But go to work and consume! |
La
paura è la radice fondamentale di ogni credenza, di ogni superstizione. Dalla
notte dei tempi, di fronte a un pericolo verificato o immaginato del quale non
si ha una conoscenza articolata, la prima reazione umana è la creazione di
un’ipotesi rassicurante, almeno a livello psicologico. Essa accompagna il
principio di precauzione che è una prima risposta razionale al pericolo. Come
tutte le emozioni umane, la paura comporta una parte irrazionale e un’altra
razionale. Queste due componenti sono l’espressione della soggettività che è
emozionale e pragmatica nello stesso tempo. Nessuna reazione umana può essere
unicamente razionale. Per contro, essa può ridursi a un’affabulazione.
Lo
spirituale e il materiale sono indivisibili, ma il loro dosaggio variabile può
oscillare fortemente tra il misticismo e il razionalismo morboso. A questo
proposito ricordo a memoria una frase di Freud: “Il viaggiatore che fischia nella notte prova meno paura, ma non ci vede
più chiaro”.
Poco
importa, perché fischia appunto per avere meno paura giacché non ci vede per
niente chiaro. Meno ci vede chiaro, più ha paura, più ha paura, più fischia
forte. Bisogna diffidare di questa paura della paura.
Mi
ha colpito, in questi giorni di coronavirus, leggere sui muri del mio villaggio
la saggezza negazionista all’opera: “Non
abbiate paura”. Questo slogan pubblicitario dall’apparenza fraterna, è
un’illusione dello stesso tipo del “I
Want You” americano di un tempo, utilizzato per arruolare i soldati nell’esercito.
Si tratta della stessa esortazione ma rovesciata poiché non c’è più bisogno di
soldati che muoiano battendosi per la produzione come nelle guerre passate
(almeno nel nostro arcipelago occidentale), ma di caporali pronti a morire di
consumo – soprattutto della malattia di non vivere che spalanca le porte alle
patologie cancerogene, alle malattie cardiovascolari, all’Aids e ora anche al
coronavirus, in attesa del seguito che sarà sicuramente caldo, anzi caldissimo.
In
questo contesto, “Non abbiate paura” significa comprate, comprate qualsiasi
cosa, comprate la vostra sopravvivenza di merda. È un messaggio per gli
alienati che hanno la peggiore delle paure: la paura di avere paura, quella che
tetanizza il principio di precauzione spingendoti a fischiare nella notte buia del
consumo delle cose e della tua vita ridotta a una sopravvivenza sempre più
improbabile.
In
questo contesto, non avere paura per davvero significa battersi con le armi
della vita, la gratuità e l’aiuto reciproco, contro la sopravvivenza alienata con
o senza maschera – a ciascuno la sua libera precauzione, rispettando quella altrui
perché questa parte della paura è un patrimonio dell’umanità.
Il
gioco degli eroi immacolati e senza paura è molto spesso un gioco suicida, tragico
o ridicolo, commovente o macabro, nobile espressione di autonomia individuale o
prodotto stupido e cattivo dell’individualismo alienato e alienante.
Quel
che vogliono questi rivoltosi spettacolari che fischiano nella notte
produttivista l’inesistenza del virus, non è la fine del capitalismo, ma la
continuazione del loro sonno agitato: passando dal famoso slogan critico del
sessantotto francese – métro, boulot,
dodo (metro, lavoro e a nanna) – all’alienazione attuale – apéro, portable, boulot (aperitivo,
telefonino e lavoro) –, non si è usciti dall’incubo e soprattutto non ci si è risvegliati;
si resta dei sonnambuli che si scambiano baci in piena pandemia anziché
abbracciarsi fino all’orgasmo nella rivoluzione sociale. Troppi giovani mistici
abbracciano una rivolta spettacolare sprovvisti della coscienza radicale del
rifiuto necessario e urgente della società produttivista.
