La filosofia è nata
come pensiero organico di una società ormai spinta ad abbandonare
progressivamente la sua organicità. All’origine del pensiero filosofico greco,
mentre il patriarcato avanzava insieme al dominio produttivista, l’ilozoismo[1] cercava ancora,
in mezzo al guado tra due mondi, la verità sulla totalità vivente,
interpretando la filosofia come sintesi multidisciplinare e come etica del
vivente. Fu un ultimo giro d’onore. L’ideologia produttivista, sempre più
dominante, prima in forma esplicitamente religiosa poi come economia politica con
una funzione teologica, ha distorto progressivamente
questa ricerca di verità organica inquinandola e confondendola con
giustificazioni intellettuali delle diverse gerarchie dominanti.
Perché é importante
registrare, nel fare l’elogio della conoscenza e dell’intelligenza sensibile,
che l’intellettualismo è un misto di narcisismo e di opportunismo in una
società strutturalmente gerarchizzata e fondata sull’ignoranza coltivata delle
masse in cui si soffocano le individualità sociali con la violenza e la
propaganda intellettuale della cultura dominante.
Dopo Epicuro[2],
eccellente pensatore organico del vivente e dell’umano, il pensiero filosofico
si è progressivamente incaricato di
soddisfare le esigenze giustificatrici della società produttivista in conflitto
con l’organicità del vivente. Se non si coglie al livello delle idee la rottura
che il produttivismo ha introdotto nella vita quotidiana degli esseri umani,
non si coglie il nodo centrale di un progresso
che si è realizzato in rottura col rapporto di base tra l’uomo e la natura.
Dall’idealismo
hegeliano al suo rovesciamento marxista, il pensiero moderno ha integrato il
produttivismo come un approccio naturale mentre si tratta, in realtà, della
rottura strutturale del rapporto uomo-natura. La radicalità
comincia dalla concezione del rapporto organico tra l’uomo e la propria natura ma
anche con la natura dell’altro, sia essere o cosa, elemento organico o
inorganico.
Che Marx, nel suo nobile
tentativo materialista incompiuto, sia partito da Epicuro è lontano dall’essere
casuale. Rovesciando Hegel, Marx vuole in realtà rovesciare il mondo rovesciato
del pensiero separato che ha nell’economia politica il fulcro ideologico di giustificazione
dell’alienazione; tuttavia, questo grande critico dell’economia politica è rimasto
storicamente impantanato nel produttivismo.
Il
materialismo ha cercato la radicalità senza mettere in discussione il
produttivismo, facendone anzi il fulcro dell’emancipazione e non accorgendosi
di introdurre così il lupo hobbesiano nell’ovile della società organica in via
di sparizione. Hobbes è il filosofo che giustifica la rottura compiuta tra
l’uomo e la natura, al punto di non distinguere più l’uomo dal lupo e l’essere
dalla cosa.
Dopo di lui, Darwin ha
riaperto un varco al pensiero organico, dissolvendo le giustificazioni
teologiche arcaiche della rottura con l’organicità del vivente, ma un
darwinismo reazionario e ricuperatore ha saccheggiato il suo lavoro regalandone
il cadavere al processo d’industrializzazione in corso. Ci vorrà, in seguito,
ancora un buon secolo prima che l’archeologa lituana Gimbutas metta in luce
l’esistenza diffusa, nelle società organiche antiche, di una centralità
femminile acratica che mette in causa il patriarcato e il produttivismo che lo
accompagna.
Odiare
tutti gli dei, come afferma con slancio, nella fase
ancora poetica del suo materialismo dialettico, un giovane Marx non ancora
definitivamente ideologizzato dal bolscevismo, non ancora ridotto a
quell’ideologia comunista che rende il comunismo impraticabile, resterà una pia
intenzione fino ai fanatismi odierni, feroci e macabri o patetici e ridicoli.
Da
un lato le frustrazioni e l’ignoranza accumulate si sfogano massacrando inermi
passanti, dall’altro gli adepti inginocchiati del consumismo ingoiano e
respirano golosamente ogni veleno prodotto dall’industria produttivista per la
loro comunione eucaristica del valore di scambio.
