Nel giro di tre anni (2020-2022), un processo che era già
ineluttabile e in buona parte prevedibile – del resto abbondantemente previsto dall’umanità
residua ma autoritariamente rimosso dalla disumanità dominante – si è
trasformato in un’evidenza apocalittica trattata a torto come una sorpresa che non
si riesce ormai più a banalizzare.
Nel 1972, quando il Club di Roma ha diffuso il suo ormai
famoso Rapporto sui limiti della crescita,
lo spettacolo politico sopravvissuto al maggio 1968 stava digerendo il mondo dopo
averlo ingoiato come un anaconda inghiotte un vitello.
Le lotte della specie umana contro il delinearsi di un possibile
crollo di civiltà erano ancora difficilmente pensabili, e i ribelli continuavano
a utilizzare i mantra di una coscienza di classe in via di archiviazione,
mentre proseguiva lo sviluppo della realtà storica del dominio capitalista e
della sottomissione planetaria dei popoli al produttivismo onnipresente.
A partire da una tale constatazione, diventa oggi importante
registrare, sia pur tardivamente, che negli anni cinquanta, un secolo dopo
l’elaborazione marxiana della critica dell’economia politica e mezzo secolo
dopo i diktat rivoluzionari della Russia post-zarista pseudo comunista, gli
esperti in ideologia marxista, leninisti, trozkisti, stalinisti, maoisti o
altre sette minori tributarie del pensatore critico di Treviri trasmutato in
profeta, avevano a malapena conoscenza della metà dell’opera del filosofo della
dialettica materialista.
Opposto ideologicamente al trionfalismo becero e omicida della
società liberale, il marxismo banalizzava e sviava, dunque, la radicalità bollente
affiorante fin dalle opere giovanili di Marx – quando il compagno Karl non si
diceva neppure ancora comunista – per privilegiare una forma collettivista
strettamente produttivista della sua critica del Capitale.
Nato come critica radicale dell’economia politica, dell’oppio
dei popoli, dello sfruttamento e dell’alienazione, il pensiero marxiano, mal
conosciuto dai suoi devoti e demonizzato come il male assoluto dai servitori
volontari di un economicismo a tendenza planetaria, è diventato un ennesimo
testo sacro idolatrato o odiato da cui ogni forma di potere ricavava le
giustificazioni ideologiche del proprio dominio.
Per la prima volta dopo la fine della seconda guerra
mondiale, sono stati i bordighisti, piccola banda internazionalista di un
comunismo eterodosso non proprio libertario ma in chiaro odore di eresia, a far
emergere, prima in tedesco, poi in francese e italiano, i Grundrisse – Per la critica
dell’economia politica, opera multiforme ma fondamentale di Marx per
qualità e densità. Questa coerente raccolta di note e appunti non dogmatici ha
accompagnato e preparato la stesura dei tre (anzi quattro, con le Teorie sul plusvalore) volumi di quel
Capitale che è diventato la più famosa opera di Karl Marx e che ha anch’esso,
non a caso, come sottotitolo: Per la
critica dell’economia politica.
La componente pre-leninista (quindi ineluttabilmente marxista
– vedi La critica del programma di Gotha del
1872) di quel Marx che ha poi ribadito, negli ultimi anni della sua vita, la
sua volonterosa convinzione di non essere marxista, sarebbe rimasta come la
doxa dominante, intoccabile e antilibertaria, proferita in nome di un
materialismo mistico dai teologi di una rivoluzione politica angusta, destinata
a contribuire al dominio reale del capitale attraverso una critica ideologica
del suo dominio formale.
Questo passaggio cruciale nello sviluppo e nella crescita
tumorale di un capitalismo planetario ha preso, soprattutto dopo la seconda
guerra mondiale, la forma denunciata dai situazionisti e Debord: la società dello spettacolo. Tutto
questo è ormai tragicamente storia, molto più nota e rimasticata che conosciuta.
