martedì 20 settembre 2022

Sobrietà energetica, una cosa da poveri!

 




Transalpino radicale che sono, voglio denunciare in senso contrario allo spettacolo dominante, non Giordano Bruno all'Inquisizione ma l'inquisizione ai Giordano Bruno anonimi che rifiutano ancora, in Francia, in Italia e altrove, di arrendersi all’addomesticamento economicista omicida che imperversa.

L'esagono francese dove ho fatto il nido, come lo stivale italiano dove sono nato, è una delle nazioni psicogeografiche che amo. Assolutamente nessuna è la mia patria, né l'una né l'altra. Il mio paese è il mondo. L'internazionalista antipatriarcale che sono ha scelto liberamente di vivere qui da quasi mezzo secolo, senza opportunismi né inganni, solo per amore della vita, mescolando le sue radici alverniate con quelle liguri, avendo contribuito molto modestamente modestia che è la fatalità di ogni maschio – alla nascita a Parigi di mio figlio, per la quale ringrazio particolarmente sua madre, bella compagna di avventura, e mio figlio stesso.

Le mie radici nomadi e la mia parte sedentaria sono dunque un mix transalpino che nessun nazionalismo potrà rubarmi. La vita mi ha insegnato a viverla da essere umano, senza confini di nessun genere – e sottolineo genere!

Sono quindi francese per mia scelta quotidiana e a causa di una parte della mia storia antica e recente, altrettanto che italiano per il resto del mio vissuto e delle mie origini. Non importano i passaporti e gli obblighi che la burocrazia statalista di Francia, Navarra o altrove mi richiedono. L'unico lato positivo dell'Europa reazionaria produttivista al servizio dello Stato globale in fieri, è che su questo punto preciso i burocrati di Stato ce la menano molto meno di prima con i loro papiri marcescenti. Ma ancora troppo, per i miei gusti!

Le mie due anime transalpine si preoccupano anche della sorte delle mie due nazioni principali[1], storicamente prigioniere, come tutte le altre, del patriarcato produttivista che ha inventato lo Stato per facilitare il business planetario e proteggere il Mercato dal libero e gioioso dispendio di energia vitale degli esseri umani.

L’ibrido perverso che fu la Città-Stato, è diventato Stato-nazione e sta per realizzare il suo ideale di Stato planetario. Lo Stato è nato e morirà al servizio del Mercato e dei mercanti che manipolano mandrie di servitori volontari, drappeggiando sempre la disumanità del Leviatano con le sue volgari bandiere suprematiste e i suoi inni morbosi (che la nazione diventata vassalla dello Stato sia fiera del sangue che annaffia i suoi solchi o che si proclami schiava di Roma e pronta a morire per la patria).

Mentre l'Italia si prepara tragicamente a celebrare con il voto[2] il centenario della marcia su Roma di Mussolini culminata nel "ventennio" fascista e nella seconda guerra mondiale, la Francia sonnecchia nel suo complesso di superiorità che un transalpino famoso (Coluche) aveva esemplarmente stigmatizzato ricordando la predilezione del gallo francese imperialista a cantare imperturbabile la sua grandezza napoleonica anche a Waterloo, con i piedi nella merda e nel sangue che scorre a fiotti.

Come tutti gli ignoranti diplomati che il produttivismo ingaggia nella gestione politica del suo dominio (in Italia si preferiscono i non laureati più rozzi nella loro ignoranza ma senza scrupoli nell'ignominia e nel ridicolo), il presidente Macron, eterno ragazzino bon chic bon genre, distilla regolarmente, in quel che resta della Francia (supposta eterna, in realtà arcaica quanto i nostri antenati Galli e l'Impero romano dall’altra parte delle Alpi), delle briciole di verità involontaria che macchiano la sua fedeltà all’economia politica, riccamente ricompensata, economicamente e narcisisticamente, dalla civiltà produttivista di cui è il dipendente, come tutti i politicanti. A forza di sproloquiare bugie populiste che non nascondono nemmeno una goccia del suo profondo disprezzo per il popolo, Macron lascia che alcune delle sue intime convinzioni scivolino nel quadro sub realista della sua visione del mondo, liberale e mercantile fino alla feccia.

