giovedì 23 luglio 2020

La religione del virus e dell’antivirus Come questa crisi sconvolgente ci spinge a un cambiamento radicale o a sparire



But go to work and consume!

La paura è la radice fondamentale di ogni credenza, di ogni superstizione. Dalla notte dei tempi, di fronte a un pericolo verificato o immaginato del quale non si ha una conoscenza articolata, la prima reazione umana è la creazione di un’ipotesi rassicurante, almeno a livello psicologico. Essa accompagna il principio di precauzione che è una prima risposta razionale al pericolo. Come tutte le emozioni umane, la paura comporta una parte irrazionale e un’altra razionale. Queste due componenti sono l’espressione della soggettività che è emozionale e pragmatica nello stesso tempo. Nessuna reazione umana può essere unicamente razionale. Per contro, essa può ridursi a un’affabulazione.
Lo spirituale e il materiale sono indivisibili, ma il loro dosaggio variabile può oscillare fortemente tra il misticismo e il razionalismo morboso. A questo proposito ricordo a memoria una frase di Freud: “Il viaggiatore che fischia nella notte prova meno paura, ma non ci vede più chiaro”.
Poco importa, perché fischia appunto per avere meno paura giacché non ci vede per niente chiaro. Meno ci vede chiaro, più ha paura, più ha paura, più fischia forte. Bisogna diffidare di questa paura della paura.
Mi ha colpito, in questi giorni di coronavirus, leggere sui muri del mio villaggio la saggezza negazionista all’opera: “Non abbiate paura”. Questo slogan pubblicitario dall’apparenza fraterna, è un’illusione dello stesso tipo del “I Want You” americano di un tempo, utilizzato per arruolare i soldati nell’esercito. Si tratta della stessa esortazione ma rovesciata poiché non c’è più bisogno di soldati che muoiano battendosi per la produzione come nelle guerre passate (almeno nel nostro arcipelago occidentale), ma di caporali pronti a morire di consumo – soprattutto della malattia di non vivere che spalanca le porte alle patologie cancerogene, alle malattie cardiovascolari, all’Aids e ora anche al coronavirus, in attesa del seguito che sarà sicuramente caldo, anzi caldissimo.
In questo contesto, “Non abbiate paura” significa comprate, comprate qualsiasi cosa, comprate la vostra sopravvivenza di merda. È un messaggio per gli alienati che hanno la peggiore delle paure: la paura di avere paura, quella che tetanizza il principio di precauzione spingendoti a fischiare nella notte buia del consumo delle cose e della tua vita ridotta a una sopravvivenza sempre più improbabile.
In questo contesto, non avere paura per davvero significa battersi con le armi della vita, la gratuità e l’aiuto reciproco, contro la sopravvivenza alienata con o senza maschera – a ciascuno la sua libera precauzione, rispettando quella altrui perché questa parte della paura è un patrimonio dell’umanità.
Il gioco degli eroi immacolati e senza paura è molto spesso un gioco suicida, tragico o ridicolo, commovente o macabro, nobile espressione di autonomia individuale o prodotto stupido e cattivo dell’individualismo alienato e alienante.
Quel che vogliono questi rivoltosi spettacolari che fischiano nella notte produttivista l’inesistenza del virus, non è la fine del capitalismo, ma la continuazione del loro sonno agitato: passando dal famoso slogan critico del sessantotto francese – métro, boulot, dodo (metro, lavoro e a nanna) – all’alienazione attuale – apéro, portable, boulot (aperitivo, telefonino e lavoro) –, non si è usciti dall’incubo e soprattutto non ci si è risvegliati; si resta dei sonnambuli che si scambiano baci in piena pandemia anziché abbracciarsi fino all’orgasmo nella rivoluzione sociale. Troppi giovani mistici abbracciano una rivolta spettacolare sprovvisti della coscienza radicale del rifiuto necessario e urgente della società produttivista.
