sabato 9 ottobre 2021

La transizione necessaria ma per il momento improbabile

 





Siate decisi a smettere di servire ed eccovi liberi. Non vi chiedo di spingerlo, di scuoterlo, ma solo di non sostenerlo e lo vedrete, come un gran colosso a cui sia stata spezzata la base, fondere sotto il suo peso e rompersi”.

Etienne de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, 1576.


 

La mia azione di modesto contro informatore (lanceur d’alerte, wistleblower che dir si voglia) che riflette una volta ancora pubblicamente senza poter fare molto di più, è in realtà una reazione vitale spontanea e non una pretesa intellettuale, perché la transizione da un mondo che muore a un altro la cui nascita comincia a delinearsi dappertutto come necessaria, s’impone ormai come una conditio sine qua non della sopravvivenza della specie. Non c’è più spazio per le titubanze: il tempo ci è contato e questo momento storico mostra più che mai quanto questa urgenza occupi le intelligenze e le inquietudini degli esseri umani.

A riguardo di questa transizione che continua il suo surplace in maniera criminale, non ho la pretesa di essere esaustivo, semmai di contribuire un minimo a fare il punto per avviare il difficile inizio di un progetto d’emancipazione che si affina e si corregge da secoli senza riuscire. Sarà ora o mai più. Quante volte potremo ancora concederci il lusso di ripetere questo mantra esortativo prima che sia troppo tardi?

Comunque, nessuna avanguardia separata dal movimento storico degli egualitari diseguali che siamo, potrà dirigere questo progetto. Si farà (o no) con tutti i sopravvissuti (dei milioni, forse) che avranno deciso di esplorarlo e praticarlo spinti dalla pedagogia delle catastrofi di cui la natura non mancherà di continuare a impartire le lezioni. Volenti o nolenti, i sopravvissuti formeranno una federazione affinitaria d’innumerevoli piccoli gruppi praticanti diverse azioni locali collegate da una coerente prospettiva planetaria – tutte azioni collegate a quel cambio di rotta che si propone oggi come un’ultima speranza di fronte alla civiltà che muore, ma che è destinato a diventare la sola strategia possibile se e quando il peggio sarà arrivato!

Si sa ormai, al cuore dell’emancipazione desiderata e incompiuta, che una libera autogestione della vita organica è e resterà incompatibile con tutte le gerarchie e con i capi e capetti che le dirigono nell’ottica produttivista dominante. L’abrogazione di questo tipo di organizzazione sociale tipica dello sviluppo esponenziale di una società patriarcale, predatrice e suprematista, è l’atto politico maggiore e prioritario di un rovesciamento di prospettiva sociale altrettanto desiderabile che necessario. Solo il bando della barbarie produttivista, deciso collettivamente dalle assemblee democratiche dirette, potrà ridare una possibilità agli esseri umani eventualmente sopravvissuti alla catastrofe che s’avvicina ineluttabilmente, annunciata dalla crisi climatica, i pesticidi, il nucleare, la tecnologia digitale, le pandemie e la peste emozionale crescente che rende gli umani stupidi, impotenti e ciechi. Dobbiamo porre fine allo sfruttamento e all'inquinamento mortifero del vivente, cause primarie delle disgrazie umane e della disumanità debordante.

La natura del vivente e i vagiti di un “ora basta!” che cerca di trasformarsi in progetto di vita ci invitano, oggi più che mai, a tendere alla costruzione di un mondo nuovo sulle rovine del vecchio che sta crollando. Perché ciò accada, gli umani dovranno evitare di cadere nelle varie trappole che la natura stessa del vecchio mondo tende loro da tempo e continuerà a farlo. Farla finita con la sottomissione, certo, ma anche con i millenarismi e le superstizioni paranoiche che sfogano la rabbia addomesticandola e deviano la rivolta che monta verso esche ideologiche senza pericolo per il sistema dominante. Perché non siamo vittime di un complotto ma del funzionamento plurimillenario di un sistema di sfruttamento e di alienazione che ha sempre utilizzato tutti i mezzi per un unico obiettivo prioritario: un accumulo suprematista di ricchezza di cui l’economia politica è ormai la teologia e il manuale subliminale d’istruzioni per l’uso.

