sabato 17 ottobre 2020

UNA MONTAGNA IN ALTO MARE

 


Comunicato del Comitato clandestino rivoluzionario indigeno

Comando generale dell’esercito zapatista di 

liberazione nazionale

Messico 5 ottobre 2020

Al Congresso nazionale indigeno-Consiglio indigeno di governo, alla sesta nazionale e internazionale, alle reti di resistenza e di ribellione, alle persone oneste che resistono in tutti gli angoli del pianeta,

Noi, popoli originari di radice maya e zapatista, vi salutiamo e vi diciamo quel che è venuto fuori dal nostro pensiero comune, in accordo con quel che vediamo, intendiamo e sentiamo.

Primo. – Noi vediamo e ascoltiamo un mondo malato nella sua vita sociale, frammentato in milioni di persone straniere le une alle altre, attaccate alla loro sopravvivenza individuale, ma unite sotto l’oppressione di un sistema pronto a tutto per soddisfare la sua sete di profitto quando è chiaro che il suo cammino va contro l’esistenza del pianeta Terra.

L’aberrazione del sistema e la sua stupida difesa del “progresso” e della “modernità” si urtano a una realtà criminale: i femminicidi. L’omicidio di donne non ha colore né nazionalità, è mondiale. Se è assurdo e insensato che qualcuno sia perseguito, rapito, assassinato per il colore della pelle, l’etnia, la cultura, le credenze, non si può credere che il fatto di essere donna equivalga a una sentenza di marginalizzazione e di morte.

In questa escalation prevedibile (le vessazioni, la violenza fisica, le mutilazioni e l’omicidio), e con l’avallo di un’impunità strutturale (“se lo meritava”, “aveva dei tatuaggi”, “ che cosa faceva in quel posto a quell’ora?”, “ Con quella tenuta c’era da aspettarselo”), gli omicidi di donne non hanno altra logica criminale che quella del sistema. Di diversi strati sociali, di diverse etnie, dall’età infantile alla vecchiaia e in situazioni geografiche lontanissime tra loro, la sola costante è il genere. E il sistema è incapace di spiegare perché ciò vada di pari passo con il suo “sviluppo” e con il suo “progresso”. Nella rivoltante statistica dei decessi, più una società è sviluppata più è elevato il numero di vittime in quest’autentica guerra di generi.

La “civiltà” sembra dire a noi, popoli autoctoni: “La prova del vostro sottosviluppo sta nel vostro basso tasso di femminicidio. Abbiate i vostri megaprogetti, le vostre centrali termoelettriche, le vostre miniere, le vostre dighe, i vostri centri commerciali, i vostri negozi di elettrodomestici – con un canale televisivo incluso – e imparate a consumare. Siate come noi. Per pagare il debito di quest’aiuto progressista, le vostre terre, la vostra acqua, le vostre culture, le vostre dignità non bastano. Bisogna aggiungervi la vita delle donne.

Secondo. – Noi vediamo e sentiamo la natura ferita a morte che, nella sua agonia, avverte l’umanità che il peggio deve ancora venire. Ogni catastrofe “naturale” annuncia la seguente e dimentica, guarda caso, che è l’azione di un sistema umano che ne è la causa.

La morte e la distruzione non sono più, ormai, una cosa lontana, limitata da frontiere, rispettosa delle dogane e delle convenzioni internazionali. La distruzione, in qualunque angolo del mondo, ha ripercussioni su tutto il pianeta.

Terzo. – Vediamo e ascoltiamo i potenti battere in ritirata e nascondersi dietro i sedicenti Stati-nazione e i loro muri. In questo impossibile balzo all’indietro, ravvivano dei nazionalismi fascisti, degli sciovinismi ridicoli e dei discorsi assordanti. Di fronte a ciò, attiriamo l’attenzione sulle possibili guerre future: quelle che si nutrono di storie false, vuote e menzognere e che convertono nazionalità ed etnie in supremazie imposte con la morte e la distruzione. Nei diversi paesi, il conflitto si gioca tra i capisquadra e quanti aspirano a prenderne il posto, occultando che il padrone, il signore, il capetto resta lo stesso e non ha altra nazionalità che quella del denaro. Nel frattempo gli organismi internazionali deperiscono e si riducono a semplici sigle, come pezzi da museo o neppure quelli.

In mezzo all’oscurità e alla confusione che precedono queste guerre, ascoltiamo e osserviamo come ogni bagliore di creatività, d’intelligenza e di razionalità sia attaccato, assediato, perseguitato. Di fronte al pensiero critico, i potenti richiedono, esigono e impongono i loro fanatismi. La morte che piantano, coltivano e raccolgono non è soltanto la morte fisica, comprende anche l’estinzione dell’universalità propria all’umanità – l’intelligenza – , le sue avanzate e le sue realizzazioni. Nuove correnti esoteriche, laiche o no, rinascono o sono create, travestite da mode intellettuali o pseudoscienze, mentre si pretende d’infeudare le arti e le scienze a dei militantismi politici.

Quarto. – La pandemia di Covid 19 ha mostrato non solo le vulnerabilità dell’essere umano, ma anche l’avidità e la stupidità dei diversi governi nazionali e delle loro sedicenti opposizioni.

