Il tragico
episodio di Sainte-Soline dimostra – a grandezza naturale snaturata – la manipolazione di un terrorismo
di Stato che giustifica la sua violenza con l'invenzione di un ecoterrorismo la
cui evocazione malevola, fabbricata per l’occasione al fine di legittimarsi
ideologicamente, rischia, peraltro, di creare le condizioni per l’effettiva
apparizione di una violenza fuori controllo.
Piuttosto spesso, infatti, la peste
emozionale che semina il disprezzo e il terrore finisce per raccogliere la
tempesta e l'odio disperato di una variante opposta speculare alla sua peste
mutilante e omicida. Il che arrangerebbe non poco, in fondo, un potere in crisi
cui non resta che la gestione della paura e la repressione per imporsi.
È un dato di fatto che le oligarchie
dominanti preferiscono il rischio tragico di una guerra civile all’emergere di una
società egualitaria basata sull'autonomia individuale e preoccupata della
condivisione dei beni comuni. Non c'è mai lotta armata popolare, per delirante
che sia, se lo Stato non ne produce le condizioni attraverso la repressione e
lo sfruttamento del popolo.
La famosa favola di Esopo ripresa in francese
da La Fontaine, quella del lupo e dell'agnello, ci ha mostrato fin
dall'antichità la logica viziosa e manipolatrice dei rapporti di potere inerenti
alla predazione. In questo gioco perverso e narcisistico, le parole hanno
sempre avuto un'importanza cruciale. Più vicino a noi, Fourier ha rilevato a
sua volta la persistenza moderna di questo fenomeno di falsificazione: “Ne
testimoniano le parole felicità, libertà, virtù, morale, destino, natura, e
tante altre vane dottrine sulle quali le nostre teorie ci portano costantemente
all'opposto dell’obiettivo” (C. Fourier, Armonie poligame in amore,
Rivages Poche, Parigi 2003).
Poi, all'avvicinarsi del maggio '68,
l'Internazionale Situazionista ha opportunamente ricordato che “nulla più
del linguaggio, in quanto realtà viva, è manifestamente soggetto alla
dialettica. Così ogni critica del vecchio mondo è stata fatta con la lingua di
questo mondo e tuttavia contro di lui, quindi automaticamente in un'altra
lingua” (M. Khayati, Le parole prigioniere, I.S. n.°10, 1966).
Nella società dello spettacolo
integrato, il divenire-mondo della falsificazione è diventato una sistematica
falsificazione del mondo. Le parole vi giocano un ruolo importante, permettendo
ai sostenitori della società dello spettacolo di raggiungere un picco senza
precedenti di perversione manipolatrice.
In un mondo sempre più artificiale,
le parole prigioniere sono ampiamente utilizzate dai dominanti per ingannare i
dominati e rafforzare, quando serve, la loro servitù volontaria. Mai quanto
oggi la manipolazione dei concetti ha fabbricato falsificazioni ideologiche che
la neolingua virtuale chiama fake news.
Tra le varie parole prigioniere, il
concetto di radicalità è stato sistematicamente svuotato di significato e
ridotto a sinonimo del concetto di estremismo. A forza di chiamare radicalizzazione
l'adesione di minoranze fanatiche a un estremismo islamista che imperversa come
un arcaismo funzionale al dominio globale, definire qualcuno radicale nel
linguaggio pubblicitario dello spettacolo sociale significa denunciarlo come
terrorista.
Radicale, estremista, terrorista si mescolano in un cocktail
perverso. Eppure, nel pensiero critico plurisecolare, essere radicali significa
precisamente andare alla radice delle cose, cioè, per un essere umano, andare
alla ricerca dell'umanità stessa nel suo ambiente vitale. Nulla a che vedere
con estremismi di alcun tipo né, a fortiori, con la violenza fanatica. La
radicalità si preoccupa dell'umano indistintamente e senza gerarchie,
occupandosi soprattutto di qualsiasi fenomeno che rischi di ostacolare la vita,
facendola precipitare. Invece, nella propaganda politico-mediatica il
terrorista non è più precisamente qualcuno che terrorizza degli esseri viventi aggredendo
le loro vite, ma si affibbia quest’accusa a chi si batte contro l’appropriazione
privativa delle cose feticizzate in merce, fosse pure per salvare delle vite.
