sabato 14 febbraio 2015

La Francia, culla del nucleare, non sembra sufficientemente pronta in caso d’incidente





La France, pays du nucléaire, semble insuffisamment préparée à un accident

Un impiegato esce dalla zona di sicurezza della centrale nucleare di Fessenheim il 9 aprile 2013
Perimetri d’evacuazione ridotti, sirene d’allerta inaudibili, comunicazioni scadenti, caos prevedibile: quattro anni dopo Fukushima, la Francia la cui rete di reattori è la più densa del mondo, sembra ancora impreparata a un incidente nucleare.
Il passaggio nel cielo sovrastante i siti nucleari da parte di droni e gli attentati del gennaio scorso hanno rilanciato l’inquietudine dei deputati locali che dopo l’incidente nucleare giapponese denunciano l’inconsistenza dei piani d’urgenza valer a dire i perimetri dei piani particolari d’intervento (PPI) previsti intorno alle centrali.
Mentre il perimetro d’evacuazione messo in atto a Fukushima è stato di 20 km., il PPI francese prevede un’evacuazione del raggio di soli 2/5 km. Attorno alle centrali. Il prefetto decide in caso d’incidente in funzione della sua gravità.
In un secondo perimetro del raggio di 10 km, è prevista una protezione della popolazione sul posto. Gli abitanti devono avere a disposizione delle compresse di iodio. Queste pastiglie non proteggono integralmente dalle radiazioni ma permettono di evitare, se prese rapidamente, dei tumori della tiroide.
In questo contesto, il presidente dell’Autorità della sicurezza nazionale (ASN), Pierre-Franck Chevet, riconosce che “i principi d’elaborazione del PPI e i perimetri associati devono essere rivisti”.
Bordeaux, quarta metropoli francese con 720.000 abitanti a 45 km. Dai reattori di Blayais ha richiesto in novembre un’estensione del PPI della centrale a 80 km.
-Un abitante su tre non sente l’allarme-
L’associazione nazionale delle commissioni locali d’informazione (Anccli) reclama un perimetro di 80 km. Per tutti i siti nucleari. Le “Clis” raggruppano intorno a ogni sito nucleare deputati, sindacati, scienziati o ecologisti.
In Giappone i comuni interessati devono ormai preparare un’evacuazione su 30 km, raggio più largo che quello previsto prima dell’incidente dell’undici marzo 2011 i cui piani si sono rivelati inefficaci di fronte all’ampiezza della catastrofe. Resta che la loro applicazione si mostra complessa. In Europa, i perimetri d’evacuazione, quando esistono, variano da uno a 20 km, mentre quelli per la distribuzione preventiva dello iodio da cinque a 50 km.
In Giappone un villaggio situato a una tale distanza è stato evacuato.
In Francia, dove funzionano 58 reattori in 19 centrali, i reattori di Bugey (Ain) si trovano a 35 km. da Lione, quelli di Gravelines (Nord) a 25 km da Dunkerque come da Calais.
Allo stadio attuale, lo Stato francese rifiuta di dire se prevede di modificare il PPI come lo stanno facendo in Germania e in Svizzera. Intanto, i deputati denunciano le carenze dei dispositivi in seno agli stessi perimetri attuali.
“In dodici anni abbiamo fatto quattro esercitazioni di crisi. Il sistema d’allerta (sirene altoparlanti, chiamate telefoniche) della popolazione s’è dimostrata ogni volta inaffidabile. Durante l’ultima esercitazione, nel 2012, un abitante di Flamanville su tre non ha sentito l’allarme oppure l’ha udito in ritardo”, racconta Patrick Fauchon sindaco socialista di Flamanville (Manche), che pur tuttavia ha appena ottenuto l’istallazione di una seconda sirena per la quale si batte da anni.
Alexis Calafat, il cui municipio si trova a 500 metri dalla centrale di Golfech (Tarn-et-Garonne), non intende spesso neppure lui il suono della sirena. È vero che questo sistema si raddoppia ovunque di un dispositivo di chiamate telefoniche fisse della popolazione su due chilometri, ma questa precauzione è giudicata insufficiente all’epoca del telefonino. Durante l’ultima esercitazione attorno a Gravelines nel 2011, il sistema ha permesso di comporre 6000 numeri in quindici minuti ma il 28,7 % delle chiamate ha suonato a vuoto mentre gli abbonati in lista rossa non sono stati contattati.