Non abbiate paura di temere il pericolo, abbiate piuttosto paura di non vivere mai una vita vera. Prendete i rischi necessari con il virus come con il vostro lavoro. Abbracciatevi per un orgasmo, per amarsi organicamente in tutte le forme che si è capaci d’inventare. Di grazia, non prendiamo rischi per andare a lavorare (o comunque il meno possibile, visto che il ricatto economico è sempre in agguato), per fare marciare la macchina economica che potremmo gioiosamente sostituire con l’autogestione generalizzata della vita quotidiana, né per quelle pantomime mondane in cui il bar non è più che una chiesa della noia condivisa e del consumo sacralizzato.
Quando i situazionisti si ubriacavano un bistrot dopo l’altro, l’alcol era un carburante della loro volontà di rovesciare il mondo. Oggi – specialmente con il virus, ma io che ho passato una buona parte della mia giovinezza nei bar, ne avevo già avuto sentore prima – abbiamo barattato la voglia poetica di trasformare le chiese in bistrot con la tendenza depressiva a trasformare i bistrot in chiese del consumo.
Ancora una volta, l’essere umano ha sviluppato un pensiero religioso che inquina la sua voglia di vivere con le gerarchie di potere nate con l’instaurazione e il progressivo rinforzo della civiltà produttivista. Il grande psicodramma della crisi del coronavirus non sfugge a questa regola.
Incapaci di tenere sotto controllo la nuova situazione e i pericoli che essa comporta, tutte le reazioni in proposito sono fortemente intaccate di misticismo (Bisognerà chiarire, però, il senso dato a questa parola chiave e complessa: misticismo. Essa accompagna, infatti, l’umano lungo tutta la sua evoluzione alienata e reificata).
Il negazionismo a proposito del virus, come ogni complottismo, è un alibi per il capitalismo e per suo padre – il produttivismo. Dalla sua nascita ci dice che non è il capitalismo che fa male, ma i cattivi che dirigono il mondo complottando contro di noi. Non è il virus che uccide, sono i cattivi eccetera...
Il complottismo partecipa alla reificazione negandone l’esistenza. Non è l’alienazione che corrompe il mondo, sono i corrotti che ci vogliono male. Non esiste una colpa strutturale del sistema come non sono esistiti i campi di sterminio. Ebbene, il virus esiste altrettanto che lo Zyklon B ed entrambi sono prodotti di un’artificiale industrializzazione economicista della vita! Dopo il trauma nazista, la sua sconfitta militare e la sua vittoria economicista, il mondo marcia a testa in giù; una testa svuotata dall’alienazione e dalla reificazione.
Il negazionismo è il meccanismo di base del totalitarismo mercantile arrivato alla sua fase terminale: l’ultima programmazione dello spettacolo sociale.
Il virus ci obbliga in negativo a dei comportamenti virtuosi che sta a noi rovesciare in positivo per liberare il mondo della macchina produttivista. Negare il virus come tendono a fare parecchi giovani educati dall’alienazione e dal feticismo della merce, è un accecamento pernicioso.
Questi rivoltosi senza rivoluzione si oppongono con una logica binaria ai loro compagni di disgrazia sociale ancora malati del vecchio métro, boulot, dodo. Rifiutano questo diktat sostituendolo con apéro, portable, boulot, cambiando così mantra, ma non abbandonando neanche per un secondo il mondo del consumo. Perché il vero lavoro generalizzato del mondo occidentale è ormai il consumo della merda nociva che il sistema produttivista mondiale fa circolare: cibo, comunicazione, attività virtuali, viaggi fittizi e in conseguenza salute fragile e malattie.
Di fronte alla peste sociale diffusa, accontentarsi d’ignorare la crisi del virus quando la crisi della vita ci risica già da molto tempo, è una risposta mistica delirante al potere dominante. Una fuga cieca che fa i suoi affari. Perché se il potere utilizza il virus come qualunque manifestazione del vivente per meglio addomesticare i suoi servitori volontari o refrattari, questa variabile imprevista lo obbliga a scelte pericolose e rivelatrici della disumanità intrinseca del capitalismo e del produttivismo approvato come un universo insuperabile.
