domenica 8 novembre 2020

PER QUANDO FINIRÀ LA TRAGICA MASCHERATA

 



La filosofia è nata come pensiero organico di una società ormai spinta ad abbandonare progressivamente la sua organicità. All’origine del pensiero filosofico greco, mentre il patriarcato avanzava insieme al dominio produttivista, l’ilozoismo[1] cercava ancora, in mezzo al guado tra due mondi, la verità sulla totalità vivente, interpretando la filosofia come sintesi multidisciplinare e come etica del vivente. Fu un ultimo giro d’onore. L’ideologia produttivista, sempre più dominante, prima in forma esplicitamente religiosa poi come economia politica con una funzione teologica, ha distorto progressivamente questa ricerca di verità organica inquinandola e confondendola con giustificazioni intellettuali delle diverse gerarchie dominanti.

Perché é importante registrare, nel fare l’elogio della conoscenza e dell’intelligenza sensibile, che l’intellettualismo è un misto di narcisismo e di opportunismo in una società strutturalmente gerarchizzata e fondata sull’ignoranza coltivata delle masse in cui si soffocano le individualità sociali con la violenza e la propaganda intellettuale della cultura dominante.

Dopo Epicuro[2], eccellente pensatore organico del vivente e dell’umano, il pensiero filosofico si è progressivamente incaricato di soddisfare le esigenze giustificatrici della società produttivista in conflitto con l’organicità del vivente. Se non si coglie al livello delle idee la rottura che il produttivismo ha introdotto nella vita quotidiana degli esseri umani, non si coglie il nodo centrale di un progresso che si è realizzato in rottura col rapporto di base tra l’uomo e la natura.

Dall’idealismo hegeliano al suo rovesciamento marxista, il pensiero moderno ha integrato il produttivismo come un approccio naturale mentre si tratta, in realtà, della rottura strutturale del rapporto uomo-natura. La radicalità comincia dalla concezione del rapporto organico tra l’uomo e la propria natura ma anche con la natura dell’altro, sia essere o cosa, elemento organico o inorganico.

Che Marx, nel suo nobile tentativo materialista incompiuto, sia partito da Epicuro è lontano dall’essere casuale. Rovesciando Hegel, Marx vuole in realtà rovesciare il mondo rovesciato del pensiero separato che ha nell’economia politica il fulcro ideologico di giustificazione dell’alienazione; tuttavia, questo grande critico dell’economia politica è rimasto storicamente impantanato nel produttivismo.

Il materialismo ha cercato la radicalità senza mettere in discussione il produttivismo, facendone anzi il fulcro dell’emancipazione e non accorgendosi di introdurre così il lupo hobbesiano nell’ovile della società organica in via di sparizione. Hobbes è il filosofo che giustifica la rottura compiuta tra l’uomo e la natura, al punto di non distinguere più l’uomo dal lupo e l’essere dalla cosa.

Dopo di lui, Darwin ha riaperto un varco al pensiero organico, dissolvendo le giustificazioni teologiche arcaiche della rottura con l’organicità del vivente, ma un darwinismo reazionario e ricuperatore ha saccheggiato il suo lavoro regalandone il cadavere al processo d’industrializzazione in corso. Ci vorrà, in seguito, ancora un buon secolo prima che l’archeologa lituana Gimbutas metta in luce l’esistenza diffusa, nelle società organiche antiche, di una centralità femminile acratica che mette in causa il patriarcato e il produttivismo che lo accompagna.

Odiare tutti gli dei, come afferma con slancio, nella fase ancora poetica del suo materialismo dialettico, un giovane Marx non ancora definitivamente ideologizzato dal bolscevismo, non ancora ridotto a quell’ideologia comunista che rende il comunismo impraticabile, resterà una pia intenzione fino ai fanatismi odierni, feroci e macabri o patetici e ridicoli. Da un lato le frustrazioni e l’ignoranza accumulate si sfogano massacrando inermi passanti, dall’altro gli adepti inginocchiati del consumismo ingoiano e respirano golosamente ogni veleno prodotto dall’industria produttivista per la loro comunione eucaristica del valore di scambio.

