes du monde entier qui lèvent la tète et qui pullulent sur la planète, alors que les missionnaires de la solidarité idéologique, intéressée et calculée, promeuvent les valeurs du monde responsable de cette obscène pauvreté.
Tout cela était déjà perceptible à la moitié des années soixante-dix. Et aujourd’hui, un demi-siècle après ?
Montand, Sartre et Gluksman sont morts, BHL est resté le dernier héritier d’un anticommunisme digne de Denikine alors qu’une sensibilité libertaire poétiquement makhnoviste circule de nouveau dans la respiration du monde, du Chiapas au Rojava.
Je laisse aux spécialistes en complots d’échafauder si BHL est payé par la CIA ou par le Mossad, financé par sa femme ou par les multinationales des armes ou de l’edition. Peut-être qu’il est simplement poussé par un narcissisme mélangé au calcul rentable, peut-être même qu’il y perd de l’argent, mais cela m’étonnerait. Mon objectif ce n’est pas d’entamer un procès à un individu, mais d’en dénoncer les idées pestifères comme un virus ancien et toujours actuel.
Et à propos de virus, Le BHL aristocratique mais national populaire, profite, une fois de plus, d’une tragédie sociale comme celle qui se passe dans l’ile de Lesbos, devenue un camp de concentration pour des refugiés sans refuge – un camp entre autres, hier comme aujourd’hui, mais avec le coronavirus en plus qui s’il ne sévit pas à Lesbos, il fait des ravages mortels dans les favelas de l’Amérique du sud et d’ailleurs.
BHL, ce colonialiste parisien, est récidiviste dans l’appropriation privative des tragédies sociales en cours. Ce belliciste qui donne des cours sur la paix, ce suprématiste qui donne des leçons d’antiracisme, ajoute maintenant ses élucubrations irresponsables sur le Covid-19.
Ce révolutionnaire permanent contre toutes les révolutions en cours, était maoïste en 1968, anticommuniste viscéral quand on pouvait et on devait faire la lumière sur la tragédie des vrais révolutionnaires démolis et détruits par le bolchevisme. Il continue à défendre l’impérialisme d’Israël comme la patrie cristalline de juifs immaculés ; il se lève en Zorro justicier au nom de l’humanitarisme planétaire survécu à la terrible tragédie des camps de concentration nazis, comme si Gaza ou les colonies de Jordanie ne seraient pas aussi l’évolution de la même structure caractérielle suprématiste qui utilise le tabou du fascisme passé pour imposer le sien au présent.
Aujourd’hui, plutôt que dénoncer la totalité d’un monde dont BHL est un privilégié consentant quelconque, ce militant autoproclamé de toutes les tragédies d’autrui arrive à se faire de la publicité en déchargeant son mépris d’intellectuel séparé sur ceux qui ont supporté le confinement du autant au danger sanitaire qu’à l’impéritie coupable de la société capitaliste. Une société dont BHL est le fils prodigue, une société qui manque cruellement et criminellement de masques de protection (protection très relative mais bien réelle pour les pauvres bougres obligés à travailler dans les hôpitaux, les supermarchés ou ailleurs) et de respirateurs, mais jamais des chemises à la mode de BHL.
Il y a quelques jours, cet individu déplaisant est passé (comme par hasard pour parler de son dernier chef d’œuvre concernant le coronavirus) sur le service public télévisuel chez ce majordome du système qui est Laurent Ruquier – petite fourmi médiatique qui a fait de son insomnie supposée un spectacle rentable. En clown accompli, BHL est arrivé avec l’allure d’un Che Guevara de salon, assagi, plus démocratique et philosophe que jamais (et pourtant toujours supporter de l’oxymore des guerres humanitaires), afin d’expliquer aux gens ordinaires que le monde est devenu fou face au virus.
A chacun sa folie. Sans trop m’y attarder, encore une fois j’ai trouvé délirant, donc fou, le discours de BHL qui d’abord a loué l’action courageuse du personnel soignant puis a donné la main à tous les présents de façon ostentatoire, niant, par provocation, la réalité d’une pandémie sur laquelle il avait longuement babillé. Comme un gosse capricieux et incohérent qui a besoin de nier la réalité pour occuper la scène, il a ridiculisé les gestes barrière de précaution qui ont sauvé quelques vies face aux centaines de milliers de morts dus autant au coronavirus qu’à l’économie politique et à ses banalisateurs de gouvernement et de spectacle.
Voilà, intrinsèquement réactionnaire depuis toujours, BHL a fini par jouer lui aussi au négationnisme du petit virus sinécure, je ne sais pas si ignare ou cyniquement conscient, mais certainement par reflexe d’auto valorisation. Intéressant mais insoutenable lapsus de la pensée celui qui porte à nier une réalité évidente afin de promouvoir une idéologie délirante et perverse. Cours et recours de l’histoire. Misère des paranoïas mystiques foisonnantes que la logique binaire du Web multiplie à l’infini.
Plus qu’un philosophe, BHL est un croyant légèrement hérétique, ce qu’il faut pour épater la galerie la plus facile à satisfaire ; il est un millénariste de salon qui protège son spectacle contre celui d’autrui : marchandise contre marchandise. Il a le courage des risques bien calculés, lui qui ne vit pas dans une favela, mais qui ose y passer les minutes nécessaires à une photo, à une prise de vue pour donner l’impression de partager les risques de ses cobayes. Ce sont les risques du business idéologique d’un mec qui aime la renommée à tout prix et en toutes ses formes : économique et narcissique. Ce sont les risques liés à la publicité de son ego spectaculaire sur lequel il a bâti un business et une identité rentable socialement et psychologiquement.
Je ne serais pas étonné si face à ces critiques qui viennent du profond de mon cœur, BHL – dans l’air du temps et d’un antifascisme utilisé comme un des pires produits du fascisme – m’accable comme antisémite, extrémiste, terroriste ou une autre injure habituelle de l’inquisition spectaculaire dont est riche le démocratisme parlementaire au service du totalitarisme marchand.
J’en dénonce, donc, l’incompatibilité avec dégout mais sans haine (avec l’âge j’ai épuisé le stock, je n’arrive plus à haïr profondément personne alors qu’en revanche, je peux fréquenter uniquement ceux que j’aime), en m’augurant l’effondrement du Léviathan productiviste dont BHL est un misérable mais obstiné soutien.
Il a projeté son monstre en première page à chaque époque qu’il a traversé. Qu’il repose en paix, le monde n’aura pas de difficulté à l’oublier quand le spectacle sera fini pour le bien d’une humanité retrouvée ou à cause de la définitive disparition des humains.