In un mondo
spettacolare, gli eredi volgarmente materialisti di quel Marx che in un ultimo
sussulto di lucidità affermava insistentemente di non essere marxista,
impongono ai loro popoli un’emancipazione fittizia come il paradiso di
qualunque religione. L’ateismo presunto dell’ideologia comunista, marcita prima
nell’orrore stacanovista del produttivismo stalinista e riciclata poi nel
totalitarismo cinese che i produttivisti liberali di casa nostra sognano come
loro modello inconfessabile, si é tradotto in una nuova religione planetaria la
cui perversione resuscita un misticismo demenziale pretendendo di combatterlo. Perché
religioso è anche ogni pensiero che dietro una pretesa laicità sottenda il
sostegno alla rottura del rapporto organico con la vita da parte dell’umanità.
La spiritualità
naturale delle società organiche è stata recuperata dalle religioni che,
passando dalle forme arcaiche di credenze ai totalitarismi monoteisti, hanno
distrutto gran parte della realtà organica degli esseri umani. Malconcia ma non
eliminata, questa componente strutturale dell’umanità dell’essere umano riaffiora
ogni volta che la vita è in pericolo. Gli esempi non mancano nel passato come
nel presente.
Senza guardare più
lontano, dalla Comune di Parigi al comportamento planetario dell’umanità di
base di fronte al coronavirus, l’organicità del vivente insorge sempre agendo umanamente
contro il produttivismo e non abbaiando la propria rabbia in modo spettacolare quando
la vita è in pericolo. Dai comunardi di ogni esperienza radicalmente libertaria
che cercano di occupare la vita al personale medico confrontato adesso al
coronavirus, la gratuità generosa spazza via ogni considerazione economica,
ritrovando i valori dimenticati della vita organica: l’aiuto reciproco e la
solidarietà.
Di fronte alla
radicalità della morte, riappare la radicalità del vivente e si vede allora chi
sono i veri nemici dell’umano in pericolo. Le due facce di una stessa medaglia
produttivista si manifestano parallelamente: gli apologeti servitori volontari della
società dominante che difendono la gestione inaccettabile della pandemia, concentrata
sul bisogno produttivista di far continuare gli schiavi a produrre e consumare a
qualunque costo; ma anche i critici-critici negazionisti, non del virus, la cui
realtà è inconfutabile, ma (paranoia ben più subdola) della necessità di impedirne
sul serio la diffusione con ogni mezzo disponibile.
In questo delirio
mistico, si arriva a declassare il virus a una banale influenza senza
importanza. Il che é falso due volte perché i molteplici effetti collaterali
del coronavirus non sono neppure ancora ben conosciuti, mentre le conseguenze
della sua diffusione sul sistema sanitario in decomposizione produttivista sono
già tragiche per i malati più gravi e rischiano di peggiorare ancora.
Del resto, questi sottomessi
arrabbiati che si ribellano alle maschere e non al lavoro salariato che
continua imperterrito, più totemizzato che mai, reagiscono come se l’influenza classica
non uccidesse anch’essa abbastanza da rendere necessario un vaccino almeno per
gli anziani. Un manicheismo alienato impera, mentre la caricatura produttivista
di una gioventù antigovernativa sostenuta da qualche macabro intellettuale narcisista,
assume senza dirlo (o dicendolo, come emerge qui e là nei discorsi politici più
vomitevoli!) la teoria eugenista dell’eliminazione volontaria dei vecchi
improduttivi.
Si è rimosso il fatto
che dominare la natura non è solo impossibile, è anche morboso perché significa
introdurre volontariamente la morte nel processo vitale, significa trasformare
il lento processo di umanizzazione della natura tentato dalle società organiche
in un rapporto suprematista che altera gli equilibri (naturali, appunto) su cui
è fondata la vita umana.
La presunta civiltà
umana rivendicata come un trofeo dal produttivismo, é l’alibi usato dai
dominanti per imporre la schiavitù dei propri simili (donne e proletarizzati
stessa lotta, oltre le specificità di genere e di classe), il dominio effimero,
distruttore e inquinante della natura, la reificazione e l’alienazione dei
soggetti e dell’esistente. Così lo snaturamento si è imposto come progresso, rinviando l’emancipazione a
un mito tragicamente e tristemente obbligato a finire nelle fogne del transumanismo,
soluzione finale dell’ideologia produttivista.