Non
abbiate paura di temere il pericolo, abbiate piuttosto paura di non vivere mai
una vita vera. Prendete i rischi necessari con il virus come con il vostro
lavoro. Abbracciatevi per un orgasmo, per amarsi organicamente in tutte le
forme che si è capaci d’inventare. Di grazia, non prendiamo rischi per andare a
lavorare (o comunque il meno possibile, visto che il ricatto economico è sempre
in agguato), per fare marciare la macchina economica che potremmo gioiosamente
sostituire con l’autogestione generalizzata della vita quotidiana, né per
quelle pantomime mondane in cui il bar non è più che una chiesa della noia
condivisa e del consumo sacralizzato.
Quando
i situazionisti si ubriacavano un bistrot dopo l’altro, l’alcol era un carburante
della loro volontà di rovesciare il mondo. Oggi – specialmente con il virus, ma
io che ho passato una buona parte della mia giovinezza nei bar, ne avevo già
avuto sentore prima – abbiamo barattato la voglia poetica di trasformare le
chiese in bistrot con la tendenza depressiva a trasformare i bistrot in chiese
del consumo.
Ancora
una volta, l’essere umano ha sviluppato un pensiero religioso che inquina la
sua voglia di vivere con le gerarchie di potere nate con l’instaurazione e il
progressivo rinforzo della civiltà produttivista. Il grande psicodramma della
crisi del coronavirus non sfugge a questa regola.
Incapaci
di tenere sotto controllo la nuova situazione e i pericoli che essa comporta,
tutte le reazioni in proposito sono fortemente intaccate di misticismo (Bisognerà
chiarire, però, il senso dato a questa parola chiave e complessa: misticismo.
Essa accompagna, infatti, l’umano lungo tutta la sua evoluzione alienata e
reificata).
Il
negazionismo a proposito del virus, come ogni complottismo, è un alibi per il
capitalismo e per suo padre – il produttivismo. Dalla sua nascita ci dice che
non è il capitalismo che fa male, ma i cattivi che dirigono il mondo
complottando contro di noi. Non è il virus che uccide, sono i cattivi
eccetera...
Il
complottismo partecipa alla reificazione negandone l’esistenza. Non è
l’alienazione che corrompe il mondo, sono i corrotti che ci vogliono male. Non
esiste una colpa strutturale del sistema come non sono esistiti i campi di
sterminio. Ebbene, il virus esiste altrettanto che lo Zyklon B ed entrambi sono
prodotti di un’artificiale industrializzazione economicista della vita! Dopo il
trauma nazista, la sua sconfitta militare e la sua vittoria economicista, il
mondo marcia a testa in giù; una testa svuotata dall’alienazione e dalla
reificazione.
Il
negazionismo è il meccanismo di base del totalitarismo mercantile arrivato alla
sua fase terminale: l’ultima programmazione dello spettacolo sociale.
Il
virus ci obbliga in negativo a dei comportamenti virtuosi che sta a noi
rovesciare in positivo per liberare il mondo della macchina produttivista.
Negare il virus come tendono a fare parecchi giovani educati dall’alienazione e
dal feticismo della merce, è un accecamento pernicioso.
Questi
rivoltosi senza rivoluzione si oppongono con una logica binaria ai loro
compagni di disgrazia sociale ancora malati del vecchio métro, boulot, dodo. Rifiutano questo diktat sostituendolo con apéro, portable, boulot, cambiando così
mantra, ma non abbandonando neanche per un secondo il mondo del consumo. Perché
il vero lavoro generalizzato del mondo occidentale è ormai il consumo della
merda nociva che il sistema produttivista mondiale fa circolare: cibo,
comunicazione, attività virtuali, viaggi fittizi e in conseguenza salute
fragile e malattie.
Di
fronte alla peste sociale diffusa, accontentarsi d’ignorare la crisi del virus
quando la crisi della vita ci risica già da molto tempo, è una risposta mistica
delirante al potere dominante. Una fuga cieca che fa i suoi affari. Perché se il
potere utilizza il virus come qualunque manifestazione del vivente per meglio
addomesticare i suoi servitori volontari o refrattari, questa variabile
imprevista lo obbliga a scelte pericolose e rivelatrici della disumanità
intrinseca del capitalismo e del produttivismo approvato come un universo
insuperabile.