-Quale è la chiave?-
Golfech dispone adesso di un sistema d’allerta della popolazione per telefono portatile che lo Stato prevede di estendere a livello nazionale.
Le municipalità sono incaricate di passare in auto per le strade con degli altoparlanti, ma questi si avverano appena udibili come l’ha costatato l’AFP. All’epoca dei vetri doppi il sistema sembra talmente inoperante che M. Calafat vi ha rinunciato.
I problemi di allarme “sono veri dappertutto”, assicura il presidente dell’Anccli, Jean-Claude Delalonde.
Le centrali stesse sono davvero protette? Molti ne dubitano dopo l’esercitazione di crisi improvvisata richiesta dai parlamentari durante una visita a sorpresa a Paluel (Seine-Maritime) nel 2011. Documentazione a volte erronea, chiave del circuito elettrico indisponibile. Claude Birraux, allora presidente (UMP) dell’Office parlementaire d’évaluation des choix scientifiques et technologiques (Opecst), vi rilevò “delle situazioni a volte burlesche”.
Neppure la comunicazione tra le autorità sembra rodata. Ala fine del 2011, al momento di un’ultima esercitazione intorno alla fabbrica di ritrattamento di Areva a Beaumont-Hague (Manche), che concentra il massimo di materiale radioattivo in Europa, la prefettura ha impiegato quaranta minuti per riuscire a collegarsi in audio conferenza con Areva e la ASN. I codici telefonici non erano quelli giusti.
“Parecchie esercitazioni domandano alla popolazione di restare chiusa in casa e di lasciare i bambini a scuola. Tuttavia degli allarmi scattati per errore hanno dimostrato che quando la gente pensa che ci sia un vero incidente, si precipitano a scuola per prendere i bambini e andarsene”, testimonia Alexis Calafat che presiede l’associazione dei sindaci dei comuni in cui si trovano dei siti nucleari.
-Delle code inestricabili-
A Gravelines, nel 2011, si è simulata l’evacuazione. Risultato: “Un balletto incessante di autobus che s’incrociavano a ripetizione nel centro di Gravelines creando delle code inestricabili, perché gli autisti non sapevano dove dovevano andare” secondo un rapporto della CLI.
A Golfech, le esercitazioni di crisi sono ormai praticate soltanto ogni cinque anni anziché i tre previsti per ragioni finanziarie, deplora M. Calafat.
Nell’ipernucleare Normandia, dove la fabbrica nucleare de La Hague è rimasta isolata per due giorni nel 2013 a causa della neve prima che l’esercito ripulisse la strada, i deputati locali s’interrogano sull’accessibilità dei siti.
La Francia ha pur fatto dei progressi da venti anni a questa parte, precisano dei deputati.
Ne è testimone la creazione, dopo Fukushima, delle Forze d’azione rapida nucleare (Farn), composte di 230 “pompieri del nucleare”. Questo dispositivo, unico al mondo, salutato dall’Agenzia internazionale dell’energia atomica (AIEA) è suddiviso su quattro siti: Paluel, le Bugey, Civaux (Vienne) e Dampierre (Loiret).
Dal 2011 tutti i dipartimenti devono avere il loro stock di iodio da distribuire su tutto il territorio. Nell’Alto Reno, per esempio i luoghi di stoccaggio sono molteplici. Nella Mosella le pillole sono raggruppate a meno di quindici minuti dalla centrale di Cattenom. Nella Manica, invece, sono nei pressi di Saint-Lô, a un’ora e mezza di strada da Flamanville.
In caso d’incidente, una volta che le pastiglie siano state portate nel luogo previsto, tocca ai sindaci avere a disposizione una lista di volontari per distribuirle. “I sindaci ne sono penalmente responsabili e possono ritrovarsi di fronte a un tribunale come quello di Faute-sur-mer”, afferma Yannick Rousselet di Greenpeace France. Il vecchio sindaco di quel comune della Vandea è stato condannato in dicembre a quattro anni di prigione per la morte di ventinove persone al momento del passaggio della tempesta Xynthia nel 2010. Per quel che riguarda l’Assemblea Nazionale, essa dovrà votare giovedì, su proposta dell’UMP, la creazione di un delitto penale d’intrusione nei siti nucleari, passibile di un anno di prigione, per opporsi alle azioni dei militanti antinucleari.




