giovedì 18 febbraio 2021

« Il Great Reset, sì, per favore, ma uno vero ! »

 



Slavoj Zizek, 5 febbraio 2021










Nato nel 1949, Slavoj Zizek, filosofo e psicanalista molto noto, vive a Lubiana 5Slovenia. Tra le sue molte traduzioni in italiano: Il sublime oggetto dell'ideologia, Ponte alle Grazie, Milano 2014; Problemi in Paradiso. Il comunismo dopo la fine della storia, Ponte alle Grazie, Milano 2015; Virus, Ponte alle grazie, Milano 2020.

 

Traduzione in italiano di Sergio Ghirardi Sauvageon

dalla versione in francese pubblicata nel sito Quartier Général Le Média libre

 


Nell’aprile 2020, in reazione all’esplosione di Covid-19, Jürgen Habermas ha rilevato che “l’incertezza della nostra esistenza si propagava ormai globalmente e simultaneamente nello spirito degli individui connessi mediaticamente”. Per poi aggiungere: “Non c’è mai stata una tale coscienza del nostro non-sapere, e l’obbligo di agire e di vivere nell’incertezza non è mai stato così grande”. Il filosofo tedesco ha ragione di pretendere che questo non-sapere non riguarda soltanto la stessa pandemia – abbiamo almeno qualche esperto in questo dominio – ma ancor più le sue conseguenze economiche, sociali e psichiche. Notate la sua formula precisa: non è semplicemente che non sappiamo quel che succede, noi sappiamo di non sapere e questo non-sapere è in se stesso un fatto sociale iscritto nella maniera in cui le nostre istituzioni agiscono.

Noi sappiamo ora che all’epoca medievale o all’inizio della modernità, per esempio, ne sapevano molto meno – ma non lo sapevano perché si appoggiavano su una base ideologica stabile che garantiva il nostro universo come una totalità significativa. Lo stesso vale per certe visioni del comunismo e anche per l’idea di Fukuyama della “fine della Storia” – tutti hanno supposto di sapere dove la storia evolvesse. Per di più Habermas ha ragione di localizzare l’incertezza “nella testa degli individui connessi”: il nostro legame con l’universo digitale amplia enormemente le nostre conoscenze, ma ci getta nello stesso tempo in un’incertezza radicale (siamo sotto attacco hacker? Chi controlla le nostre connessioni? Quel che leggiamo sarà mica una fake news?). Le scoperte in corso di un hackeraggio straniero – russo? – delle istituzioni governative americane e delle grandi imprese, illustrano questa incertezza: gli Americani stanno scoprendo che non sono nemmeno più capaci di determinare la portata e la provenienza dell’hackeraggio in corso. L’ironia vuole che ora il virus attacchi nei due sensi del termine: biologico e digitale.

Quando cerchiamo d’indovinare il modo in cui le nostre società si comporteranno dopo la fine della pandemia, la trappola da evitare è la futurologia che per definizione dimentica la nostra ignoranza. La futurologia è definita come una previsione sistematica dell’avvenire a partire dalle tendenze attuali della società e in questo sta il problema: la futurologia estrapola principalmente quel che risulterà dalle tendenze presenti. Quel che, però, la futurologia sottovaluta sono i “miracoli” storici, le rotture radicali che possono spiegarsi solo retroattivamente, dopo che sono avvenute; Bisognerebbe forse prendere qui in conto la distinzione esistente in italiano tra futuro e avvenire: il “futuro” designa quel che verrà dopo il presente mentre l’“avvenire” punta su un cambiamento radicale. Quando un presidente è rieletto, è “il presidente attuale e futuro” ma non è il presidente a venire – il presidente a venire è un presidente diverso. L’universo post coronavirus sarà dunque soltanto un altro futuro o qualcosa di nuovo “a venire”?

Ciò non dipende solo dalla scienza ma anche dalle nostre decisioni politiche. Il momento è ora venuto di dire che non dovremmo farci illusioni a proposito della “felice” conclusione delle elezioni americane che hanno portato tanto sollievo tra i liberals del mondo intero. IL film “They Live” (Essi vivono) di John Carpenter (1988) uno dei capolavori negletti della sinistra hollywoodiana, racconta la storia di John Nada ( “nulla” in spagnolo), un lavoratore senza tetto che capita per caso su un mucchio di scatole piene di occhiali da sole in una chiesa abbandonata. Quando mette un paio di questi occhiali camminando per strada, si accorge che un pannello pubblicitario colorato che invita a mangiare delle barrette di cioccolato mostra invece la scritta “UBBIDIRE”, mentre un altro manifesto con una coppia glamour abbracciata, visto attraverso gli occhiali, ordina allo spettatore di “SPOSARSI E RIPRODURSI”. Vede anche che i biglietti di banca portano la scritta “QUESTO È IL VOSTRO DIO”. Scopre, inoltre, rapidamente, che molte persone dall’aria gentile sono in realtà degli extraterrestri mostruosi con teste di metallo...

In questo periodo, circola sul web un’immagine che restituisce la scena di “Essi vivono” a proposito di Biden e Harris: vista direttamente l’immagine li mostra sorridenti con il messaggio “TIME TO HEAL” (è tempo di prendersi cura); vista attraverso gli occhiali, sono due mostri extraterrestri il cui messaggio è “TIME TO HEEL” (è tempo di stare alle calcagna).

Montaggio fornito dall’autore che mescola l’universo distopico del cineasta John Carpenter

e i volti della nuova equipe presidenziale americana

 

Una tale visione si mescola evidentemente in parte con la propaganda di Trump tesa a screditare Biden e Harris in quanto marionette delle grandi imprese anonime che controllano le nostre vite – ma c’è più che una parte di verità là dentro. La vittoria di Biden designa il “futuro” come continuazione della “normalità” pre-Trump – ecco la ragione di un tale sospiro di sollievo dopo la sua vittoria. Tuttavia, questa “normalità” è quella del capitalismo anonimo mondializzato che è il vero alieno tra noi. Ricordo nella mia gioventù il desiderio di “un socialismo dal volto umano” contro un socialismo burocratico di tipo Unione sovietica – Biden promette un nuovo capitalismo mondializzato dal volto umano, ma dietro quel volto si nasconde la stessa realtà. Nell’educazione, questo “volto umano” ha preso le sembianze dell’ossessione del “benessere”; allievi e studenti devono vivere sotto campane di vetro che li salveranno dagli orrori della realtà esteriore, protetti dalle regole del politicamente corretto. L’educazione non è più destinata a permettere di confrontarci con la realtà sociale – e quando ci dicono che questa sicurezza impedirà le depressioni dovremmo opporre a tutto ciò l’affermazione opposta: una tale apparenza di sicurezza ci espone a crisi mentali quando dovremo affrontare la nostra realtà sociale. Quel che offre l’apparenza del “benessere” è che essa copre semplicemente con un falso “volto umano” la nostra realtà anziché permetterci di cambiare queste stessa realtà. Biden è il presidente per eccellenza del “benessere”.