Solo la consapevolezza radicale di tutto ciò renderà possibile una rivoluzione sociale attesa da secoli e finalmente capace, senza odio né procrastinazione, di realizzare quel progetto emancipatore che la coscienza di classe non è riuscita a concretizzare. Per questo una nuova coscienza di specie spinta dalla natura, dalla sua incrollabile determinazione e dalla sua inarrestabile continuità, può insegnarci a combattere contemporaneamente tutte le pesti sanitarie, sociali e psicologiche che attaccano la nostra intelligenza sensibile e i nostri corpi indeboliti.

Indipendentemente dall'esito della loro resistenza, la recente apparizione inaspettata dei Gilet jaunes sulla scacchiera della democrazia parlamentare francese[1] ha dato un nuovo corpo alla vecchia richiesta di capovolgimento della prospettiva sociale, unico vaccino veramente capace di proteggerci dal virus ideologico omicida della civiltà produttivista. Ebbene, nonostante i pericoli reali che comporta e che soprattutto non devono essere rimossi o banalizzati, la pandemia di coronavirus che occupa la scena può oggettivamente contribuire a dare il colpo di grazia a un vecchio mondo già in pessime condizioni. Perché la pandemia ha accelerato e reso ancora più urgente ciò che era già necessario, non rendendo così un buon servizio alle gerarchie dominanti.

"Hanno inventato la pandemia per sottometterci definitivamente", dicono i confusionisti infuriati sui loro cellulari. Assurdità di servitori volontari che pensano di essere rivoluzionari mentre marciano nella trama mostruosa del potere planetario. Molto prima della pandemia, la rivoluzione digitale era già la vera offensiva finale della società produttivista, un'offensiva che il virus ha complicato. Certo, l'armata di mercenari delle multinazionali che manovrano gli Stati e manipolano i cittadini addomesticati e resi schiavi del ricatto economico, ha immediatamente reagito adoperandosi per rendere utile ai fini del dominio ciò che pone problema al sistema. Perché la crisi sanitaria ne complica gravemente il funzionamento, rendendo visibili a occhio nudo l’intrinseca disumanità della società produttivista, le sue contraddizioni stridenti, le sue menzogne e l'opportunismo delle sue intollerabili decisioni.

Se il potere dominante avesse inventato il virus avrebbe commesso un errore madornale. Cerca invece, con tutti i mezzi, di integrarlo nel processo di addomesticamento definitivo degli esseri umani già in corso. Il virus è "naturale" almeno come rivelatore dei misfatti del dominio. Questa semplice osservazione contrasta con la sfrenata paranoia complottista indaffarata a demonizzare il vaccino denunciandolo come mortale senza che le prove “scientifiche” in questo senso siano più convincenti di quelle opposte che pretendono di garantire la sua efficacia senza pericoli. Pur rendendo più ricchi i capitalisti che lo vendono, il vaccino riduce parecchio, nell’immediato, l'impatto del virus. A che prezzo e con quali conseguenze? Non lo sappiamo. Quindi tutti devono essere liberi di vaccinarsi o meno[2]. Basta con le omelie pseudoscientifiche pro o contro! Come non essere altrettanto diffidenti nei confronti di Big Pharma e dello Stato bugiardo che delle paranoie cospiratorie evocanti dubbie sette sataniche di serial killer vaccinali?

