Comunicato del Comitato clandestino
rivoluzionario indigeno
Comando generale dell’esercito zapatista di
liberazione nazionale
Messico 5 ottobre 2020
Al Congresso
nazionale indigeno-Consiglio indigeno di governo, alla sesta nazionale e internazionale,
alle reti di resistenza e di ribellione, alle persone oneste che resistono in
tutti gli angoli del pianeta,
Noi,
popoli originari di radice maya e zapatista, vi salutiamo e vi diciamo quel che
è venuto fuori dal nostro pensiero comune, in accordo con quel che vediamo,
intendiamo e sentiamo.
Primo. – Noi vediamo e ascoltiamo un
mondo malato nella sua vita sociale, frammentato in milioni di persone
straniere le une alle altre, attaccate alla loro sopravvivenza individuale, ma
unite sotto l’oppressione di un sistema pronto a tutto per soddisfare la sua
sete di profitto quando è chiaro che il suo cammino va contro l’esistenza del
pianeta Terra.
L’aberrazione
del sistema e la sua stupida difesa del “progresso” e della “modernità” si
urtano a una realtà criminale: i femminicidi. L’omicidio di donne non ha colore
né nazionalità, è mondiale. Se è assurdo e insensato che qualcuno sia
perseguito, rapito, assassinato per il colore della pelle, l’etnia, la cultura,
le credenze, non si può credere che il fatto di essere donna equivalga a una
sentenza di marginalizzazione e di morte.
In
questa escalation prevedibile (le
vessazioni, la violenza fisica, le mutilazioni e l’omicidio), e con l’avallo di
un’impunità strutturale (“se lo meritava”, “aveva dei tatuaggi”, “ che cosa
faceva in quel posto a quell’ora?”, “ Con quella tenuta c’era da
aspettarselo”), gli omicidi di donne non hanno altra logica criminale che
quella del sistema. Di diversi strati sociali, di diverse etnie, dall’età
infantile alla vecchiaia e in situazioni geografiche lontanissime tra loro, la
sola costante è il genere. E il sistema è incapace di spiegare perché ciò vada
di pari passo con il suo “sviluppo” e con il suo “progresso”. Nella rivoltante
statistica dei decessi, più una società è sviluppata più è elevato il numero di
vittime in quest’autentica guerra di generi.
La
“civiltà” sembra dire a noi, popoli autoctoni: “La prova del vostro
sottosviluppo sta nel vostro basso tasso di femminicidio. Abbiate i vostri
megaprogetti, le vostre centrali termoelettriche, le vostre miniere, le vostre
dighe, i vostri centri commerciali, i vostri negozi di elettrodomestici – con
un canale televisivo incluso – e imparate a consumare. Siate come noi. Per
pagare il debito di quest’aiuto progressista, le vostre terre, la vostra acqua,
le vostre culture, le vostre dignità non bastano. Bisogna aggiungervi la vita
delle donne.
Secondo. – Noi vediamo e sentiamo la
natura ferita a morte che, nella sua agonia, avverte l’umanità che il peggio
deve ancora venire. Ogni catastrofe “naturale” annuncia la seguente e
dimentica, guarda caso, che è l’azione di un sistema umano che ne è la causa.
La
morte e la distruzione non sono più, ormai, una cosa lontana, limitata da
frontiere, rispettosa delle dogane e delle convenzioni internazionali. La
distruzione, in qualunque angolo del mondo, ha ripercussioni su tutto il
pianeta.
Terzo. – Vediamo e ascoltiamo i potenti
battere in ritirata e nascondersi dietro i sedicenti Stati-nazione e i loro
muri. In questo impossibile balzo all’indietro, ravvivano dei nazionalismi
fascisti, degli sciovinismi ridicoli e dei discorsi assordanti. Di fronte a
ciò, attiriamo l’attenzione sulle possibili guerre future: quelle che si nutrono
di storie false, vuote e menzognere e che convertono nazionalità ed etnie in
supremazie imposte con la morte e la distruzione. Nei diversi paesi, il
conflitto si gioca tra i capisquadra e quanti aspirano a prenderne il posto, occultando
che il padrone, il signore, il capetto resta lo stesso e non ha altra
nazionalità che quella del denaro. Nel frattempo gli organismi internazionali
deperiscono e si riducono a semplici sigle, come pezzi da museo o neppure
quelli.
In
mezzo all’oscurità e alla confusione che precedono queste guerre, ascoltiamo e
osserviamo come ogni bagliore di creatività, d’intelligenza e di razionalità
sia attaccato, assediato, perseguitato. Di fronte al pensiero critico, i
potenti richiedono, esigono e impongono i loro fanatismi. La morte che
piantano, coltivano e raccolgono non è soltanto la morte fisica, comprende
anche l’estinzione dell’universalità propria all’umanità – l’intelligenza – ,
le sue avanzate e le sue realizzazioni. Nuove correnti esoteriche, laiche o no,
rinascono o sono create, travestite da mode intellettuali o pseudoscienze,
mentre si pretende d’infeudare le arti e le scienze a dei militantismi
politici.
Quarto. – La pandemia di Covid 19 ha
mostrato non solo le vulnerabilità dell’essere umano, ma anche l’avidità e la stupidità
dei diversi governi nazionali e delle loro sedicenti opposizioni.