“BIDEN PROMETTE UN NUOVO CAPITALISMO MONDIALIZZATO DAL VOLTO UMANO, MA DIETRO QUESTO VOLTO SI NASCONDE LA STESSA REALTÀ”

Perché allora Biden è pur tuttavia meglio di Trump? Le critiche rilevano che anche lui mente e rappresenta ugualmente il grande capitale, con la sola differenza che lo rappresenta sotto una forma più pulita – ma sfortunatamente questa forma conta. Con il diventare volgare del discorso pubblico, Trump corrodeva la sostanza etica delle nostre vite, quella che Hegel chiamava Sitten (in opposizione alla morale individuale). Questo divenire volgare è un processo mondiale. Eccone un buon esempio europeo: Szilard Demeter, commissario ministeriale e capo del museo letterario Petofi a Budapest. Costui ha scritto in un editoriale del novembre 2020: “L’Europa è la camera a gas di George Soros. Il gas tossico cola dalla capsula di una società aperta multiculturale, mortale per il modo di vita europeo”. Demeter ha proseguito qualificando Soros di “ Fuhrer liberale”. Se gli si chiedesse, Demeter rigetterebbe probabilmente queste dichiarazioni come un’esagerazione retorica; ciò non esclude, però, in alcun caso le loro terrificanti implicazioni. Il paragone tra Soros e Hitler è profondamente antisemita: mette Soros sullo stesso piano di Hitler, affermando che la società aperta multiculturale promossa da Soros non solo è altrettanto pericolosa dell’Olocausto e del razzismo ariano che l’ha sostenuto, ma che essa è ancora peggio, più pericolosa per il “modo di vita europeo”.

Esiste dunque un’alternativa a questa visione terrificante oltre che il “volto umano” di Biden? Greta Thunberg ha recentemente tratto tre lezioni positive dalla pandemia: “ è possibile trattare una crisi come una crisi, è possibile mettere la salute della gente sopra gli interessi economici, è possibile ascoltare la scienza”. Sì ma sono delle possibilità – è altrettanto possibile trattare una crisi utilizzandola per mascherare altre crisi (per esempio: a causa della pandemia dovremmo dimenticare il riscaldamento climatico); è ugualmente possibile servirsi della crisi per rendere i ricchi più ricchi e i poveri più poveri (ciò che si è effettivamente prodotto nel 2020, a un ritmo senza precedenti); ed è anche possibile ignorare o dividere in compartimenti la scienza (pensate semplicemente a quanti rifiutano di farsi vaccinare, alla crescita esplosiva delle teorie del complotto, ecc.).

“CI DIRIGIAMO VERSO UNA NAZIONE IN CUI 3 MILIONI DI SIGNORI SARANNO SERVITI DA 350 MILIONI DI SERVI”

Scott Galloway, teorico newyorchese della pubblicità, dà un’immagine più o meno precisa della situazione in quest’epoca di coronavirus, nel suo libro della fine del 2020, “Post Corona. From Crisis to Opportunity”: “Ci dirigiamo verso una nazione in cui tre milioni di signori sono serviti da trecentocinquanta milioni di servi. Non ci piace dirlo ad alta voce, ma è come se questa pandemia fosse stata largamente inventata per condurre il 10% dei più ricchi verso l’un per cento dei più ricchi, e impoverire ulteriormente il 90% restante. Abbiamo deciso di proteggere le imprese, non la gente. Il capitalismo sta letteralmente crollando su se stesso a meno che ricostruisca la colonna portante dell’empatia. Noi abbiamo deciso che il capitalismo significa essere amorevoli e empatici verso le imprese e darwinisti e duri nei confronti degli individui”.

Allora, qual è la via d’uscita di Galloway, come evitare il crollo sociale? La sua risposta è che “il capitalismo crollerà su se stesso senza un aumento di empatia e d’amore”. “Noi entriamo nella Grande Reinizializzazione (The Great Reset) e ciò avviene rapidamente. Numerose imprese saranno tragicamente perdute a causa delle conseguenze economiche della pandemia e quelle che sopravvivranno esisteranno in una forma diversa. Le organizzazioni saranno molto più adattabili e resilienti. I diversi gruppi che prosperano attualmente con meno inquadramento desidereranno questa stessa autonomia in avvenire. Gli impiegati si aspetteranno che i dirigenti continuino a dirigere con trasparenza, autenticità e umanità”. Tuttavia, ancora una volta, come questo succederà? Galloway propone una distruzione creatrice che lasci le imprese in dissesto fallire, proteggendo le persone che perdono il lavoro: “Lasciando che la gente si faccia licenziare perché Apple possa ingrandirsi e mandare in fallimento Sun Microsystems, noi diffonderemo questa incredibile prosperità e saremo più empatici con la gente”.

Il problema è, evidentemente, di sapere chi si nasconde dietro il misterioso “noi” dell’ultima frase citata, cioè come esattamente la redistribuzione sarà effettuata. Tasseremo semplicemente i vincitori (Apple in questo caso) autorizzandoli a conservare la loro posizione di monopolio? L’idea di Galloway ha un certo fiuto dialettico: il solo modo di ridurre le ineguaglianze e la povertà è permettere alla concorrenza del mercato di fare il suo lavoro crudele (lasciare che la gente sia licenziata), e poi ... che cosa dopo? Aspetteremo che i meccanismi di mercato creino da soli nuovi posti di lavoro? Oppure lo Stato? Come operano “amore” e “empatia? Conteremo forse sull’empatia dei vincenti e aspetteremo da loro che si comportino come Bill Gates e Warren Buffet? Trovo questo miglioramento dei meccanismi di mercato attraverso la moralità, l’amore e l’empatia assolutamente problematica: anziché permetterci di ottenere il meglio dei due mondi (egoismo del mercato e empatia morale) è molto più probabile che otterremo il peggio dei due mondi...