In un mondo spettacolare, gli eredi volgarmente materialisti di quel Marx che in un ultimo sussulto di lucidità affermava insistentemente di non essere marxista, impongono ai loro popoli un’emancipazione fittizia come il paradiso di qualunque religione. L’ateismo presunto dell’ideologia comunista, marcita prima nell’orrore stacanovista del produttivismo stalinista e riciclata poi nel totalitarismo cinese che i produttivisti liberali di casa nostra sognano come loro modello inconfessabile, si é tradotto in una nuova religione planetaria la cui perversione resuscita un misticismo demenziale pretendendo di combatterlo. Perché religioso è anche ogni pensiero che dietro una pretesa laicità sottenda il sostegno alla rottura del rapporto organico con la vita da parte dell’umanità.

La spiritualità naturale delle società organiche è stata recuperata dalle religioni che, passando dalle forme arcaiche di credenze ai totalitarismi monoteisti, hanno distrutto gran parte della realtà organica degli esseri umani. Malconcia ma non eliminata, questa componente strutturale dell’umanità dell’essere umano riaffiora ogni volta che la vita è in pericolo. Gli esempi non mancano nel passato come nel presente.

Senza guardare più lontano, dalla Comune di Parigi al comportamento planetario dell’umanità di base di fronte al coronavirus, l’organicità del vivente insorge sempre agendo umanamente contro il produttivismo e non abbaiando la propria rabbia in modo spettacolare quando la vita è in pericolo. Dai comunardi di ogni esperienza radicalmente libertaria che cercano di occupare la vita al personale medico confrontato adesso al coronavirus, la gratuità generosa spazza via ogni considerazione economica, ritrovando i valori dimenticati della vita organica: l’aiuto reciproco e la solidarietà.

Di fronte alla radicalità della morte, riappare la radicalità del vivente e si vede allora chi sono i veri nemici dell’umano in pericolo. Le due facce di una stessa medaglia produttivista si manifestano parallelamente: gli apologeti servitori volontari della società dominante che difendono la gestione inaccettabile della pandemia, concentrata sul bisogno produttivista di far continuare gli schiavi a produrre e consumare a qualunque costo; ma anche i critici-critici negazionisti, non del virus, la cui realtà è inconfutabile, ma (paranoia ben più subdola) della necessità di impedirne sul serio la diffusione con ogni mezzo disponibile.

In questo delirio mistico, si arriva a declassare il virus a una banale influenza senza importanza. Il che é falso due volte perché i molteplici effetti collaterali del coronavirus non sono neppure ancora ben conosciuti, mentre le conseguenze della sua diffusione sul sistema sanitario in decomposizione produttivista sono già tragiche per i malati più gravi e rischiano di peggiorare ancora.

Del resto, questi sottomessi arrabbiati che si ribellano alle maschere e non al lavoro salariato che continua imperterrito, più totemizzato che mai, reagiscono come se l’influenza classica non uccidesse anch’essa abbastanza da rendere necessario un vaccino almeno per gli anziani. Un manicheismo alienato impera, mentre la caricatura produttivista di una gioventù antigovernativa sostenuta da qualche macabro intellettuale narcisista, assume senza dirlo (o dicendolo, come emerge qui e là nei discorsi politici più vomitevoli!) la teoria eugenista dell’eliminazione volontaria dei vecchi improduttivi.

Si è rimosso il fatto che dominare la natura non è solo impossibile, è anche morboso perché significa introdurre volontariamente la morte nel processo vitale, significa trasformare il lento processo di umanizzazione della natura tentato dalle società organiche in un rapporto suprematista che altera gli equilibri (naturali, appunto) su cui è fondata la vita umana.

La presunta civiltà umana rivendicata come un trofeo dal produttivismo, é l’alibi usato dai dominanti per imporre la schiavitù dei propri simili (donne e proletarizzati stessa lotta, oltre le specificità di genere e di classe), il dominio effimero, distruttore e inquinante della natura, la reificazione e l’alienazione dei soggetti e dell’esistente. Così lo snaturamento si è imposto come progresso, rinviando l’emancipazione a un mito tragicamente e tristemente obbligato a finire nelle fogne del transumanismo, soluzione finale dell’ideologia produttivista.