Si è visto nel centocinquantesimo anniversario della Comune di Parigi e della sua sconfitta vittoriosa: quello stesso accanito repubblicano che periodicamente singhiozza in modo spettacolare, a corrente alternata, su Vichy e la resistenza antifascista in versione Mitterrandiana[3] ha ammesso di apprezzare piuttosto lo spirito di Versailles che la passione dei Comunardi. La sua professione d'amore per Adolphe Thiers e per i suoi omicidi repubblicani, a Lione poi a Parigi, rivendica, del resto, sottobanco, una pratica del terrore punitivo migliorata, per non dire democratizzata, dall'uso accecante di flash balls ad personam invece degli omicidi collettivi che insanguinarono Parigi durante la terribile settimana del pogrom della Comune. Altra epoca, stesso spirito borghese.

La borghesia proletarizzata di oggi, diventata una casta di servitori volontari più che una classe dominante, è politicamente molto corretta e preferisce veder affondare le barche degli immigrati nel Mediterraneo invece di massacrare gli operai – purché francesi, preferibilmente cattolici e che restino soprattutto lontano dai Ronds-points dei Gilets jaunes. Così, grazie alla peste emozionale islamista che continua a modo suo la nostra inquisizione cristiana del passato, si possono demonizzare tutti i musulmani come untermenchen e trattare d’islamo-gauchista chiunque rifiuti quest’amalgama razzista semplificatore, fosse anche qualcuno profondamente e gioiosamente ateo e radicalmente critico di ogni psicopatologia monoteistica. Inoltre, attraverso la sua filosofia da caffè del commercio, la neolingua ci insegna che radicalizzarsi è sinonimo d’islamizzazione. La radicalità dell'Illuminismo di una volta, da Diderot a Marx, è così diventata l'ultima vittima della ghigliottina oscurantista del capitalismo.

Il dominio reale del capitale sul lavoro umano è ormai un dato di fatto e quindi la società dei consumi non vede di buon occhio i campi di concentramento e lo sterminio di massa; preferisce i supermercati e una sopravvivenza da consumatori, miserabile ma produttrice di valore economico, a qualunque prezzo. Certo, non possiamo lamentarci, noi che abbiamo ancora (ma fino a quando?) l’acqua potabile al rubinetto mentre una porzione incredibile della popolazione mondiale non l'ha mai avuta.

Alla minima voce di una penuria idrica, chi non si è mai curato per un solo secondo della sorte altrui, si precipita nei supermercati per fare scorta di acqua, olio, farina e altri generi alimentari, incurante di contribuire così alla penuria prima ancora che sia reale. Intanto i prezzi ballano la rumba indiavolata della speculazione mentre i teologi dell’economia politica ci parlano d’inflazione e di recessione con un tono ispirato e scientifico che occulta la truffa.

Così i tempi cambiano affinché non cambi l'essenziale e con esso la soddisfazione delle esigenze del dominio. Fino a ieri parlare di decrescita era ridicolizzato dal minimo sociologo, politico o giornalista. Ognuno di questi specialisti di un quasi tutto che assomiglia al quasi niente, vomita le sue certezze, incerte e ammuffite ma ben pagate, sugli schermi televisivi, sui gafam e accessoriamente sulla carta stampata questo dinosauro in via di sparizione quasi altrettanto folgorante di quella degli alberi della foresta amazzonica e di altrove.

Ora, gli apostoli della crescita economica, di fronte al disastro di cui essa è la portatrice malsana, si stanno riciclando in paladini della sobrietà, dimenticando di averla derisa fino a ieri. Pandemia, clima e guerra li obbligano! Un conto, però, era l'idea di una decrescita rivendicata per salvare al meglio la qualità di vita ancora possibile, un'altra la decrescita imposta dalla catastrofe produttivista e, per di più, per continuare a produrre una stupida crescita economica alienata: la ricchezza finanziaria e l'abbondanza di cose inutili di una società termo industriale che ha prodotto il disastro ecologico e sociale facendo della decrescita una risposta obbligata alla natura dimenticata dall'hubris dell'uomo. In questo casino, il gas figlio di Putin sembra un'ironia della storia, ma una storia testarda che non scende a compromessi sull'ecologia sociale e ride di tutti gli oligarchi e delle loro mandrie di servitori volontari.