Il libro del pubblicitario Scott Galloway « Post Corona. From crisis to opportunity »,

Apparso a novembre 2020, è stato un best seller negli Stati Uniti

I volti umani di questo “management con trasparenza, autenticità e umanità” sono quelli di Gates, Bezos, Zuckerberg, i volti del capitalismo corporativo autoritario che si presentano tutti come eroi umanitari – da notare che la nostra nuova aristocrazia li ha celebrati nei nostri media citandoli come veri saggi umanisti. Bill Gates dà miliardi per delle opere caritative, ma ricordiamoci che si è opposto al piano di Elisabeth Warren in favore di un leggero aumento delle imposte. Ha fatto l’elogio di Thomas Piketty e si è quasi proclamato socialista una volta, ma in un senso contorto e molto specifico, poiché la sua ricchezza proviene, in effetti, dalla privatizzazione di quelli che Marx chiamava i nostri “beni comuni”, lo spazio sociale condiviso nel quale evolviamo e comunichiamo. La ricchezza di Gates non ha niente a che vedere con i costi di produzione dei prodotti venduti da Microsoft e si può persino sostenere che Microsoft remunera i suoi lavoratori intellettuali con un salario relativamente elevato. La ricchezza di Gates non è il risultato del suo successo nella produzione di buoni software a prezzi inferiori di quelli dei suoi concorrenti o di un maggior “sfruttamento” dei suoi impiegati intellettuali. Bill Gates è diventato uno degli uomini più ricchi del mondo privatizzando e controllando la possibilità data a milioni tra noi di comunicare. Nello stesso modo in cui Microsoft ha privatizzato i software che la maggior parte di noi utilizza, i contatti personali si vedono privatizzati da face book, l’acquisto di libri da Amazon, o la ricerca da Google.

C’è dunque una parte di verità nella “ribellione” di Trump contro la potenza dei GAFAS, queste mostruose imprese digitali mondiali. Vale la pena di guardare in proposito i famosi podcast Apple “War Room” di Steve Bannon che resterà come il più grande ideologo del populismo di Trump – non si può in effetti che restare affascinati dal numero di verità parziali che combina in seno a una menzogna globale. Sì, sotto Obama lo scarto che separava i ricchi dai poveri è decisamente aumentato, le grandi imprese si sono ancora rinforzate... Sotto Trump, però, questo processo è continuato, Trump ha ridotto le tasse, utilizzato il denaro principalmente per salvare le grandi imprese, ecc. Siamo dunque di fronte a un’orribile falsa alternativa: il reset delle grandi imprese o il populismo nazionalista che risulta finalmente essere la stessa cosa. Il “Great Reset” è la formula che designa il mutamento di alcune cose e anche di molte affinché queste cose restino fondamentalmente le stesse.

“LA NOSTRA ECONOMIA NON PUO PERMETTERSI UN ALTRO CONFINAMENTO BRUTALE? ALLORA CAMBIAMO ECONOMIA!”

Esiste dunque una terza via, al di fuori dello spazio aperto da questi due estremi che sono il restauro della vecchia normalità o la prospettiva di un “ grande reset”? Sì ma una vera grande reinizializzazione. Quel che va fatto non è un segreto – Greta Thunberg l’ha detto chiaramente. Per prima cosa, dobbiamo infine riconoscere la crisi pandemica per quello che è, che fa, cioè, parte di una crisi mondiale di tutto il nostro modo di vita, dall’ecologia fino alle nuove tensioni sociali. In secondo luogo, dobbiamo stabilire un controllo sociale e una regolazione dell’economia. Terzo punto, dovremmo concedere fiducia alla scienza – averne fiducia, sì, ma non accettarla soltanto come un elemento esterno che prende le decisioni. Perché? Torniamo a Habermas con il quale abbiamo cominciato: la nostra situazione è tale che siamo obbligati ad agire quando sappiamo di non conoscere le coordinate esatte della situazione nella quale ci troviamo e che non agire sarebbe un atto di per sé. Non è forse, però, la situazione di base di ogni attore? Il nostro grande vantaggio è che noi sappiamo a che punto siamo ignoranti e questa consapevolezza della nostra ignoranza apre uno spazio di libertà. Agiamo quando non conosciamo la situazione nel suo insieme, ma non si tratta soltanto di un limite: quel che ci dà la libertà è che la situazione – almeno nella nostra sfera sociale – è di per sé aperta e non totalmente predeterminata. La nostra situazione in seno alla pandemia è certamente aperta. Abbiamo imparato ora la prima lezione: “spegnere la luce” non basterà. Ci dicono che “noi”, cioè la nostra economia, non possiamo permetterci un altro confinamento brutale – allora cambiamo l’economia. Il confinamento è il gesto negativo più radicale NELL’ordine esistente. La via verso un aldilà, un nuovo ordine positivo, passerà per la politica e non per la scienza. Quel che bisogna fare è cambiare la nostra vita economica affinché possa sopravvivere ai confinamenti e alle urgenze che ci attendono a colpo sicuro, nello stesso modo in cui una guerra ci obbliga a ignorare i limiti del mercato e a trovare un mezzo per fare l’“impossibile” in un’economia di libero mercato.

Nel marzo 2003, Donald Rumsfeld, allora segretario di Stato americano alla Difesa, si era lanciato in un po’ di filosofia per dilettanti a riguardo della relazione tra il conosciuto e lo sconosciuto: “Esistono dei conosciuti noti. Ci sono delle cose che sappiamo di conoscere. Ci sono degli sconosciuti noti. Vale a dire che ci sono cose di cui sappiamo di essere ignari. Ma ci sono anche degli sconosciuti sconosciuti. Ci sono cose che noi ignoriamo persino di non conoscere”. Quel che Rumsfeld ha dimenticato di aggiungere era il quarto termine pur tuttavia cruciale: i “conosciuti sconosciuti” cioè le cose che non abbiamo coscienza di conoscere – che designano appunto l’inconscio freudiano, “il sapere che non si conosce”, come diceva Lacan. Se Rumsfeld pensava che i principali pericoli dello scontro con l’Iraq fossero gli “sconosciuti sconosciuti”, le minacce di Saddam che non supponiamo neppure quel che potevano essere, dobbiamo rispondere che i principali pericoli sono, al contrario, i “conosciuti sconosciuti”, le credenze e le supposizioni apparentemente sconfessate alle quali non si è neppure coscienti di aderire.