Mentre il vecchio mondo avanzava proiettando il suo nichilismo intimo contro il
muro della realtà vissuta degli esseri umani, mezzo secolo è passato, marcato
da un’ipnosi collettiva che oggi è saltata di fronte alle inondazioni, alle pandemie,
alla crisi climatica e ai criminali rischi nucleari non più soltanto affioranti
ma definitivamente diffusi e celebrati come il fanatismo nipponico elogiava il banzai dei suoi mistici kamikaze (l’esaltazione
fascista del loro macabro viva la muerte
non si spingeva, però, fino a spiaccicare quelle bombe volanti sui propri
figli, amici e parenti, mentre il nucleare non risparmia, invece, né famiglia
né affetti e illumina una civiltà destinata a diventare il cimitero della vita
che in parte già è, non solo a Chernobyl).
Dalla pandemia del Covid 1984 alla crisi climatica, passando
e ripassando per la guerra in Ucraina, la civiltà produttivista ha dimostrato per
l’ennesima volta la verità storica di una critica radicale che ha trovato in
Marx, Orwell, Anders una trilogia simbolicamente significativa e anticipata di
quella coscienza di specie che potrebbe superare realizzandola – ma niente è
meno sicuro – la coscienza di classe sconfitta dal consumismo produttivista.
Tutta la critica radicale contemporanea, situazionisti e altri libertari
compresi, è attraversata da questa trilogia che ha nel rapporto privilegiato dell’essere
umano con la natura la sua origine. Oltre la lotta di classe, infatti, la
specie umana è ormai confrontata a una coscienza vitale che vede la morte
accerchiare la vita in nome del feticcio barbaro e mostruoso del profitto.
Il produttivismo odia la vita in quanto atto gratuito, perché
intende estrarre da essa come da tutto, sempre e unicamente, il processo di
valorizzazione di una realtà ridotta a merce. Questo meccanismo che Marx ha
identificato fin dai primi capitoli del Capitale (il feticismo della merce) ha trovato in Orwell l’intuizione poetica
per denunciare l’uguaglianza predicata da quanti trovano sempre modo di garantirsi
il diritto di essere più uguali degli altri e in Anders la presa di coscienza tragica
che la bomba atomica ha significato un’esplosiva e irreversibile rottura
sistemica con la vita organica e non solo un’apocalittica distruzione puntuale.
L’alfa industriale ha trovato il suo omega nel nucleare.
Verso una sensibilità ineluttabilmente radicale e la sua
nuova coscienza spinge anche l’esperienza di un Wilhelm Reich la cui
esplorazione dell’energia vitale è stata non a caso calunniata e aggredita dalla
cultura produttivista dominante prima di essere chiaramente rimossa. Non si elogiano
imprudentemente la vita, l’orgasmo e la gioia di vivere in una società della
morte redditizia senza pagarne il fio. Prendo, dunque, coscientemente, il
rischio di essere anch’io esorcizzato come delirante in un mondo in cui
complottisti e anti complottisti fanno a gara per denunciare reciprocamente e maldestramente
le pretese patologie altrui in un’orgia di peste emozionale condivisa.
Approdato negli Stati Uniti[1] nell’ultima fase della sua ricerca sull’energia
vitale (orgonica), Reich descrive nel 1951 l’effetto DOR (Deadly Orgone Radiation) conseguente all’esperimento Oranur (Orgone Radiation Against Nuclear Radiation). In sintesi,
rapidamente, secondo Reich l’energia orgonica precede e genera la materia
mentre l’energia atomica, derivante dalla disgregazione dell’atomo può essere
considerata l’energia che nasce dalla distruzione della materia e che sussiste
dopo la materia. Reich e i suoi collaboratori hanno voluto sperimentare le
virtù mediche e immunizzanti dell’energia orgonica nei confronti dell’energia
atomica. Il 12 gennaio 1951 un milligrammo di radium sperimentale fu introdotto
nell’accumulatore orgonico[2] per mezz’ora soltanto. Pochi minuti
dopo l’atmosfera nella sala degli esperimenti si era incredibilmente annebbiata.