Mentre i cyborg virtuali sognano una vita eterna dinanzi ai loro computer e telefonini, i loro padri, le loro madri e i loro nonni, ma anche i giovani più fragili, rischiano di morire di “una banale influenzuccia” in attesa delle altre nocività, altrettanto banali, che il produttivismo ci promette nell’inquinato deserto climatico che invade i continenti - piccolo inconveniente collaterale del progresso della sua meravigliosa civiltà.

O la ricostituzione antiproduttivista e antiprimitivista di una vita organica e di una civiltà organicamente umana o la morte prematura mascherata da vita eterna come in ogni religione.

Scegli il tuo campo compagna e compagno umani. Un’ultima scelta s’impone a chi non tocca di morire soffocato, per terra, alle porte di ospedali annientati dalla redditività. La vita è sempre bella, ma sta diventando sempre più rara e preziosa. Per lei vale la pena di battersi!

Ci resta la scelta di restaurarne la sovranità abolendo il produttivismo, instaurando una società di autogestione generalizzata di cui abbiamo i dati da parecchio tempo. Parliamone. Il primo dato, il più urgente: riportare l’economia politica al suo ruolo organico di economia domestica. Non tristemente obbligati dal virus, ma per libera scelta collettiva, perché la distribuzione condivisa del lavoro necessario a soddisfare i bisogni e i desideri e l’abolizione del lavoro produttivista costituiscono il segreto di Pulcinella da cui dipende il progetto di felicità relativa ma concreta che lo Stato e il Mercato impediscono da millenni.

 

Sergio Ghirardi, 4 novembre 2020

 

 



[1] Ilozoismo, dal greco hýlē, materia, e zōe, vita

[2] Tutta una serie di pensatori che definisco organici esiste, ovviamente, dal passato al presente, dando corpo a una resistenza spontanea del vivente. Ne cito qualcuno nel mucchio tra i più notevoli a me cari: da Epicuro a Lucrezio, da La Boétie a Giordano Bruno, da Marx a Proudhon, da Reich a Gimbutas, da Bookchin ai situazionisti. A ognuno la libera scelta radicale e laica tra quelli che sfuggono, per fortuna, al vomito redditizio dell’industria culturale. A volte, tuttavia, c’è molto da scartare nella loro opera.





POUR QUAND FINIRA LA MASCARADE TRAGIQUE

La philosophie est née comme pensée organique d’une société désormais poussée à abandonner progressivement son organicité. A l’origine de la pensée philosophique grecque, alors que le patriarcat avançait avec la domination productiviste, l’hylozoïsme[1] cherchait encore, au milieu du gué entre deux mondes, la vérité sur la totalité vivante, en interprétant la philosophie comme une synthèse multidisciplinaire et comme une éthique du vivant. Ce fut un baroud d’honneur. L’idéologie productiviste, de plus en plus dominante, d’abord en forme explicitement religieuse puis comme une économie politique ayant une fonction théologique, a su tordre progressivement cette recherche de verité organique en la polluant et la embrouillant par des justifications intellectuelles des differentes hiérarchies dominantes.

Car, tout en faisant l’éloge de la connaissance et de l’intelligence sensible, il est important d’enregistrer que l’intellectualisme est un mélange de narcissisme et d’opportunisme dans une société structurellement hiérarchisée et fondée sur l’ignorance entretenue des masses où on étouffe les individualités sociales par la violence et la propagande intellectuelle de la culture dominante.

Après Epicure[2], excellent penseur organique du vivant et de l’humain, la pensée philosophique s’est progressivement chargé de satisfaire les exigences justificatrices de la société productiviste en conflit avec l’organicité du vivant. Si on ne saisit pas au niveau des idées la rupture que le productivisme a introduit dans la vie quotidienne des êtres humains, on ne peut pas saisir le nœud central d’un progrès qui s’est réalisé en rupture avec la relation de base entre l’être humain et la nature.

De l’idéalisme hégélien à son renversement marxiste, la pensée moderne a intégré le productivisme comme une approche naturelle alors qu’il est, en fait, une rupture structurelle de la relation homme-nature. La radicalité commence par la conception de la relation organique entre l’humain et sa nature propre, mais aussi avec la nature de l’autre - soit-il être ou chose, élément organique ou inorganique.