Per preservare il pieno uso dei loro schiavi, sono stati obbligati a interrompere massivamente il lavoro produttivo che ora rimettono in marcia, inquieti, senza la minima sicurezza per i lavoratori. Il diniego dell’esistenza di un pericolo virale è dunque prezioso per i giocolieri del potere che ne approfittano, mentre stigmatizzano i “giovani irresponsabili” che ignorano i gesti barriera e non portano le maschere di protezione. Dimenticano, ipocriti e cinici manipolatori, che per settimane hanno fatto circolare la vergognosa e criminale menzogna che le maschere non servono a nulla!
Senza saperlo, i partecipanti allo spettacolo sono tutti malati della stessa religione. Infatti, negare il rischio pandemico con i Bolsonaro, i Trump e altri nazistelli deficienti, sia pur spinti da una sincera e ben comprensibile rabbia diffidente verso il potere, è un atteggiamento mistico che nega la possibilità di rompere con il produttivismo di cui il virus ci rivela, in effetti, l’arcano rimosso di una rivoluzione ancora tutta da fare: l’abbandono radicale e ben controllato dell’attività che fa di noi gli schiavi del produttivismo per la creazione collettiva di una nuova società produttrice di felicità.
Per lottare contro questa pandemia che include tutte le nocività particolari, si deve farla finita con la logica economica, fracassando l’impresa di un sistema che schiaccia l’umano da millenni e trasforma gli esseri in oggetti, le cose in merce e la merce in denaro. La trasformazione della produzione di oggetti utili in oggetti redditizi è giunta oggi alla distruzione programmata delle condizioni della vita sulla terra. Non ne usciremo per mezzo di riforme. Ci vorrà un’interruzione di gravidanza del parto del Frankenstein totalitario, numerico e planetario.
Il virus ci mostra la strada, ma è la sua. Sta a noi d’inventare la nostra, non favorendo la pandemia ignorandola, ma abolendo il produttivismo e con lui le nocività che produce e protegge.


Sergio Ghirardi, 14 luglio 2020


La religion du virus et de l’antivirus


Comment cette crise bouleversante nous pousse à un changement radical ou à disparaître

La peur est la racine fondamentale de toute croyance, de toute superstition. Depuis la nuit des temps, face à un danger vérifié ou imaginé dont on n’a pas une connaissance maitrisée, la première réaction humaine est la création d’une hypothèse rassurante, du moins au niveau psychologique. Celle-ci accompagne le principe de précaution qui est une première réponse rationnelle à un danger. La peur, comme toutes les émotions humaines, comporte une composante irrationnelle et une autre rationnelle. Ces deux composantes sont l’expression de la subjectivité qui est émotionnelle et pragmatique en même temps. Aucune réaction humaine ne peut être uniquement rationnelle. En revanche, elle peut se réduire à une affabulation.
Le spirituel et le matériel sont indivisibles, mais leur dosage variable peut balancer grandement entre le mysticisme et le rationalisme morbide. A ce propos, je me rappelle de mémoire une phrase de Freud: « Le voyageur qui siffle dans le noir a moins peur, mais il ne voit pas plus clair ».
Peu importe, car il siffle justement pour avoir moins peur alors qu’il ne voit pas clair du tout. Moins il voit clair, plus il a peur, plus il a peur, plus il siffle fort. Il faut se méfier de cette peur de la peur.
Cela m’a frappé, dans ces jours de coronavirus, de lire sur les murs de mon village la sagesse négationniste à l’œuvre : « N’ayez pas peur ». Ce slogan publicitaire à l’apparence fraternel, est un leurre du même ordre que le « I Want You » américain de jadis, utilisé pour enrôler les soldats dans l’armée. C’est la même exhortation mais renversée car on n’a plus besoin de soldats qui meurent en se battant pour la production comme dans les guerres d’antan (du moins dans notre archipel occidental), mais de caporaux prêts à mourir de consommation – surtout de la maladie de ne pas vivre qui ouvre grande la porte au cancer, aux maladies cardiovasculaires, au Sida, et maintenant aussi au coronavirus, en attendant la suite qui sera surement chaude, même très chaude.