Le misure del più elementare buon senso sono state disprezzate, scommettendo sempre che la pandemia fosse di corta durata. Quando l’avanzare della malattia ha preso proporzioni sempre più importanti, le cifre hanno cominciato a sostituirsi alle tragedie. La morte è stata così convertita in una cifra affogata quotidianamente in mezzo a scandali e dichiarazioni. Un paragone morboso tra nazionalismi ridicoli. La media dei gol e dei dribbling per determinare quale sia la peggiore o la migliore squadra, la nazione migliore.

Come lo precisa uno dei testi precedenti, in seno allo zapatismo abbiamo scelto la prevenzione e l’applicazione di misure sanitarie che erano state prese allora in seguito alla consultazione di scienziati che ci hanno guidato e ci hanno offerto il loro aiuto, senza alcuna esitazione. Noi, popoli zapatisti, siamo loro riconoscenti e abbiamo voluto dimostrarlo così. Dopo sei mesi di applicazione di queste misure (maschere o equivalenti per coprirsi la bocca, distanziamento tra le persone, cessazione dei contatti personali diretti con le zone urbane, quarantena di quindici giorni per le persone venute in contatto con individui contagiati, lavaggio frequente all’acqua e sapone), lamentiamo il decesso di tre compagni che presentavano due o più sintomi associati al Covid 19 e che avevano avuto un contatto diretto con persone contagiate.

Otto altri compagni e una compagna, morti in questo periodo, presentavano uno dei sintomi. Siccome non siamo in grado di realizzare dei test assumiamo che in totale dodici compañer@s sono morti a causa del Coronavirus (degli scienziati ci hanno consigliato di decidere che ogni difficoltà respiratoria sarebbe dovuta al Covid 19). Queste dodici dipartite sono imputabili alla nostra responsabilità. Non è colpa della 4T [nota: “Quarta Trasformazione”, nome dato dalla propaganda di Lopez Obrador al suo mandato presidenziale] né dell’opposizione, né dei neoliberali né dei neoconservatori, né delle cospirazioni, né di complotti. Noi pensiamo piuttosto che avremmo dovuto prendere precauzioni ancora maggiori.

Adesso, con la scomparsa di questi dodici compañer@s sulle spalle, stiamo migliorando in tutte le comunità le misure di prevenzione, con il sostegno attuale di organizzazioni non governative e di scienziati che, a titolo individuale o collettivo, ci guidano sulla maniera per prepararci meglio ad affrontare una possibile risorgenza. Decine di migliaia di maschere (concepite espressamente in modo che un potenziale portatore non possa infettare altre persone, a basso prezzo, riutilizzabili e adattate alle circostanze) sono state distribuite in tutte le comunità. Altre decine di migliaia sono fabbricate negli atelier di ricamo nei villaggi degli insorti e delle insorte. L’impiego massivo di maschere, la quarantena di due settimane per quanti potrebbero contrattare l’infezione, la distanza e il lavaggio ricorrente di mani e volto con acqua e sapone, come anche il fatto di evitare per quanto possibile di andare nelle città, sono misure ugualmente raccomandate ai fratelli e sorelle membri dei partiti politici, al fine di contenere la diffusione dei contagi e di permettere il sussistere della vita comunitaria.

Il dettaglio preciso della nostra strategia passata e attuale potrà essere consultato al momento venuto. Per ora noi diciamo, con il soffio di vita che percorre il nostro corpo, che, secondo il nostro bilancio (sul quale possiamo probabilmente sbagliare), il fatto di affrontare la minaccia in quanto comunità e non come un problema individuale, cosi come il fatto di dirigere il nostro sforzo principale in direzione della prevenzione, ci permettono di dire, in quanto popoli zapatisti: ci siamo, resistiamo, viviamo e lottiamo.

Oggi, nel mondo intero, il grande capitale pretende di far ritornare la gente in strada per fare assumere loro la condizione di consumatori e consumatrici. Perché i problemi che li preoccupano sono quelli del Mercato: la letargia nel consumo di merci.

Bisogna ritornare in strada, sì, ma per lottare. Perché come l’abbiamo detto in precedenza, la vita, la lotta per la vita, non è un problema individuale, ma collettivo. E ora ci si rende conto che non è più un problema di nazionalità, è un problema mondiale.

Ci sono sacchi di cose di quest’ordine che osserviamo e ascoltiamo. E un sacco di cose sulle quali riflettiamo. Ma non solo...

Quinto. – Ascoltiamo e osserviamo ugualmente le resistenze e le ribellioni che, benché taciute e dimenticate, non restano per questo meno essenziali nel tracciare delle piste per un’umanità che si rifiuta di seguire il sistema nella sua marcia forzata verso il crollo: il treno mortale del progresso che avanza, orgoglioso e impeccabile, in direzione del precipizio, mentre il macchinista dimentica che non è altro che un impiegato in più mentre crede ingenuamente di essere colui che decide il cammino allorché non fa che seguire, rinchiuso, i binari che lo portano all’abisso.

Resistenze e ribellioni che senza dimenticare le lacrime per le persone scomparse, s’intestano a lottare – chi l’avrebbe detto – per la cosa più sovversiva che ci sia in questi mondi divisi tra neoliberali e neoconservatori: la vita.

Resistenze e ribellioni che capiscono, ognuna a suo modo, con il suo ritmo e secondo la sua geografia, che le soluzioni non riposano sulla fede nei governi nazionali e che non le si può concepire protette da frontiere, né bardate di bandiere e di lingue diverse.