Dovremmo, del resto, leggere l’affermazione di Habermas per cui non abbiamo mai saputo così tante cose su quel che ignoriamo, attraverso queste quattro categorie: la pandemia ha scosso quel che noi non sapevamo d’ignorare e, nella maniera in cui abbiamo affrontato tutto ciò, ci siamo appoggiati su quel che non sapevamo di sapere – tutte le nostre supposizioni e pregiudizi che determinano la nostra azione quando non ne siamo neppure coscienti. Non si tratta qui del semplice passaggio dall’ignoranza al sapere ma del passaggio molto più sottile dall’ignoranza al sapere di quel che non si sa – il nostro sapere positivo resta lo stesso durante questo passaggio, ma noi guadagniamo uno spazio libero per l’azione.

“ABBIAMO BISOGNO DI UN ASSANGE CINESE PER INFORMARCI SU QUEL CHE È DAVVERO ACCADUTO LAGGIÙ”

È in riferimento a quello che sappiamo di conoscere, supposizioni e pregiudizi inclusi, che la Cina (Taiwan e il Vietnam) hanno fatto molto meglio dell’Europa e degli Stati Uniti. Sono stanco dell’affermazione costantemente ripetuta: “sì, i cinesi hanno contenuto il virus, ma a che prezzo...”. Sono d’accordo sul fatto che abbiamo bisogno di un Assange cinese per informarci su quello che è davvero successo laggiù, tutta la storia, ma il fatto è che, quando l’epidemia è esplosa a Wuhan, hanno immediatamente imposto il confinamento e paralizzato la maggior parte della produzione in tutto il paese, dando chiaramente la priorità alle vite umane sull’economia. Hanno preso la crisi estremamente sul serio. Ora ne raccolgono la ricompensa, anche economicamente. Ciò è stato soltanto possibile siamo chiari – perché il PC cinese è sempre in grado di controllare e regolare l’economia; esiste un controllo sociale sul meccanismo del mercato, benché sia totalitario. Ancora una volta, però, la questione non è di sapere come sono riusciti ad applicare tutto ciò in Cina, ma come NOI dobbiamo farlo. Il metodo cinese non è il solo efficace, non è “obiettivamente necessario” nel senso in cui, se analizzate tutti dati, dovreste farlo alla maniera cinese. L’epidemia non è soltanto un processo virale, è un processo che si spande in dimensioni economiche, sociali e ideologiche aperte al cambiamento.

 

Manifestazione Youth for Climate negli Stati-Uniti, foto Tim Jacob Hauswirth

 

Oggi viviamo un momento folle in cui la speranza che i vaccini funzionino si mescola all’angoscia, persino alla disperazione, in ragione del numero crescente d’infezioni e delle scoperte quasi quotidiane di nuove varianti del virus. In principio la risposta a “ che cosa si deve fare” è qui facile: abbiamo i mezzi e le risorse per ristrutturare le cure della sanità affinché rispondano alle esigenze della gente in tempo di crisi, ecc. Tuttavia, per citare l’ultima linea dell’elogio del comunismo di Brecht nella sua opera “La madre”Er ist das Einfache, das schwer zu machen ist” (“È la cosa più semplice, tanto difficile da fare”). Ci sono numerosi ostacoli che la rendono tanto difficile da riuscire, prima di tutto l’ordine capitalista mondiale e la sua egemonia ideologica. Abbiamo dunque bisogno di un nuovo comunismo? Sì, ma di quello che sono tentato di chiamare un comunismo moderatamente conservatore: tutte le tappe sono necessarie, dalla mobilitazione mondiale contro le minacce virali e altre, fino alla messa in funzione di procedure che limiteranno i meccanismi del mercato e socializzeranno l'economia, ma realizzate in modo conservatore (nel senso di uno sforzo per conservare le condizioni della vita umana – e il paradosso che dobbiamo cambiare le cose precisamente per mantenere queste condizioni), e anche moderato (nel senso che bisogna prendere accuratamente in conto gli effetti secondari imprevedibili delle nostre misure).

A quale comunismo penso? A una necessità le cui ragioni sono evidenti: abbiamo bisogno di un’azione mondiale per lottare contro le minacce sanitarie e ambientali, l’economia dovrà essere in qualche modo socializzata... A questo proposito dovremmo leggere il modo in cui il capitalismo mondiale reagisce attualmente alla pandemia precisamente come un insieme di reazioni a questa tendenza comunista: il falso Great Reset, il populismo nazionalista, la solidarietà ridotta all’empatia.

Allora se e come potrebbe prevalere la tendenza comunista? Una triste riposta: attraverso crisi sempre più ripetute. Siamo chiari: il virus è ateo nel senso più forte del termine. Sì, bisognerebbe analizzare come la pandemia sia socialmente condizionata, ma è essenzialmente il prodotto di una contingenza priva di senso, non c’è un “messaggio più profondo” in essa (all’epoca medievale la peste era interpretata come una punizione divina). Prima di scegliere un celebre verso di Virgilio come motto della sua Interpretazione dei sogni[1] , Freud immaginava in quel ruolo un altro candidato, le parole di Satana tratte dal Paradiso perduto di John Milton: che sostegno si potrebbe trarre: « What reinforcement we may gain from Hope / If not what resolution from despair ». (Che sostegno si potrebbe trarre dalla speranza se non la determinazione della disperazione. E cosi che NOI, satana contemporanei distruttori della nostra terra, dovremmo reagire alle minacce virali ed ecologiche: invece di cercare vanamente di rinforzare qualche Speranza dovremmo accettare che la nostra situazione è disperata e agire risolutamente in conseguenza. Per citare di nuovo Greta Thunberg: “Fare del nostro meglio non basta più ormai si deve fare l’impossibile”. La futurologia tratta solamente quel che è possibile. Dobbiamo ormai fare quel che è, dal punto di vista dell’ordine mondiale esistente, impossibile.

[11] L’interpretazione dei sogni di Freud porta in epigrafe questa supplica a Giunone che si trova nell’Eneide di Virgilio: « Flectere si nequeo superos acheronta movebo » ( Se non potrò commuovere gli dèi celesti, impietosirò Acheronte”).