Dans ce contexte, « N’ayez pas peur » signifie achetez, achetez n’importe quoi, achetez vos survies de merde. C’est un message pour les aliénés qui ont la pire des peurs : la peur d’avoir peur, celle qui tétanise le principe de précaution en te poussant à siffler dans la nuit sombre de la consommation des choses et de ta vie réduite à une survie de plus en plus improbable.
Dans ce contexte, n’avoir véritablement pas peur, signifie se battre avec les armes de la vie, la gratuité et l’entraide, contre la survie aliénée avec ou sans masque – à chacun sa libre précaution, en respectant celle des autres car cette partie de la peur est un patrimoine de l’humanité.
Le jeu des héros immaculés et sans peur est très souvent un jeu suicidaire, tragique ou ridicule, émouvant ou macabre, expression noble d’autonomie individuelle ou produit bête et méchant de l’individualisme aliéné et aliénant.
Ce qu’ils veulent ces révoltés spectaculaires qui sifflent dans la nuit productiviste l’inexistence du virus, ce n’est pas la fin du capitalisme, mais la continuation de leur sommeil agité : en passant du fameux slogan critique de mai ’68 – métro, boulot, dodo – à l’aliénation actuelle – apéro, portable, boulot –, on n’est pas sortis du cauchemar et surtout on n’est pas réveillés ; on est des somnambules qui se font la bise en pleine pandémie plutôt que s’embrasser jusqu’à l’orgasme dans la révolution sociale. Trop de jeunes gens mystiques embrassent une révolte spectaculaire dépourvus de la conscience radicale du refus nécessaire et urgent de la societé productiviste.
N’ayez pas peur d’avoir peur du danger, ayez plutôt peur de ne jamais vivre une vraie vie. Prenez les risques nécessaires avec le virus comme avec votre travail. Embrassez vous pour un orgasme, pour s’aimer organiquement dans toutes les formes qu’on est capables d’inventer. De grâce, ne prenons pas des risques pour aller bosser (les moins possible du moins, que le chantage économique nous guette toujours), pour faire marcher la machine économique qu'on pourrait joyeusement substituer par l'autogestion généralisée de la vie quotidienne, ni pour ces pantomimes mondaines où le bistrot n’est plus qu’une église de l’ennui partagée et de la consommation sacralisée.
Quand les situationnistes se soulaient le gueule un bistrot après l’autre, l’alcool était un carburant de leur volonté de renverser le monde. Aujourd’hui – spécialement avec le virus, mais moi que j’ai passé une bonne partie de ma jeunesse dans les bistrots, je l’avais déjà senti venir avant – on a troqué l’envie poétique de transformer les églises en bistrots avec la tendance dépressive à transformer le bistrot en églises de la consommation.
Une fois de plus, l’être humain a développé une pensée religieuse qui pollue son envie de vivre avec des hiérarchies nées de l’instauration et du renforcement progressif de la civilisation productiviste. Le grand psychodrame de la crise du coronavirus n’y échappe pas.
Incapables de maitriser la situation nouvelle et les dangers qu’elle comporte, toutes les réactions à son propos sont fortement entachées de mysticisme (Il faudra, néanmoins, clarifier le sens qu’on donne à ce mot clé et complexe: mysticisme. Car il accompagne l’humain pendant toute son évolution aliénée et réifiée).