Resistenze e ribellioni che insegnano a tutti noi zapatisti che le soluzioni potrebbero trovarsi in basso, negli scantinati e nelle nicchie del mondo. Non nei palazzi di governo. Non negli uffici delle grandi imprese.

Resistenze e ribellioni che ci mostrano che se quelli in alto tagliano i ponti e fermano le frontiere, noi possiamo sempre navigare lungo i fiumi e i mari per incontrarci. Che la guarigione, se esiste, è mondiale; che porta il colore della terra, del lavoro che vive e che muore nelle strade e nei quartieri, nei mari e nel cielo, nelle montagne e nelle loro viscere. Che tutto, come il mais originario è fornito di numerosi colori, tonalità e sonorità.

Tutto ciò e ancora di più è quel che osserviamo e ascoltiamo. E ci vediamo e ci ascoltiamo per quello che siamo: un numero che non conta. Perché la vita non conta, non vende, non finisce in prima pagina, non entra nelle statistiche, non compete nei sondaggi, non trova apprezzamento sui social, non provoca, non rappresenta nessun capitale politico, nessuno stendardo di partito, nessuno scandalo alla moda. Chi si preoccupa che un piccolo, minuscolo gruppo di originari, d’indigeni, viva, vale a dire lotti?

Perché il fatto è che noi viviamo. Che nonostante i paramilitari, le pandemie, i megaprogetti, le menzogne, le calunnie e gli oblii, noi viviamo. Vale a dire che noi lottiamo.

E su questo noi riflettiamo: in che cosa continuiamo a lottare. Vale a dire in che cosa continuiamo a vivere. E pensiamo che durante tutti questi anni, abbiamo ricevuto l’abbraccio fraterno di persone del nostro paese e del resto del mondo. E pensiamo che se qui la vita resiste e che malgrado le difficoltà arriva a fiorire, è grazie a queste persone che hanno sfidato le distanze, le procedure, le frontiere, le differenze culturali e linguistiche. Grazie a tutti ma soprattutto alle donne, i calendari e le geografie sono stati sfidati e vinti.

Nelle montagne del Sud est messicano, tutti i mondi del mondo hanno incontrato e incontrano sempre un ascolto nei nostri cuori. La loro parola e la loro azione hanno alimentato la resistenza e la ribellione che non sono che la continuazione di quelle di nostri predecessori.

Delle persone con le scienze e le arti nel mirino hanno trovato il modo di abbracciarci e incoraggiarci, anche a distanza. Dei giornalisti, alternativi o no, che hanno precedentemente testimoniato della miseria e della morte, e sempre della dignità e della vita. Delle persone di tutte le professioni e di tutti i corpi di mestiere che, benché per noi sia molto ma per loro forse poca cosa, sono stati presenti e continuano a esserlo.

Noi pensiamo a tutto ciò nel nostro cuore collettivo ed è arrivato al nostro pensiero che sia ormai il momento per noi zapatisti di restituire la stessa attenzione all’ascolto, alla parola e alla presenza di questi mondi, vicini o lontani geograficamente.

Sesto. – Noi abbiamo dunque deciso questo:

Che è tempo di nuovo che danzino i cuori e che né la loro musica, né i loro passi siano quelli dei lamenti e della rassegnazione.

Che diverse delegazioni zapatiste, uomini, donne e altriE del colore della nostra terra, usciranno per percorrere il mondo. Che noi prenderemo la strada o che navigheremo fino alle terre, ai mari e ai cieli lontani, alla ricerca non della differenza, né della superiorità, né dello scontro, ma ancor meno del perdono e del rimpianto.

Partiremo alla ricerca di quel che ci rende uguali.

Non soltanto l’umanità che anima le nostre diverse pelli, le nostre diverse maniere, le nostre lingue e i nostri colori diversi. Anche e soprattutto, però, il sogno comune che condividiamo come specie da quando in quell’Africa che ci sembra così lontana, abbiamo cominciato a fare il nostro cammino, cullati in braccio alla prima donna: la ricerca della libertà che ha animato questo primo passo ... e che continua da allora il suo cammino.

Che la prima destinazione di questo viaggio planetario sarà il continente europeo.

Che navigheremo fino alle terre europee. Che lasceremo le terre messicane e leveremo l’ancora durante il mese di aprile del 2021.

Che dopo aver percorso diversi angoli dell’Europa a partire dal basso a sinistra arriveremo a Madrid, la capitale spagnola, il 13 agosto 2021 – 500 anni dopo la cosiddetta conquista di quello che è oggi il Messico. E che immediatamente dopo riprenderemo la strada.

Che parleremo al popolo spagnolo. Non per minacciarlo, non per rimproverarlo, insultarlo o reclamargli qualcosa. Non per esigere che ci chieda perdono. Non per servirlo né per servirci.

Diremo al popolo di Spagna due cose semplici:

1) Che non siamo stati conquistati. Che siamo sempre in resistenza e in ribellione.

2) Che non hanno motivo di domandare che perdoniamo loro niente. Basta giocare con il passato lontano per giustificare, con demagogia e ipocrisia, i crimini attuali e sempre in corso: l’assassinio di militanti, come i fratelli Samir Flores Soberanes; i genocidi camuffati dietro megaprogetti concepiti e realizzati per la soddisfazione del potente – lo stesso che flagella tutti gli angoli del pianeta –; il sostegno finanziario e l’impunità accordata ai paramilitari; la compera delle coscienze e delle dignità in cambio di qualche centesimo.