Eppure, i discorsi che preparano all’obbligo del risparmio energetico e quindi della riduzione dei consumi in genere, continuano a preservare gli stessi privilegi di sempre per alcuni e ad aggravare le corvè insopportabili per gli altri. È importante sottolinearlo, soprattutto nel paese che sembra dimenticare la data del 4 agosto 1789, legata nella sua storia all'abolizione dei privilegi.

In un mondo in cui l'immensa ricchezza prodotta e accumulata è nelle mani dell'uno per cento della popolazione mondiale, le crescenti differenze all’interno del 99 per cento dei meno ricchi e dei poveri moltiplicano dei conflitti tra dominati che proteggono le élite dominanti dalla rivoluzione sociale. Mentre si potrebbe abolire un sistema anti egualitario instaurando una società senza dei né padroni, quindi umana, si riproduce la batracomiomachia che per millenni di produttivismo ha sostituito la poesia del vivente umanizzato con una sordida battaglia per una sopravvivenza miserabile in nome del suprematismo: il chimerico “posto al sole” rivendicato da ogni imperialismo fascista.

Perché il fascismo non è un'idea che diventa azione. È, al contrario, un'azione malata, reattiva, predatoria, spinta dalla paura di mancare, dalla paura dell'altro, dalla paura del godimento, dalla paura della vita. Il fascismo diventa ideologia politica per giustificare la sua essenza: “Cerca, dunque, di dire o fare il contrario e vedrai cosa ti succede”.

Nella natura primitiva, nella giungla, il predatore non ha scelta. Deve uccidere per sopravvivere. Il darwinismo sociale (e non la teoria dell'evoluzione di Darwin che è, al contrario, un patrimonio dell'umanità che ci aiuta a capire chi siamo, i nostri limiti e le nostre potenzialità poetiche) giustifica ideologicamente il fascismo politico sragionando su un pretestuoso limite naturale primario mentre l'evoluzione della specie umana ha sempre precisamente scommesso sul possibile superamento dell'animalità primitiva senza negarla, per raffinarla dialetticamente.

Più che un'utopia, ogni Arcadia è una mappa aleatoria e imprecisa ma poetica, nel senso radicale del termine, di un territorio psicogeografico che non conosciamo ancora molto bene e che ci sfugge nonostante le nostre ripetute esplorazioni. Perché, sempre, come in un déjà-vu, la violenza della guerra cancella in un'ipnosi pavloviana il desiderio d'amore che essa violenta, uccide e umilia fino alla rimozione finale che ci protegge dalla vergogna interiorizzata al prezzo di una disgrazia teorizzata e messa in pratica.

Laddove la poesia gilanica[4] ha esplorato in più epoche, più volte e in luoghi diversi, una civiltà umana possibile, il produttivismo ha sempre trovato nel fascismo caratteriale lo spunto per farci regredire sistematicamente verso i conflitti della natura primitiva, dove spesso la tua morte permette la mia vita (mors tua vita mea).

Da millenni, la civiltà produttivista ci sciroppa la favola ideologica dei limiti al cuore della natura umana mentre è appunto il produttivismo che incarna la nostra antinatura disumana. È sempre il presunto fascismo dell'altro (l'untermensch) a giustificare il nostro. Così, ora, i neonazisti russi pretendono di liberare il mondo dai neonazisti ucraini e viceversa, mentre l'umano soffre e muore dappertutto.

Il progetto della stupida intellighenzia delle élite di ogni bordo è chiaro: il peggio del comunismo unito al peggio del capitalismo. Esplosione delle disuguaglianze e controllo sociale del popolo, esplosione dei profitti da parte di big Pharma e di big finanza. Due mondi paralleli disegnano una distopia incarnata da questo momento di nulla politico che stiamo subendo a fondo.