Questa nebbia di un colore variante dal blu al violetto si muoveva sotto il
controllo di tre osservatori tra cui lo stesso Reich. Il quale ha descritto la
sua forte sensazione di nausea, una sensazione di mancamento, di perdita
dell’equilibrio e di obnubilazione della coscienza con uno sforzo evidente a
tenersi in piedi. Anche il dottor Simeone Tropp ammise di sentirsi molto male e
sul punto di svenire con una sensazione di debolezza estrema, cerchio alla
testa, nausea, crampo allo stomaco. Allontanatisi di cinquecento metri e dopo
aver bevuto qualcosa di forte, i ricercatori hanno cercato di fissare per
iscritto le loro sensazioni. Questi appunti sono stati firmati, protocollati e
depositati negli archivi. Ecco i sintomi comuni registrati: grave debolezza,
nausea, senso di pressione al setto nasale e ai bulbi oculari, infiammazione
congiuntivale, alternanza di vampate calde e di brividi, parestesie, sensazioni
di perdita del’equilibrio, dolori vaganti alle gambe, debolezza alle braccia e
soprattutto nella regione dell’ulna, sorda cefalea e tensione alla faringe.
Ecco i sintomi accertati del morbo
oranurico [3].
Delirio o intuizione scientifica? Impossibile stabilire un
rapporto di causa a effetto tra l’esperimento Oranur e le morti negli anni
successivi di Reich (1957) e dei suoi collaboratori. Inevitabile, però,
collegarvi la morte di 57 topi sui 286 presenti nel laboratorio durante
l’esperimento, mentre altri dodici gravemente ammalati furono uccisi per farne
l’autopsia. Significativa anche la morte di quattordici dei quaranta topi sani
introdotti nel laboratorio prima dell’esperimento Oranur, mentre dei quaranta
topi trattati con super-irradiazioni orgoniche nei mesi precedenti
l’esperimento nessuno è morto durante i diciotto mesi successivi, facendo
concludere a Reich che “il basso livello
bioenergetico favorisce la morte per morbo oranurico”. Resta che la presenza
dell’uranio radioattivo a contatto con l’energia vitale accumulata nell’orgon box
durante questa sperimentazione avrebbe prodotto la catena di gravi malesseri
tra i ricercatori che è stata accertata e definita. Secondo Reich la causa di
questo violento conflitto energetico sarebbe legato al fatto che la
radioattività è un’energia mortale che opposta all’energia vitale produce un
effetto DOR particolarmente violento
e grave. Non pretendo, ricordando tutto questo, portare una qualunque prova
scientifica senza smentite. Di smentite, però, a mia conoscenza, non ne
esistono e gli effetti della radioattività (persino quella naturale, ma ben più
quella volontariamente prodotta e immensamente concentrata nelle centrali
nucleari civili, per non parlare del nucleare militare) sono sempre tossici e
oltre una certa soglia apocalittici, come ha dimostrato Chernobyl e non solo.
Io intendo, comunque, solo svelare una rimozione collettiva di
fatti e nozioni voluta, imposta e accentuata dal produttivismo nel momento in
cui un’umanità ignorante e addomesticata da una civiltà artificiale mortifera è
spinta a riversare sull’energia nucleare tutto l’interesse che dovremmo
naturalmente rivolgere alla vita organica che sta sparendo.
Oltre Hiroshima e Fukushima è tutta la civiltà produttivista
termo-industriale che ha rotto l’equilibrio delicato tra la specie umana e la
natura che la include e la fa vivere. La bomba atomica ha dinamitato – l’immagine
è debole perché la dinamite è un piccolo petardo festivo di fronte al potere
antivitale dell’atomo – la comunità umana organica ridotta alla schiavitù
produttivista sotto l’ala morbosa della morte in agguato.
Il produttivismo moderno è cominciato con la scoperta
dell’America. Basta documentarsi sul giornale di bordo di Cristoforo Colombo
per capire, nero su bianco, quanto sia intimo, profondo e diffuso il cinico
abisso del feticismo della merce. Gli autoctoni lo interessano soltanto come
possibili schiavi, selvaggi addomesticati, atti alla produzione forzata di
ricchezza economica. La loro gentilezza non lo commuove, lo interessa. La loro
ingenuità è ideale per immergerli nel brodo di coltura di tutti i monoteismi al
servizio di una casta padronale sacra e privilegiata. L’oro delle Americhe è
stato intriso per secoli dal sangue degli autoctoni fino al loro sterminio
massivo. Lo stesso disegno, in modi culturalmente diversi – altri dogmi, altre
barbarie – è toccato al pianeta intero, attraversato dalle guerre di potere tra
culture incivili, tutte scaturite come tumori dalla civiltà produttivista che
impesta un mondo ormai sotto il dominio reale del Capitale che ha invaso la vita
quotidiana di tutti. Dai paradisi celesti di ieri alle isole Cayman di oggi, il
capitalismo ha trasformato il feticismo simbolico della merce da religioso a
laico, diretto, materiale. I paradisi artificiali sono off shore ma assolutamente reali.