Noi zapatisti e zapatiste non vogliamo tornare a questo passato, né soli, né ancor meno guidati da quelli che cercano di seminare il rancore razziale, che pretendono alimentare il loro nazionalismo desueto con il sedicente splendore di un impero, l’impero azteco costruito con il sangue dei propri simili, e che pretendono di convincerci che con la caduta di questo impero, noi, popoli originari, siamo stati sconfitti.

Né lo Stato spagnolo né la Chiesa cattolica devono domandarci perdono di nulla. Noi non faremo l’eco ai furfanti che si ergono sul nostro sangue cercando così di nascondere che ne sono sporchi.

Di che cosa la Spagna potrebbe domandarci perdono? Di aver dato i natali a Cervantes? José Espronceda ? León Felipe ? Federico García Lorca ? Manuel Vázquez Montalbán ? Miguel Hernández ? Pedro Salinas ? Antonio Machado ? Lope de Vega ? Bécquer ? Almudena Grandes ? Panchito Varona, Ana Belén, Sabina, Serrat, Ibáñez, Llach, Amparanoia, Miguel Ríos, Paco de Lucía, Víctor Manuel, Luis Eduardo Aute per sempre? Buñuel, Almodóvar e Agrado, Saura, Fernán Gómez, Fernando León, Bardem ? Dalí, Mirò, Goya, Picasso, el Greco e Velázquez ? Di una parte del miglior pensiero critico mondiale segnato dalla"A" libertaria? Della Repubblica? Dell’esilio? Del fratello maya Gonzalo Guerrero?

Di che cosa la Chiesa cattolica potrebbe domandarci perdono? Del passaggio di Bartolomeo de las Casas? Di Don Samuel Ruiz García? Di Arturo Lona? Di Sergio Méndez Arceo? Della sorella Chapis? Di quei preti, sorelle religiose e secolari che hanno camminato insieme agli autoctoni senza dirigerli né soppiantarli? Di quelle persone che rischiano la loro libertà e la loro vita per difendere i diritti umani?

L’anno 2021 sarà quello dei venti anni della Marcia del colore della Terra che abbiamo realizzato, insieme ai popoli fratelli del Congresso nazionale indigeno, per reclamare un posto in questa nazione che oggi crolla.

Venti anni dopo, navigheremo e cammineremo per dire al pianeta che nel mondo che noi percepiamo nel nostro cuore collettivo, c’è posto per tutte e per tutti gli altri. Molto semplicemente perché questo mondo è possibile soltanto se tutti quanti insieme, nessuno escluso, lottiamo per metterlo in piedi.

Le delegazioni zapatiste saranno formate in maggioranza da donne. Non solo perché in questo modo esse vogliono rendere l’abbraccio che hanno ricevuto durante gli incontri internazionali anteriori. Anche e soprattutto perché noi uomini zapatisti facciamo chiaramente sapere che siamo quel che siamo e non siamo quel che non siamo grazie a loro, le donne, per loro e con loro.

Noi invitiamo il Congresso nazionale indigeno – Consiglio indigeno di governo a formare una delegazione per accompagnarci e che sia così più ricca la nostra parola per l’altro che lotta lontano. Invitiamo particolarmente una delegazione di popoli che ricordano il nome, l’immagine e il sangue del fratello Samir Flores Soberanes, affinché il suo dolore, la sua rabbia, la sua lotta e la sua resistenza arrivino più lontano.

Invitiamo le persone che hanno per vocazione, impegno e orizzonte le arti e le scienze, ad accompagnare a distanza le nostre navigazioni e i nostri passi. Che in questo modo ci aiutino a diffondere che nelle scienze e nelle arti riposa la possibilità, non solo della sopravvivenza dell’umanità, ma anche di un mondo nuovo.

In sintesi: noi partiamo per l’Europa nell’aprile 2021. La data e l’ora? Non le sappiamo ancora.

 

 

Compañeras, compañeros, compañer@s; sœurs, frères, et frœurs,

Questa é la nostra volontà:

Di fronte alla potenza dei treni, le nostre canoe.

Di fronte alle centrali termoelettriche, i lumicini che le donne zapatiste hanno affidato alle donne in lotta nel mondo intero.

Di fronte ai muri e alle frontiere, la nostra navigazione collettiva.

Di fronte al grande capitale, un campo in comune.

Di fronte alla distruzione del pianeta, una montagna che naviga all’alba.

Noi zapatisti siamo portatrici e portatori del virus della resistenza e della ribellione. In conseguenza andremo sui cinque continenti. Es todo par ahora. Per ora è tutto.

Dalle montagne del Sud est messicano. In nome delle donne, degli uomini e degli altri/e zapatisti.

Sottocomandante insorto Moises. Messico, ottobre 2020

P. S. – Sì, è la sesta parte e, come il viaggio, si svolgerà a rovescio. Vale a dire che seguirà la quinta parte, poi la quarta, la terza, seguita dalla seconda prima di terminare con la prima.

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/10/09/sixieme-partie-une-montagne-en-haute-mer/

 

Une montagne en haute mer






Communiqué du Comité clandestin révolutionnaire indigène

Commandement général de l'Armée zapatiste de libération nationale.