Ho adattato questa limpida affermazione – finita per caso davanti ai miei occhi di contro informatore volontario che osserva talvolta il virtuale, nonostante la mia diffidenza nei suoi confronti – al mio bisogno di capire e denunciare la trappola sociale che c’imprigiona sempre di più, forse, irrevocabilmente.

Abbiamo solo la scelta di liberarcene o morirne.

Scegli da che parte stare, camarade!

 

 

Sergio Ghirardi Sauvageon, 20 settembre 2022

 



[1] Da bulimico viaggiatore psicogeografico che sono, queste due nazioni soggettive, femminili e ricche di fascino, non sono le uniche che ho amato nella mia vita.

[2] È di questi giorni il voto per le elezioni legislative italiane che i sondaggi vedono ampiamente alla portata degli eredi di ciò che resta della fiamma razzista e fascista (1922/2022).

[3] Vale a dire sotto le bandiere ambigue di una socialdemocrazia erede di Noske e Scheidemann e non di Rosa Luxembourg, più vicina alla Franciska che alla rivoluzione sociale. La strategia di favorire una rinascita controllata del fascismo volgare ha reso possibile di fare ingoiare al popolo frustrato, manipolato ed emozionalmente appestato dal produttivismo, il "male minore" dello Stato totalitario nella sua versione pseudo democratica piuttosto che nazional-populista.
[4] Mi riferisco, ancora una volta, alla riflessione di Marjia Gimbutas et Riane Eisler sul significato di questo neologismo antropologico misconosciuto ma fondamentale per capire come porre la vera questione dell'opposizione conflittuale tra la civiltà umana, organica e la civiltà produttivista, disumana, artificiale. Informatevi, se lo volete, sul termine gilanico. Non voglio qui esercitare il minimo atteggiamento pedagogico perché non intendo convincere nessuno. Possa il virtuale, per una volta, aiutare voi e la vostra coscienza organica, di specie.



La sobriété énergétique, un truc de pauvres !

 

 


Transalpin radical que je suis, je veux dénoncer dans le sens opposé au spectacle dominant, non pas Giordano Bruno à l’inquisition mais l’inquisition aux Giordano Bruno anonymes qui refusent toujours, en France, en Italie et ailleurs, de se rendre à la domestication économiste déferlante et meurtrière.

L’hexagone français où je crèche, comme la botte italienne où je suis né, est une des nations psychogéographiques que j’aime. Elles ne sont surtout pas ma patrie, ni l’une ni l’autre. Mon pays est le monde. L’internationaliste anti patriarcal que je suis a librement choisi de vivre ici depuis presque un demi-siècle, sans opportunismes ni magouilles, juste par amour de la vie, mêlant ses racines auvergnates à ses racines ligures, en ayant contribué très modestement – modestie qui est le lot de tout mâle – à la naissance à Paris de mon fils dont je remercie surtout sa mère, belle compagne d’aventure, et mon fils lui-même.

Mes racines nomades et ma composante sédentaire sont donc un mélange transalpin qu’aucun nationalisme ne pourra me voler. La vie m’a appris à la vivre comme un être humain, sans limites de frontière d’aucun genre – j’ai bien dit genre !

Je suis donc français par mon choix quotidien et à cause d’une partie de mon histoire ancienne et récente, autant qu’italien par le reste de mon vécu et de mes origines. Peu importent les passeports et les obligations que la bureaucratie étatiste de France, de Navarre ou d’ailleurs exigent de moi. Le seul côté positif de la réactionnaire Europe productiviste au service de l’État global in fieri, est que sur ce point précis les bureaucrates d’État nous emmerdent beaucoup moins qu’avant avec leurs papiers pourris. Mais toujours trop, à mes goûts !