L'appropriazione privativa e la
violenza illegittima sono le due mammelle che nutrono la civiltà produttivista
e il suo modo di produzione capitalista che ne segna la fase terminale. La
civiltà spettacolare mercantile basata sullo Stato e sul Mercato domina il
pianeta senza governare il mondo, pretendendo di distinguere la violenza
legittima (la propria) dalla violenza illegittima (quella di tutti gli altri).
Tuttavia, è evidente che nessuna violenza è legittima per chi la subisce.
L'unica violenza assolutamente legittima è quella esercitata da chiunque per
difendersi da un’aggressione alla sua autonomia individuale, alla sua libertà
collettiva.
In Francia e
altrove, durante l'occupazione nazista, la legalità imposta dall’imperialismo
psicotico del Terzo Reich consisteva nell'esecuzione sommaria dei partigiani
della resistenza con la motivazione delle loro azioni
"terroristiche".
L'accusa di terrorismo era allora
una postura esemplare dell'ideologia fascista al potere a Vichy, in Italia, in
Germania e altrove. Che pensare oggi della legittimità di un'accusa di
ecoterrorismo che il potere applica a una situazione in cui due attivisti
ecologisti sono finiti tra la vita e la morte e, pur compatendo tutti i feriti,
nessuno escluso, si contano a Sainte-Soline più di duecento feriti, spesso
molto seriamente, tra i manifestanti e una quarantina tra le forze dell'ordine
costituito? Come non vedere che la resistenza in questione si presenta come una
protesta radicale e non estremista? Una lotta che rivendica una difesa della
vita e non un'apologia della morte?
La criminalizzazione del concetto di ZAD (in
francese zona da difendere) coagula
ormai una rinnovata, fanatica caccia alle streghe. L'esistenza stessa di questa
nascente coscienza di specie che difende ogni forma di ZHAD (dal francese zone humaine à défendre) segna l’inizio di una lotta contro il nichilismo
della civiltà produttivista. Questo fenomeno spontaneo di resistenza umana,
diffuso in tutta la civiltà produttivista planetaria, con o senza gilet jaune, non a caso è lo spauracchio
di tutti i post-fascisti in caccia di potere. Ovviamente nessuna ZHAD, nessuna
comunità umana in fieri è immune a priori dal rischio di diventare un luogo di
odioso e inaccettabile potere suprematista da combattere come tutti i fascismi.
Né più né meno che un partito politico, un governo, una fabbrica, una famiglia,
un villaggio. Ma non è la sua natura, non è il suo scopo, non è il suo destino.
I partigiani della più piccola zona da difendere sono incaricati dalla loro
coscienza pratica, consiliare ed egualitaria, di agire collettivamente per
rendere il potere condiviso e chiaramente visibile, evitando sbagli, violenze,
dominio, ovunque e sempre. Esattamente come dovrebbe accadere in un gruppo, una
comunità, una nazione autogestita da individui liberi e autonomi.
Stalin, Hitler,
Pol-Pot, Pinochet e tutto il sordido marciume del mondo di ieri e di oggi sono
i simboli storici del mostruoso disastro dei totalitarismi di cui il progetto
di autogestione generalizzata della vita quotidiana è la critica radicale che
si fa beffe dei burocrati comunisti quanto dei fascisti, dei liberali e di
tutti gli ideologi della storia confiscata dalla peste emozionale della civiltà
produttivista e patriarcale.
Senza risalire più lontano nel tempo
(ma lo potremmo e lo abbiamo fatto spesso), cito come esempi tra i tanti la
Comune di Parigi, la Spagna della resistenza antifranchista e del suo progetto
libertario, il movimento delle Occupazioni del maggio 68, il Chiapas zapatista,
il comunalismo del Rojava, ma anche il fiorire di qualsiasi luogo di vita, per
quanto minuscolo, dove degli individui difendono meglio che possono il loro
diritto di vivere come esseri umani contro l'orco nichilista dell'economia
politica che distrugge la natura e gli esseri viventi in nome del profitto.