Le
misure del più elementare buon senso sono state disprezzate, scommettendo
sempre che la pandemia fosse di corta durata. Quando l’avanzare della malattia
ha preso proporzioni sempre più importanti, le cifre hanno cominciato a
sostituirsi alle tragedie. La morte è stata così convertita in una cifra affogata
quotidianamente in mezzo a scandali e dichiarazioni. Un paragone morboso tra
nazionalismi ridicoli. La media dei gol e dei dribbling per determinare quale sia
la peggiore o la migliore squadra, la nazione migliore.
Come
lo precisa uno dei testi precedenti, in seno allo zapatismo abbiamo scelto la
prevenzione e l’applicazione di misure sanitarie che erano state prese allora
in seguito alla consultazione di scienziati che ci hanno guidato e ci hanno
offerto il loro aiuto, senza alcuna esitazione. Noi, popoli zapatisti, siamo
loro riconoscenti e abbiamo voluto dimostrarlo così. Dopo sei mesi di
applicazione di queste misure (maschere o equivalenti per coprirsi la bocca,
distanziamento tra le persone, cessazione dei contatti personali diretti con le
zone urbane, quarantena di quindici giorni per le persone venute in contatto
con individui contagiati, lavaggio frequente all’acqua e sapone), lamentiamo il
decesso di tre compagni che presentavano due o più sintomi associati al Covid
19 e che avevano avuto un contatto diretto con persone contagiate.
Otto
altri compagni e una compagna, morti in questo periodo, presentavano uno dei
sintomi. Siccome non siamo in grado di realizzare dei test assumiamo che in
totale dodici compañer@s sono morti a causa del Coronavirus (degli
scienziati ci hanno consigliato di decidere che ogni difficoltà respiratoria
sarebbe dovuta al Covid 19). Queste dodici dipartite sono imputabili alla
nostra responsabilità. Non è colpa della 4T [nota: “Quarta Trasformazione”,
nome dato dalla propaganda di Lopez Obrador al suo mandato presidenziale] né
dell’opposizione, né dei neoliberali né dei neoconservatori, né delle
cospirazioni, né di complotti. Noi pensiamo piuttosto che avremmo dovuto
prendere precauzioni ancora maggiori.
Adesso, con la scomparsa di
questi dodici compañer@s sulle spalle, stiamo migliorando in tutte le comunità le misure di prevenzione, con il
sostegno attuale di organizzazioni non governative e di scienziati che, a
titolo individuale o collettivo, ci guidano sulla maniera per prepararci meglio
ad affrontare una possibile risorgenza. Decine di migliaia di maschere
(concepite espressamente in modo che un potenziale portatore non possa
infettare altre persone, a basso prezzo, riutilizzabili e adattate alle
circostanze) sono state distribuite in tutte le comunità. Altre decine di
migliaia sono fabbricate negli atelier di ricamo nei villaggi degli insorti e
delle insorte. L’impiego massivo di maschere, la quarantena di due settimane
per quanti potrebbero contrattare l’infezione, la distanza e il lavaggio
ricorrente di mani e volto con acqua e sapone, come anche il fatto di evitare
per quanto possibile di andare nelle città, sono misure ugualmente raccomandate
ai fratelli e sorelle membri dei partiti politici, al fine di contenere la
diffusione dei contagi e di permettere il sussistere della vita comunitaria.
Il
dettaglio preciso della nostra strategia passata e attuale potrà essere
consultato al momento venuto. Per ora noi diciamo, con il soffio di vita che
percorre il nostro corpo, che, secondo il nostro bilancio (sul quale possiamo
probabilmente sbagliare), il fatto di affrontare la minaccia in quanto comunità
e non come un problema individuale, cosi come il fatto di dirigere il nostro
sforzo principale in direzione della prevenzione, ci permettono di dire, in
quanto popoli zapatisti: ci siamo, resistiamo, viviamo e lottiamo.
Oggi,
nel mondo intero, il grande capitale pretende di far ritornare la gente in
strada per fare assumere loro la condizione di consumatori e consumatrici.
Perché i problemi che li preoccupano sono quelli del Mercato: la letargia nel
consumo di merci.
Bisogna
ritornare in strada, sì, ma per lottare. Perché come l’abbiamo detto in
precedenza, la vita, la lotta per la vita, non è un problema individuale, ma
collettivo. E ora ci si rende conto che non è più un problema di nazionalità, è
un problema mondiale.
Ci
sono sacchi di cose di quest’ordine che osserviamo e ascoltiamo. E un sacco di
cose sulle quali riflettiamo. Ma non solo...
Quinto. – Ascoltiamo e osserviamo
ugualmente le resistenze e le ribellioni che, benché taciute e dimenticate, non
restano per questo meno essenziali nel tracciare delle piste per un’umanità che
si rifiuta di seguire il sistema nella sua marcia forzata verso il crollo: il
treno mortale del progresso che avanza, orgoglioso e impeccabile, in direzione
del precipizio, mentre il macchinista dimentica che non è altro che un
impiegato in più mentre crede ingenuamente di essere colui che decide il
cammino allorché non fa che seguire, rinchiuso, i binari che lo portano
all’abisso.
Resistenze
e ribellioni che senza dimenticare le lacrime per le persone scomparse,
s’intestano a lottare – chi l’avrebbe detto – per la cosa più sovversiva che ci
sia in questi mondi divisi tra neoliberali e neoconservatori: la vita.
Resistenze
e ribellioni che capiscono, ognuna a suo modo, con il suo ritmo e secondo la
sua geografia, che le soluzioni non riposano sulla fede nei governi nazionali e
che non le si può concepire protette da frontiere, né bardate di bandiere e di
lingue diverse.