L’impero della croce ha sempre rinchiuso i sopravvissuti agli
stermini vari causati dal procedere dei suoi affari in qualche ghetto, dalle
riserve ai campi di concentramento, fino alle case di riposo e al distanziamento
sociale. I mercanti del tempio non hanno smesso di diffondere le parabole
cristiane più egualitarie per meglio far accettare ai poveri il dominio dei
ricchi. I quali, di passare o no per la cruna di un ago non sanno che farsene.
Il loro scopo è sempre stato di abitare i palazzi e gestire i tuguri in un
commercio perpetuo e parossistico. Ora, mentre la loro civiltà sta crollando,
preparano i loro rifugi antiatomici e climatici da incubo e sognano
miserabilmente, come topi in trappola, di colonizzare Marte mentre finiscono di
distruggere la Terra.
Se, grazie ad Anders, ma non solo a lui, come abbiamo
visto, tutto questo è accessibile alla coscienza da circa settant’anni, oggi è
direttamente la natura che spiega chiaramente agli esseri umani l'inconscia
automutilazione della loro hubris economicista. Bisogna reinventare
immediatamente un modello politico e sociale basato sull'aiuto reciproco, la
condivisione delle ricchezze, la gratuità del vivente, la sobrietà energetica,
il rifiuto della trappola del consumo, la crescita della poesia creativa e della
gioia orgastica nel rispetto della vita, di tutte le vite. Ciò è necessario non
per ragioni etiche sia pur rispettabili, ma come unica soluzione per la
sopravvivenza della specie e di ciascuno di noi. La ricchezza materiale
accumulata in potere ha sempre ucciso prima i poveri, ma la natura sconvolta
non risparmierà più neppure quei ricchi di miserie che dominano il mondo che
resta.
Siamo ormai concretamente incamminati nel processo di
autodistruzione della specie nella sesta estinzione massiccia della vita sulla
terra. Interrompere questo processo non è per niente facile né probabile, ma
non ci resta altro che provarci. Adesso. Altrimenti nessun domani sarà
possibile e per avere una chance di riuscirci non ci resta che operare una
rottura sistemica con l’organizzazione sociale di una civiltà produttivista che
ne è la causa prima. Se non scegliamo radicalmente la vita organica, la natura
organica del cosmo e del vivente decreteranno la nostra fine. Ogni altra
illazione è misticismo, mistificazione delle proprie sensazioni e funzioni
primitive, organiche. La civiltà produttivista dalla quale dobbiamo provare a
uscire per sopravvivere al fine di vivere, si fonda su quest’alienazione che è
anche reificazione perché il dominio della merce riduce il vivente, e l’umano
in particolare, a una cosa
senz’anima, cioè senza il soffio vitale da cui dipendono il godimento e la
gioia di vivere.
Sergio Ghirardi Sauvageon 3 settembre 2022
[1] Dove
Reich è morto in prigione condannato su denuncia della Food and Drugs
Administration, organo statale produttivista che ha imposto l’interruzione dei
suoi esperimenti, obbligo da lui non ottemperato.
[2] L’Orgon
box è semplicemente l’accumulatore di energia orgonica concepito da Reich e che
Einstein, in uno scambio epistolare con il dottore e ricercatore austriaco,
aveva definito con toni elogiativi “una bomba scientifica” perché capace di
mettere in crisi il secondo principio della termodinamica. Einstein ²si era poi
ritirato prudentemente in un imbarazzante silenzio di fronte allo scetticismo generalizzato
del mondo scientifico da cui lo scopritore della relatività riceveva i
finanziamenti.
[3]
Sintesi da Luigi De Marchi, Wilhelm
Reich, Biografia di un’idea, Sugar, Milano 1970.