Tutte queste avventure della vita
umana sono state, sono e saranno ZHAD riuscite o fallite di occupazione della
vita contro i parassiti opportunisti e sfruttatori di ogni genere. Non
rinunceremo alla felicità condivisa da tutti permettendo a qualche arrivista
caratteriale di violentare senza scrupoli le folle in nome di una repubblica
immaginaria di cui s’immagina il dittatore democratico. Offriamo a tutti questi
lupi malati di potere una vacanza senza fine al Club Med dell'isola di
Sant'Elena.
Il vecchio
mondo funziona secondo una concezione autoritaria dell'ordine e del disordine.
Per accedere a un mondo nuovo non ci si può
accontentare di fare il disordine senza amarlo. Bisogna arrivare a comprendere
l’utilità necessaria di un ordine mobile condiviso con gli altri, un ordine
acratico, collettivamente autogestito, senza polizia militarizzata né teppisti,
un ordine che non è stabilito e che non intende diventarlo perché sa che
nessuna violenza inflitta è legittima; un ordine acratico che si reinventa
continuamente attraverso la non violenza e che muta secondo l'evolversi delle
situazioni e della loro psicogeografia. Questo potere condiviso ha la pace come
arma formidabile e l'autodifesa di ciascuno e di tutti come unica legge
repressiva contro la violenza altrui.
Sono i valori che lo fondano che non mutano mai:
libertà, uguaglianza, fraternità. Questi valori concreti del godimento della
vita sono un patrimonio dell’umanità che la dominazione riduce a gadget di una
morale mistica imposta dall’alto da un potere suprematista che non dice il suo
nome.
Purtroppo questa preziosa ricchezza comune è stata
storicamente confiscata dalla classe borghese, giunta in Francia al potere
politico tagliando la testa del re, poi tagliando le teste dei membri
refrattari delle sezioni parigine opposte al suo potere di classe e infine
anche quelle di un buon numero dei suoi capi aspiranti all’investitura suprema.
Il Terrore. Lo stesso riapparso a ogni rivoluzione sociale tradita, a ogni
repressione del popolo da parte dei suoi signori, al minimo segno di
disobbedienza civile al consenso spettacolare, come a Sainte-Soline.
Ai tre valori
simbolo di una rivoluzione incompiuta (libertà, uguaglianza, fraternità) se ne
possono aggiungere altri o meno, ma basta tradirne uno per tradirli tutti. Così
hanno fatto tutte le rivoluzioni fallite e tutti i reazionari cinici e
opportunisti che le hanno confiscate. Perché non possiamo cambiare il mondo
riproducendo i rapporti di forza del vecchio mondo. NON SARANNO I NUOVI
DOMINANTI AD ABOLIRE IL DOMINIO. Non è il riposo dei guerrieri che dobbiamo
auspicare, ma il loro ritiro definitivo, la loro trasformazione in poeti senza
dei, né padroni né schiavi.
Invece di aderire a qualche nuova ideologia,
artificiale e postumanista, è urgente abbandonare il cannibalismo del corpo e
della mente che ci ha spinto per millenni a nutrirci della carne e del lavoro
dei nostri simili ridotti in schiavitù.
Il lavoro salariato è un moderno
travestimento dell'antico schiavismo, la riforma totalitaria delle pensioni in
gioco in Francia lo dimostra una volta di più in modo spettacolare al mondo
intero.
D'altra parte, mentre l'acqua verrà
crudelmente a mancare e il caldo torrido cuocerà le nostre alienazioni, il cibo
adulterato dei supermercati venduto sempre più caro ai salariati/schiavi che
siamo, è il frutto avvelenato di un cannibalismo autofago di cui i tumori sono
i testimoni, sintomi del declino auto programmato di una specie in via di
estinzione.
Il patriarcato produttivista fa la
guerra al vivente. Disertiamo. Difendiamo la vita e cambiamo il mondo prima che
sia troppo tardi!