Resistenze
e ribellioni che insegnano a tutti noi zapatisti che le soluzioni potrebbero
trovarsi in basso, negli scantinati e nelle nicchie del mondo. Non nei palazzi
di governo. Non negli uffici delle grandi imprese.
Resistenze
e ribellioni che ci mostrano che se quelli in alto tagliano i ponti e fermano
le frontiere, noi possiamo sempre navigare lungo i fiumi e i mari per
incontrarci. Che la guarigione, se esiste, è mondiale; che porta il colore
della terra, del lavoro che vive e che muore nelle strade e nei quartieri, nei
mari e nel cielo, nelle montagne e nelle loro viscere. Che tutto, come il mais
originario è fornito di numerosi colori, tonalità e sonorità.
Tutto
ciò e ancora di più è quel che osserviamo e ascoltiamo. E ci vediamo e ci
ascoltiamo per quello che siamo: un numero che non conta. Perché la vita non
conta, non vende, non finisce in prima pagina, non entra nelle statistiche, non
compete nei sondaggi, non trova apprezzamento sui social, non provoca, non
rappresenta nessun capitale politico, nessuno stendardo di partito, nessuno
scandalo alla moda. Chi si preoccupa che un piccolo, minuscolo gruppo di
originari, d’indigeni, viva, vale a dire lotti?
Perché
il fatto è che noi viviamo. Che nonostante i paramilitari, le pandemie, i
megaprogetti, le menzogne, le calunnie e gli oblii, noi viviamo. Vale a dire che
noi lottiamo.
E
su questo noi riflettiamo: in che cosa continuiamo a lottare. Vale a dire in
che cosa continuiamo a vivere. E pensiamo che durante tutti questi anni,
abbiamo ricevuto l’abbraccio fraterno di persone del nostro paese e del resto
del mondo. E pensiamo che se qui la vita resiste e che malgrado le difficoltà
arriva a fiorire, è grazie a queste persone che hanno sfidato le distanze, le
procedure, le frontiere, le differenze culturali e linguistiche. Grazie a tutti
ma soprattutto alle donne, i calendari e le geografie sono stati sfidati e
vinti.
Nelle
montagne del Sud est messicano, tutti i mondi del mondo hanno incontrato e
incontrano sempre un ascolto nei nostri cuori. La loro parola e la loro azione
hanno alimentato la resistenza e la ribellione che non sono che la
continuazione di quelle di nostri predecessori.
Delle
persone con le scienze e le arti nel mirino hanno trovato il modo di
abbracciarci e incoraggiarci, anche a distanza. Dei giornalisti, alternativi o
no, che hanno precedentemente testimoniato della miseria e della morte, e
sempre della dignità e della vita. Delle persone di tutte le professioni e di
tutti i corpi di mestiere che, benché per noi sia molto ma per loro forse poca
cosa, sono stati presenti e continuano a esserlo.
Noi
pensiamo a tutto ciò nel nostro cuore collettivo ed è arrivato al nostro
pensiero che sia ormai il momento per noi zapatisti di restituire la stessa
attenzione all’ascolto, alla parola e alla presenza di questi mondi, vicini o
lontani geograficamente.
Sesto. – Noi abbiamo dunque deciso
questo:
Che
è tempo di nuovo che danzino i cuori e che né la loro musica, né i loro passi siano
quelli dei lamenti e della rassegnazione.
Che
diverse delegazioni zapatiste, uomini, donne e altriE del colore della nostra
terra, usciranno per percorrere il mondo. Che noi prenderemo la strada o che
navigheremo fino alle terre, ai mari e ai cieli lontani, alla ricerca non della
differenza, né della superiorità, né dello scontro, ma ancor meno del perdono e
del rimpianto.
Partiremo
alla ricerca di quel che ci rende uguali.
Non
soltanto l’umanità che anima le nostre diverse pelli, le nostre diverse maniere,
le nostre lingue e i nostri colori diversi. Anche e soprattutto, però, il sogno
comune che condividiamo come specie da quando in quell’Africa che ci sembra così
lontana, abbiamo cominciato a fare il nostro cammino, cullati in braccio alla
prima donna: la ricerca della libertà che ha animato questo primo passo ... e
che continua da allora il suo cammino.
Che
la prima destinazione di questo viaggio planetario sarà il continente europeo.
Che
navigheremo fino alle terre europee. Che lasceremo le terre messicane e
leveremo l’ancora durante il mese di aprile del 2021.
Che
dopo aver percorso diversi angoli dell’Europa a partire dal basso a sinistra
arriveremo a Madrid, la capitale spagnola, il 13 agosto 2021 – 500 anni dopo la
cosiddetta conquista di quello che è oggi il Messico. E che immediatamente dopo
riprenderemo la strada.
Che
parleremo al popolo spagnolo. Non per minacciarlo, non per rimproverarlo,
insultarlo o reclamargli qualcosa. Non per esigere che ci chieda perdono. Non
per servirlo né per servirci.
Diremo
al popolo di Spagna due cose semplici:
1)
Che non siamo stati conquistati. Che siamo sempre in resistenza e in
ribellione.
2)
Che non hanno motivo di domandare che perdoniamo loro niente. Basta giocare con
il passato lontano per giustificare, con demagogia e ipocrisia, i crimini
attuali e sempre in corso: l’assassinio di militanti, come i fratelli Samir
Flores Soberanes; i genocidi camuffati dietro megaprogetti concepiti e
realizzati per la soddisfazione del potente – lo stesso che flagella tutti gli
angoli del pianeta –; il sostegno finanziario e l’impunità accordata ai
paramilitari; la compera delle coscienze e delle dignità in cambio di qualche
centesimo.
