Un primo contatto
tra la volontà passionale del soggetto e l'oggettività dell’ambiente naturale
in cui l'Io s’inventa e si esprime, ha avuto una manifestazione spontanea, come
per gioco, quando alcuni spiriti liberi si sono divertiti a definire la
psicogeografia, più di mezzo secolo fa.
La psicogeografia è intrinseca alla sensibilità
umana. I suoi primi segni sono già reperibili nella
preistoria, dai graffiti di Lascaux a quelli di Bomarzo nel nord dell’Italia.
Grotta di Lascaux |
Quest’arte spontanea si esprime innanzitutto per analogia e approssimazione.
Essa guarda sempre ai desideri nascenti come le prime mappe geografiche descrivevano
sommariamente i territori appena esplorati, lasciando ampi spazi alla fantasia
per quelle che erano denominate “terrae
incognitae”.
Sono stati gli esploratori
dell’Internazionale lettrista i primi a usarne il nome e a farne un metodo di
ricerca. Formulando le idee per un nuovo urbanismo, Gilles Ivain (Ivan
Chtcheglov) si è trovato e si è perso psocogeograficamente, mentre Rumney
merita di essere ricordato come l’inventore dell’effimero Comitato psicogeografico di Londra che nel 1957 ha partecipato alla
fondazione dell’Internazionale Situazionista.
Non è privo di
senso, del resto, che molte intuizioni e scoperte avvengano spesso per gioco o
per caso. “La deriva (di atto in atto, con i suoi gesti, la sua
passeggiata, i suoi incontri) stava esattamente alla totalità come la psicanalisi (quella buona) sta al
linguaggio”[1].
La pressione dei
desideri lasciati in sospeso opera inconsciamente per la loro soddisfazione finché
- con un bombardamento di doveri e di bisogni indotti che riducono la società a
spettacolo e gli individui a spettatori di una vita assente -
l’addomesticamento non arriva a canalizzare la pulsione zampillante dal corpo
come la lava di un vulcano.
Ormai, per
divertirsi a vivere in quest’epoca di per sé assai poco divertente, urge che si
ridisegni la mappa del mondo della felicità che ci sfugge tra le dita prima di
morire tutti di sete a un passo dalla sorgente delle chiare, fresche e dolci
acque della gioia di vivere.
Di fronte alla
catastrofe che avanza, diventa pressante che una cartografia della libertà sia
riscoperta e utilizzata per spingere la coscienza pratica a riappropriarsi
materialmente, qui e ora, della complessità semplice delle sensazioni e della
sensibilità. Un'intelligenza separata dai sentimenti, inquinata dalla
confusione e terrorizzata dall'irrazionale è un’intelligenza da idioti dementi.
Poco varrebbe
rifarsi ora alla lucidità e alla creatività passata se non per riconoscerla e
riappropriarsene concretamente in nome della volontà di godere della vita.
Evitare di essere succubi del principio di precauzione non impedisce di
vigilare perché esso sia messo saggiamente al servizio della volontà di vivere.
Del passato
facciamo dunque tesoro, evitando di ricadere nelle trappole che ci hanno finora
perduto nel labirinto dell’alienazione. Non c'è un solo ambito in cui il
parossismo dell'esplorazione, spinto dalla carenza della coscienza di sé e
dalla nevrosi narcisista, non si sia tradotto in un recupero consumistico e
troppo spesso, a fortiori, nichilista.
Gli individui
alienati non hanno saputo trasformare i primi sintomi concreti di una
rivoluzione in fieri - l’uso strategico
crescente e modulato dell'eccesso, dell’energia costruttiva e distruttiva e del
rifiuto di ubbidire agli ordini di una coscienza alienata - in un’azione al
servizio di un’armonia superiore. Soltanto una sobrietà ebbra di libertà e una
lucidità autonoma da ogni morale eteronima, possono realizzare il rovesciamento
di prospettiva richiesto dalla sensibilità psicogeografica di uomini liberi.
La psicogeografia
che introduce questa nuova sensibilità nell’esplorazione del possibile è prima
di tutto lo studio che l'intelligenza sensibile fa degli effetti precisi
dell'ambiente geografico (sia esso naturale o, come oggi totalmente reificato
dal dominio della merce) sul comportamento affettivo degli individui e di
conseguenza sul loro comportamento sociale.