Sergio Ghirardi
Sauvageon, 20 aprile 2023
Appropriation privative et violence illégitime
L’épisode tragique de
Sainte-Soline démontre – grandeur nature dénaturée – la manipulation d’un
terrorisme d’État qui justifie sa violence par l’invention d’un éco terrorisme
dont l’évocation malveillante, affabulée pour la besogne de se légitimer
idéologiquement, risque, d’ailleurs, de créer les conditions d’éclosion réelle
d’une violence incontrôlée.
Bien souvent, en effet, la
peste émotionnelle qui sème le mépris et la terreur finit par récolter la
tempête et la haine désespérée d’une variante spéculaire opposée à sa peste
mutilante et meurtrière. Ce qui arrangerait bien, finalement, un pouvoir aux
abois qui n’a plus que la gestion de la peur et la répression pour s’imposer.
C’est un fait que les
oligarchies dominantes préfèrent le risque tragique d’une guerre civile à
l’émergence d’une société égalitaire fondée sur l’autonomie individuelle et
soucieuse du partage des biens communs. Il n’y a jamais de lutte armée
populaire, pour délirante qu’elle soit, si l’État n’en produit pas les
conditions par la répression et l’exploitation du peuple.
La fameuse fable d’Ésope
reprise en français par La Fontaine, celle du loup et de l’agneau, nous montre
depuis l’antiquité la logique vicieuse et manipulatrice des relations de
pouvoir inhérentes à la prédation. Dans ce jeu perverse et narcissique, les
mots ont depuis toujours une importance cruciale. Plus près de nous, Fourier
remarqua à son tour la persistance moderne de ce phénomène de falsification :
« Témoin le mot bonheur, liberté, vertu, morale, destinée, nature et tant
d’autres vaines doctrines sur lesquelles nos théories nous mènent constamment à
l’opposé du but » (C. Fourier, Des harmonies polygames en amour,
Rivages Poche, Paris 2003).
Puis, alors que mai 68
s’approcha, l’Internationale situationniste rappela pertinemment que rien
n’est manifestement plus soumis à la dialectique que le langage, en tant que
réalité vivante. Ainsi toute critique du vieux monde s’est elle faite avec le
langage de ce monde et pourtant contre lui, donc automatiquement dans un
langage autre (M. Khayati, Les mots captifs, I.S. n.°10, 1966).
Dans la société du
spectacle intégré, le devenir-monde de la falsification est devenu une
falsification systématique du monde. Les mots y participent bigrement
permettant aux tenants de la société du spectacle de toucher un sommet inouï de
perversion manipulatrice.
Dans un monde de plus en
plus artificiel, des mots captifs sont abondement utilisés par les dominants
pour embobiner les dominés et en conforter, au cas échéant, la servitude
volontaire. Jamais autant qu’aujourd’hui la manipulation des concepts a
fabriqué des falsifications idéologiques que la novlangue virtuelle appelle fake
news.
Parmi les diverses mots
captifs, le concept de radicalité a été systématiquement vidé de son sens et
réduit à un synonyme du concept d’extrémisme. A force de nommer radicalisation
l’adhésion de minorités fanatiques à un extrémisme islamiste qui déferle comme
un archaïsme fonctionnel à la domination globale, traiter quiconque de radical
signifie dans le langage publicitaire du spectacle social le dénoncer comme
terroriste.
Radical, extrémiste, terroriste se mélangent dans un
cocktail pervers. Or, dans la pensée critique pluriséculaire, être radical
signifie précisément aller à la racine des choses, c’est à dire, pour les êtres
humains, aller à la recherche profonde de l’humanité elle même dans son
environnement vital. Rien à voir avec un quelconque extrémisme ni, a fortiori,
avec une violence fanatique. La radicalité se préoccupe de l’humain sans
distinctions ni hiérarchies, s’occupant avant tout des phénomènes qui risquent
d’entraver la vie, de la faire péricliter. En revanche, dans la propagande
politico-médiatique, le terroriste n’est plus précisément celui qui terrorise
des êtres vivants en s’en prenant à leur vie, mais on colle cette accusation à
celui qui s’en prend à l’appropriation privative des choses fétichisées en
marchandise, fusse-t-il pour sauver des vies.