Mentre i cyborg
virtuali sognano una vita eterna dinanzi ai loro computer e telefonini, i loro
padri, le loro madri e i loro nonni, ma anche i giovani più fragili, rischiano
di morire di “una banale influenzuccia” in attesa delle altre nocività,
altrettanto banali, che il produttivismo ci promette nell’inquinato deserto
climatico che invade i continenti - piccolo inconveniente collaterale del
progresso della sua meravigliosa civiltà.
O la ricostituzione
antiproduttivista e antiprimitivista di una vita organica e di una civiltà
organicamente umana o la morte prematura mascherata da vita eterna come in ogni
religione.
Scegli il tuo campo
compagna e compagno umani. Un’ultima scelta s’impone a chi non tocca di morire
soffocato, per terra, alle porte di ospedali annientati dalla redditività. La
vita è sempre bella, ma sta diventando sempre più rara e preziosa. Per lei vale
la pena di battersi!
Ci resta la scelta di
restaurarne la sovranità abolendo il produttivismo, instaurando una società di
autogestione generalizzata di cui abbiamo i dati da parecchio tempo. Parliamone.
Il primo dato, il più urgente: riportare l’economia politica al suo ruolo organico
di economia domestica. Non tristemente obbligati dal virus, ma per libera
scelta collettiva, perché la distribuzione condivisa del lavoro necessario a
soddisfare i bisogni e i desideri e l’abolizione del lavoro produttivista costituiscono
il segreto di Pulcinella da cui dipende il progetto di felicità relativa ma
concreta che lo Stato e il Mercato impediscono da millenni.
Sergio Ghirardi,
4 novembre 2020
[1] Ilozoismo, dal greco hýlē, materia, e zōe, vita
[2] Tutta una serie
di pensatori che definisco organici esiste, ovviamente, dal passato al presente,
dando corpo a una resistenza spontanea del vivente. Ne cito qualcuno nel
mucchio tra i più notevoli a me cari: da Epicuro a Lucrezio, da La Boétie a
Giordano Bruno, da Marx a Proudhon, da Reich a Gimbutas, da Bookchin ai
situazionisti. A ognuno la libera scelta radicale e laica tra quelli che
sfuggono, per fortuna, al vomito redditizio dell’industria culturale. A volte,
tuttavia, c’è molto da scartare nella loro opera.
POUR
QUAND FINIRA LA MASCARADE TRAGIQUE
La philosophie est née comme pensée organique d’une
société désormais poussée à abandonner progressivement son organicité. A
l’origine de la pensée philosophique grecque, alors que le patriarcat avançait
avec la domination productiviste, l’hylozoïsme[1]
cherchait encore, au milieu du gué entre deux mondes, la
vérité sur la totalité vivante, en interprétant la philosophie comme une
synthèse multidisciplinaire et comme une éthique du vivant. Ce fut un baroud
d’honneur. L’idéologie productiviste, de plus en plus dominante, d’abord en
forme explicitement religieuse puis comme une économie politique ayant une
fonction théologique, a su tordre progressivement
cette recherche de verité organique en la polluant et la embrouillant par des
justifications intellectuelles des differentes hiérarchies dominantes.
Car, tout en faisant l’éloge de la connaissance et de
l’intelligence sensible, il est important d’enregistrer que l’intellectualisme
est un mélange de narcissisme et d’opportunisme dans une société
structurellement hiérarchisée et fondée sur l’ignorance entretenue des masses
où on étouffe les individualités sociales par la violence et la propagande
intellectuelle de la culture dominante.
Après Epicure[2],
excellent penseur organique du vivant et de l’humain, la pensée philosophique
s’est progressivement chargé de
satisfaire les exigences justificatrices de la société productiviste en conflit
avec l’organicité du vivant. Si on ne saisit pas au niveau des idées la rupture
que le productivisme a introduit dans la vie quotidienne des êtres humains, on
ne peut pas saisir le nœud central d’un progrès
qui s’est réalisé en rupture avec la relation de base entre l’être humain et la
nature.
De l’idéalisme hégélien à son renversement marxiste, la
pensée moderne a intégré le productivisme comme une approche naturelle alors
qu’il est, en fait, une rupture structurelle de la relation homme-nature. La
radicalité commence par la conception de la relation organique entre l’humain
et sa nature propre, mais aussi avec la nature de l’autre - soit-il être ou
chose, élément organique ou inorganique.