Sergio Ghirardi 24 juin 2020



[1] BHL, acronyme de la star Bernard-Henri Lévi, a hérité en France de ce surnom qui corresponde assez bien à la puissance de sa pensée. Quand Besciamelle se disait maoïste son philosophe de reference était JP Sartre. Puis, comme toujours dans le spectacle, alors que Sartre a adhéré au délire maoïste, donnant finalement preuve de l’authentique consistance de sa pensée, Besciamelle a décidé d’être un philosophe, montrant ainsi la consistance authentique de son confusionnisme politique.
[2] En fait, j’ai toujours librement écrit à tout âge, sans jamais me demander si j’étais un écrivain (bon ou mauvais). Je l’ai toujours fait pour cette envie et nécessité de communiquer qui m’agit depuis que j’ai appris qu’en respirant, en jouissant et en pensant j’étais vivant. Avec l’éditeur en question, d’ailleurs, on ne s’est jamais connus car j’avais donné mon premier et unique consentement à la publication par personne interposée.
[3] Le titre de ce texte resté, en fait, à l’état d’ébauche que je ne renie pas ni j’encense, avait le but de rappeler l’existence spécifique du Goulag occidental que je dénonçait justement quand sévissait la figure d’un Soljenitsyne en lutte contre la barbarie pseudo soviétique du capitalisme d’Etat soi-disant communiste. Lutte sacrosainte (c'est-à-dire ni sacrée ni sainte, mais absolument nécessaire), récupérée, toutefois, au spectacle dominant par la propagande d’un parlementarisme marchand en offre spéciale sur toute la planète.
[4] Les philosophes sont toujours autoproclamés, surtout quand ils passent par la publicité de leurs adeptes qui n’existent jamais en tant que sujets, mais uniquement comme disciples d’une verticalité du savoir renvoyant inéluctablement aux racines de la civilisation productiviste et à ses hiérarchies gérontophiles, de classe et de genre.

Il capitale intellettuale sfida i bilanci e la termodinamica ...