Le fait que Marx soit parti d’Epicure dans son essai matérialiste inachevé, est loin d’être un hasard. En renversant Hegel, Marx veut, en fait, renverser le monde inversé de la pensée séparée qui a dans l’économie politique le pivot idéologique de justification de l’aliénation ; toutefois ce grand critique de l’économie politique est resté historiquement embourbé dans le productivisme.

Le matérialisme a cherché la radicalité sans mettre en discussion le productivisme, en faisant même de lui le pivot de l’émancipation et en ne s’apercevant pas d’introduire ainsi le loup hobbesien dans la bergerie de la société organique en voie de disparition. Hobbes est le philosophe qui justifie la rupture accomplie entre l’homme et la nature, au point de ne plus distinguer l’homme du loup et l’être de la chose.

Après lui, Darwin a rouvert un passage à la pensée organique en dissolvant les justifications théologiques archaïques concernant la rupture avec l’organicité du vivant, mais un darwinisme réactionnaire et récupérateur a pillé son travail en offrant son cadavre au processus d’industrialisation en cours. Il faudra, depuis, encore un bon siècle avant que l’archéologue lituanienne Gimbutas remarque l’existence répandue, dans les sociétés organique anciennes, d’une centralité féminine acratique accablant le patriarcat et le productivisme qui va avec.

Haïr tous les dieux, comme le dit avec élan, pendant la phase encore poétique de son matérialisme dialectique, un jeune Marx pas encore définitivement idéologisé par le bolchevisme, pas encore réduit à cette idéologie communiste qui rend le communisme impraticable, restera une intention pieuse jusqu’aux fanatismes d’aujourd’hui, féroces et macabres ou pathétiques et ridicules. D’un côté on défoule les frustrations et l’ignorance accumulées en massacrant des pacifiques passants, de l’autre les adeptes agenouillés du consumérisme avalent et respirent goulûment chaque poison produit par l’industrie productiviste pour leur communion eucharistique de la valeur d’échange.

Dans un monde spectaculaire, les héritiers vulgairement matérialistes de ce Marx que dans un dernier sursaut de lucidité affirmait haut et fort de ne pas être marxiste, imposent à leurs peuples une émancipation fictive comme le paradis de n’importe quelle religion. L’athéisme présumé de l’idéologie communiste, pourrie d’abord dans l’horreur stakhanoviste du productivisme stalinien, puis recyclée dans le totalitarisme chinois que les productivistes libéraux de chez nous rêvent comme leur modèle inavouable, s’est traduit dans une nouvelle religion planétaire dont la perversion ressuscite un mysticisme démentiel en prétendant le combattre. Car religieuse est aussi toute pensée qui cache derrière une laïcité affichée le soutien à la rupture de la relation organique avec la vie de la part de l’humanité.

La spiritualité naturelle des sociétés organiques a été récupérée par les religions qui, passant de formes archaïques de croyances aux totalitarismes monothéistes, ont détruit une grande partie de la réalité organique des êtres humains. Abimée mais pas éliminée, cette composante structurelle de l’humanité des êtres humains réapparaît chaque fois que la vie est en danger. Les exemples ne manquent pas ni passés ni présents.

Sans regarder plus loin, de la commune de Paris au comportement planétaire de l’humanité de base face au coronavirus, l’organicité du vivant s’insurge toujours en agissant humainement contre le productivisme et non pas en aboyant sa rage de façon spectaculaire quand la vie est en danger. Des Communards de toute expérience radicalement libertaire qui cherchent d’occuper la vie au personnel soignant confronté maintenant au coronavirus, la gratuité généreuse balaye toute considération économique en retrouvant les valeurs oubliées de la vie organique : l’entraide et la solidarité.

Face à la radicalité de la mort, réapparaît la radicalité du vivant et on voit alors qui sont les vrais ennemis de l’humain en danger. Les deux visages d’une même médaille productiviste se manifestent en parallèle : les apologètes serviteurs volontaires de la société dominante qui soutiennent la gestion inacceptable de la pandémie concentrée sur le besoin productiviste de faire continuer ses esclaves à produire et consommer coute que coute ; mais aussi les critiques-critiques négationnistes, non pas du virus dont l’existence est irréfutable, mais (paranoïa bien plus sournoise) de la nécessité de lui barrer sérieusement la route par tous les moyens disponibles.