Noi
zapatisti e zapatiste non vogliamo tornare a questo passato, né soli, né ancor
meno guidati da quelli che cercano di seminare il rancore razziale, che
pretendono alimentare il loro nazionalismo desueto con il sedicente splendore
di un impero, l’impero azteco costruito con il sangue dei propri simili, e che
pretendono di convincerci che con la caduta di questo impero, noi, popoli
originari, siamo stati sconfitti.
Né
lo Stato spagnolo né la Chiesa cattolica devono domandarci perdono di nulla.
Noi non faremo l’eco ai furfanti che si ergono sul nostro sangue cercando così
di nascondere che ne sono sporchi.
Di
che cosa la Spagna potrebbe domandarci perdono? Di aver dato i natali a Cervantes?
José Espronceda ? León Felipe ? Federico García Lorca ? Manuel Vázquez
Montalbán ? Miguel Hernández ? Pedro Salinas ? Antonio Machado ? Lope de Vega ?
Bécquer ? Almudena Grandes ? Panchito Varona, Ana Belén, Sabina, Serrat,
Ibáñez, Llach, Amparanoia, Miguel Ríos, Paco de Lucía, Víctor Manuel, Luis
Eduardo Aute per sempre? Buñuel, Almodóvar e Agrado, Saura, Fernán Gómez,
Fernando León, Bardem ? Dalí,
Mirò, Goya, Picasso, el Greco e Velázquez ? Di una parte del miglior pensiero
critico mondiale segnato dalla"A" libertaria? Della Repubblica?
Dell’esilio? Del fratello maya Gonzalo Guerrero?
Di
che cosa la Chiesa cattolica potrebbe domandarci perdono? Del passaggio di
Bartolomeo de las Casas? Di Don Samuel Ruiz García? Di Arturo Lona? Di Sergio
Méndez Arceo? Della sorella Chapis? Di quei preti, sorelle religiose e secolari
che hanno camminato insieme agli autoctoni senza dirigerli né soppiantarli? Di
quelle persone che rischiano la loro libertà e la loro vita per difendere i
diritti umani?
L’anno
2021 sarà quello dei venti anni della Marcia del colore della Terra che abbiamo
realizzato, insieme ai popoli fratelli del Congresso nazionale indigeno, per
reclamare un posto in questa nazione che oggi crolla.
Venti
anni dopo, navigheremo e cammineremo per dire al pianeta che nel mondo che noi
percepiamo nel nostro cuore collettivo, c’è posto per tutte e per tutti gli
altri. Molto semplicemente perché questo mondo è possibile soltanto se tutti
quanti insieme, nessuno escluso, lottiamo per metterlo in piedi.
Le
delegazioni zapatiste saranno formate in maggioranza da donne. Non solo perché in
questo modo esse vogliono rendere l’abbraccio che hanno ricevuto durante gli
incontri internazionali anteriori. Anche e soprattutto perché noi uomini
zapatisti facciamo chiaramente sapere che siamo quel che siamo e non siamo quel
che non siamo grazie a loro, le donne, per loro e con loro.
Noi
invitiamo il Congresso nazionale indigeno – Consiglio indigeno di governo a
formare una delegazione per accompagnarci e che sia così più ricca la nostra
parola per l’altro che lotta lontano. Invitiamo particolarmente una delegazione
di popoli che ricordano il nome, l’immagine e il sangue del fratello Samir
Flores Soberanes, affinché il suo dolore, la sua rabbia, la sua lotta e la sua
resistenza arrivino più lontano.
Invitiamo
le persone che hanno per vocazione, impegno e orizzonte le arti e le scienze,
ad accompagnare a distanza le nostre navigazioni e i nostri passi. Che in
questo modo ci aiutino a diffondere che nelle scienze e nelle arti riposa la
possibilità, non solo della sopravvivenza dell’umanità, ma anche di un mondo
nuovo.
In
sintesi: noi partiamo per l’Europa nell’aprile 2021. La data e l’ora? Non le
sappiamo ancora.
Compañeras,
compañeros, compañer@s; sœurs, frères, et frœurs,
Questa
é la nostra volontà:
Di
fronte alla potenza dei treni, le nostre canoe.
Di
fronte alle centrali termoelettriche, i lumicini che le donne zapatiste hanno
affidato alle donne in lotta nel mondo intero.
Di
fronte ai muri e alle frontiere, la nostra navigazione collettiva.
Di
fronte al grande capitale, un campo in comune.
Di
fronte alla distruzione del pianeta, una montagna che naviga all’alba.
Noi
zapatisti siamo
portatrici e portatori del virus della resistenza e della ribellione. In
conseguenza andremo sui cinque continenti. Es todo par ahora. Per ora è tutto.
Dalle
montagne del Sud est messicano. In nome delle donne, degli uomini e degli
altri/e zapatisti.
Sottocomandante insorto Moises. Messico, ottobre 2020
P.
S. – Sì, è la sesta parte e, come il viaggio, si svolgerà a rovescio. Vale a
dire che seguirà la quinta parte, poi la quarta, la terza, seguita dalla
seconda prima di terminare con la prima.
http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/10/09/sixieme-partie-une-montagne-en-haute-mer/
Une montagne en haute mer
Communiqué du Comité clandestin
révolutionnaire indigène
Commandement général de l'Armée
zapatiste de libération nationale.