Mentre il potere sta solo continuando il suo lavoro globale di distruzione della vita organica della specie umana e dei suoi compagni di viaggio, animali o piante, i deliri si moltiplicano a 360 gradi. L'ideologia del complotto non è che un'espressione del misticismo allucinato che turba l'umanità in una distopia poli dogmatica. Vera pubblicità negativa, il complottismo funziona, del resto, come un ultimo alibi per il dominio e per il cancro produttivista di cui il capitalismo è la fase terminale. Volenti o nolenti, complottisti e anti-complottisti, apparentemente opposti, inscenano un conflitto tanto ingannevole quanto quello preteso tra Stato e Mercato, complici di fatto da sempre del Leviatano produttivista. Entrambe le tendenze corroborano la soluzione finale della civiltà produttivista consistente in una totale artificializzazione della vita, la cui hybris avanza da secoli a ritmo industriale. Una logica binaria condivisa unisce queste due fazioni di zombie che si combattono solo sul piano ideologico, cioè nell'apparenza che falsifica la realtà per renderla incomprensibile, quindi incriticabile.

Da tempo il Leviatano studiava già il metodo migliore per riuscire a integrare dei microchip digitali sotto la pelle dei suoi soggetti umani addomesticati. Questa intima invasione è già sistematicamente imposta ad altre specie animali trattate come inferiori in una pura logica concentrazionaria. Ovviamente l'obiettivo del produttivismo e del suo carattere strutturalmente fascista è il controllo più intimo possibile delle popolazioni. Tuttavia, questo misfatto intollerabile é già molto efficace perché passa ormai per i telefoni cellulari, i computer e altre “diavolerie” digitali di cui, peraltro, ignoriamo anche l'impatto sulla salute fisica.

Poco importa, poiché il transumanesimo ci promette, in prospettiva, tra progresso alienato e utopia reificata, l'opzione ripugnante di una sopravvivenza senza fine (una specie di vita eterna in saldo nel supermercato globale a cui è ridotta la terra). Il cyborg umano sarà presto in grado di cambiare, a suo piacimento, cuore, sesso, polmoni, seno e prostata o qualsiasi altra parte del corpo in panne, grazie alle magie dell'intelligenza artificiale e al continuo progresso della tecnologia.

Così, l'ormai programmato divieto di nascere e vivere come liberi soggetti – cioè mammiferi coscienti in un mondo naturale – sarebbe compensato dal folle vantaggio di poter diventare cose che non muoiono mai! Questo meraviglioso homo digitalis, già ampiamente raffazzonato dal GAFAM, potrebbe durare per sempre o quasi, funzionando solo come una macchina che produce valore economico all'interno della mega-macchina del totalitarismo finanziario cibernetizzato. Orde di moderni seguaci di questo progresso mostruoso si stanno già battendo per essere i primi a godere del privilegio. Tuttavia, i piani di questo progetto di dominio assoluto si scontrano con l'immenso potere della natura e con i resti di una natura umana che non si rassegna a un destino da incubo. La vera domanda che sconcerta gli ultimi eredi dei Neanderthal, dei Sapiens e di altri ominidi vari, è capire se l'umanità sopravvivrà al capitalismo e all’economia politica, ma anche: di quale umanità parliamo?

Erede di secoli di resistenza e di lotte sociali di un proletariato armato della sua coscienza di classe, la teoria radicale prevede, da almeno mezzo secolo, la fine del vecchio mondo, mentre il fantasma di una democrazia illusoria è indaffarato a ritardare la scadenza per mezzo della propaganda (ingannevole come qualsiasi spot pubblicitario) della felicità mercantile. I servitori volontari, del resto, chiedono solo di poterci credere, pur credendoci sempre meno perché in tutte le teste opera la potente percezione che questo mondo non può durare e che solo la crudele mancanza di un progetto alternativo, chiaro e visibile, spinge a fingere di credere nel progresso, anche sull'orlo del baratro.