Mes deux âmes transalpines se préoccupent également du sort qu’on fait à mes deux nations principales[1], historiquement captives, comme toutes les autres, du patriarcat productiviste qui a inventé l’État pour faciliter le business planétaire et protéger le Marché de la libre et joyeuse dépense d’énergie vitale des êtres humains.

Cet hybride pervers qu’était la cité-État, est devenu l’État-nation et est sur le point d’atteindre son idéal d’État planétaire. L’État est né et mourra au service du Marché et des marchands qui manipulent des troupeaux de serviteurs volontaires, drapant toujours l’inhumanité du Léviathan de ses vulgaires drapeaux suprématistes et de ses hymnes morbides (que la nation vassalisée par l’État soit fière du sang qui abreuve ses sillons ou qu’elle se proclame esclave de Rome et prête à mourir pour la patrie).

Alors que l’Italie s’apprête tragiquement à fêter par le vote[2] le centenaire de la marche mussolinienne sur Rome aboutie au « ventennio » fasciste et à la seconde guerre mondiale, la France ronronne dans son complexe de supériorité qu’un transalpin célèbre (Coluche) avais si bien épinglé en rappelant la prédilection du coq français impérialiste à chanter imperturbablement sa grandeur napoléonienne même à Waterloo, les pieds dans la merde et dans le sang qui coule à flots.

Comme tous les ignorants diplômés que le productivisme embauche dans la gestion politique de sa domination (en Italie on préfère plutôt les ignorants non diplômés, plus rudes mais sans états d’âme dans l’ignominie et le ridicule), le président Macron, inépuisable garçon bon chic bon genre, distille régulièrement, dans ce qui reste de la France (soi-disant éternelle, en réalité archaïque autant que nos ancêtres les Gaulois et l’Empire romain de l’autre côté des Alpes), des miettes de vérité involontaire qui tachent sa fidélité à l’économie politique richement récompensée économiquement et narcissiquement par la civilisation productiviste dont il est l’employé, comme tous les politiciens. À force de débiter des mensonges populistes qui ne cachent même pas une goutte de son profond mépris du peuple, Macron laisse glisser quelques-unes de ses convictions intimes dans le tableau subréaliste de sa vision du monde, libérale et marchande jusqu’à la lie.

Ce fut le cas pendant l’anniversaire des cent cinquante années de la Commune de Paris et de sa défaite victorieuse : ce même républicain acharné qui périodiquement larmoie de façon spectaculaire, à courant alterné, sur Vichy et la résistance antifasciste dans sa version mitterrandienne[3] a avoué apprécier plutôt l’esprit versaillais que la passion communarde. Sa profession d’amour pour Adolphe Thiers et pour ses meurtres de masse républicains, à Lyon puis à Paris, revendique, d’ailleurs, en catimini, une pratique de la terreur punitive améliorée, pour ne pas dire démocratisée, par l’utilisation aveuglante des flash balls ad personam à la place des meurtres collectifs qui ont ensanglanté Paris pendant la terrible semaine du pogrom de la Commune. Autre époque, même esprit bourgeois.

La bourgeoisie prolétarisée d’aujourd’hui, devenue une caste de serviteurs volontaires plus qu’une classe dominante, est politiquement très correcte et préfère voir sombrer les bateaux d’immigrés dans la Méditerrané plutôt que massacrer les travailleurs – pourvu qu’ils soient bien français, préférablement catholiques et surtout loin des ronds-points des Gilets jaunes. Ainsi, grâce à la peste émotionnelle islamiste qui continue à sa manière notre inquisition chrétienne d’antan, on peut diaboliser tous les musulmans comme des untermenschen et traiter d’islamo-gauchiste quiconque refuse cet amalgame raciste et réducteur, fût-il quelqu’un de profondément et joyeusement athée et radicalement critique de n’importe quelle psychopathologie monothéiste. D’ailleurs, par sa philosophie de comptoir, la novlangue nous apprend que se radicaliser est synonyme d’islamisation. La radicalité des lumières d’antan, de Diderot à Marx, est ainsi devenue la dernière victime de la guillotine obscurantiste du capitalisme.