Per
preservare il pieno uso dei loro schiavi, sono stati obbligati a interrompere
massivamente il lavoro produttivo che ora rimettono in marcia, inquieti, senza
la minima sicurezza per i lavoratori. Il diniego dell’esistenza di un pericolo
virale è dunque prezioso per i giocolieri del potere che ne approfittano, mentre
stigmatizzano i “giovani irresponsabili” che ignorano i gesti barriera e non
portano le maschere di protezione. Dimenticano, ipocriti e cinici manipolatori,
che per settimane hanno fatto circolare la vergognosa e criminale menzogna che
le maschere non servono a nulla!
Senza
saperlo, i partecipanti allo spettacolo sono tutti malati della stessa
religione. Infatti, negare il rischio pandemico con i Bolsonaro, i Trump e
altri nazistelli deficienti, sia pur spinti da una sincera e ben comprensibile
rabbia diffidente verso il potere, è un atteggiamento mistico che nega la
possibilità di rompere con il produttivismo di cui il virus ci rivela, in
effetti, l’arcano rimosso di una rivoluzione ancora tutta da fare: l’abbandono
radicale e ben controllato dell’attività che fa di noi gli schiavi del
produttivismo per la creazione collettiva di una nuova società produttrice di
felicità.
Per
lottare contro questa pandemia che include tutte le nocività particolari, si
deve farla finita con la logica economica, fracassando l’impresa di un sistema
che schiaccia l’umano da millenni e trasforma gli esseri in oggetti, le cose in
merce e la merce in denaro. La trasformazione della produzione di oggetti utili
in oggetti redditizi è giunta oggi alla distruzione programmata delle
condizioni della vita sulla terra. Non ne usciremo per mezzo di riforme. Ci
vorrà un’interruzione di gravidanza del parto del Frankenstein totalitario,
numerico e planetario.
Il
virus ci mostra la strada, ma è la sua. Sta a noi d’inventare la nostra, non
favorendo la pandemia ignorandola, ma abolendo il produttivismo e con lui le
nocività che produce e protegge.
Sergio
Ghirardi, 14 luglio 2020
La religion du virus et de l’antivirus
Comment
cette crise bouleversante nous pousse à un changement radical ou à disparaître
La peur est la racine fondamentale de toute croyance, de
toute superstition. Depuis la nuit des temps, face à un danger vérifié ou
imaginé dont on n’a pas une connaissance maitrisée, la première réaction
humaine est la création d’une hypothèse rassurante, du moins au niveau
psychologique. Celle-ci accompagne le principe de précaution qui est une
première réponse rationnelle à un danger. La peur, comme toutes les émotions
humaines, comporte une composante irrationnelle et une autre rationnelle. Ces
deux composantes sont l’expression de la subjectivité qui est émotionnelle et
pragmatique en même temps. Aucune réaction humaine ne peut être uniquement
rationnelle. En revanche, elle peut se réduire à une affabulation.
Le spirituel et le matériel sont indivisibles, mais leur
dosage variable peut balancer grandement entre le mysticisme et le rationalisme
morbide. A ce propos, je me rappelle de mémoire une phrase de Freud: « Le voyageur qui siffle dans le noir a moins
peur, mais il ne voit pas plus clair ».
Peu importe, car il siffle justement pour avoir moins
peur alors qu’il ne voit pas clair du tout. Moins il voit clair, plus il a
peur, plus il a peur, plus il siffle fort. Il faut se méfier de cette peur de
la peur.
Cela m’a frappé, dans ces jours de coronavirus, de lire
sur les murs de mon village la sagesse négationniste à l’œuvre : « N’ayez pas peur ». Ce slogan
publicitaire à l’apparence fraternel, est un leurre du même ordre que le « I Want You » américain de jadis, utilisé
pour enrôler les soldats dans l’armée. C’est la même exhortation mais renversée
car on n’a plus besoin de soldats qui meurent en se battant pour la production
comme dans les guerres d’antan (du moins dans notre archipel occidental), mais
de caporaux prêts à mourir de consommation – surtout de la maladie de ne pas
vivre qui ouvre grande la porte au cancer, aux maladies cardiovasculaires, au
Sida, et maintenant aussi au coronavirus, en attendant la suite qui sera
surement chaude, même très chaude.