Appropriation privative et
violence illégitime sont les deux mamelles qui nourrissent la civilisation
productiviste et son mode de production capitaliste qui en marque la phase
terminale. La civilisation spectaculaire marchande fondée sur l’État et le
Marché, domine la planète prétendant de distinguer la violence légitime (la
sienne) de la violence illégitime (celle de tous les autres). Or c’est une
évidence qu’aucune violence n’est légitime pour ceux qui la subissent. La seule
violence absolument légitime est celle exercée par quiconque pour se défendre d’une
agression à son autonomie individuelle, à sa liberté collective.
En France et ailleurs, pendant
l’occupation nazie, la légalité imposée par l’impérialisme psychotique du
Troisième Reich consista dans l’exécution sommaire des résistants au motif de
leurs actions « terroristes ».
L’accusation de terrorisme
était alors une posture exemplaire de l’idéologie fasciste au pouvoir à Vichy, en
Italie, en Allemagne et ailleurs. Que penser aujourd’hui de la légitimité d’une
accusation d’écoterrorisme que le pouvoir applique à une situation dans
laquelle deux militants écologistes se sont retrouvés entre la vie et la mort
et, tout en compatissant tous les blessés sans exception, on compte à
Sainte-Soline plus de deux cent blessés, souvent graves, parmi les manifestants
et une quarantaine parmi les forces de l’ordre établi ? Comment ne pas
voir que la résistance en question se présente comme une contestation radicale
et non pas extrémiste ? Comme une lutte qui revendique une défense de la
vie et non pas une apologie de la mort ?
La criminalisation du
concept de ZAD (zone à défendre) coagule désormais une renouvelée, fanatique
chasse aux sorcières. L’existence même de cette conscience d’espèce naissante qui
défend toute sorte de ZHAD (zone humaine
à défendre) marque le début d’une lutte contre le nihilisme de la
civilisation productiviste. Ce phénomène spontané de résistance humaine,
répandu partout dans la civilisation productiviste planétaire, avec ou sans
gilet jaune, n’est pas par hasard l’épouvantail de tous les postfascistes aux
aguets du pouvoir. Évidemment aucune ZHAD, aucune communauté humaine in fieri n’est à l’abri à priori du
risque de se transformer en un lieu de pouvoir suprématiste odieux et
inacceptable à combattre comme tous les fascismes. Ni plus ni moins qu’un parti
politique, un gouvernement, une usine, une famille, un village. Mais ce n’est
pas sa nature, ce n’est pas son but, ce n’est pas son destin. Les partisans de
la moindre zone à défendre sont chargés par leur conscience pratique, conseilliste
et égalitaire, d’agir collectivement pour rendre le pouvoir partagé et bien
visible, évitant les dérapages, la violence, la domination, partout et toujours.
Exactement comme devrait arriver dans un groupe, une communauté, une nation autogérée
par des individus libres et autonomes.
Staline, Hitler, Pol Pot,
Pinochet et toute la pourriture sordide du monde de hier et d’aujourd’hui sont
les symboles historiques du désastre monstrueux de tous les totalitarismes dont
le projet d’autogestion généralisée de la vie quotidienne est la critique
radicale qui se moque des bureaucrates communistes autant que des fascistes,
des libéraux et de tous les idéologues de l’histoire confisquée par la peste
émotionnelle de la civilisation productiviste et patriarcale.
Sans remonter plus loin
dans le temps (mais on le pourrait et on l’a déjà fait souvent) je cite en vrac
la Commune de Paris, l’Espagne de la résistance antifranquiste et de son projet
libertaire, le mouvement des occupations de mai 68, le Chiapas zapatiste, le
communalisme du Rojava, mais aussi la floraison de n’importe quel lieu de vie,
pour minuscule qu’il soit, où des individus défendent mieux qu’ils le peuvent
leurs droit de vivre en humains contre l’ogre nihiliste de l’économie politique
qui détruit la nature et le vivant au nom du rentable.