Mexique, 5 octobre 2020

 

Au Congrès national indigène-Conseil indigène de gouvernement, à la Sexta nationale et internationale, aux Réseaux de résistance et de rébellion, aux personnes honnêtes qui résistent dans tous les coins de la planète,

Nous, peuples originaires de racine maya et zapatistes, nous vous saluons et vous disons ce qui est venu à notre pensée commune, en accord avec ce que nous voyons, entendons et ressentons.

Premièrement. - Nous voyons et écoutons un monde malade dans sa vie sociale, fragmenté en des millions de personnes étrangères les unes aux autres , accrochées à leur survie individuelle, mais unies sous l'oppression d'un système prêt à tout pour assouvir sa soif de profit, même lorsqu'il est clair que sa voie va à l'encontre de l'existence de la planète Terre.

L'aberration du système et sa stupide défense du "progrès" et de la "modernité" se heurtent à une réalité criminelle: les féminicides. L'assassinat de femmes n'a ni couleur ni nationalité, il est mondial. S'il est absurde et insensé que quelqu'un soit poursuivi, enlevé, assassiné en raison de la couleur de sa peau, de sa race, de sa culture, de ses croyances, on ne peut pas croire que le fait d'être une femme équivaille à une sentence de marginalisation et de mort.

Dans cette escalade prévisible (harcèlement, violence physique, mutilation et meurtre), et avec laval d'une impunité structurelle ("elle le méritait", "elle avait des tatouages", "que faisait-elle dans ce endroit-là à ce moment-là?", "dans cette tenue, il fallait s'y attendre"), les meurtres de femmes n'ont pas d'autre logique criminelle que celle du système. De différentes couches sociales, de différentes races, d'âges allant de la petite enfance à la vieillesse, et dans des géographies très éloignées les unes des autres, la seule constante est le genre. Et le système est incapable d'expliquer pourquoi cela va de pair avec son "développement" et son "progrès". Dans la révoltante statistique des décès, plus une société est "développée", plus le nombre de victimes est élevé dans cette authentique guerre de genres.

Et la "civilisation" semble nous dire, à nous les peuples autochtones : "La preuve de votre sous-développement réside dans votre faible taux de féminicide. Ayez vos mégaprojets, vos trains, vos centrales thermoélectriques, vos mines, vos barrages, vos centres commerciaux, vos magasins d'électroménager - avec une chaîne de télévision incluse – et apprenez à consommer. Soyez comme nous. Pour payer la dette de cette aide progressiste, vos terres, vos eaux, vos cultures, vos dignités ne suffisent pas. Il faut y ajouter la vie des femmes.

Deuxièmement.- Nous voyons et écoutons la nature blessée à mort qui, dans son agonie, avertit l'humanité que le pire est encore à venir. Chaque catastrophe "naturelle" annonce la suivante et oublie comme par hasard que c'est l'action d'un système humain qui en est la cause.

La mort et la destruction ne sont plus désormais une chose lointaine, limitée par des frontières, respectant les douanes et les conventions internationales. La destruction, dans n'importe quel coin du monde, a des répercussions sur toute la planète.

Troisièmement.- Nous voyons et écoutons les puissants battre en retraite et se cacher derrière les soi-disant Etats-Nation et leurs murs. Et, dans cet impossible bond en arrière, ils ravivent des nationalismes fascistes, des chauvinismes ridicules et des discours assourdissants. Face à cela, nous attirons l'attention sur les possibles guerres à venir : celles qui se nourrissent d'histoires fausses, creuses et mensongères, et qui convertissent nationalités et races en suprématies imposées par le biais de la mort et de la destruction. Dans les différents pays, le conflit se joue entre les contremaîtres et ceux qui aspirent à leur succéder, masquant le fait que le patron, le maître, le petit chef reste le même, et qu'il n'a pas d'autre nationalité que celle de l'argent. Pendant ce temps, les organismes internationaux dépérissent et se réduisent à de simples sigles, tels des pièces de musée - voire même pas cela.

Au milieu de l'obscurité et de la confusion qui précèdent ces guerres, nous écoutons et observons comment toute lueur de créativité, d'intelligence et de rationalité est attaquée, assiégée et persécutée. Face à la pensée critique, les puissants requièrent, exigent et imposent leurs fanatismes. La mort qu'ils plantent, cultivent et récoltent n'est pas seulement la mort physique ; elle comprend également l'extinction de l'universalité propre à l'humanité - l'intelligence -, ses avancées et ses réalisations. De nouveaux courants ésotériques renaissent ou sont créés, laïques ou non, déguisés en modes intellectuelles ou en pseudosciences ; et on prétend inféoder les arts et les sciences à des militantismes politiques.

Quatrièmement.- La pandémie de COVID 19 a montré non seulement les vulnérabilités de l'être humain, mais aussi l'avidité et la stupidité des différents gouvernements nationaux et de leurs soi-disant oppositions.

Les mesures du plus élémentaire bon sens ont été méprisées, en pariant toujours que la pandémie serait de courte durée. Lorsque l'avancée de la maladie a pris des proportions toujours plus importantes, les chiffres ont commencé à se substituer aux tragédies. La mort a ainsi été convertie en un chiffre noyé quotidiennement au milieu des scandales et des déclarations. Un comparatif morbide entre des nationalismes ridicules. La moyenne des buts et des reprises de dribbles, pour déterminer quelle est la pire ou la meilleure équipe, la meilleure nation.

