La pubblicazione dei dati
Eurostat sull'aumento della povertà e del rischio-povertà in Europa ha
suscitato sui media il solito "dibattito", viziato in partenza dal
rappresentare l'impoverimento come un "problema", come un
effetto indesiderato delle politiche di "rigore". In realtà
il bombardamento sociale del "rigore finanziario" non è
sostanzialmente diverso dai bombardamenti militari, nei quali l'obiettivo
dichiarato è un pretesto non soltanto per il consumismo delle bombe
(tanto paga il contribuente), ma anche per fare il maggior numero possibile di
"danni collaterali", cioè di vittime civili. Anche il
"rigore" è un business, ed il "danno collaterale" della
maggiore povertà apre a sua volta nuove frontiere al
business. [1]
In questi anni è risultato sempre
più evidente il nesso consequenziale tra l'aumento della povertà e la
finanziarizzazione dei rapporti sociali. La povertà diventa un business
finanziario, costringendo i poveri all'indebitamento crescente.
Pochi giorni fa il governo
tedesco ha potuto annunciare trionfalmente che l'obiettivo del pareggio di
bilancio è stato raggiunto con un anno di anticipo, e ciò soprattutto grazie al
fatto che la Germania ha potuto finanziare il suo debito pubblico a tasso zero,
poiché, contestualmente, sono stati i Paesi del Sud dell'Europa non
solo a pagare tassi di interesse più alti, ma anche ad indebitarsi
maggiormente. Dopo un anno in cui ci si era sempre detto che "il
problema è il debito", si è poi scoperto che il governo Monti non soltanto
non ha ridotto il debito pubblico, ma lo ha aumentato. Il cosiddetto
"spread" si è rivelato così una tassa sulla povertà, un'elemosina dei
poveri nei confronti dei ricchi.
Procede intanto l'addestramento
dei poveri all'uso degli strumenti finanziari. Il governo Monti ha rilanciato
la "Social Card" di tremontiana memoria, annunciando la sperimentazione
in alcune città e Regioni di una nuova versione familiare della
carta. Viste le cifre in ballo per questa carta prepagata, il vantaggio
per le famiglie è pressoché inesistente, semmai il vantaggio è per
BancoPosta che la gestisce. [2]
Lo scopo della social card è in realtà quello
di allargare il target dei servizi finanziari. Nata
negli USA, anche lì "in via sperimentale", la Social Security
Card si è diffusa a macchia d'olio, tanto che i fruitori della carta nel
2013 ammonteranno già a dieci milioni, secondo le stime di Comerica,
l'istituto di credito di Dallas a cui il Tesoro americano ha affidato il
business. [3]
I Paesi anglosassoni stanno dimostrando che i poveri costituiscono
un target inesauribile per l'offerta di servizi finanziari. Non
soltanto la carta di credito viene oggi concessa anche ai disoccupati, ma
questi sono anche fatti oggetto di un vero e proprio allettamento per dotarsi
di questo "servizio" finanziario. Il fatto è comprensibile,
se si considera che disoccupati e precari possono essere ridotti ad
un livello assoluto di dipendenza da questi strumenti finanziari;
cosa che non sarebbe possibile nei confronti di chi disponesse di fonti
regolari di reddito. Se i prestiti ai poveri fossero ancora in contanti,
allora i rischi di insolvenza sarebbero mortali per un business del genere; ma
oggi c'è il denaro elettronico e le banche non devono compromettere la propria
liquidità per concedere carte di credito. [4]
I poveri tendono ancora a servirsi soprattutto di contanti,
ma le banche intendono sollevare le masse da questa condizione primitiva,
attraverso quello che chiamano un programma di "inclusione
finanziaria". Il suono nobile e commovente
della parola "inclusione" serve a nascondere il
fatto che si tratta di un programma a basso rischio d'impresa per
lo sfruttamento delle possibilità di indebitamento delle masse più
povere. [5]
Il governo britannico
ha elaborato nel 2007 un piano di inclusione finanziaria per salvare le
masse di "unbanked" dal loro misero destino e per metterle a
disposizione dell'amorevole offerta di servizi bancari. Lo stesso governo
britannico ha ritenuto di porre una deroga ai limiti della sua "spending
review" pur di stanziare dei fondi per questo piano umanitario. [6]
Anche la Banca d'Italia ha
impostato un piano analogo, ciò in attuazione delle indicazioni del G-20 a
riguardo. A quanto pare il denaro elettronico ha un club di supporter
piuttosto nutrito. [7]
La Banca Mondiale, nella sua
veste di agenzia specializzata dell'ONU, rappresenta l'avanguardia in
questo progetto di soccorso mondiale agli "unbanked". Robert
Zoellick, presidente della Banca Mondiale sino al luglio scorso, ha profuso più
di tutti il suo personale impegno nella "financial inclusion".
Zoellick costituisce il prototipo del perfetto bombanchiere: proviene da
Goldman Sachs e, nel periodo in cui ha fatto parte dell'amministrazione Bush, è
stato uno dei promotori più zelanti dell'aggressione all'Iraq. Zoellick è
anche un ospite d'onore, pressoché fisso, del Consiglio Atlantico
della NATO. [8]
Le banche in questo periodo hanno
una pessima reputazione e, spesso, persino una pessima stampa. Ma le
denunce possono rimanere sul vago, mentre, come si dice, il diavolo si annida nei dettagli. C'è
qualche prestigioso commentatore che auspica addirittura un
passaggio completo al denaro elettronico, con l'abbandono definitivo del
contante; ciò in nome della lotta all'evasione fiscale, come se
l'elettronica fosse intrinsecamente onesta, e fosse in grado solo di
"tracciare" e non potesse anche sviare. L'unico risultato certo dell'adozione integrale del denaro elettronico,
sarebbe invece quella di rendere definitiva la "financial
inclusion", cioè di non porre più limiti alle possibilità per le
banche di impoverire e sfruttare i popoli.
grazie a comidad
6 dicembre 2012
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