Mexique, 5 octobre 2020
Au Congrès national indigène-Conseil indigène de gouvernement, à la Sexta
nationale et internationale, aux Réseaux de résistance et de rébellion, aux
personnes honnêtes qui résistent dans tous les coins de la planète,
Nous, peuples originaires de racine maya et zapatistes, nous vous saluons et
vous disons ce qui est venu à notre pensée commune, en accord avec ce que nous
voyons, entendons et ressentons.
Premièrement. - Nous voyons et écoutons un monde
malade dans sa vie sociale, fragmenté en des millions de personnes étrangères
les unes aux autres , accrochées à leur survie individuelle, mais unies sous l'oppression
d'un système prêt à tout pour assouvir sa soif de profit, même lorsqu'il est
clair que sa voie va à l'encontre de l'existence de la planète Terre.
L'aberration du système et sa stupide défense du "progrès" et de
la "modernité" se heurtent à une réalité criminelle: les féminicides.
L'assassinat de femmes n'a ni couleur ni nationalité, il est mondial. S'il est
absurde et insensé que quelqu'un soit poursuivi, enlevé, assassiné en raison de
la couleur de sa peau, de sa race, de sa culture, de ses croyances, on ne peut
pas croire que le fait d'être une femme équivaille à une sentence de
marginalisation et de mort.
Dans cette escalade prévisible (harcèlement, violence physique, mutilation et
meurtre), et avec l’aval d'une impunité
structurelle ("elle le méritait", "elle avait des tatouages",
"que faisait-elle dans ce endroit-là à ce moment-là?", "dans
cette tenue, il fallait s'y attendre"), les meurtres de femmes n'ont pas
d'autre logique criminelle que celle du système. De différentes couches sociales,
de différentes races, d'âges allant de la petite enfance à la vieillesse, et
dans des géographies très éloignées les unes des autres, la seule constante est
le genre. Et le système est incapable d'expliquer pourquoi cela va de pair avec
son "développement" et son "progrès". Dans la révoltante
statistique des décès, plus une société est "développée", plus le
nombre de victimes est élevé dans cette authentique guerre de genres.
Et la "civilisation" semble nous dire, à nous les peuples
autochtones : "La preuve de votre sous-développement réside dans votre
faible taux de féminicide. Ayez vos mégaprojets, vos trains, vos centrales thermoélectriques,
vos mines, vos barrages, vos centres commerciaux, vos magasins d'électroménager
- avec une chaîne de télévision incluse – et apprenez à consommer. Soyez comme
nous. Pour payer la dette de cette aide progressiste, vos terres, vos eaux, vos
cultures, vos dignités ne suffisent pas. Il faut y ajouter la vie des femmes.
Deuxièmement.- Nous voyons et écoutons la nature
blessée à mort qui, dans son agonie, avertit l'humanité que le pire est encore
à venir. Chaque catastrophe "naturelle" annonce la suivante et oublie
comme par hasard que c'est l'action d'un système humain qui en est la cause.
La mort et la destruction ne sont plus désormais une chose lointaine, limitée
par des frontières, respectant les douanes et les conventions internationales.
La destruction, dans n'importe quel coin du monde, a des répercussions sur
toute la planète.
Troisièmement.- Nous voyons et écoutons les puissants
battre en retraite et se cacher derrière les soi-disant Etats-Nation et leurs
murs. Et, dans cet impossible bond en arrière, ils ravivent des nationalismes
fascistes, des chauvinismes ridicules et des discours assourdissants. Face à
cela, nous attirons l'attention sur les possibles guerres à venir : celles qui se
nourrissent d'histoires fausses, creuses et mensongères, et qui convertissent
nationalités et races en suprématies imposées par le biais de la mort et de la
destruction. Dans les différents pays, le conflit se joue entre les
contremaîtres et ceux qui aspirent à leur succéder, masquant le fait que le
patron, le maître, le petit chef reste le même, et qu'il n'a pas d'autre
nationalité que celle de l'argent. Pendant ce temps, les organismes
internationaux dépérissent et se réduisent à de simples sigles, tels des pièces
de musée - voire même pas cela.
Au milieu de l'obscurité et de la confusion qui précèdent ces guerres, nous
écoutons et observons comment toute lueur de créativité, d'intelligence et de
rationalité est attaquée, assiégée et persécutée. Face à la pensée critique,
les puissants requièrent, exigent et imposent leurs fanatismes. La mort qu'ils
plantent, cultivent et récoltent n'est pas seulement la mort physique ; elle
comprend également l'extinction de l'universalité propre à l'humanité - l'intelligence
-, ses avancées et ses réalisations. De nouveaux courants ésotériques
renaissent ou sont créés, laïques ou non, déguisés en modes intellectuelles ou
en pseudosciences ; et on prétend inféoder les arts et les sciences à des
militantismes politiques.
Quatrièmement.- La pandémie de COVID 19 a montré non
seulement les vulnérabilités de l'être humain, mais aussi l'avidité et la stupidité
des différents gouvernements nationaux et de leurs soi-disant oppositions.
Les mesures du plus élémentaire bon sens ont été méprisées, en pariant toujours
que la pandémie serait de courte durée. Lorsque l'avancée de la maladie a pris
des proportions toujours plus importantes, les chiffres ont commencé à se
substituer aux tragédies. La mort a ainsi été convertie en un chiffre noyé
quotidiennement au milieu des scandales et des déclarations. Un comparatif
morbide entre des nationalismes ridicules. La moyenne des buts et des reprises
de dribbles, pour déterminer quelle est la pire ou la meilleure équipe, la
meilleure nation.
