Quel che Tremonti non dice (e nessuno chiede) Articolo di Giulia Innocenzi su “Il fatto” del 2/8/11
Qualcuno mi deve spiegare chi è il santo in paradiso di Tremonti, perché io non l’ho capito. Ricapitolando, il ministro dell’Economia è nel mezzo di una bufera giudiziaria di nomine truccate con favori di qualunque tipo, gestita proprio sotto i suoi occhi (almeno secondo l’accusa) dal suo super vice con compagna a carico, guarda caso portavoce del ministro. Da questo super vice si era fatto dare in prestito una casa perché si sentiva spiato dalla Guardia di finanza (denunciarla prima no, eh?), come se andare a casa di qualcuno in una situazione in cui si pensa di essere vittima di spionaggio fosse più sicuro che non affittarsi una casa in totale autonomia. E deve ancora chiarire se era “ospite”, o in parte affittuario in nero, oppure affittuario con pagamento in banconote sonanti (il contante è spesso amico dell’evasione), visto che le varie versioni divergono molto fra loro. E tutto questo ambaradan lo colpisce proprio quando il nostro paese è sotto attacco degli speculatori, che in soldoni significa che il mercato non ha gradito neanche un po’ la manovra economica presentata proprio dal ministro, e con le parti sociali che per la prima volta decidono di unire le loro voci per lanciare un grido d’allarme sullo stato del paese. Lui in tutto questo putiferio che fa? Dice che si è “dimesso da inquilino“.
Ora, non ho mai preteso dai membri di questo governo niente di più che un po’ di spocchia, senso di impunità e menefreghismo nei confronti dei cittadini e delle istituzioni da loro rappresentate, messe in ombra quando sono occupate da chi è al centro di scandali di vario tipo. Quello che mi sorprende questa volta, però, è la reazione dei media, o meglio, la non reazione. Davanti alla vicenda Scajola, con tutte le differenze del caso, c’era stata giustamente una richiesta di spiegazioni continua, che l’ha portato – incredibilmente per il nostro paese – a dimettersi con una conferenza stampa alquanto imbarazzante. Nei confronti di Tremonti, invece, vedo un totale appiattimento davanti alle sue contromosse, e mai una domandina un po’ fuoripista (questo giornale escluso). In questo torpore mediatico gli unici che martellano un po’ contro il ministro sono i giornali che si riferiscono a Berlusconi (con evidente interesse) e un vispo Sergio Romano, che sul Corriere si è rivolto a lui con il suo “Quel che Tremonti non ha detto”, ottenendo l’unica risposta al momento degna di nota.
Come al solito dall’estero ci guardano sbalorditi. Il Financial Times si chiede come un ministro dell’economia possa ammettere di pagare un affitto di migliaia di euro al mese in contanti in un paese dove l’evasione fiscale e proprio il denaro sonante costituiscono uno degli ostacoli più grossi alla crescita. Ma ormai anche oltreconfine si sono rassegnati, e nonostante il quotidiano rosa dica che Tremonti “non è indispensabile”, le sue dimissioni potrebbero costituire un pericolo ora che siamo bersaglio della finanza.
Che dite se nel frattempo, in questo mare di rassegnazione, non indirizziamo noi qualche domandina al nostro ministro, che da tutta questa storia esce meno che limpido e che in un paese normale dovrebbe come minimo rispondere davanti a una commissione, un parlamento o un programma tv con i controfiocchi (no, non intendevo Unomattina)? Cominciamo noi nella speranza che gli altri ci seguano?
Ghirardi Sergio commenta il 2 agosto 2011 alle 10:58
Io non so che cosa voglia dire un paese normale. La normalità è una categoria da servitori volontari. So invece che cosa vuol dire un paese libero, un paese democratico, un paese autogestito da coloro che lo abitano.
L’ultima di queste definizioni fa ancora parte di un’utopia che il crollo delle democrazie spettacolari rende sempre più concreta ma non abbastanza, finora, per trasformare l’indignazione in rivolta per l’abrogazione dell’ancien régime di caste corrotte e corruttrici. La “democrazia”, invece, c’è eccome: è un involucro vuoto in cui le mafie politiche e i politici mafiosi eletti in Parlamento gestiscono un popolo spettatore della sua sovranità immaginaria. La libertà somiglia allora alla pelle dello scroto che si può tirare in tutti i sensi senza che ti porti da nessuna parte.
L’etimologia di questa parola fondamentale - libertà - è stata manipolata dai peggiori affaristi diventando, per esempio, liberalismo. Una qualche forma grottesca di libertà orwelliana ha sempre condito le peggiori malefatte autoritarie bruciando, sgozzando e incarcerando in nome della libertà di un culto contro quello altrui, di un’ideologia contro quella del nemico interno o dell’invasore.
Tutte le ideologie oclocratiche (vedi oclocrazia, all’ingrosso: governo della plebe che si sceglie un dittatore, un tiranno, un “esperto” per farsi dirigere e manipolare solo da lui) hanno sempre inneggiato alla loro sacrosanta libertà teologica contro quella profana e malvista di una democrazia diretta.
Che c’entra Tremonti? E’ un esempio classico di ignorante diplomato che ha saputo valorizzare la sua pochezza come un savoir faire e come tutti i venditori di fumo vive delle gerarchie dell’egoismo idiota. Prima io, gli altri per servirmi.
Non ha bisogno di rubare? E’più che probabile, ma quando lo si vede con il suo corpicino spocchioso da vittima predestinata e magari volontaria di un tranquillo weekend di paura, non è difficile immaginare che le motivazioni dei soprusi e delle ingiustizie, dei privilegi e delle sopraffazioni hanno altrettante cause psicologiche che economiche.
I “mal baisés”, come li si chiama in Francia, non hanno sempre l’erre moscia, ma guardano sempre dall’alto della loro bassezza i loro interlocutori. Finchè il suono del banjo non li richiama bruscamente al loro destino.