La domanda sorge spontanea, mentre le risposte restano confuse, se non latenti: cambiare per andare dove, cambiare cosa, quanto, quando e come? Un tale problema planetario non può essere risolto da nessun individuo straordinario, da un ennesimo profeta tirato fuori dal cappello di qualche credenza mitologica. La questione richiede risposte collettive basate su un dibattito reale non distorto da interessi di casta, nutrito dalla conoscenza delle sperimentazioni passate e presenti e dal desiderio di creare le condizioni reali per una società libera, equanime e fraterna. Tale dibattito richiede assemblee egualitarie e la partecipazione di tutti senza gerarchie né poteri. Quella che possiamo chiamare per il momento democrazia diretta – di fatto la sola democrazia reale perché acratica – è il prezioso strumento di un'autogestione generalizzata della vita quotidiana resa possibile da quella coscienza di specie che scaturisce spontaneamente dall'ampiezza della sofferenza sociale e dell’artificializzazione della vita. In quanto superamento di una coscienza di classe sconfitta dal consumismo, essa permetterà, al contempo, di realizzare gli obiettivi emancipatori mancati dall’antico movimento operaio.

Eppure, la liturgia della politica mercenaria, asservita alla finanza e alle multinazionali e assoggettata dal totalitarismo digitale, sta diffondendo più che mai il suo pensiero ingannevole e le sue truffe parlamentari. Discorsi stupidi o deliranti (spesso, allo stesso tempo, entrambe le cose) continuano a imbalsamare il cadavere del produttivismo di fronte alle masse di servi sottomessi che si ignorano e sventolano con orgoglio la loro chimerica cittadinanza. Così l'oscura opera del dominio ha svuotato le parole di progresso e democrazia (ma anche molte altre) di tutto il loro significato, imponendo la novlingua orwelliana di una follia omicida da cui bisogna liberarsi per sfuggire alla crescita mortifera del nichilismo capitalista.

Cerchiamo di essere realisti per potere ancora sognare. I fatti ci mostrano, realisticamente appunto, che non passeremo da un mondo all'altro in modo indolore, senza una tragedia multiforme di dimensione colossale; tuttavia, questo mondo della merce sacralizzata che vampirizza l’umano e fa infuriare la natura non può esistere senza il lavoro vivo dell'uomo, produttore e consumatore allo stesso tempo. Noi siamo la condizione della continuità mortifera, oppure quella del superamento rivitalizzante. Per questo la coscienza di specie che questa realtà sinistra sviluppa come un’ultima difesa della vita organica, può diventare il perno di un rovesciamento di prospettiva.

Solo così si potrà arginare il riscaldamento globale, il ripetersi di pandemie, il numero di tumori dovuti alla civiltà dei pesticidi, dell'energia nucleare e di altre nocività industriali. Basta con la sacralizzazione di un lavoro alienato che impesta il mondo. Molti sono già morti e altri seguiranno, consumati dal consumo o dalla mancanza di tutto il necessario, materiale ed emozionale. Comunque, noi umani lo sappiamo: non usciremo vivi dalla vita, ma possiamo decidere di scegliere fino alla fine l'amore del vivente, e chi vivrà vedrà. Perché, anche in questo presente imbarazzante e fragile, vivere, nonostante tutto, fino in fondo, il complesso godimento di essere al mondo, sprigiona una dose di soddisfazione e voglia di partecipare all'avventura di una scommessa incredibile: la transizione dalla società spettacolare mercantile, ultimo ghetto planetario del produttivismo, a una società novella ridiventata organica in un mondo nuovo finalmente umano.

Sergio Ghirardi Sauvageon



[1] Una scacchiera particolarmente bifronte, repubblicana e monarchica, giacobina e petainista, truccata né più né meno di quella di qualsiasi altro statalismo mercantile, ma corrosiva di una coscienza rivoluzionaria recuperata per secoli dal Leviatano produttivista.

[2] Io ho deciso in piena autonomia, cosciente di non sapere. Rivendico il diritto di ciascuno di fare altrettanto secondo i propri criteri.