Dans ce délire mystique, on arrive à déclasser le virus à une « banale grippette » sans importance. Ce qui est faux deux fois car les multiples effets collatéraux du coronavirus ne sont même pas encore bien connus alors que les conséquences de sa diffusion sur le système sanitaire en décomposition productiviste sont déjà tragiques pour les malades les plus graves et risquent d’empirer encore.

D’ailleurs, ces soumis enragés qui se rebiffent au port du masque et non pas au travail salarié qui continue imperturbable, plus totemisé que jamais, font comme si la grippe classique ne tuerait pas elle aussi assez pour rendre nécessaire un vaccin, du moins pour les anciens. Un manichéisme aliéné dirige le bal, alors que la caricature productiviste d’une jeunesse antigouvernementale chapeautée par quelques macabres intellectuels narcissiques assume sans le dire (ou en le disant, comme on entend ici là dans les discours politiques le plus écœurants !) la théorie eugéniste de l’élimination volontaire des vieux improductifs.

On a refoulé le fait que dominer la nature n’est pas uniquement impossible, mais aussi morbide car cela signifie introduire volontairement la mort dans le processus vital, transformer le lent processus d’humanisation de la nature essayé par les sociétés organiques en une relation suprématiste qui altère les équilibres (naturels, justement) sur lesquels est fondée la vie humaine.

La civilisation humaine présumée, revendiquée comme un trophée par le productivisme, é l’alibi utilisé par les dominants pour imposer l’esclavage de leurs semblables (femmes et prolétarisés même combat, au-delà des spécificités de genre et de classe), la domination éphémère, destructrice et polluante de la nature, la réification et l’aliénation des sujets et de l’existant. Ainsi la dénaturation s’est imposée comme progrès, renvoyant l’émancipation à un mythe tragiquement et tristement obligé à échouer dans les égouts du trans humanisme, solution finale de l’idéologie productiviste.

Alors que les cyborgs virtuels rêvent d’une vie éternelle face à leurs ordinateurs et à leur portables, leurs pères, mères et grands-parents, mais aussi les jeunes les plus fragiles, risquent de mourir d’une « petite grippette », en attendant les autres nuisances, aussi banales, que le productivisme nous promet dans le désert climatique pollué qui envahit les continents - petit inconvénient collatéral du progrès de sa merveilleuse civilisation.

Ou la reconstitution antiproduttiviste et anti primitiviste d’une vie organique et d’une civilisation organiquement humaine, ou la mort prématurée déguisée en vie éternelle comme dans toute religion.

Choisi ton camp, camarade humain/e. Un dernier choix s’impose à ceux qui ne vont pas mourir étouffés, sur un brancard, aux portes d’hôpitaux anéantis par la rentabilité. La vie est toujours belle, mais elle devient de plus en plus rare et précieuse. Pour elle il vaut la peine de se battre !

Il nous reste le choix d’en restaurer la souveraineté en abolissant le productivisme par une société d’autogestion généralisée dont on a les données depuis un bon moment. Parlons-on. La première donne, la plus urgente : ramener l’économie politique à son rôle organique d’économie domestique. Non pas sombrement obligés par le virus, mais par un libre choix collectif, parce que le partage du travail utile à la satisfaction des besoins et des désirs et l’abolition du travail productiviste constituent le secret de polichinelle dont dépend le projet de bonheur relatif mais concret que l’Etat et le Marché empêchent depuis des millénaires.

 

 

Sergio Ghirardi, 4 novembre 2020

 



[1] Hylozoïsme, du grec hýlē, matière, et zōe, vie.

[2] Toute une série de penseurs que je définis organiques existe, bien-sur, du passé au présent, donnant matière à une résistance spontanée du vivant. J’en cite en vrac quelques-uns parmi les plus remarquables qui me sont chers: d’Epicure à Lucrèce, de La Boétie à Giordano Bruno, de Marx à Proudhon, de Reich à Gimbutas, de Bookchin aux situationnistes. A chacun son libre choix radical et laïque parmi ceux qui échappent, heureusement, au vomit rentable de l’industrie culturelle. Néanmoins, il faut parfois trier beacoup dans leur œuvre.