« Le Great Reset ? Oui, s’il vous plait, mais un vrai ! »

Slavoj Zizek, 5 février 2021

 







Né en 1949, Slavoj Zizek, philosophe et psychanalyste mondialement connu, vit à Ljubljana (Slovénie). Très aimé aux Etats-Unis, notamment des amateurs de pop philosophie, il a déjà publié de nombreux livres en français: « Le spectre rôde toujours » (Nautilus), « Jacques Lacan à Hollywood » ou encore « Le sujet qui fâche » (Flammarion)

 

En avril 2020, en réaction à l’explosion de l’épidémie de Covid-19, Jürgen Habermas a souligné que « l’incertitude de notre existence se propageait désormais globalement et simultanément, dans l’esprit des individus médiatiquement connectés ». Et de poursuivre : « Il n’y a jamais eu autant de conscience de notre non-savoir, et la contrainte d’agir et de vivre dans l’incertitude n’a jamais été aussi grande. » Le philosophe allemand a raison de prétendre que ce non-savoir ne concerne pas seulement la pandémie elle-même – nous avons au moins des experts dans ce domaine – mais plus encore ses conséquences économiques, sociales et psychiques. Notez sa formulation précise : ce n’est pas simplement que nous ne savons pas ce qui se passe, nous savons que nous ne savons pas, et ce non-savoir est lui-même un fait social, inscrit dans la manière dont nos institutions agissent.

Nous savons maintenant qu’à l’époque médiévale ou au début de la modernité, par exemple, ils en savaient beaucoup moins – mais ils ne le savaient pas, car ils s’appuyaient sur une base idéologique stable qui garantissait que notre univers est une totalité significative. Il en va de même pour certaines visions du communisme, et même pour l’idée de Fukuyama de « fin de l’Histoire » – ils ont tous supposé savoir où l’histoire évoluait. De plus, Habermas a raison de localiser l’incertitude dans « la tête des individus connectés » : notre lien avec l’univers câblé élargit énormément nos connaissances, mais en même temps il nous jette dans une incertitude radicale (sommes-nous piratés ? Qui contrôle nos connexions ? Est-ce que ce que nous lisons là-bas est une fake news ? Les découvertes en cours sur un piratage étranger – russe ? – des institutions gouvernementales américaines et des grandes entreprises illustrent cette incertitude : les Américains sont en train de découvrir qu’ils ne sont même pas capables de déterminer la portée et la provenance du piratage en cours. L’ironie est que le virus attaque maintenant aux deux sens du terme : biologique et numérique.

Quand nous essayons de deviner la façon dont nos sociétés se comporteront après la fin de la pandémie, le piège à éviter est la futurologie – la futurologie par définition oublie notre ignorance. La futurologie est définie comme une prévision systématique de l’avenir à partir des tendances actuelles de la société – et c’est là que réside le problème : la futurologie extrapole principalement ce qui résultera des tendances présentes. Cependant, ce que la futurologie néglige, ce sont les « miracles » historiques, les ruptures radicales qui ne peuvent s’expliquer que rétroactivement, une fois qu’elles se produisent. Il faudrait peut-être mobiliser ici la distinction qui existe en français entre futur et avenir : le « futur » désigne ce qui viendra après le présent tandis que l’« avenir » pointe vers un changement radical. Lorsqu’un président est réélu, il est « le président actuel et futur », mais il n’est pas le président « à venir » – le président à venir est un président différent. Alors, l’univers post-coronavirus sera-t-il juste un autre futur, ou quelque chose de nouveau « à venir » ?

Cela ne dépend pas seulement de la science, mais aussi de nos décisions politiques. Le moment est maintenant venu de dire que nous ne devrions pas nous faire d’illusions au sujet de l’issue « heureuse » des élections américaines qui ont apporté un tel soulagement parmi les libéraux du monde entier. Le film « They Live » de John Carpenter (1988), l’un des chefs-d’œuvre négligés de la gauche hollywoodienne (en français le titre est « Invasion Los Angeles » NDLR), raconte l’histoire de John Nada (en espagnol « rien »), un travailleur sans-abri qui tombe accidentellement sur un tas de boîtes pleines de lunettes de soleil dans une église abandonnée. Lorsqu’il met une paire de ces lunettes en marchant dans une rue, il remarque qu’un panneau publicitaire coloré nous invitant à manger des barres de chocolat affiche maintenant le mot « OBÉIR », tandis qu’un autre panneau d’affichage avec un couple glamour en train de s’enlacer, vu à travers les lunettes, ordonne au spectateur de « SE MARIER ET SE REPRODUIRE ». Il voit aussi que les billets de banque portent les mots « CECI EST VOTRE DIEU ». De plus, il découvre rapidement que beaucoup de personnes qui ont l’air charmantes sont en fait des extraterrestres monstrueux avec des têtes en métal… Actuellement, circule sur le web une image qui restitue la scène de « They Live » à propos de Biden et Harris : vu directement, l’image les montre tous en train de sourire avec le message « TIME TO HEAL » (il est temps de soigner) ; vu à travers les lunettes, ce sont deux monstres extraterrestres et le message est « TIME TO HEEL » (il est temps de mettre au pas).

                     Montage fourni par l’auteur, mélangeant l’univers dystopique du cinéaste John Carpenter

et les visages de la nouvelle équipe présidentielle américaine

Cette vision rejoint bien sûr en partie la propagande de Trump visant à discréditer Biden et Harris, en tant que marionnettes des grandes entreprises anonymes qui contrôlent nos vies – mais il y a plus qu’une part de vérité là-dedans. La victoire de Biden désigne le « futur » en tant que continuation de la « normalité » pré-Trump – c’est pourquoi il y a eu un tel soupir de soulagement après sa victoire. Mais cette « normalité » est celle du capitalisme anonyme mondialisé, qui est le véritable Alien parmi nous. Je me rappelle dans ma jeunesse du désir d’un « socialisme à visage humain » contre un socialisme « bureaucratique » du type URSS – Biden promet un nouveau capitalisme mondialisé à visage humain, alors que derrière ce visage se cache la même réalité. Dans l’éducation, ce « visage humain » a pris la forme de l’obsession du « bien-être » : élèves et étudiants doivent vivre dans des bulles qui les sauveront des horreurs de la réalité extérieure, protégés par les règles du politiquement correct. L’éducation n’est plus destinée à nous permettre de nous confronter à la réalité sociale – et quand on nous dit que cette sécurité empêchera les dépressions, nous devrions cela avec l’affirmation exactement inverse : un tel semblant de sécurité nous ouvre à des crises mentales quand nous devrons affronter notre réalité sociale. Ce qu’offre l’apparence de « bien-être », c’est qu’elle couvre simplement d’un faux « visage humain » notre réalité au lieu de nous permettre de changer cette réalité elle-même. Biden est le président par excellence du « bien-être ».