La transition nécessaire mais pour le moment improbable

 « Soyez résolus à ne plus servir, et vous voilà libres. Je ne vous demande pas de le pousser, de l’ébranler, mais seulement de ne plus le soutenir, et vous le verrez, tel un grand colosse dont on a brisé la base, fondre sous son poids et se rompre. »

Etienne de La Boétie, Discours de la servitude volontaire, 1576, Mille et une nuits, Paris 1995, page 15.

 

Loin de la foule déchaînée

 

Mon action de modeste lanceur d’alerte qui réfléchit une fois de plus de façon publique sans pouvoir faire beaucoup mieux, est, en fait, une réaction vitale spontanée et non pas une prétention intellectuelle, parce que la transition d’un monde qui meurt à un autre dont la naissance commence à s’esquisser partout comme nécessaire, s’impose désormais comme une conditio sine qua non de la survie de l’espèce. Les atermoiements ne sont plus un choix viable : le temps nous est compté et ce moment historique montre plus que jamais combien cette urgence occupe les esprits et les craintes des humains.

En me penchant sur cette transition qui continue criminellement son surplace, je n’ai pas la prétention d’être exhaustif; plutôt de contribuer un minimum à faire le point afin d’enclencher l’amorce difficile d’un projet d’émancipation qui s’affine et se corrige depuis des siècles sans aboutir. Ce sera maintenant ou jamais. Combien de fois pouvons-nous encore nous permettre le luxe de répéter ce mantra exhortatif avant qu’il ne soit trop tard ?

Toutefois, aucune avant-garde séparée du mouvement historique des égalitaires inégaux que nous sommes, ne pourra diriger ce projet. Il se fera (ou ne se fera pas) avec tous les survivants qui (par millions, peut-être) auront décidé de l’explorer et de le pratiquer, poussés par la pédagogie des catastrophes dont la nature ne manquera pas de continuer à transmettre les leçons. Volens nolens, les survivants formeront une fédération affinitaire d’innombrables petits groupes pratiquant diverses actions locales liées par une cohérente perspective planétaire – toutes actions liées à ce changement de cap qui se propose aujourd’hui comme un dernier espoir face à la civilisation qui meurt, mais qui est destiné à devenir la seule stratégie possible si et quand le pire sera arrivé !

On sait, désormais, au cœur de l’émancipation souhaitée et inachevée, qu’une libre autogestion de la vie organique est et sera incompatible avec toutes hiérarchies et avec les patrons et les petits chefs qui les dirigent dans l’optique productiviste dominante. L’abrogation de ce type d’organisation sociale typique de l’essor exponentiel d’une societé patriarcale, prédatrice et suprématiste, est l’acte politique majeur et prioritaire d’un renversement de perspective sociale aussi souhaitable que nécessaire. Seul le bannissement de la barbarie productiviste, décidé collectivement par des assemblées de démocratie directe, pourra redonner une chance aux humains éventuellement rescapés de la catastrophe qui s’approche inéluctablement, annoncée par la crise climatique, les pesticides, le nucléaire, le numérique, les pandémies et la peste émotionnelle croissante qui rend les humains stupides, impuissants et aveugles. Il faut mettre un terme à l’exploitation et à la pollution mortifère du vivant, causes primaires des malheurs des humains et de l’inhumanité débordante.

La nature du vivant et les vagissements d’un ras le bol qui cherche à se transformer en projet de vie nous invitent, aujourd’hui plus que jamais, à viser la construction d’un monde nouveau sur les ruines du vieux qui s’effondre. Il faudra pour cela que les humains évitent de tomber dans les différents pièges que la nature même du vieux monde lui tend depuis longtemps et va continuer de le faire. En finir avec la soumission, certes, mais aussi avec les millénarismes et les superstitions paranoïaques qui défoulent la rage en l’apprivoisant et détournent la révolte qui gronde contre des leurres idéologiques sans danger pour le système dominant. Car nous ne sommes pas les victimes d’un complot mais du fonctionnement plurimillénaire d’un système d’exploitation et d’aliénation qui utilise depuis toujours tous les moyens pour un seul objectif prioritaire : une accumulation suprematiste de richesse dont l’économie politique est désormais la théologie et le mode d’emploi subliminal.