Comme le précise l'un des textes précédents, au sein du zapatisme nous avons opté pour la prévention et l'application de mesures sanitaires qui avaient alors été prises suite à la consultation de scientifiques qui nous ont guidés et nous ont offert leur aide, sans aucune hésitation. Nous, les peuples zapatistes, leur en sommes reconnaissants et nous avons voulu le démontrer ainsi. Après 6 mois d'application de ces mesures (masques ou équivalents pour se couvrir la bouche, distance entre les personnes, cessation des contacts personnels directs avec les zones urbaines, quarantaine de 15 jours pour les personnes ayant pu avoir été en contact avec des personnes infectées, lavage fréquent à l'eau et au savon), nous regrettons le décès de 3 camarades qui présentaient deux ou plusieurs symptômes associés au Covid 19 et qui avaient eu un contact direct avec des personnes infectées.

Huit autres compañeros et une compañera, morts pendant cette période, présentaient un des symptômes. Comme nous ne sommes pas en mesure de réaliser des tests, nous assumons qu'un total de 12 compañer@s sont morts à cause du Corona virus (des scientifiques nous ont conseillé d'assumer le fait que toute difficulté respiratoire serait due au Covid 19). Ces 12 disparitions relèvent de notre responsabilité. Ce n'est pas la faute de la 4T |note: "Quatrième Transformation", nom donné par la propagande de Lopez Obrador à son mandat] ni de l'opposition, ni des néolibéraux ni des néoconservateurs, ni des conspirations ni de complots. Nous pensons plutôt que nous aurions dû prendre encore davantage de précautions.

Actuellement, avec la disparition de ces 12 compañer@s sur les épaules, nous améliorons dans toutes les communautés les mesures de prévention, avec le soutien à présent d'organisations non gouvernementales et de scientifiques qui, à titre individuel ou collectif, nous guident quant à la manière de mieux nous préparer pour affronter une possible résurgence. Des dizaines de milliers de masques (conçus spécialement afin qu'un probable porteur de virus ne puisse pas contaminer d'autres personnes, à bas prix, réutilisables et adaptés aux circonstances) ont été distribués dans toutes les communautés. D'autres dizaines de milliers sont fabriqués dans les ateliers de broderie et de couture des insurgé.e.s et dans les villages. L'emploi massif des masques, les quarantaines de deux semaines pour celleux qui pourraient être infecté.e.s, la distance et le lavage récurrent des mains et du visage avec de l'eau et du savon, ainsi que le fait d'éviter dans la mesure du possible d'aller dans les villes sont des mesures recommandées également aux frères et sœurs membres des partis politiques, afin de contenir la diffusion des contagions et de permettre le maintien de la vie communautaire.

Le détail précis de notre stratégie passée et actuelle pourra être consulté au moment venu. Pour le moment nous disons, avec le souffle de vie parcourant nos corps, que, selon notre bilan (sur lequel nous pouvons probablement nous tromper), le fait d'affronter la menace en tant que communauté et non comme un problème individuel, ainsi que le fait de diriger notre effort principal en direction de la prévention nous permettent de dire, en tant que peuples zapatistes: nous sommes là; nous résistons, nous vivons, nous luttons.

Et aujourd'hui, dans le monde entier, le grand capital prétend faire retourner les gens dans les rues pour leur faire réassumer leur condition de consommateurs et de consommatrices. Parce que les problèmes qui les préoccupent, ce sont ceux du Marché: la léthargie dans la consommation de marchandises.

Il faut retourner dans les rues, oui, mais pour lutter. Parce que, comme nous l'avons dit précédemment, la vie, la lutte pour la vie, ce n'est pas un problème individuel, mais collectif. Et maintenant on se rend compte que ce n'est pas non plus un problème de nationalités, c'est un problème mondial.

Il y a plein de choses de cet ordre que nous observons et que nous écoutons. Et plein sur lesquelles nous réfléchissons. Mais pas seulement...

Cinquièmement.- Nous écoutons et observons également les résistances et les rébellions qui, bien qu'elles soient tues et oubliées, n'en demeurent pas moins essentielles, traçant des pistes pour une humanité qui se refuse à suivre le système dans sa marche forcée vers l'effondrement : le train mortel du progrès qui avance, orgueilleux et impeccable en direction du précipice, tandis que le machiniste oublie qu'il n'est qu'un employé de plus et croit naïvement que c'est lui qui décide du chemin, alors qu'il ne fait que suivre, enfermé, les rails qui le mènent à l'abysse.

Des résistances et des rébellions qui, sans oublier les pleurs pour les personnes disparues, s'acharnent à lutter pour - qui le dirait -, la chose la plus subversive qu'il y ait en ces mondes divisés entre néolibéraux et néoconservateurs : la vie.

Des résistances et des rébellions qui comprennent, chacune à leur manière, à leur rythme et selon leur géographie, que les solutions ne reposent pas sur la foi dans les gouvernements nationaux, et que ce n'est pas protégées par des frontières ni vêtues de drapeaux et de langues différentes qu'elles se conçoivent.

Des résistances et des rébellions qui nous apprennent à nous, tous et toutes, zapatistes, que les solutions pourraient se trouver en bas, dans les soubassements et les recoins du monde. Pas dans les palais gouvernementaux. Pas dans les bureaux des grandes entreprises.