Comme le précise l'un des textes précédents, au sein du zapatisme nous avons
opté pour la prévention et l'application de mesures sanitaires qui avaient
alors été prises suite à la consultation de scientifiques qui nous ont guidés
et nous ont offert leur aide, sans aucune hésitation. Nous, les peuples
zapatistes, leur en sommes reconnaissants et nous avons voulu le démontrer
ainsi. Après 6 mois d'application de ces mesures (masques ou équivalents pour
se couvrir la bouche, distance entre les personnes, cessation des contacts
personnels directs avec les zones urbaines, quarantaine de 15 jours pour les
personnes ayant pu avoir été en contact avec des personnes infectées, lavage
fréquent à l'eau et au savon), nous regrettons le décès de 3 camarades qui
présentaient deux ou plusieurs symptômes associés au Covid 19 et qui avaient eu
un contact direct avec des personnes infectées.
Huit autres compañeros et une compañera, morts pendant cette période, présentaient
un des symptômes. Comme nous ne sommes pas en mesure de réaliser des tests,
nous assumons qu'un total de 12 compañer@s sont morts à cause du Corona virus
(des scientifiques nous ont conseillé d'assumer le fait que toute difficulté
respiratoire serait due au Covid 19). Ces 12 disparitions relèvent de notre
responsabilité. Ce n'est pas la faute de la 4T |note: "Quatrième
Transformation", nom donné par la propagande de Lopez Obrador à son mandat]
ni de l'opposition, ni des néolibéraux ni des néoconservateurs, ni des
conspirations ni de complots. Nous pensons plutôt que nous aurions dû prendre
encore davantage de précautions.
Actuellement, avec la disparition de ces 12 compañer@s sur les épaules, nous
améliorons dans toutes les communautés les mesures de prévention, avec le
soutien à présent d'organisations non gouvernementales et de scientifiques qui,
à titre individuel ou collectif, nous guident quant à la manière de mieux nous
préparer pour affronter une possible résurgence. Des dizaines de milliers de
masques (conçus spécialement afin qu'un probable porteur de virus ne puisse pas
contaminer d'autres personnes, à bas prix, réutilisables et adaptés aux circonstances)
ont été distribués dans toutes les communautés. D'autres dizaines de milliers
sont fabriqués dans les ateliers de broderie et de couture des insurgé.e.s et
dans les villages. L'emploi massif des masques, les quarantaines de deux
semaines pour celleux qui pourraient être infecté.e.s, la distance et le lavage
récurrent des mains et du visage avec de l'eau et du savon, ainsi que le fait
d'éviter dans la mesure du possible d'aller dans les villes sont des mesures
recommandées également aux frères et sœurs membres des partis politiques,
afin de contenir la diffusion des contagions et de permettre le maintien de la
vie communautaire.
Le détail précis de notre stratégie passée et actuelle pourra être consulté
au moment venu. Pour le moment nous disons, avec le souffle de vie parcourant
nos corps, que, selon notre bilan (sur lequel nous pouvons probablement nous
tromper), le fait d'affronter la menace en tant que communauté et non comme un
problème individuel, ainsi que le fait de diriger notre effort principal en
direction de la prévention nous permettent de dire, en tant que peuples zapatistes:
nous sommes là; nous résistons, nous vivons, nous luttons.
Et aujourd'hui, dans le monde entier, le grand
capital prétend faire retourner les gens dans les rues pour leur faire
réassumer leur condition de consommateurs et de consommatrices. Parce que les
problèmes qui les préoccupent, ce sont ceux du Marché: la léthargie dans la
consommation de marchandises.
Il faut retourner dans les rues, oui, mais pour lutter. Parce que, comme nous
l'avons dit précédemment, la vie, la lutte pour la vie, ce n'est pas un
problème individuel, mais collectif. Et maintenant on se rend compte que ce
n'est pas non plus un problème de nationalités, c'est un problème mondial.
Il y a plein de choses de cet ordre que nous observons et que nous écoutons.
Et plein sur lesquelles nous réfléchissons. Mais pas seulement...
Cinquièmement.- Nous écoutons et observons également
les résistances et les rébellions qui, bien qu'elles soient tues et oubliées,
n'en demeurent pas moins essentielles, traçant des pistes pour une humanité qui
se refuse à suivre le système dans sa marche forcée vers l'effondrement : le
train mortel du progrès qui avance, orgueilleux et impeccable en direction du précipice,
tandis que le machiniste oublie qu'il n'est qu'un employé de plus et croit
naïvement que c'est lui qui décide du chemin, alors qu'il ne fait que suivre,
enfermé, les rails qui le mènent à l'abysse.
Des résistances et des rébellions qui, sans oublier les pleurs pour les personnes
disparues, s'acharnent à lutter pour - qui le dirait -, la chose la plus
subversive qu'il y ait en ces mondes divisés entre néolibéraux et
néoconservateurs : la vie.
Des résistances et des rébellions qui comprennent, chacune à leur manière, à
leur rythme et selon leur géographie, que les solutions ne reposent pas sur la
foi dans les gouvernements nationaux, et que ce n'est pas protégées par des
frontières ni vêtues de drapeaux et de langues différentes qu'elles se conçoivent.
Des résistances et des rébellions qui nous apprennent à nous, tous et toutes,
zapatistes, que les solutions pourraient se trouver en bas, dans les
soubassements et les recoins du monde. Pas dans les palais gouvernementaux. Pas
dans les bureaux des grandes entreprises.