Toutes ces aventures d’une
vie humaine en danger ont été, sont et seront des ZHAD réussies ou ratées
d’occupation de la vie contre les parasites opportunistes et exploiteurs de
tout acabit. On ne va pas renoncer au partage du bonheur pour tous en consentant
à un quelconque arriviste caractériel de violer sans scrupule les foules au nom
d’une république imaginaire dont il se voit le dictateur démocrate. Offrons à
tous ces loups malades du pouvoir une vacance sans fin au Club Med de l’île de
Sainte Hélène.
Le vieux monde fonctionne
selon une conception autoritaire de l’ordre et du désordre.
Pour accéder à un monde
nouveau on ne peut pas se contenter de faire le désordre sans l’aimer. Il faut
arriver à comprendre l’utilité nécessaire d’un ordre mouvant partagé avec les
autres, un ordre acratique, autogéré collectivement, sans police militarisée ni
voyous, un ordre qui n’est pas établi et qui ne veut pas le devenir car il sait
qu’aucune violence infligée est légitime ; un ordre acratique qui se réinvente
constamment par la non violence et qui mute selon l’évolution des situations et
de leur psychogéographie. Ce pouvoir partagé a la paix comme arme redoutable et
la légitime défense de chacun et de tous comme seul loi répressive de la
violence d’autrui.
Ce sont les valeurs qui le
fondent à ne jamais changer : liberté, égalité, fraternité. Ces valeurs
concrètes de la jouissance de la vie sont un patrimoine de l’humanité que la
domination réduit à gadgets d’une morale mystique octroyée par un pouvoir suprématiste
qui ne dit pas son nom.
Hélas, cette précieuse
richesse commune a été historiquement confisquée par la classe bourgeoise,
arrivée, en France, au pouvoir politique en coupant la tête du roi, puis
coupant les têtes des réfractaires des Sections parisiennes opposées à son
pouvoir de classe et enfin aussi celles d’un bon nombre de ses chefs aspirant à
l’investiture suprême. La Terreur. La même réapparue à chaque révolution
trahie, à chaque répression du peuple par ses seigneurs, au moindre signe de désobéissance
civile au consensus spectaculaire comme à Sainte-Soline.
Aux trois valeurs symboles
d’une révolution inachevée (liberté, égalité, fraternité) on peut en ajouter ou
pas, mais ça suffit d’en trahir une pour les trahir toutes. C’est ce qu’on fait
toutes les révolutions ratées et tous les réactionnaires cyniques et
opportunistes qui les ont confisquées. Car on ne peut pas changer de monde en
reproduisant les rapports de pouvoir de l’ancien monde. CE NE SERONT PAS DES
NOUVEAUX DOMINANTS QUI ABOLIRONT LA DOMINATION. Ce n’est pas le repos des
guerriers qu’il faut souhaiter, mais leur retraite définitive, leur
transformation en poètes sans dieux, ni maîtres, ni esclaves.
Plutôt que adhérer à une quelconque
idéologie nouvelle, artificielle et post-humaniste, est urgent l’abandon du
cannibalisme du corps et de l’esprit qui nous pousse depuis des millénaires à
nous nourrir de la chair et du travail de nos semblables réduits en esclavage.
Le travail salarié est un
déguisement moderne de l’esclavage ancien, la reforme totalitaire des retraites
qui agite la France le prouve spectaculairement une fois de plus au monde
entier.
En revanche, pendant que
l’eau va cruellement nous manquer et la chaleur torride va cuir nos
aliénations, la nourriture frelatée des supermarchés vendue de plus en plus
chère aux salariés/esclaves que nous sommes, est le fruit empoisonné d’un
cannibalisme autophage dont les cancers sont les témoins, symptômes de la
déchéance auto programmée d’une espèce en voie d’extinction.
Le patriarcat productiviste
fait la guerre au vivant. Désertons. Défendons la vie et changeons le monde
avant qu’il ne soit trop tard !
Sergio Ghirardi Sauvageon,
20 avril 2023