Des résistances et des rébellions qui nous montrent que, si ceux d'en haut coupent les ponts et ferment les frontières, nous pouvons toujours naviguer le long des rivières et des mers pour nous rencontrer. Que la guérison, si elle existe, est mondiale ; qu'elle porte la couleur de la terre, du travail qui vit et qui meurt dans les rues et les quartiers, dans les mers et dans le ciel, dans les montagnes et dans leurs entrailles. Que, tout comme le maïs originaire, nombreuses sont ses couleurs, ses tonalités et ses sonorités.

Tout cela, et plus encore, c'est ce que nous observons et ce que nous écoutons. Et nous nous voyons et nous nous écoutons comme ce que nous sommes : un nombre qui ne compte pas. Parce que la vie ne compte pas, elle ne vend pas, elle ne fait pas la une des journaux, elle n'entre pas dans les statistiques, elle n'entre pas en compétition dans les sondages, elle n'a pas d'appréciation sur les réseaux sociaux, elle ne provoque pas, elle ne représente aucun capital politique, aucun drapeau de parti, aucun scandale à la mode. Qui se soucie qu'un petit, minuscule groupe d'originaires, d'indigènes vive, c'est-à-dire lutte?

Parce qu'il se trouve que nous vivons. Que malgré les paramilitaires, les pandémies, les mégaprojets, les mensonges, les calomnies et les oublis, nous vivons. C'est-à-dire que nous luttons.

Et là dessus nous réfléchissons: en quoi continuons-nous à lutter. C'est-à-dire en quoi continuons-nous à vivre. Et nous pensons que durant toutes ces années, nous avons reçu l'embrassade fraternelle de personnes de notre pays et du reste du monde. Et nous pensons que si la vie résiste ici et que malgré les difficultés elle arrive à fleurir, c'est grâce à ces personnes qui ont défié les distances, les démarches, les frontières et les différences culturelles et linguistiques. Grâce à elles, à eux, à elleux - mais surtout grâce à elles -, les calendriers et les géographies ont été défiés et mis en échec.

Dans les montagnes du Sud-est mexicain, tous les mondes du monde ont rencontré et rencontrent toujours une écoute dans nos cœurs. Leur parole et leur action ont alimenté la résistance et la rébellion, qui ne sont que la continuation de celles de nos prédécesseurs.

Des personnes avec les sciences et les arts pour chemin ont trouvé la manière de nous embrasser et de nous encourager, même à distance. Des journalistes, bobos ou non, qui auparavant ont témoigné de la misère et de la mort, et toujours de la dignité et de la vie. Des personnes de toutes les professions et de tous les corps de métier qui, bien que ce soit beaucoup pour nous et peut-être pas grand-chose pour elles et pour eux, ont été là, et continuent à l'être.

Et nous pensons à tout cela dans notre cœur collectif, et il est arrivé à notre pensée que c'est le moment désormais pour que nous, zapatistes, nous rendions la pareille à l'écoute, à la parole et à la présence de ces mondes, proches ou lointains par la géographie.

Sixièmement.- Et nous avons décidé cela:

Qu'il est temps de nouveau que dansent les cœurs, et que ni leur musique, ni leurs pas ne soient ceux des lamentations et de la résignation.

Que différentes délégations zapatistes, hommes, femmes et autrEs de la couleur de notre terre, nous allons sortir pour parcourir le monde. Que nous prendrons la route ou que nous naviguerons jusqu'aux terres, aux mers et aux ciels lointains, à la recherche non pas de la différence, ni de la supériorité, ni de l'affrontement, et encore moins du pardon et du regret.

Nous partirons à la recherche de ce qui nous rend égaux.

Non seulement l'humanité qui anime nos différentes peaux, nos différentes manières, nos langues et nos couleurs diverses. Mais aussi, et surtout, le rêve commun que nous partageons en tant qu'espèce, depuis que dans cette Afrique qui nous parait lointaine, nous avons commencé à faire notre chemin, bercés sur les genoux de la première femme : la recherche de la liberté, qui a animé ce premier pas... et qui continue depuis à faire son chemin.

Que la première destination de ce voyage planétaire sera le continent européen.

Que nous naviguerons jusqu'aux terres européennes. Que nous quitterons les terres mexicaines et lèverons l'ancre durant le mois d'avril de l'an 2021.

Que, après avoir parcouru différents recoins de l'Europe d'en bas à gauche, nous arriverons à Madrid, la capitale espagnole, le 13 août 2021 - 500 ans après la soi-disant conquête de ce qui est aujourd'hui le Mexique. Et que, immédiatement après, nous reprendrons la route.

Que nous parlerons au peuple espagnol. Pas pour le menacer, ni pour lui faire des reproches, l'insulter ou exiger de lui quelque chose. Pas pour lui exiger qu'il nous demande pardon. Pas pour le servir, ni pour nous servir.

Nous irons dire au peuple d'Espagne deux choses simples:

Un: Que nous n'avons pas été conquis. Que nous sommes toujours en résistance et en rébellion.