Des résistances et des rébellions qui nous montrent que, si ceux d'en haut coupent
les ponts et ferment les frontières, nous pouvons toujours naviguer le long des
rivières et des mers pour nous rencontrer. Que la guérison, si elle existe, est
mondiale ; qu'elle porte la couleur de la terre, du travail qui vit et qui
meurt dans les rues et les quartiers, dans les mers et dans le ciel, dans les
montagnes et dans leurs entrailles. Que, tout comme le maïs originaire,
nombreuses sont ses couleurs, ses tonalités et ses sonorités.
Tout cela, et plus encore, c'est ce que nous observons et ce que nous écoutons.
Et nous nous voyons et nous nous écoutons comme ce que nous sommes : un nombre
qui ne compte pas. Parce que la vie ne compte pas, elle ne vend pas, elle ne
fait pas la une des journaux, elle n'entre pas dans les statistiques, elle
n'entre pas en compétition dans les sondages, elle n'a pas d'appréciation sur
les réseaux sociaux, elle ne provoque pas, elle ne représente aucun capital
politique, aucun drapeau de parti, aucun scandale à la mode. Qui se soucie
qu'un petit, minuscule groupe d'originaires, d'indigènes vive, c'est-à-dire
lutte?
Parce qu'il se trouve que nous vivons. Que malgré les paramilitaires, les pandémies,
les mégaprojets, les mensonges, les calomnies et les oublis, nous vivons. C'est-à-dire
que nous luttons.
Et là dessus nous réfléchissons: en quoi continuons-nous à lutter. C'est-à-dire
en quoi continuons-nous à vivre. Et nous pensons que durant toutes ces années,
nous avons reçu l'embrassade fraternelle de personnes de notre pays et du reste
du monde. Et nous pensons que si la vie résiste ici et que malgré les
difficultés elle arrive à fleurir, c'est grâce à ces personnes qui ont défié
les distances, les démarches, les frontières et les différences culturelles et
linguistiques. Grâce à elles, à eux, à elleux - mais surtout grâce à elles -,
les calendriers et les géographies ont été défiés et mis en échec.
Dans les montagnes du Sud-est mexicain, tous les mondes du monde ont rencontré
et rencontrent toujours une écoute dans nos cœurs. Leur parole et leur action ont alimenté la résistance et la
rébellion, qui ne sont que la continuation de celles de nos prédécesseurs.
Des personnes avec les sciences et les arts pour chemin ont trouvé la manière
de nous embrasser et de nous encourager, même à distance. Des journalistes,
bobos ou non, qui auparavant ont témoigné de la misère et de la mort, et
toujours de la dignité et de la vie. Des personnes de toutes les professions et
de tous les corps de métier qui, bien que ce soit beaucoup pour nous et
peut-être pas grand-chose pour elles et pour eux, ont été là, et continuent à
l'être.
Et nous pensons à tout cela dans notre cœur collectif, et il est arrivé à notre pensée que c'est le moment
désormais pour que nous, zapatistes, nous rendions la pareille à l'écoute, à la
parole et à la présence de ces mondes, proches ou lointains par la géographie.
Sixièmement.- Et nous avons décidé cela:
Qu'il est temps de nouveau que dansent les cœurs, et que ni leur musique, ni
leurs pas ne soient ceux des lamentations et de la résignation.
Que différentes délégations zapatistes, hommes, femmes et autrEs de la couleur
de notre terre, nous allons sortir pour parcourir le monde. Que nous prendrons
la route ou que nous naviguerons jusqu'aux terres, aux mers et aux ciels
lointains, à la recherche non pas de la différence, ni de la supériorité, ni de
l'affrontement, et encore moins du pardon et du regret.
Nous partirons à la recherche de ce qui nous rend égaux.
Non seulement l'humanité qui anime nos différentes peaux, nos différentes manières,
nos langues et nos couleurs diverses. Mais aussi, et surtout, le rêve commun
que nous partageons en tant qu'espèce, depuis que dans cette Afrique qui nous
parait lointaine, nous avons commencé à faire notre chemin, bercés sur les
genoux de la première femme : la recherche de la liberté, qui a animé ce
premier pas... et qui continue depuis à faire son chemin.
Que la première destination de ce voyage planétaire sera le continent
européen.
Que nous naviguerons jusqu'aux terres européennes. Que nous quitterons les terres
mexicaines et lèverons l'ancre durant le mois d'avril de l'an 2021.
Que, après avoir parcouru différents recoins de l'Europe d'en bas à gauche,
nous arriverons à Madrid, la capitale espagnole, le 13 août
2021 - 500 ans après la soi-disant conquête de ce qui est aujourd'hui le Mexique. Et que, immédiatement après, nous
reprendrons la route.
Que nous parlerons au peuple espagnol. Pas pour le menacer, ni pour lui faire
des reproches, l'insulter ou exiger de lui quelque chose. Pas pour lui exiger
qu'il nous demande pardon. Pas pour le servir, ni pour nous servir.
Nous irons dire au peuple d'Espagne deux choses simples:
Un: Que nous n'avons pas été conquis. Que nous sommes toujours en résistance
et en rébellion.