Dans ce contexte, « N’ayez pas peur » signifie achetez,
achetez n’importe quoi, achetez vos survies de merde. C’est un message pour les
aliénés qui ont la pire des peurs : la peur d’avoir peur, celle qui tétanise le
principe de précaution en te poussant à siffler dans la nuit sombre de la
consommation des choses et de ta vie réduite à une survie de plus en plus
improbable.
Dans ce contexte, n’avoir véritablement pas peur,
signifie se battre avec les armes de la vie, la gratuité et l’entraide, contre
la survie aliénée avec ou sans masque – à chacun sa libre précaution, en
respectant celle des autres car cette partie de la peur est un patrimoine de
l’humanité.
Le jeu des héros immaculés et sans peur est très souvent
un jeu suicidaire, tragique ou ridicule, émouvant ou macabre, expression noble
d’autonomie individuelle ou produit bête et méchant de l’individualisme aliéné
et aliénant.
Ce qu’ils veulent ces révoltés spectaculaires qui
sifflent dans la nuit productiviste l’inexistence du virus, ce n’est pas la fin
du capitalisme, mais la continuation de leur sommeil agité : en passant du fameux
slogan critique de mai ’68 – métro, boulot, dodo – à l’aliénation actuelle – apéro,
portable, boulot –, on n’est pas sortis du cauchemar et surtout on n’est
pas réveillés ; on est des somnambules qui se font la bise en pleine pandémie
plutôt que s’embrasser jusqu’à l’orgasme dans la révolution sociale. Trop de
jeunes gens mystiques embrassent une révolte spectaculaire dépourvus de la
conscience radicale du refus nécessaire et urgent de la societé productiviste.
N’ayez pas peur d’avoir peur du danger, ayez plutôt peur
de ne jamais vivre une vraie vie. Prenez les risques nécessaires avec le virus
comme avec votre travail. Embrassez vous pour un orgasme, pour s’aimer
organiquement dans toutes les formes qu’on est capables d’inventer. De grâce,
ne prenons pas des risques pour aller bosser (les moins possible du moins, que
le chantage économique nous guette toujours), pour faire marcher la machine
économique qu'on pourrait joyeusement substituer par l'autogestion généralisée de
la vie quotidienne, ni pour ces pantomimes mondaines où le bistrot n’est plus
qu’une église de l’ennui partagée et de la consommation sacralisée.
Quand les situationnistes se soulaient le gueule un
bistrot après l’autre, l’alcool était un carburant de leur volonté de renverser
le monde. Aujourd’hui – spécialement avec le virus, mais moi que j’ai passé une
bonne partie de ma jeunesse dans les bistrots, je l’avais déjà senti venir
avant – on a troqué l’envie poétique de transformer les églises en bistrots
avec la tendance dépressive à transformer le bistrot en églises de la
consommation.
Une fois de plus, l’être humain a développé une pensée
religieuse qui pollue son envie de vivre avec des hiérarchies nées de l’instauration
et du renforcement progressif de la civilisation productiviste. Le grand
psychodrame de la crise du coronavirus n’y échappe pas.
Incapables de maitriser la situation nouvelle et les
dangers qu’elle comporte, toutes les réactions à son propos sont fortement
entachées de mysticisme (Il faudra, néanmoins, clarifier le sens qu’on donne à
ce mot clé et complexe: mysticisme. Car il accompagne l’humain pendant toute
son évolution aliénée et réifiée).