Le fait que Marx soit parti d’Epicure dans son essai
matérialiste inachevé, est loin d’être un hasard. En renversant Hegel, Marx
veut, en fait, renverser le monde inversé de la pensée séparée qui a dans
l’économie politique le pivot idéologique de justification de
l’aliénation ; toutefois ce grand critique de l’économie politique est
resté historiquement embourbé dans le productivisme.
Le matérialisme a cherché la radicalité sans mettre en
discussion le productivisme, en faisant même de lui le pivot de l’émancipation
et en ne s’apercevant pas d’introduire ainsi le loup hobbesien dans la bergerie
de la société organique en voie de disparition. Hobbes est le philosophe qui
justifie la rupture accomplie entre l’homme et la nature, au point de ne plus
distinguer l’homme du loup et l’être de la chose.
Après lui, Darwin a rouvert un passage à la pensée
organique en dissolvant les justifications théologiques archaïques concernant
la rupture avec l’organicité du vivant, mais un darwinisme réactionnaire et
récupérateur a pillé son travail en offrant son cadavre au processus
d’industrialisation en cours. Il faudra, depuis, encore un bon siècle avant que
l’archéologue lituanienne Gimbutas remarque l’existence répandue, dans les
sociétés organique anciennes, d’une centralité féminine acratique accablant le
patriarcat et le productivisme qui va avec.
Haïr
tous les dieux, comme le dit
avec élan, pendant la phase encore poétique de son matérialisme dialectique, un
jeune Marx pas encore définitivement idéologisé par le bolchevisme, pas encore
réduit à cette idéologie communiste qui rend le communisme impraticable,
restera une intention pieuse jusqu’aux fanatismes d’aujourd’hui, féroces et
macabres ou pathétiques et ridicules. D’un côté on défoule les frustrations et
l’ignorance accumulées en massacrant des pacifiques passants, de l’autre les
adeptes agenouillés du consumérisme avalent et respirent goulûment chaque
poison produit par l’industrie productiviste pour leur communion eucharistique
de la valeur d’échange.
Dans un monde spectaculaire, les héritiers vulgairement
matérialistes de ce Marx que dans un dernier sursaut de lucidité affirmait haut
et fort de ne pas être marxiste, imposent à leurs peuples une émancipation
fictive comme le paradis de n’importe quelle religion. L’athéisme présumé de
l’idéologie communiste, pourrie d’abord dans l’horreur stakhanoviste du
productivisme stalinien, puis recyclée dans le totalitarisme chinois que les
productivistes libéraux de chez nous rêvent comme leur modèle inavouable, s’est
traduit dans une nouvelle religion planétaire dont la perversion ressuscite un
mysticisme démentiel en prétendant le combattre. Car religieuse est aussi toute
pensée qui cache derrière une laïcité affichée le soutien à la rupture de la
relation organique avec la vie de la part de l’humanité.
La spiritualité naturelle des sociétés organiques a été
récupérée par les religions qui, passant de formes archaïques de croyances aux
totalitarismes monothéistes, ont détruit une grande partie de la réalité
organique des êtres humains. Abimée mais pas éliminée, cette composante
structurelle de l’humanité des êtres humains réapparaît chaque fois que la vie
est en danger. Les exemples ne manquent pas ni passés ni présents.
Sans regarder plus loin, de la commune de Paris au
comportement planétaire de l’humanité de base face au coronavirus, l’organicité
du vivant s’insurge toujours en agissant humainement contre le productivisme et
non pas en aboyant sa rage de façon spectaculaire quand la vie est en danger. Des
Communards de toute expérience radicalement libertaire qui cherchent d’occuper
la vie au personnel soignant confronté maintenant au coronavirus, la gratuité
généreuse balaye toute considération économique en retrouvant les valeurs
oubliées de la vie organique : l’entraide et la solidarité.
Face à la radicalité de la mort, réapparaît la radicalité
du vivant et on voit alors qui sont les vrais ennemis de l’humain en danger. Les
deux visages d’une même médaille productiviste se manifestent en parallèle :
les apologètes serviteurs volontaires de la société dominante qui soutiennent la
gestion inacceptable de la pandémie concentrée sur le besoin productiviste de
faire continuer ses esclaves à produire et consommer coute que coute ;
mais aussi les critiques-critiques négationnistes, non pas du virus dont
l’existence est irréfutable, mais (paranoïa bien plus sournoise) de la
nécessité de lui barrer sérieusement la route par tous les moyens disponibles.