« BIDEN PROMET UN NOUVEAU CAPITALISME MONDIALISÉ À VISAGE HUMAIN, MAIS DERRIÈRE CE VISAGE SE CACHE LA MÊME RÉALITÉ »

Alors pourquoi Biden est-il tout de même meilleur que Trump ? Les critiques soulignent que Biden ment aussi, et représente également le grand capital, à cette différence près qu’il le représente sous une forme plus polie – mais, malheureusement, cette forme compte. Avec le devenir vulgaire du discours public, Trump corrodait la substance éthique de nos vies, ce que Hegel appelait Sitten (par opposition à la moralité individuelle). Ce devenir vulgaire est un processus mondial. En voici un bon exemple européen : Szilard Demeter, commissaire ministériel et chef du musée littéraire Petofi à Budapest. Celui-ci a écrit dans un éditorial en novembre 2020 : « L’Europe est la chambre à gaz de George Soros. Le gaz toxique s’écoule de la capsule d’une société ouverte multiculturelle, mortelle pour le mode de vie européen. » Demeter a poursuivi en qualifiant Soros de « Führer libéral ». Si on lui demandait, Demeter rejetterait probablement ces déclarations comme une exagération rhétorique ; ceci, n’écarte cependant en aucun cas leurs terrifiantes implications. La comparaison entre Soros et Hitler est profondément antisémite : elle met Soros au même niveau qu’Hitler, affirmant que la société ouverte multiculturelle promue par Soros n’est pas seulement aussi périlleuse que l’Holocauste et le racisme aryen qui l’a soutenumais qu’elle est pire encore, plus périlleuse pour le « mode de vie européen ».

Existe-t-il donc une alternative à cette vision terrifiante, autre que le « visage humain » de Biden ? Greta Thunberg a récemment tiré trois leçons positives de la pandémie : « Il est possible de traiter une crise comme une crise, il est possible de placer la santé des gens au-dessus des intérêts économiques, et il est possible d’écouter la science ». Oui, mais ce sont des possibilités – il est également possible de traiter une crise en l’utilisant pour masquer d’autres crises (par exemple : à cause de la pandémie, nous devrions oublier le réchauffement climatique) ; il est également possible de se servir de la crise pour rendre les riches plus riches et les pauvres plus pauvres (ce qui s’est effectivement produit en 2020 à une vitesse sans précédent) ; et il est également possible d’ignorer ou de compartimenter la science (rappelez-vous simplement de ceux qui refusent de se faire vacciner, de la montée explosive des théories du complot, etc.).

« NOUS NOUS DIRIGEONS VERS UNE NATION OÙ 3 MILLIONS DE SEIGNEURS SERONT SERVIS PAR 350 MILLIONS DE SERFS »

Scott Galloway, théoricien new yorkais de la publicité, donne une image plus ou moins précise des choses à notre ère du coronavirus dans son livre paru fin 2020 : « Post Corona. From crisis to opportunity » : « Nous nous dirigeons vers une nation où trois millions de seigneurs sont servis par 350 millions de serfs. Nous n’aimons pas le dire à haute voix, mais c’est comme si cette pandémie avait été largement inventée pour ramener les 10% les plus riches dans les 1% les plus riches, et ramener le reste des 90% encore à la baisse. Nous avons décidé de protéger les entreprises, pas les gens. Le capitalisme est littéralement en train de s’effondrer sur lui-même à moins qu’il ne reconstruise ce pilier de l’empathie. Nous avons décidé que le capitalisme signifie être aimant et empathique envers les entreprises, et darwiniste et dur envers les individus ».

Alors, quelle est la solution de sortie de Galloway, comment éviter l’effondrement social ? Sa réponse est que « le capitalisme s’effondrera sur lui-même sans davantage d’empathie et d’amour ». « Nous entrons dans la Grande Réinitialisation, et cela se produit rapidement. De nombreuses entreprises seront tragiquement perdues à cause des retombées économiques de la pandémie, et celles qui survivront existeront sous une forme différente. Les organisations seront beaucoup plus adaptables et résilientes. Les différents groupes qui prospèrent actuellement avec moins d’encadrement désireront cette même autonomie à l’avenir. Les employés s’attendront à ce que les dirigeants continuent à diriger avec transparence, authenticité et humanité. » Mais, encore une fois, comment cela arrivera-t-il ? Galloway propose une destruction créatrice qui laisse les entreprises en faillite échouer tout en protégeant les personnes qui perdent leur emploi : « Nous laissons les gens se faire virer pour qu’Apple puisse grandir et mettre Sun Microsystems en faillite, et nous diffuserons cette incroyable prospérité et serons plus empathiques avec les gens… ».

Le problème est, évidemment, de savoir qui se cache derrière le mystérieux « nous » dans la dernière phrase citée, c’est-à-dire comment, exactement, la redistribution sera effectuée. Est-ce que nous taxons simplement les vainqueurs (Apple, dans ce cas) tout en les autorisant à conserver leur position de monopole ? L’idée de Galloway a un certain flair dialectique : la seule façon de réduire les inégalités et la pauvreté est de permettre à la concurrence du marché de faire son travail cruel (laisser les gens se faire virer), et puis… quoi ensuite ? Est-ce que nous attendons que les mécanismes du marché créent eux-mêmes de nouveaux emplois ? Ou l’État ? Comment « amour » et « empathie » opèrent-ils ? Ou est-ce que nous compterions sur l’empathie des gagnants et attendrions d’eux qu’ils se comportent tous comme Bill Gates et Warren Buffet ? Je trouve cette amélioration des mécanismes du marché par la moralité, l’amour et l’empathie tout à fait problématique : au lieu de nous permettre d’obtenir le meilleur des deux mondes (égoïsme du marché et empathie morale), il est beaucoup plus probable que nous obtiendrons le pire des deux mondes…

 