Seule la conscience radicale de tout cela rendra possible une révolution sociale en attente depuis des siècles et finalement capable, sans haine ni atermoiements, de réaliser ce projet émancipateur que la conscience de classe n’a pas su accomplir. Pour cela une nouvelle conscience d’espèce poussée par la nature, par sa détermination inébranlable et sa continuité inarrêtable, peut nous apprendre à combattre en même temps toutes les pestes sanitaires, sociales et psychologiques qui agressent notre intelligence sensible et nos corps affaiblis.

Indépendamment de l’issue de leur résistance, la récente apparition inattendue des Gilets jaunes sur l’échiquier de la démocratie parlementaire française[1] a donné un corps nouveau à l’exigence ancienne d’un renversement de perspective sociale, seul vaccin véritablement capable de nous protéger du virus idéologique meurtrier de la civilisation productiviste. Or, malgré les dangers réels qu’elle comporte et qu’il ne faut surtout pas refouler ou banaliser, la pandémie de coronavirus qui occupe la scène peut contribuer objectivement à donner le coup de grâce à un vieux monde déjà mal en point. Car elle n’a fait qu’accélérer et rendre plus urgent encore ce qui était déjà nécessaire, sapant ainsi les assises des hiérarchies dominantes.

« Ils ont inventé la pandémie pour nous soumettre définitivement », disent sur leurs téléphones portables les confusionnistes enragés. Balivernes de serviteurs volontaires qui se prennent pour des révolutionnaires, alors qu’ils collaborent à la combine monstrueuse du pouvoir planétaire. Bien avant la pandémie, la révolution numérique était déjà la véritable offensive finale de la société productiviste, offensive que le virus a compliquée. Bien sûr, l’armada de mercenaires des multinationales qui manœuvrent les Etats et manipulent les citoyens domestiqués et soumis à l’esclavage du chantage économique, a immédiatement réagi en œuvrant pour rendre utile aux fins de la domination ce qui pose problème au système. Car la crise sanitaire lui complique sérieusement la tâche, rendant visibles à l’œil nu l’inhumanité foncière de la société productiviste, ses contradictions criantes, ses mensonges et l’opportunisme de ses décisions intolérables.

Si les décideurs avaient inventé le virus ils auraient fait une énorme erreur. Ils cherchent, par contre, par tous les moyens, à l’intégrer dans le processus de domestication définitive de l’humain déjà en cours. Le virus est « naturel » du moins en tant que révélateur des méfaits de la domination. Ce simple constat tranche avec la paranoïa complotiste débridée qui s’affaire à diaboliser le vaccin en le dénonçant comme mortel sans que les preuves « scientifiques » en ce sens ne soient plus convaincantes que celles qui, à l’opposé, prétendent garantir son efficacité sans dangers. Tout en enrichissant les capitalistes qui le vendent, le vaccin réduit considérablement, dans l’immédiat, l’impact du virus. A quel prix et avec quelles conséquences ? On ne le sait pas. Donc, à chacun la liberté de se vacciner ou pas[2]. Les homélies pseudo-scientifiques pour ou contre, ça suffit ! Comment ne pas se méfier autant de Big Pharma et de l’Etat menteur que des paranoïas complotistes évoquant des douteuses sectes sataniques de serial killers vaccinaux ?