Dans ce délire mystique, on arrive à déclasser le virus à
une « banale grippette » sans importance. Ce qui est faux deux fois
car les multiples effets collatéraux du coronavirus ne sont même pas encore
bien connus alors que les conséquences de sa diffusion sur le système sanitaire
en décomposition productiviste sont déjà tragiques pour les malades les plus
graves et risquent d’empirer encore.
D’ailleurs, ces soumis enragés qui se rebiffent au port
du masque et non pas au travail salarié qui continue imperturbable, plus totemisé
que jamais, font comme si la grippe classique ne tuerait pas elle aussi assez
pour rendre nécessaire un vaccin, du moins pour les anciens. Un manichéisme
aliéné dirige le bal, alors que la caricature productiviste d’une jeunesse antigouvernementale
chapeautée par quelques macabres intellectuels narcissiques assume sans le dire
(ou en le disant, comme on entend ici là dans les discours politiques le plus écœurants !)
la théorie eugéniste de l’élimination volontaire des vieux improductifs.
On a refoulé le fait que dominer la nature n’est pas
uniquement impossible, mais aussi morbide car cela signifie introduire
volontairement la mort dans le processus vital, transformer le lent processus
d’humanisation de la nature essayé par les sociétés organiques en une relation
suprématiste qui altère les équilibres (naturels, justement) sur lesquels est
fondée la vie humaine.
La civilisation humaine présumée, revendiquée comme un
trophée par le productivisme, é l’alibi utilisé par les dominants pour imposer
l’esclavage de leurs semblables (femmes et prolétarisés même combat, au-delà
des spécificités de genre et de classe), la domination éphémère, destructrice
et polluante de la nature, la réification et l’aliénation des sujets et de
l’existant. Ainsi la dénaturation s’est imposée comme progrès, renvoyant l’émancipation à un mythe tragiquement et
tristement obligé à échouer dans les égouts du trans humanisme, solution finale
de l’idéologie productiviste.
Alors que les cyborgs virtuels rêvent d’une vie éternelle
face à leurs ordinateurs et à leur portables, leurs pères, mères et
grands-parents, mais aussi les jeunes les plus fragiles, risquent de mourir
d’une « petite grippette », en attendant les autres nuisances, aussi
banales, que le productivisme nous promet dans le désert climatique pollué qui
envahit les continents - petit inconvénient collatéral du progrès de sa
merveilleuse civilisation.
Ou la reconstitution antiproduttiviste et anti
primitiviste d’une vie organique et d’une civilisation organiquement humaine,
ou la mort prématurée déguisée en vie éternelle comme dans toute religion.
Choisi ton camp, camarade humain/e. Un dernier choix
s’impose à ceux qui ne vont pas mourir étouffés, sur un brancard, aux portes d’hôpitaux
anéantis par la rentabilité. La vie est toujours belle, mais elle devient de
plus en plus rare et précieuse. Pour elle il vaut la peine de se battre !
Il nous reste le choix d’en restaurer la souveraineté en
abolissant le productivisme par une société d’autogestion généralisée dont on a
les données depuis un bon moment. Parlons-on. La première donne, la plus
urgente : ramener l’économie politique à son rôle organique d’économie
domestique. Non pas sombrement obligés par le virus, mais par un libre choix
collectif, parce que le partage du travail utile à la satisfaction des besoins
et des désirs et l’abolition du travail productiviste constituent le secret de
polichinelle dont dépend le projet de bonheur relatif mais concret que l’Etat
et le Marché empêchent depuis des millénaires.
Sergio
Ghirardi, 4 novembre 2020
[1]
Hylozoïsme, du grec hýlē, matière, et zōe, vie.
[2] Toute une série de
penseurs que je définis organiques existe, bien-sur, du passé au présent,
donnant matière à une résistance spontanée du vivant. J’en cite en vrac
quelques-uns parmi les plus remarquables qui me sont chers: d’Epicure à
Lucrèce, de La Boétie à Giordano Bruno, de Marx à Proudhon, de Reich à
Gimbutas, de Bookchin aux situationnistes. A chacun son libre choix radical et
laïque parmi ceux qui échappent, heureusement, au vomit rentable de l’industrie
culturelle. Néanmoins, il faut parfois trier beacoup dans leur œuvre.