La domination réelle du capital sur le travail humain est désormais un fait et par conséquent la société de consommation n’a pas de goût pour les camps de concentration ni pour l’extermination de masse ; elle leur préfère les supermarchés et une survie de consommateurs, misérable mais productrice de valeur économique, coûte que coûte. Certes, nous sommes mal placés pour nous plaindre, nous qui avons encore (mais jusqu’à quand ?) l’eau potable au robinet alors qu’une portion inouïe de la population mondiale ne l’a jamais eue.

À la moindre rumeur de pénurie d’eau, ceux qui ne se sont jamais souciés une seule seconde du destin d’autrui se ruent dans les supermarchés pour faire provision d’eau, d’huile, de farine et autres denrées, indifférents au fait qu’ils contribuent ainsi à la pénurie avant même qu’elle soit réelle. Pendant ce temps les prix dansent la rumba endiablée de la spéculation tandis que les théologiens de l’économie politique nous parlent d’inflation et de récession avec un ton inspiré et scientifique qui dissimule l’arnaque.

Ainsi, les temps changent afin que l’essentiel ne change pas et avec eux la satisfaction des exigences de la domination. Jusqu’à hier, parler de décroissance était ridiculisé par le moindre sociologue, politicien ou journaliste. Chacun de ces spécialistes d’un presque tout qui ressemble au presque rien, vomit ses certitudes, incertaines et moisies mais bien payées, sur les plateaux de télévision, sur les gafam et accessoirement sur le papier de la presse écrite – ce dinosaure en voie de disparition presque aussi fulgurante que celle des arbres de la forêt amazonienne et d’ailleurs.

Maintenant, les apôtres de la croissance économique, face au désastre dont celle-ci est la porteuse malsaine, se reconvertissent en chantres de la sobriété, oubliant qu’ils l’ont raillée jusqu’à hier. Pandémie, climat et guerre obligent ! Or, une chose était l’idée d’une décroissance revendiquée pour sauver au mieux la qualité de la vie encore possible, une autre est la décroissance imposée par la catastrophe productiviste et, de surcroît, afin de continuer à produire une débile croissance économique aliénée : la richesse financière et l’abondance de choses inutiles d’une société thermo industrielle qui a produit le désastre écologique et social faisant de la décroissance une réponse obligée à la nature oubliée par l’hubris des humains. Dans ce bordel, le gaz fils de Putin ressemble à une ironie de l’histoire, mais une histoire têtue qui ne transige pas sur l’écologie sociale et se moque de tous les oligarques et de leurs troupeaux de serviteurs volontaires.

Et pourtant, les discours qui préparent à la tâche obligatoire d’épargner l’énergie et donc de limiter la consommation en général, continuent de préserver les privilèges des uns et d’aggraver les corvées affligeant les autres. Il est important de le souligner, surtout dans le pays qui semble oublier la date du 4 août 1789, liée dans son histoire à l’abolition des privilèges.

Dans un monde où l’immense richesse produite et accumulée est dans les mains d’un pour cent de la population mondiale, les différences s’accentuant parmi les 99 pour cent des moins riches et des pauvres multiplient des conflits entre dominés qui protègent les élites dominantes de la révolution sociale. Plutôt qu’abolir un système inégalitaire en instaurant une société sans dieux ni maîtres, donc humaine, on reproduit la batrachomyomachie qui pendant des millénaires de productivisme a remplacé la poésie du vivant humanisé par une sordide bataille pour une survie misérable au nom du suprématisme : la chimérique « place au soleil » revendiquée par tout impérialisme fasciste.

Car le fascisme n’est pas une idée qui se fait action. Il est, au contraire, une action malade, réactive, prédatrice poussée par la peur du manque, la peur de l’autre, la peur de la jouissance, la peur de la vie. Le fascisme se fait idéologie politique pour justifier son essence : « Essaie, donc, de dire ou faire le contraire et tu vas voir ce qui va t’arriver ».