Un nouveau monde est déjà là. On ne sait pas encore ce que ce sera, mais les premiers signes sont inquiétants
Un nouveau monde est déjà là. On ne sait pas encore
ce que ce sera, mais les premiers signes sont inquiétants
En l'espace de trois ans (2020-2022), un
processus déjà inéluctable et largement prévisible – au demeurant
abondamment prévu par l'humanité résiduelle mais autoritairement refoulé par
l'inhumanité dominante – s'est mué en évidence apocalyptique
traitée à tort comme une surprise qu’on ne peut plus banaliser.
En 1972, lorsque le Club de Rome publia son
désormais célèbre Rapport sur les limites
de la croissance, le spectacle politique, survécu à mai 68, était en train
de digérer le monde après l'avoir avalé comme un anaconda gobe un veau.
Les luttes de l'espèce humaine contre
l'émergence d'un possible effondrement de la civilisation étaient encore
difficilement concevables et les révoltés continuaient d'utiliser les mantras
d'une conscience de classe en voie d'être archivée, tandis que le développement
de la réalité historique de la domination capitaliste et de la soumission
planétaire des peuples au productivisme omniprésent poursuivait.
Partant d'un tel constat, il devient
important aujourd'hui de remarquer, bien que tardivement, que dans les années cinquante,
un siècle après l'élaboration marxienne de la critique de l'économie politique
et un demi-siècle après les diktats révolutionnaires de la Russie post-tsariste
et pseudo-communiste, les experts en idéologie marxiste, léninistes, trotskistes,
staliniens, maoïstes ou autres sectes mineures tributaires du penseur critique
de Trèves transmué en prophète, connaissaient à peine la moitié de l'œuvre du
philosophe de la dialectique matérialiste.
Opposé idéologiquement au triomphalisme
vulgaire et meurtrier de la société libérale, le marxisme a donc banalisé et détourné
le radicalisme bouillonnant qui émergeait des premiers travaux de Marx – quand le camarade
Karl ne se disait même pas communiste – pour privilégier
une forme collectiviste strictement productiviste de sa critique du Capital.
Née comme une critique radicale de
l'économie politique, de l’opium des peuples, de l'exploitation et de
l'aliénation, la pensée marxienne, méconnue de ses adeptes et diabolisée comme
un mal absolu par les serviteurs volontaires d'un économisme à vocation
planétaire, est devenue un énième texte sacré idolâtré ou détesté dont toute
forme de pouvoir tirait les justifications idéologiques de sa propre domination.
Pour la première fois après la fin de la
Seconde Guerre mondiale, ce sont les bordiguistes, petite bande
internationaliste d'un communisme hétérodoxe pas exactement libertaire mais en
clair parfum d'hérésie, qui ont fait connaître, d'abord en allemand, puis en
français et en italien, les Grundrisse – Pour la critique de l'économie politique, œuvre multiforme
mais fondamentale de Marx en termes de qualité et de densité. Cet ensemble
cohérent de notes et repères non dogmatiques accompagnait et préparait la
rédaction des trois (ou plutôt quatre, avec les Théories de la plus-value) volumes de ce Das Capital qui est devenu l'ouvrage le plus célèbre de Karl Marx
et qui avait aussi, pas par hasard, comme sous-titre : Pour la critique de l'économie politique.
La composante pre-leninista (donc
inévitablement marxiste – voir La
Critique du programme de Gotha de 1872) de ce Marx qui réaffirma ensuite,
dans les dernières années de sa vie, sa conviction volontaire de ne pas être
marxiste, restera comme la doxa dominante, intouchable et anti-libertaire,
proférée au nom d'un matérialisme mystique par les théologiens d'une révolution
politique étriquée, destinée à contribuer à la domination réelle du capital par
une critique idéologique de sa domination formelle.
Cette étape cruciale dans le développement
et la croissance tumorale d'un capitalisme planétaire a pris, surtout après la
Seconde Guerre mondiale, la forme dénoncée par les situationnistes et
Debord : la société du spectacle.