Deux: Qu'ils n'ont pas de raison de demander qu'on leur pardonne quoi que ce
soit. Il y en a marre que l'on joue avec le passé lointain pour justifier, avec
démagogie et hypocrisie, les crimes actuels et toujours en cours : l'assassinat
de militants, comme le frère Samir Flores Soberanes ; les génocides camouflés
derrière des mégaprojets, conçus et réalisés pour la satisfaction du puissant -
celui-là même qui flagelle tous les recoins de la planète - ; le soutien
financier et l'impunité accordée aux paramilitaires ; l'achat des consciences
et des dignités avec quelques centimes.
Nous autrEs, les zapatistes, nous NE voulons PAS retourner à ce passé, ni seuls,
ni encore moins guidés par ceux qui cherchent à semer la rancœur raciale, qui prétendent alimenter leur
nationalisme désuet avec la soi-disant splendeur d'un empire, l'empire aztèque,
construit sur le sang de ses semblables, et qui prétendent nous convaincre
qu'avec la chute de cet empire, nous, les peuples originaires, avons été
vaincus.
Ni l'État espagnol ni l'Église catholique n'ont à nous demander pardon de quoi
que ce soit. Nous ne nous ferons pas l'écho des marioles qui se dressent sur
notre sang et qui cherchent ainsi à cacher que leurs mains en sont souillées.
De quoi l'Espagne va-t-elle nous demander pardon ? D'avoir enfanté Cervantès
? José Espronceda ? León
Felipe ? Federico García Lorca ? Manuel Vázquez Montalbán ? Miguel Hernández ?
Pedro Salinas ? Antonio Machado ? Lope de Vega ? Bécquer ? Almudena Grandes ?
Panchito Varona, Ana Belén, Sabina, Serrat, Ibáñez, Llach, Amparanoia, Miguel
Ríos, Paco de Lucía, Víctor Manuel, Luis Eduardo Aute pour toujours ? Buñuel,
Almodóvar et Agrado, Saura, Fernán Gómez, Fernando León, Bardem ? Dalí, Miró, Goya, Picasso, el Greco et
Velázquez ? D'une partie du meilleur de la pensée critique mondiale,
estampillée du "A" libertaire? De la République? De l'exil? Du frère
maya Gonzalo Guerrero?
De quoi l'Église catholique va-t-elle nous demander pardon ? Du passage de Bartolomé
de las Casas ? De Don Samuel Ruiz
García ? D'Arturo Lona? De Sergio Méndez Arceo ? De la sœur Chapis ? De celui des prêtres, des sœurs religieuses et des séculiers qui ont cheminé aux
côtés des autochtones, sans les diriger ni les supplanter ? De celui des personnes
qui risquent leur liberté et leur vie pour défendre les droits humains ?
L'année 2021 sera celle des 20 ans de la Marche de la couleur de la Terre, que
nous avons réalisée, aux côtés des peuples frères du Congrès national indigène,
afin de réclamer une place dans cette nation qui s'écroule aujourd'hui.
Vingt ans après, nous naviguerons et nous cheminerons pour dire à la planète
que, dans le monde que nous percevons dans notre cœur collectif, il y a de la place pour toutes, tous, touTEs.
Tout simplement parce que ce monde n'est possible que si toutes, tous, touTEs,
nous luttons pour le mettre debout.
Les délégations zapatistes seront formées majoritairement par des femmes. Pas
seulement parce que de cette manière elles veulent rendre l'embrassade qu'elles
ont reçue durant les rencontres internationales antérieures. Aussi, et surtout,
pour que les hommes zapatistes, nous faisions clairement savoir que nous sommes
ce que nous sommes, et nous ne sommes pas ce que nous ne sommes pas, grâce à
elles, pour elles, et avec elles.
Nous invitons le Congrès national indigène - Conseil indigène de gouvernement
à former une délégation pour nous accompagner et que soit ainsi plus riche
notre parole pour l'autre qui lutte au loin. Nous invitons tout spécialement
une délégation des peuples qui lèvent le nom, l'image et le sang du frère Samir
Flores Soberanes, pour que sa douleur, sa rage, sa lutte et sa résistance
arrivent plus loin.
Nous invitons les personnes qui ont pour vocation, engagement et horizon les
arts et les sciences, à accompagner à distance nos navigations et nos pas. Et
qu'ainsi elles nous aident à diffuser que c'est dans les sciences et les arts
que repose la possibilité, non seulement de la survie de l'humanité, mais aussi
d'un monde nouveau.
En résumé: nous partons pour l'Europe en avril de l'an 2021. La date et l'heure?
On ne la connait pas... encore.
Compañeras, compañeros, compañer@s; sœurs,
frères, et frœurs,
Ceci est notre volonté:
Face à la puissance des trains, nos
canoës.
Face aux centrales thermoélectriques, les
petites lueurs que les femmes zapatistes ont confié aux femmes en lutte dans le
monde entier.
Face aux murs et aux frontières, notre
navigation collective.
Face au grand capital, un champ en commun.
Face à la destruction de la planète, une
montagne naviguant au petit matin.
Nous sommes zapatistes, porteur.E.s du virus
de la résistance et de la rébellion. En conséquence, nous irons sur les 5
continents. Es todo
por ahora. C'est tout... pour l'instant.
Depuis les montagnes du Sud-est mexicain. Au
nom des femmes, des hommes et des autrEs zapatistes. Sous-commandant insurgé
Moisés. Mexique, octobre 2020.
P.D.- Oui, c'est la sixième partie et, comme le voyage, ça se déroulera en sens
inverse. C'est-à-dire que suivra la cinquième partie, ensuite la quatrième, puis
la troisième, suivie de la seconde avant de terminer par la première.
http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/10/09/sixieme-partie-une-montagne-en-haute-mer/