Le négationnisme du virus, comme tout complotisme, est un alibi pour le capitalisme et pour son père – le productivisme. Depuis sa naissance, il nous dit que ce n’est pas le capitalisme qui fait mal, ce sont les méchants qui dirigent le monde en complotant contre nous. Ce n’est pas le virus qui tue ce sont les méchants etcetera…
Le complotisme participe à la réification en niant son existence. Ce n’est pas l’aliénation qui corrompt le monde, ce sont les corrompus qui nous veulent du mal. Il n’y a pas de faute structurelle du système comme il n’y a pas eu de camps d’extermination. Or, le virus existe autant que le zyklon B et les deux sont des produits d’une industrialisation de la vie ! Depuis le traumatisme nazi, sa défaite militaire et sa victoire économiste, le monde marche sur la tète, une tète vidée par l’aliénation et la réification.
Le négationnisme est le mécanisme de base du totalitarisme marchand arrivé à sa phase terminale : la dernière séance du spectacle social.
Le virus nous oblige en négatif à des comportements vertueux qu’on doit renverser en positif pour libérer le monde de la machine productiviste. Nier le virus comme tendent à le faire pas mal de jeunes éduqués par l’aliénation et le fétichisme de la marchandise, c’est un aveuglement pernicieux.
Ces révoltés sans révolution s’opposent avec une logique binaire à leurs camarades d’infortune sociale encore malades du vieux métro, boulot, dodo. Ils refusent ce diktat en y substituant apéro, portable, boulot, en changeant ainsi de mantra, mais ne quittant pas un seul second le monde de la consommation. Car le vrai boulot généralisé du monde occidental est désormais la consommation de la merde nuisible que le système productiviste mondial fait circuler : nourriture, communication, activités virtuelles, voyages fictifs et, par conséquence, santé fragile et maladies.
Face à la peste sociale diffuse, se contenter d’ignorer la crise du virus alors que la crise de la vie nous ronge depuis bien avant, c’est une réponse mystique délirante au pouvoir dominant. Une fuite aveugle qui l’arrange pas mal. Car si le pouvoir utilise le virus comme toutes les manifestations du vivant pour mieux domestiquer ses serviteurs volontaires ou réfractaires, cette variable imprévue l’oblige à des choix dangereux et révélateurs de l’inhumanité intrinsèque du capitalisme et du productivisme approuvé comme un univers indépassable.
Pour préserver le plein usage de leurs esclaves, ils ont été obliges d’arrêter massivement le travail productif que maintenant ils remettent en marche affolés, sans la moindre sécurité pour les travailleurs. Le déni de l’existence d’un danger virale est donc une aubaine pour les jongleurs du pouvoir qui en profitent, tout en stigmatisant les « jeunes irresponsables » qui font fi des gestes barrière et ne portent pas de masques. Ils oublient, hypocrites et cyniques manipulateurs, qu’ils ont fait circuler pendant des semaines le mensonge éhonté et criminel que les masques ne servent à rien !
Sans le savoir, les participants au spectacle sont tous malades de la même religion. Car nier le danger pandémique, avec les Bolsonaro, les Trump et autres nazillons débiles, même poussés par une sincère et bien compréhensible rage méfiante envers le pouvoir en place, c’est une attitude mystique qui nie la possibilité de rompre avec le productivisme dont le virus nous révèle, en fait, l’arcane refoulé d’une révolution toujours à parfaire : l’abandon radical et maitrisé de l’activité qui fait de nous les esclaves du productivisme par la création collective d’une nouvelle société productive de bonheur.
Pour lutter contre cette pandémie qui inclut toutes les nuisances particulières, il faut en finir avec la logique économique, briser l’emprise d’un système qui écrase l’humain depuis des millénaires et transforme les êtres en objets, les choses en marchandise et la marchandise en argent. La transformation de la production d’objets utiles en objets rentables est arrivée aujourd’hui à la destruction programmée des conditions de la vie sur terre. On ne s’en sortira pas avec des reformes. Il faudra une interruption de grossesse de l’accouchement du Frankenstein totalitaire, numérisé et planétaire.
Le virus nous montre la voie, mais c’est la sienne. A nous d’inventer la notre, non pas en favorisant la pandémie en l’ignorant, mais en abolissant le productivisme et avec lui les nocivités qu’il produit et protège.


Sergio Ghirardi 14 juillet 2020