Tout cela appartient désormais tragiquement à l'histoire, beaucoup plus manipulée
et remâchée que connue. Alors que l'ancien monde avançait en projetant son
nihilisme intime contre le mur de la réalité vécue des êtres humains, un
demi-siècle est passé, marqué par une hypnose collective qui a maintenant éclaté
face aux inondations, aux pandémies, à la crise climatique et aux risques nucléaires
criminels non plus seulement apparaissant mais définitivement répandus et
célébrés ainsi que le fanatisme japonais chérissait le banzai de ses mystiques kamikazes (dont l’exaltation fasciste de leur
macabre viva la muerte n'allait pas, cependant,
jusqu'à écraser ces bombes volantes sur ses propres enfants, amis et parents,
alors que le nucléaire n’épargne, en revanche, ni famille ni proches et il
éclaire une civilisation destinée à devenir le cimetière de la vie qui l’est
déjà en partie et pas seulement à Tchernobyl).
De la pandémie de Covid 1984 à la crise
climatique, en passant et repassant par la guerre en Ukraine, la civilisation
productiviste a une fois de plus démontré la vérité historique d'une critique
radicale qui a trouvé en Marx, Orwell, Anders une trilogie symboliquement
significative et anticipée de cette conscience d’espèce qui pourrait dépasser
en la réalisant – mais rien n'est moins sûr – la conscience de
classe vaincue par le consumérisme productiviste. Toute la critique radicale
contemporaine, y compris les situationnistes et autres libertaires, est
traversée par cette trilogie qui trouve son origine dans le rapport privilégié entre
l’être humain et la nature. Au-delà de la lutte des classes, en effet, l'espèce
humaine est désormais confrontée à une conscience vitale qui voit la mort
encercler la vie au nom du fétiche barbare et monstrueux du profit.
Le productivisme hait la vie comme acte
gratuit parce qu'il entend en extraire comme de tout, toujours et
exclusivement, le processus de valorisation d'une réalité réduite à une
marchandise. Ce mécanisme que Marx a identifié dès les premiers chapitres du
Capital (le fétichisme de la marchandise)
a trouvé chez Orwell l'intuition poétique pour dénoncer l'égalité prônée par
ceux qui trouvent toujours le moyen de se garantir le droit d'être plus égaux que
les autres et chez Anders la prise de conscience tragique que la bombe atomique
signifiait une rupture systémique explosive et irréversible avec la vie
organique et pas seulement une destruction ponctuelle apocalyptique. L'alpha
industriel a trouvé son oméga dans le nucléaire.
Vers une sensibilité inéluctablement
radicale et sa nouvelle conscience, pousse aussi l'expérience d'un Wilhelm
Reich dont l'exploration de l'énergie vitale n'a pas été par hasard calomniée
et attaquée par la culture productiviste dominante avant d’être clairement
refoulée. On ne peut pas imprudemment louer la vie, l’orgasme et la joie de
vivre dans une société de la mort rentable sans en payer le prix. Par
conséquent, je prends consciemment le risque d'être exorcisé comme délirant
dans un monde où les théoriciens du complot et de l’anti-complot s'affrontent
pour dénoncer, réciproquement et maladivement, les pathologies présumées des
uns et des autres dans une orgie de peste émotionnelle partagée.
Arrivé aux États-Unis[1] dans la phase
finale de ses recherches sur l'énergie vitale (orgonique), Reich décrit en 1951
l'effet DOR (Deadly Orgone Radiation,) suivi à l'expérience Oranur (Orgone Radiation
Against Nuclear Radiation). En résumé, rapidement, selon Reich, l'énergie
orgonique précède et génère la matière tandis que l'énergie atomique, résultant
de la désintégration de l'atome, peut être considérée comme l'énergie qui
résulte de la destruction de la matière et qui subsiste après la matière. Reich
et ses collaborateurs ont voulu expérimenter les vertus médicales et
immunisantes de l'énergie orgonique contre l'énergie atomique. Le 12 janvier
1951, un milligramme de radium expérimental a été introduit dans l'accumulateur
d'orgone[2] pendant seulement
une demi-heure. Quelques minutes plus tard, l'atmosphère dans la salle
d'expérimentation était devenue incroyablement trouble. Cette brume d'une
couleur allant du bleu au violet se déplaçait sous le contrôle de trois
observateurs dont Reich lui-même. Celui ci a décrit sa forte sensation de
nausée, une sensation de malaise, une perte d'équilibre et un trouble de la
conscience avec un effort évident pour se lever. Le docteur Simeone Tropp a
également admis qu'il se sentait très mal et sur le point de s'évanouir avec
une sensation de faiblesse extrême, un tour de tête, des nausées, des crampes
d'estomac. Ils se sont éloignés de cinq cents mètres et après avoir bu quelque
chose de fort, les chercheurs ont essayé d'écrire leurs sentiments. Ces notes
ont été signées, enregistrées et déposées aux archives. Voici les symptômes
courants enregistrés : faiblesse sévère, nausées, sensation de pression
dans la cloison nasale et les globes oculaires, inflammation conjonctivale,
alternance de bouffées de chaleur et de frissons, paresthésie, sensation de perte
d'équilibre, douleurs d'errance dans les jambes, faiblesse dans les bras et
surtout dans la région du cubitus, mal de tête sourd et tension dans le
pharynx. Voici les symptômes établis de la maladie
oranurique[3].