Alors que le pouvoir ne fait que continuer son œuvre globale de destruction de la vie organique de l’espèce humaine et de ses compagnons de route, animaux ou végétaux, les délires se multiplient tous azimuts. L’idéologie du complot n’est qu’une expression du mysticisme halluciné qui trouble l’humanité dans une dystopie poly dogmatique. Véritable publicité négative, le complotisme fonctionne, d’ailleurs, comme un dernier alibi pour la domination et pour le cancer productiviste dont le capitalisme est la phase terminale. Qu’ils le veuillent ou non, complotistes et anticomplotistes, apparemment opposés, mettent en scène un conflit aussi trompeur que le prétendu affrontement entre l’Etat et le Marché, en fait complices de toujours du Léviathan productiviste. Ces deux tendances corroborent la solution finale de la civilisation productiviste consistant dans une artificialisation totale de la vie dont l’hubris progresse depuis des siècles à un rythme industriel. Une logique binaire partagée réunit ces deux factions de zombies qui se bagarrent uniquement sur le plan idéologique, c'est-à-dire dans le paraître qui falsifie la réalité pour la rendre incompréhensible, donc incritiquable.

Depuis un moment, déjà, le Léviathan était en train d’étudier la meilleure méthode pour arriver à intégrer quelques micro chips numériques sous la peau de ses sujets humains domestiqués. On impose bien déjà systématiquement cette invasion intime à d’autres espèces animales qu’on traite d’inférieures dans une pure logique concentrationnaire. Evidemment, le but du productivisme et de son fascisme caractériel structurel est un contrôle des populations le plus intime possible. Néanmoins, ce méfait intolérable est déjà très performant car il passe désormais par les téléphones portables, les ordinateurs et autres « diableries » numériques dont, d’ailleurs, on ignore aussi l’impact sur la santé physique.

Peu importe, car le transhumanisme nous promet, en perspective, entre progrès aliéné et utopie réifiée, l’option immonde d’une survie sans fin (une sorte de vie éternelle en solde dans le supermarché global auquel on a réduit la terre). Le cyborg humain pourra bientôt changer, à loisir, cœur, sexe, poumons, seins et prostate ou n’importe quelle autre partie du corps tombée en panne, grâce aux magies de l’intelligence artificielle et aux progrès continus de la technologie.

Ainsi, l’interdiction désormais programmée de naître et vivre en tant que libres sujets – c'est-à-dire de mammifères pourvus de conscience dans un monde naturel – serait compensée par l’avantage insensé de pouvoir devenir des choses qui ne meurent jamais ! Ce merveilleux homo numericus déjà abondamment échafaudé par le GAFAM, pourrait durer éternellement ou presque, en fonctionnant uniquement comme une machine productrice de valeur économique à l’intérieur de la méga machine du totalitarisme financier cybernétisé. Des hordes d’adeptes modernes de ce progrès monstrueux se bagarrent déjà pour être les premiers à pouvoir profiter du privilège. Néanmoins, les plans de ce projet de domination absolue s’affrontent à la puissance immense de la nature et aux restes d’une nature humaine qui ne se résigne pas à une destinée si cauchemardesque. La vraie question qui turlupine les derniers héritiers des Néandertal, des Sapiens et autres hominidés divers, c’est de comprendre si l’humanité survivra au capitalisme et à l’économie politique, mais aussi : de quelle humanité parle-t-on ?

Héritière de siècles de résistance et de luttes sociales d’un prolétariat armé de sa conscience de classe, la théorie radicale envisage, depuis au moins un demi-siècle, la fin du vieux monde, pendant que le fantôme d’une démocratie illusoire s’affaire à retarder l’échéance par la propagande (trompeuse comme tout spot publicitaire) du bonheur marchand. Les serviteurs volontaires, d’ailleurs, ne demandent que de pouvoir y croire, tout en y croyant de moins en moins car dans toutes les têtes travaille la perception puissante que ce monde ne peut pas durer et que seul le manque cruel d’un projet alternatif, clair et visible, pousse à faire semblant de croire au progrès, même au bord de l’abîme.