Questa «scienza» che, in effetti, è una coscienza ludica, ha l'obiettivo di affinare la qualità di godimento del piacere
soggettivo della vita. Il suo disinteresse per ogni valorizzazione economica la
rende intrinsecamente rivoluzionaria in un’epoca in cui, abolito il
divertimento per trasformarlo in lavoro, non si può più concepire nessun gioco
gratuito senza entrare in crisi. Questa del resto è l’essenza della “crisi” economica
con cui siamo condizionati, di cui tutti parlano e nessuno capisce niente
perché non c’è niente da capire.
Alice guarda i
gatti e in un mondo dove nulla è lasciato al caso e tutto è sottoposto a
condizionamento, il primo segno concreto di rivolta passa per la creazione di
spazi psicogeografici dove il condizionamento tenda a zero. Non si tratta di
condizionare con una nuova coscienza rivoluzionaria le mandrie di lavoratori-consumatori
ma di liberare degli spazi di autonomia nel loro pensare programmato.
Si tratta di
favorire la diserzione dall’esercito di cittadini spettatori arruolati di
forza. Un tale progetto risulta in totale opposizione con l’atteggiamento
militante che continua a sforzarsi di condizionare verso la rivolta la
coscienza coatta delle masse.
I milit(ant)i ignoti dispersi nel deserto delle
ideologie sono i soggetti crudelmente lobotomizzati di una storia confiscata
dallo spettacolo sociale. Opposti specularmente ai
servitori volontari, questi oppositori
per dovere sono anch’essi cittadini infelici di un mondo spettacolare. Sono
esseri indeterminati, virtuali, la cui realtà è naufragata di credenza in fede,
di delusione meccanicista in disillusione mistica. Essi costituiscono le
opposizioni fittizie che si riuniscono periodicamente per dei cambiamenti pensati
apposta perché nulla cambi. Finiscono per sottoscrivere di volta in volta a un
nuovo triste partito, a una sinistra più a sinistra della precedente che aspira
a un nuovo ordine mondiale dal volto più umano di quello precedente. Non si
accorgono che il volto umano di ogni potere non può che produrre
inevitabilmente dei cuori di pietra e dei corpi insoddisfatti e frustrati.
Nello spettacolo, la speranza è sempre l’ultima a
morire poiché essa rappresenta la versione impotente, nostalgica di una volontà
di vivere confiscata.
Alternativamente risucchiati dalle liturgie più
riformiste o estreme, attratti come falene dal consumismo delle cose o delle
idee, i milit(ant)i ignari non riescono a mettere le loro sensibilità
intelligenti al servizio di un progetto coerente di rivoluzione sociale vissuta.
Finiscono, dunque, per consegnarsi puntualmente al narcisismo redditizio di
qualche orribile guru intento a valorizzarsi contando sulla ciclica credulità
delle masse.
Soltanto una
teoria pratica che si avvicini alla questione sociale con una sensibilità
attenta ai meccanismi caratteriali del potere può aiutarci a uscire dalla
dipendenza. Finché ciò non avverrà la logica binaria e il manicheismo
moralizzatore continueranno a opprimere i soggetti più fragili, vale a dire la
maggior parte degli esseri umani, dai più cupidi reazionari ai milit(ant)i
rivoluzionari più devoti.
In realtà nessun
futuro davvero umano è possibile, senza la riappropriazione materiale e
soggettiva dell'unico presente collettivo esistente, senza la sua modificazione
cosciente messa in atto da quanti non si rassegnano all'assoluto nichilismo
della società produttivistica.
Un sindacalismo
rivoluzionario radicalmente rinnovato urge nella fabbrica globale produttrice
di valore economico che è diventata la vita quotidiana. La miseria vergognosa
del sindacalismo clientelare, ridotto a collaborare con l’economicismo
totalitario di cui è diventato una «parte sociale» riconosciuta, va definitivamente superata.
L’umanità residua non
potrà sopportare la beffa finale di un ecumenico consenso miserabilmente
rivendicativo che renderebbe definitivamente impossibile la lotta per un mondo
umano ancora tutto da inventare, il nostro.
Sergio
Ghirardi