Délire ou intuition scientifique ? Il
est impossible d'établir une relation de cause à effet entre l'expérience Oranur
et les décès, dans les années suivantes, de Reich (1957) et de ses
collaborateurs. Il est cependant inévitable de relier la mort de 57 souris sur
les 286 présentes au laboratoire lors de l'expérience, tandis que douze autres
gravement malades ont été tuées pour les autopsier. La mort de quatorze des
quarante souris saines introduites au laboratoire avant l'expérience Oranur est
également significative, tandis que sur les quarante souris traitées par
super-irradiation d'orgone dans les mois précédant l'expérience, aucune n’est morte
pendant les dix-huit mois suivants, ce qui conduisait Reich à conclure que
"le faible niveau bioénergétique
favorise la mort par maladie oranurique". Il n'en reste pas moins que
la présence d'uranium radioactif au contact de l'énergie vitale accumulée dans
l’orgon box au cours de cette expérience aurait produit la chaîne de maladies
graves chez les chercheurs qui a été constatée et définie. Selon Reich, la
cause de ce violent conflit énergétique serait liée au fait que la
radioactivité est une énergie mortelle qui, opposée à l'énergie vitale, produit
un effet DOR particulièrement violent
et grave. Je n'ai pas la prétention, en me souvenant de tout cela, d'apporter
la moindre preuve scientifique sans démenti. Il n'y a pourtant pas de démentis,
à ma connaissance, et les effets de la radioactivité (même celle naturelle,
mais beaucoup plus celle produite volontairement et immensément concentrée dans
les centrales nucléaires civiles, sans parler du nucléaire militaire) sont
toujours toxiques et au-delà d’un certain seuil apocalyptiques, comme en
témoigne Tchernobyl et pas que.
Néanmoins, j'entends seulement dévoiler un refoulement
collectif des faits et des notions qui est voulu, imposé et accentué par le
productivisme au moment où une humanité ignorante et domestiquée par une
civilisation artificielle mortifère est poussée à porter sur l'énergie
nucléaire tout l'intérêt que nous devrions naturellement porter à la vie
organique qui est en train de disparaître.
Au-delà d'Hiroshima et de Fukushima, c'est
toute la civilisation productiviste thermo-industrielle qui a rompu le délicat
équilibre entre l'espèce humaine et la nature qui l'inclut y la fait vivre. La
bombe atomique a dynamité – l'image est faible car la dynamite est un
petit pétard festif face au pouvoir anti vital de l'atome – la communauté
humaine organique réduite à l'esclavage productiviste sous l'aile morbide de la
mort aux aguets.
Le
productivisme moderne a commencé avec la découverte de l'Amérique. Il suffit de
lire le journal de bord de Christophe Colomb pour comprendre, noir sur blanc, à
quel point l'abîme cynique du fétichisme marchand est intime, profond et
étendu. Les indigènes ne l'intéressent qu'en tant qu'esclaves possibles,
sauvages domestiqués, propres à la production forcée de richesses économiques.