La question se pose spontanément, alors que les réponses restent confuses, sinon latentes : changer pour aller où, changer quoi, combien, quand et comment ? Un tel problème planétaire ne peut pas être résolu par un quelconque individu génial, par un énième prophète sorti du chapeau de quelque croyance mythologique. Il exige des réponses collectives fondées sur un vrai débat non faussé par des intérêts de caste, nourri par la connaissance des expérimentations passées et présentes et par une volonté de créer les conditions réelles d’une société libre, juste et fraternelle. Un tel débat nécessite des assemblées égalitaires et la participation de tous sans hiérarchies ni pouvoirs. Ce qu’on peut appeler pour le moment démocratie directe – en fait la seule démocratie réelle car acratique – est l’instrument précieux d’une autogestion généralisée de la vie quotidienne rendue possible par cette conscience d’espèce qui jaillit spontanément de l’ampleur du malheur social et de l’artificialisation de la vie. En tant que dépassement d’une conscience de classe vaincue par le consumérisme, elle permettra en même temps d’atteindre les objectifs émancipateurs manqués par l’ancien mouvement ouvrier.

Et pourtant, la liturgie de la politique mercenaire, inféodée à la finance et aux multinationales et soumise au totalitarisme numérique, répand plus que jamais sa pensée trompeuse et ses arnaques parlementaristes. Des discours débiles ou délirants (souvent les deux à la fois) continuent à embaumer le cadavre du productivisme face aux masses de domestiques soumis qui s’ignorent et arborent fièrement leur citoyenneté chimérique. Ainsi l’œuvre sombre de la domination a vidé les mots de progrès et de démocratie (mais beaucoup d’autres encore) de tout leur sens, imposant la novlangue orwellienne d’une folie meurtrière dont on doit se libérer pour échapper à la croissance mortifère du nihilisme capitaliste.

Soyons réalistes pour pouvoir encore rêver. Les faits nous montrent, grandeur nature, que nous ne passerons pas d’un monde à l’autre de façon indolore, en faisant l’économie d’une tragédie aux multiples facettes et d’une dimension colossale ; cependant, ce monde de la marchandise sacralisée qui vampirise l’humain et enrage la nature ne peut pas exister sans le travail vivant de l’humain, producteur et consommateur à la fois. Nous sommes la condition de la continuité mortifère ou celle du dépassement revitalisant. Pour cela la conscience d’espèce que cette réalité sinistre développe comme une ultime défense de la vie organique, peut devenir le pivot d’un renversement de perspective.

Ce sera uniquement ainsi qu’on endiguera le réchauffement climatique, la répétition des pandémies, le nombre des cancers dus à la civilisation des pesticides, du nucléaire et d’autres nuisances industrielles. Assez de la sacralisation de ce travail aliéné qui empeste le monde. Beaucoup sont déjà morts et d’autres suivront, consumés par la consommation ou par manque de tout l’essentiel, matériel et émotionnel. De toute façon, nous, les humains, le savons : nous ne sortirons pas vivants de la vie, mais nous pouvons décider de choisir jusqu’au bout l’amour du vivant, et qui vivra verra. Car, même dans ce présent embarrassant et fragile, vivre, malgré tout et jusqu’au bout, la jouissance complexe d’être au monde, dégage une dose de satisfaction et d’envie de participer à l’aventure d’un pari inouï : la transition de la société spectaculaire-marchande, ultime ghetto planétaire du productivisme, à une société nouvelle redevenue organique dans un nouveau monde finalement humain.

 

 

Sergio Ghirardi Sauvageon



[1] Echiquier particulièrement bicéphale, républicain et régalien, jacobin et pétainiste, truqué ni plus ni moins que celui de n’importe quel autre étatisme marchand, mais corrosif d’une conscience révolutionnaire récupérée pendant des siècles par le Léviathan productiviste.

[2] J’ai décidé en pleine autonomie, conscient de ne pas savoir. Je revendique le droit de chacun d’en faire autant selon ses propres critères.