Le livre du publicitaire Scott Galloway: « Post Corona. From crisis to opportunity »,

paru en novembre 2020, a été un best-seller aux États-Unis

Les visages humains de ce « management avec transparence, authenticité et humanité » sont Gates, Bezos, Zuckerberg, les visages du capitalisme corporatif autoritaire, qui se présentent tous comme des héros humanitaires – à noter que notre nouvelle aristocratie les a célébrés dans nos médias et cités comme de véritables sages humanistes. Bill Gates donne des milliards pour des œuvres caritatives, mais nous devons nous rappeler qu’il s’est opposé au plan d’Elisabeth Warren en faveur d’une légère augmentation des impôts. Il a fait l’éloge de Thomas Piketty, et s’est presque proclamé socialiste une fois, ceci est vrai, mais dans un sens tordu et très spécifique, sa richesse provenant en effet de la privatisation de ce que Marx appelait nos « communs », l’espace social partagé dans lequel nous évoluons et communiquons. La richesse de Gates n’a rien à voir avec les coûts de production des produits vendus par Microsoft, et l’on peut même soutenir que Microsoft rémunère ses travailleurs intellectuels à un salaire relativement élevé. La richesse de Gates n’est pas le résultat de son succès dans la production de bons logiciels pour des prix inférieurs à ceux de ses concurrents, ou d’une plus grande « exploitation » de ses employés intellectuels. Bill Gates est devenu l’un des hommes les plus riches du monde en privatisant et en contrôlant la possibilité donnée à des millions d’entre nous de communiquer. Et de la même manière que Microsoft a privatisé les logiciels que la plupart d’entre nous utilisons, les contacts personnels se voient privatisés par Facebook, l’achat de livres par Amazon, ou la recherche par Google.

Il y a donc une part de vérité dans la « rébellion » de Trump contre la puissance des GAFAS, ces monstrueuses entreprises numériques mondiales. Cela vaut la peine de regarder à cet égard les fameux podcasts Apple « War Room » de Steve Bannon, qui demeurera comme le plus grand idéologue du populisme de Trump – on ne peut en effet qu’être fasciné par le nombre de vérités partielles qu’il y combine au sein d’un mensonge global. Oui, sous Obama, l’écart qui sépare les riches des pauvres s’est énormément creusé, les grandes entreprises se sont encore renforcées… Mais sous Trump, ce processus s’est poursuivi, Trump a baissé les impôts, utilisé l’argent principalement pour sauver les grandes entreprises, etc. Nous sommes donc confrontés à une horrible fausse alternative : la réinitialisation des grandes entreprises, ou le populisme nationaliste qui s’avèrera finalement être la même chose. Le « Great Reset » est la formule qui désigne le changement de certaines choses, et même de beaucoup de choses, afin que ces choses restent fondamentalement les mêmes.

« NOTRE ÉCONOMIE NE PEUT SE PERMETTRE UN AUTRE CONFINEMENT BRUTAL? ALORS CHANGEONS D’ÉCONOMIE ! »

Existe-t-il donc une troisième voie, en dehors de l’espace ouvert par ces deux extrêmes que sont la restauration de l’ancienne normalité ou la perspective d’un « Great Reset » ? Oui – mais une vraie grande réinitialisation. Ce qui doit être fait n’est pas un secret – Greta Thunberg l’a dit clairement. Premièrement, nous devons enfin reconnaître la crise pandémique pour ce qu’elle est, à savoir qu’elle fait partie d’une crise mondiale de tout notre mode de vie, de l’écologie jusqu’aux nouvelles tensions sociales. Deuxièmement, nous devons établir un contrôle social et une régulation de l’économie. Troisièmement, nous devrions nous fier à la science – nous y fier oui, mais pas simplement l’accepter comme un organisme externe qui prend les décisions. Pourquoi ? Revenons à Habermas avec qui nous avons commencé : notre situation est telle que nous sommes obligés d’agir alors que nous savons que nous ne connaissons pas les coordonnées exactes de la situation dans laquelle nous nous trouvons, et que ne pas agir serait un acte en soi. Mais n’est-ce pas la situation de base de tout acteur ? Notre grand avantage est que nous savons à quel point nous sommes ignorants, et cette connaissance de notre ignorance ouvre un espace de liberté. Nous agissons quand nous ne connaissons pas la situation dans son ensemble, mais ce n’est pas simplement une limite : ce qui nous donne la liberté, c’est que la situation – dans notre sphère sociale, du moins – est en elle-même ouverte, pas totalement prédéterminée. Et notre situation au sein de la pandémie est certainement ouverte. Nous avons appris la première leçon maintenant : « éteindre la lumière » ne suffira pas. Ils nous disent que « nous », à savoir notre économie, ne pouvons pas nous permettre un autre confinement brutal – alors changeons l’économie. Le confinement est le geste négatif le plus radical DANS l’ordre existant. La voie vers un au-delà, un nouvel ordre positif, passera par la politique, et non par la science. Ce qu’il faut faire, c’est changer notre vie économique afin qu’elle puisse survivre aux confinements et aux urgences qui nous attendent à coup sûr, de la même manière qu’une guerre nous oblige à ignorer les limites du marché et à trouver un moyen de faire ce qui est « impossible » dans une économie de libre marché.

En mars 2003, Donald Rumsfeld, alors secrétaire d’Etat américain à la Défense, s’était livré à un peu de philosophie amateur sur la relation entre le connu et l’inconnu : « Il y a des connus connus. Ce sont des choses dont nous savons que nous les connaissons. Il existe des inconnus connus. C’est-à-dire qu’il y a des choses dont nous savons que nous les ignorons. Mais il y a aussi des inconnus inconnus. Il y a des choses dont ignorons même que nous ne les connaissons pas ». Ce que Rumsfeld a oublié d’ajouter était le quatrième terme, pourtant crucial : les « connus inconnus », à savoir les choses que nous n’avons pas conscience de connaître – qui désignent précisément l’inconscient freudien, le « savoir qui ne se connaît pas », comme disait Lacan. Si Rumsfeld pensait que les principaux dangers de la confrontation avec l’Irak étaient les « inconnus inconnus », les menaces de Saddam dont nous ne soupçonnions même pas ce qu’elles pouvaient être, ce que nous devons répondre, c’est que les principaux dangers sont, au contraire, les « connus inconnus », les croyances et suppositions en apparence désavouées, auxquelles nous ne sommes même pas conscients d’adhérer.