Leur gentillesse ne l'émeut pas, elle l'intéresse. Leur naïveté est idéale pour
les plonger dans le bouillon de culture de tous les monothéismes au service
d'une caste patronale sacrée et privilégiée. L'or des Amériques a trempé
pendant des siècles dans le sang des indigènes jusqu'à leur extermination
massive. Le même dessein, de manière culturellement différente – autres dogmes, autres barbaries – a concerné la planète entière, traversée par les
guerres de pouvoir entre cultures non civilisées, toutes jaillies comme des
tumeurs de la civilisation productiviste qui empeste un monde désormais sous la
domination réelle du Capital qui a envahi la vie quotidienne de tous. Des
paradis célestes d'hier aux îles Caïmans d'aujourd'hui, le capitalisme a
transformé le fétichisme symbolique de la marchandise de religieux en séculier,
direct, matériel. Les paradis artificiels sont off shore mais bien réels.
L'empire de la croix a toujours enfermé les
rescapés des diverses exterminations causées par le déroulement de ses affaires
dans quelques ghettos, des réserves aux camps de concentration, jusqu'aux
maisons de retraite et à la distanciation sociale. Les marchands du temple
n’ont pas arrêté de répandre les paraboles chrétiennes les plus égalitaires
pour mieux faire accepter aux pauvres la domination des riches. Lesquels, de
passer ou pas par le chas d'une aiguille, ne savent qu'en faire. Leur but a
toujours été d'habiter les palais et de gérer les masures dans un commerce
perpétuel et paroxystique. Maintenant, alors que leur civilisation s'effondre,
ils préparent leurs cauchemardesques abris antiatomiques et climatiques et
rêvent misérablement, tels des rats piégés, de coloniser Mars tout en finissant
de détruire la Terre.
Si, grâce à Anders, mais pas que lui, on
vient de le voir, tout cela est accessible à la conscience depuis au moins
soixante-dix ans, aujourd'hui c'est directement la nature qui explique
clairement aux humains l'automutilation inconsciente de leur hybris économiste.
Il faut réinventer immédiatement un modèle politique et social fondé sur
l’entraide, le partage des richesses, la gratuité du vivant, la sobriété
énergétique, le refus du leurre de la consommation, la croissance de la poésie
créative et de la jouissance orgastique dans le respect de la vie, de toutes
les vies. Il le faut non pas pour des raisons éthiques pourtant respectables, mais
comme unique solution de survie de l’espèce et de chacun de nous. La richesse
matérielle accumulée en pouvoir a toujours tué en premiers les pauvres, mais la
nature bouleversée n’épargnera plus non plus ces riches de misères qui dominent
le monde restant.
Nous sommes maintenant concrètement engagés
dans le processus d'autodestruction de l'espèce, dans la sixième extinction
massive de la vie sur terre. Arrêter ce processus n'est ni facile ni probable,
mais nous n’avons qu’à essayer. Maintenant. Sinon aucun lendemain ne sera
possible, et pour avoir une chance d’y arriver nous devons opérer une rupture
systémique avec l’organisation sociale d’une civilisation productiviste qui en
est la cause profonde. Si nous ne choisissons pas radicalement la vie
organique, la nature organique du cosmos et du vivant décréteront notre fin.
Toute autre inférence relève du mysticisme, mystification de ses propres
sensations et fonctions primitives et organiques. La civilisation productiviste
à laquelle il faut tenter d'échapper pour survivre dans le but de vivre, repose
sur cette aliénation qui est aussi réification, car la domination de la
marchandise réduit le vivant et l’humain en particulier, à une chose sans âme, c'est-à-dire sans ce souffle vital dont
dépendent la jouissance et la joie de vivre.
Sergio Ghirardi Sauvageon, le 3 septembre
2022
[1] Où Reich est mort en prison condamné sur
plainte de la Food and Drugs Administration, organisme étatique productiviste
qui lui a imposé l'interruption de ses expériences, obligation qu'il n'a pas
respecté.
[2] L’Orgon Box n’est rien d’autre qu’un simple
accumulateur d'énergie orgonique conçu par Reich et qu'Einstein, dans un
échange de lettres avec le médecin et chercheur autrichien, avait louablement
défini « une bombe scientifique » car capable de mettre en crise le
deuxième principe de la thermodynamique. Einstein s’était, ensuite, replié prudemment
dans un silence gênant face au scepticisme généralisé du monde scientifique
dont le découvreur de la relativité recevait les financements.
[3] Synthèse traduite de l’italien depuis
Luigi De Marchi, Wilhelm Reich, Biografia
di un’idea, Sugar, Milano 1970.