Dans la nature primitive, dans la jungle, le prédateur n’a pas le choix. Il doit tuer pour survivre. Le darwinisme social (et non pas la théorie de l’évolution de Darwin qui est, au contraire, un patrimoine de l’humanité qui nous aide à comprendre qui nous sommes, nos limites et nos potentialités poétiques) justifie idéologiquement le fascisme politique déraisonnant à propos d’une prétendue limite naturelle primaire alors que l’évolution de l’espèce humaine a précisément toujours parié sur le dépassement possible de l’animalité primitive, sans la renier, pour l’affiner dialectiquement.

Plus qu’une utopie, toute Arcadie est une carte aléatoire et imprécise mais poétique, dans le sens radical du terme, d’un territoire psychogéographique qu’on ne connaît pas encore très bien et qui se dérobe à nous malgré nos explorations répétées. Car, toujours, comme dans un déjà-vu, la violence de la guerre efface dans une hypnose pavlovienne l’envie d’amour qu’elle viole, tue et humilie jusqu'au refoulement final qui nous protège de la honte intériorisée au prix d’un malheur théorisé et mis en pratique.

Alors que la poésie gylanique[4] a exploré à plusieurs époques, plusieurs reprises et dans des endroits différents, une civilisation humaine possible, le productivisme a toujours trouvé dans le fascisme caractériel le levier pour nous faire systématiquement régresser vers les conflits de la nature primitive, où souvent ta mort permet ma vie (mors tua vita mea).

Depuis des millénaires, la civilisation productiviste nous serine la fable idéologique des limites au cœur de la nature humaine, alors que le productivisme incarne justement notre antinature inhumaine. C’est toujours le fascisme présumé de l’autre (l’untermensch) qui justifie le nôtre. Ainsi, maintenant, les néonazis russes prétendent libérer le monde des néonazis ukrainiens et réciproquement, tandis que l’humain souffre et meurt partout.

Le projet de l’intelligentsia stupide des élites de tout bord est clair : le pire du communisme allié au pire du capitalisme. Explosion des inégalités et contrôle social pour le peuple, explosion des profits du côté de big Pharma et big finance. Deux mondes parallèles dessinent une dystopie incarnée dans ce moment de néant politique que nous accusons de plein fouet.

J’ai adapté cette affirmation limpide passée par hasard devant mes yeux de lanceur d’alerte volontaire dont le regard guette parfois le virtuel, malgré ma méfiance envers lui à mon besoin de comprendre et de dénoncer le piège social qui nous embastille de plus en plus, irrévocablement peut-être.

Il ne nous reste que le choix de nous en libérer ou d’en mourir.

Choisis ton camp, camarade !

 

Sergio Ghirardi Sauvageon, 20 septembre 2022

 



[1] En boulimique voyageur psychogeographique que je suis, ces deux nations subjectives, féminines et riches de charme, ne sont pas les seules que j’aie aimées dans ma vie.

[2] On vote ces jours-ci, en Italie, pour les élections législatives que les sondages voient décidément à la portée des héritiers de ce qui reste de la flamme raciste et fasciste.

[3] C'est-à-dire sous les drapeaux ambigus d’une social-démocratie héritière de Noske et Scheidemann et non pas de Rosa Luxembourg, plus proche de la Franciska que de la révolution sociale. La stratégie consistant à favoriser une renaissance contrôlée du fascisme vulgaire, a permis de faire ingurgiter au peuple frustré, manipulé et infecté par la peste émotionnelle productiviste, le « moindre mal » de l’État totalitaire dans sa versione pseudo démocrate plutôt que national populiste.

[4] Je renvoie, une fois de plus, à la réflexion de Marjia Gimbutas et Riane Eisler concernant le sens de ce néologisme anthropologique méconnu mais fondamental pour comprendre comment poser la vraie question de l’opposition conflictuelle entre la civilisation humaine, organique et la civilisation productiviste, inhumaine, artificielle. Renseignez-vous, si vous le voulez, sur le mot gylanique. Je ne veux exercer ici la moindre attitude pédagogique car je ne cherche à convaincre personne. Que le virtuel, pour une fois, soit avec vous et avec votre conscience organique, d’espèce.