Nous devrions d’ailleurs lire l’affirmation de Habermas selon laquelle nous n’avons jamais su autant de choses sur ce que nous ignorions, à travers ces quatre catégories: la pandémie a secoué ce que nous pensions ou savions connaître, elle nous a fait prendre conscience de ce que nous ne savions pas que nous ignorions, et, dans la manière dont avons affronté cela, nous nous sommes appuyés sur ce que nous ne savions pas que nous savions – toutes nos suppositions et préjugés qui déterminent notre action alors que nous n’en sommes même pas conscients. Il ne s’agit pas ici du simple passage de l’ignorance au savoir mais du passage beaucoup plus subtil de l’ignorance au savoir de ce que l’on ne sait pas – notre savoir positif reste le même dans ce passage, mais nous gagnons un libre espace pour l’action.

« NOUS AVONS BESOIN D’UN ASSANGE CHINOIS POUR NOUS RENSEIGNER SUR CE QUI S’EST RÉELLEMENT PASSÉ LÀ-BAS »

C’est au regard de ce que nous savons connaître, nos suppositions et nos préjugés, que la Chine (et Taïwan et le Vietnam) ont fait tellement mieux que l’Europe et les États-Unis. Je suis fatigué de l’affirmation éternellement répétée « Oui, les Chinois ont contenu le virus, mais à quel prix… ». Je suis d’accord sur le fait que nous avons besoin d’un Assange chinois pour nous renseigner sur ce qui s’est réellement passé là-bas, toute l’histoire, mais le fait est que, lorsque l’épidémie a explosé à Wuhan, ils ont immédiatement imposé le confinement et paralysé la majorité de la production dans tout le pays, donnant clairement la priorité aux vies humaines sur l’économie. Ils ont pris la crise extrêmement au sérieux. Maintenant, ils en récoltent la récompense, même économiquement. Et – soyons clairs – cela n’a été possible que parce que le PC chinois est toujours en mesure de contrôler et de réguler l’économie : il existe un contrôle social sur les mécanismes du marché, bien qu’il soit « totalitaire ». Mais, encore une fois, la question n’est pas de savoir comment ils ont réussi à appliquer cela en Chine, mais comment NOUS devons le faire. La méthode chinoise n’est pas la seule méthode efficace, elle n’est pas « objectivement nécessaire » dans le sens où, si vous analysez toutes les données, vous devriez le faire à la manière chinoise. L’épidémie n’est pas seulement un processus viral, c’est un processus qui s’étale dans des dimensions économiques, sociales et idéologiques qui sont ouvertes au changement.

 

Manifestation Youth for Climate aux Etats-Unis, photo Tim Jacob Hauswirth

Aujourd’hui nous vivons un moment fou, où l’espoir que les vaccins fonctionneront se mélange à l’angoisse, au désespoir même, en raison du nombre croissant d’infections et les découvertes quasi quotidiennes de nouvelles variantes du virus. En principe, la réponse à « que doit-on faire ? » est facile ici : nous avons les moyens et les ressources pour restructurer les soins de santé afin qu’ils répondent aux besoins des gens par temps de crise, etc. Cependant, pour citer la dernière ligne de l’« Éloge du communisme » de Brecht dans sa pièce « La Mère » : «Er ist das Einfache, das schwer zu machen ist.» (« C’est la chose la plus simple, c’est si difficile à faire.» ). Il y a de nombreux obstacles qui la rendent si difficile à accomplir, avant tout l’ordre capitaliste mondial et son hégémonie idéologique. Est-ce que nous avons donc besoin d’un nouveau communisme ? Oui, mais ce que je suis tenté d’appeler un communisme modérément conservateur: toutes les étapes sont nécessaires, de la mobilisation mondiale contre les menaces virales, et autres, jusqu’à la mise en place de procédures qui contraindront les mécanismes de marché et socialiseront l’économie, mais réalisées de manière conservatrice (dans le sens d’un effort pour conserver les conditions de la vie humaine – et le paradoxe est que nous devons changer les choses précisément pour maintenir ces conditions), et aussi modéré (dans le sens où il faut prendre soigneusement en compte les effets secondaires imprévisibles de nos mesures).

A quel communisme est-ce que je pense ? A une nécessité dont les raisons sont évidentes : nous avons besoin d’une action mondiale pour lutter contre les menaces sanitaires et environnementales, l’économie devra être en quelque sorte socialisée … A cet égard, nous devrions lire la façon dont le capitalisme mondial réagit actuellement à la pandémie précisément comme un ensemble de réactions à cette tendance communiste : le faux Great Reset, le populisme nationaliste, la solidarité réduite à l’empathie.

Alors, comment – si – la tendance communiste pourrait-elle prévaloir ? Une triste réponse : à travers des crises de plus en plus répétées. Soyons clairs : le virus est athée au sens le plus fort du terme. Oui, il faudrait analyser comment la pandémie est socialement conditionnée, mais c’est essentiellement le produit d’une contingence dénuée de sens, il n’y a pas de « message plus profond » en elle (à l’époque médiévale, la peste était interprétée comme une punition divine). Avant de choisir un célèbre vers de Virgile comme devise de son « Interprétation des rêves » (1), Freud envisagea dans ce rôle un autre candidat, les paroles de Satan tirées du « Paradis Perdu » de John Milton : « What reinforcement we may gain from Hope / If not what resolution from despair ». Quel soutien pourrait-on tiré de l’espoir sinon la détermination du désespoir. C’est ainsi que nous, Satans contemporains qui détruisons notre terre, devrions réagir aux menaces virales et écologiques : au lieu de chercher vainement à renforcer quelque espoir, nous devrions accepter que notre situation est désespérée et agir résolument en conséquence. Pour citer à nouveau Greta Thunberg : « Faire de notre mieux ne suffit plus. Nous devons maintenant faire ce qui semble impossible ». La futurologie traite seulement de ce qui est possible. Nous devons désormais faire ce qui est, du point de vue de l’ordre mondial existant, impossible.

SLAVOJ ZIZEK

 

Traduit de l’anglais par Antoine Birot, tous droits réservés à QG, le média libre, pour la version française.

(1) « L’interprétation des rêves » de Freud porte en épigraphe cette supplique à Junon qu’on trouve dans l’Énéide de Virgile : « Flectere si nequeo superos acheronta movebo », que l’on pourrait traduire ainsi : « Si je ne parviens pas à émouvoir ceux d’en haut (les dieux), j’agiterai l’Achéron (le fleuve des enfers) »