Le négationnisme du virus, comme tout complotisme, est un
alibi pour le capitalisme et pour son père – le productivisme. Depuis sa
naissance, il nous dit que ce n’est pas le capitalisme qui fait mal, ce sont
les méchants qui dirigent le monde en complotant contre nous. Ce n’est pas le
virus qui tue ce sont les méchants etcetera…
Le complotisme participe à la réification en niant son
existence. Ce n’est pas l’aliénation qui corrompt le monde, ce sont les
corrompus qui nous veulent du mal. Il n’y a pas de faute structurelle du
système comme il n’y a pas eu de camps d’extermination. Or, le virus existe
autant que le zyklon B et les deux sont des produits d’une industrialisation de
la vie ! Depuis le traumatisme nazi, sa défaite militaire et sa victoire
économiste, le monde marche sur la tète, une tète vidée par l’aliénation et la
réification.
Le négationnisme est le mécanisme de base du
totalitarisme marchand arrivé à sa phase terminale : la dernière séance du
spectacle social.
Le virus nous oblige en négatif à des comportements
vertueux qu’on doit renverser en positif pour libérer le monde de la machine
productiviste. Nier le virus comme tendent à le faire pas mal de jeunes éduqués
par l’aliénation et le fétichisme de la marchandise, c’est un aveuglement
pernicieux.
Ces révoltés sans révolution s’opposent avec une logique
binaire à leurs camarades d’infortune sociale encore malades du vieux métro, boulot, dodo. Ils refusent ce
diktat en y substituant apéro, portable, boulot,
en changeant ainsi de mantra, mais ne quittant pas un seul second le monde de
la consommation. Car le vrai boulot généralisé du monde occidental est
désormais la consommation de la merde nuisible que le système productiviste
mondial fait circuler : nourriture, communication, activités virtuelles,
voyages fictifs et, par conséquence, santé fragile et maladies.
Face à la peste sociale diffuse, se contenter d’ignorer
la crise du virus alors que la crise de la vie nous ronge depuis bien avant,
c’est une réponse mystique délirante au pouvoir dominant. Une fuite aveugle qui
l’arrange pas mal. Car si le pouvoir utilise le virus comme toutes les
manifestations du vivant pour mieux domestiquer ses serviteurs volontaires ou
réfractaires, cette variable imprévue l’oblige à des choix dangereux et
révélateurs de l’inhumanité intrinsèque du capitalisme et du productivisme approuvé
comme un univers indépassable.
Pour préserver le plein usage de leurs esclaves, ils ont
été obliges d’arrêter massivement le travail productif que maintenant ils
remettent en marche affolés, sans la moindre sécurité pour les travailleurs. Le
déni de l’existence d’un danger virale est donc une aubaine pour les jongleurs
du pouvoir qui en profitent, tout en stigmatisant les « jeunes irresponsables »
qui font fi des gestes barrière et ne portent pas de masques. Ils oublient,
hypocrites et cyniques manipulateurs, qu’ils ont fait circuler pendant des
semaines le mensonge éhonté et criminel que les masques ne servent à rien !
Sans le savoir, les participants au spectacle sont tous
malades de la même religion. Car nier le danger pandémique, avec les Bolsonaro,
les Trump et autres nazillons débiles, même poussés par une sincère et bien
compréhensible rage méfiante envers le pouvoir en place, c’est une attitude
mystique qui nie la possibilité de rompre avec le productivisme dont le virus
nous révèle, en fait, l’arcane refoulé d’une révolution toujours à parfaire :
l’abandon radical et maitrisé de l’activité qui fait de nous les esclaves du
productivisme par la création collective d’une nouvelle société productive de
bonheur.
Pour lutter contre cette pandémie qui inclut toutes les nuisances
particulières, il faut en finir avec la logique économique, briser l’emprise
d’un système qui écrase l’humain depuis des millénaires et transforme les êtres
en objets, les choses en marchandise et la marchandise en argent. La
transformation de la production d’objets utiles en objets rentables est arrivée
aujourd’hui à la destruction programmée des conditions de la vie sur terre. On
ne s’en sortira pas avec des reformes. Il faudra une interruption de grossesse
de l’accouchement du Frankenstein totalitaire, numérisé et planétaire.
Le virus nous montre la voie, mais c’est la sienne. A
nous d’inventer la notre, non pas en favorisant la pandémie en l’ignorant, mais
en abolissant le productivisme et avec lui les nocivités qu’il produit et
protège.
Sergio Ghirardi 14 juillet 2020