Deux: Qu'ils n'ont pas de raison de demander qu'on leur pardonne quoi que ce soit. Il y en a marre que l'on joue avec le passé lointain pour justifier, avec démagogie et hypocrisie, les crimes actuels et toujours en cours : l'assassinat de militants, comme le frère Samir Flores Soberanes ; les génocides camouflés derrière des mégaprojets, conçus et réalisés pour la satisfaction du puissant - celui-là même qui flagelle tous les recoins de la planète - ; le soutien financier et l'impunité accordée aux paramilitaires ; l'achat des consciences et des dignités avec quelques centimes.

Nous autrEs, les zapatistes, nous NE voulons PAS retourner à ce passé, ni seuls, ni encore moins guidés par ceux qui cherchent à semer la rancœur raciale, qui prétendent alimenter leur nationalisme désuet avec la soi-disant splendeur d'un empire, l'empire aztèque, construit sur le sang de ses semblables, et qui prétendent nous convaincre qu'avec la chute de cet empire, nous, les peuples originaires, avons été vaincus.

Ni l'État espagnol ni l'Église catholique n'ont à nous demander pardon de quoi que ce soit. Nous ne nous ferons pas l'écho des marioles qui se dressent sur notre sang et qui cherchent ainsi à cacher que leurs mains en sont souillées.

De quoi l'Espagne va-t-elle nous demander pardon ? D'avoir enfanté Cervantès ? José Espronceda ? León Felipe ? Federico García Lorca ? Manuel Vázquez Montalbán ? Miguel Hernández ? Pedro Salinas ? Antonio Machado ? Lope de Vega ? Bécquer ? Almudena Grandes ? Panchito Varona, Ana Belén, Sabina, Serrat, Ibáñez, Llach, Amparanoia, Miguel Ríos, Paco de Lucía, Víctor Manuel, Luis Eduardo Aute pour toujours ? Buñuel, Almodóvar et Agrado, Saura, Fernán Gómez, Fernando León, Bardem ? Dalí, Miró, Goya, Picasso, el Greco et Velázquez ? D'une partie du meilleur de la pensée critique mondiale, estampillée du "A" libertaire? De la République? De l'exil? Du frère maya Gonzalo Guerrero?

De quoi l'Église catholique va-t-elle nous demander pardon ? Du passage de Bartolomé de las Casas ? De Don Samuel Ruiz García ? D'Arturo Lona? De Sergio Méndez Arceo ? De la sœur Chapis ? De celui des prêtres, des sœurs religieuses et des séculiers qui ont cheminé aux côtés des autochtones, sans les diriger ni les supplanter ? De celui des personnes qui risquent leur liberté et leur vie pour défendre les droits humains ?

L'année 2021 sera celle des 20 ans de la Marche de la couleur de la Terre, que nous avons réalisée, aux côtés des peuples frères du Congrès national indigène, afin de réclamer une place dans cette nation qui s'écroule aujourd'hui.

Vingt ans après, nous naviguerons et nous cheminerons pour dire à la planète que, dans le monde que nous percevons dans notre cœur collectif, il y a de la place pour toutes, tous, touTEs. Tout simplement parce que ce monde n'est possible que si toutes, tous, touTEs, nous luttons pour le mettre debout.

Les délégations zapatistes seront formées majoritairement par des femmes. Pas seulement parce que de cette manière elles veulent rendre l'embrassade qu'elles ont reçue durant les rencontres internationales antérieures. Aussi, et surtout, pour que les hommes zapatistes, nous faisions clairement savoir que nous sommes ce que nous sommes, et nous ne sommes pas ce que nous ne sommes pas, grâce à elles, pour elles, et avec elles.

Nous invitons le Congrès national indigène - Conseil indigène de gouvernement à former une délégation pour nous accompagner et que soit ainsi plus riche notre parole pour l'autre qui lutte au loin. Nous invitons tout spécialement une délégation des peuples qui lèvent le nom, l'image et le sang du frère Samir Flores Soberanes, pour que sa douleur, sa rage, sa lutte et sa résistance arrivent plus loin.

Nous invitons les personnes qui ont pour vocation, engagement et horizon les arts et les sciences, à accompagner à distance nos navigations et nos pas. Et qu'ainsi elles nous aident à diffuser que c'est dans les sciences et les arts que repose la possibilité, non seulement de la survie de l'humanité, mais aussi d'un monde nouveau.

En résumé: nous partons pour l'Europe en avril de l'an 2021. La date et l'heure? On ne la connait pas... encore.

Compañeras, compañeros, compañer@s; sœurs, frères, et frœurs,

Ceci est notre volonté:

Face à la puissance des trains, nos canoës.

Face aux centrales thermoélectriques, les petites lueurs que les femmes zapatistes ont confié aux femmes en lutte dans le monde entier.

Face aux murs et aux frontières, notre navigation collective.

Face au grand capital, un champ en commun.

Face à la destruction de la planète, une montagne naviguant au petit matin.

Nous sommes zapatistes, porteur.E.s du virus de la résistance et de la rébellion. En conséquence, nous irons sur les 5 continents. Es todo por ahora. C'est tout... pour l'instant.

Depuis les montagnes du Sud-est mexicain. Au nom des femmes, des hommes et des autrEs zapatistes. Sous-commandant insurgé Moisés. Mexique, octobre 2020.

P.D.- Oui, c'est la sixième partie et, comme le voyage, ça se déroulera en sens inverse. C'est-à-dire que suivra la cinquième partie, ensuite la quatrième, puis la troisième, suivie de la seconde avant de terminer par la première.

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/10/09/sixieme-partie-une-montagne-en-haute-mer/