Versione originale in francese :



Périmètres d’évacuation étriqués, sirènes d’alerte inaudibles, communications défaillantes, chaos prévisible: quatre ans après Fukushima, la France, dont le réseau de réacteurs est l’un des plus denses du monde, semble encore insuffisamment préparée à un accident nucléaire.

Les survols de sites nucléaires par des drones et les attentats de janvier ont relancé l’inquiétude d’élus locaux, qui depuis l’accident nucléaire japonais dénoncent «l’ineptie» des plans d’urgence, ces «périmètres des plans particuliers d’intervention» (PPI) prévus autour des centrales.

Alors qu’à Fukushima un périmètre de 20 km a dû être évacué, les PPI français envisagent une évacuation dans des rayons de 2 ou 5 km seulement autour des centrales. Le préfet tranche le jour de l’accident en fonction de sa gravité.

Dans un deuxième périmètre de 10 km de rayon, une mise à l’abri de la population, là où elle se trouve, est envisagée. Et les habitants doivent avoir chez eux des comprimés d’iode. Ces médicaments ne protègent pas de toutes les radiations mais, pris rapidement, ils permettent d’éviter des cancers de la thyroïde.

Dans ce contexte, le président de l’Autorité de sûreté nucléaire (ASN), Pierre-Franck Chevet, reconnaît que «les principes d’élaboration des PPI et les périmètres associés doivent être réexaminés».

Bordeaux, quatrième métropole de France, soit 720.000 personnes à 45 km des réacteurs du Blayais, a demandé en novembre une extension du PPI de la centrale à 80 km.

- Un habitant sur trois rate l’alerte -

L’association nationale des commissions locales d’informations (Anccli) réclame un périmètre de 80 km pour tous les sites nucléaires. Les «Clis» regroupent autour de chaque site nucléaire élus, syndicats, scientifiques, voire écologistes.

Au Japon, les communes concernées doivent désormais préparer une évacuation sur 30 km, un rayon plus large que prévu par les plans antérieurs à l’accident du 11 mars 2011, plans qui se sont avérés inopérants face à l’ampleur de la catastrophe. Reste que leur concrétisation s’avère complexe. En Europe, quand ils existent, les périmètres d’évacuation varient d’un à 20 km et ceux de distribution préventive d’iode de cinq à 50 km. Au Japon un village situé à cette distance de la centrale accidentée a été évacué.

En France, où tournent 58 réacteurs dans 19 centrales, les réacteurs du Bugey (Ain) se trouvent à 35 km de Lyon, ceux de Gravelines (Nord) à 25 km de Dunkerque comme de Calais.

A ce stade, l’Etat français refuse de dire s’il envisage de modifier ses PPI comme sont en train de le faire l’Allemagne et la Suisse. En attendant, les élus dénoncent les défaillances des dispositifs au sein même des périmètres actuels.

«En 12 ans, on a fait quatre exercices de crise. Le système d’alerte (sirène, haut parleur, appels téléphoniques) de la population s’est à chaque fois montré peu fiable. Lors du dernier exercice, en 2012, un Flamanvillais sur trois n’a pas reçu l’alerte ou alors avec retard», raconte Patrick Fauchon, maire PS de Flamanville (Manche), qui vient toutefois d’obtenir l’installation d’une seconde sirène pour laquelle il bataille depuis des années.

Alexis Calafat, dont la mairie est à 500 mètres de la centrale de Golfech (Tarn-et-Garonne) n’entend pas toujours la sirène non plus. Ce système est certes doublé partout d’un dispositif d’appels des téléphones fixes de la population sur 2 km, mais cette précaution est jugée insuffisante à l’ère du portable. Lors du dernier exercice autour de Gravelines en 2011, le système a permis de composer 6.000 numéros en 15 minutes mais 28,7% des appels ont sonné dans le vide. Et les abonnés sur liste rouge n’ont pas été contactés.

- Où est la clé ? -

Golfech dispose à présent d’un système d’alerte de la population par téléphone portable que l’Etat envisage d’étendre au niveau national.

Les municipalités sont aussi censées passer en voiture dans les rues avec un haut parleur, mais ce dernier s’avère à peine audible, comme l’a constaté l’AFP. A l’heure du double vitrage, ce système paraît si inopérant que M. Calafat y a renoncé.

Les problèmes d’alerte «c’est vrai partout», assure le président de l’Anccli, Jean-Claude Delalonde.

Les centrales elles-mêmes sont-elles parées? Beaucoup en doutent depuis l’exercice de crise improvisé demandé par des parlementaires lors d’une visite surprise à Paluel (Seine-Maritime) en 2011. Documentation parfois erronée, clef du tableau électrique indisponible: Claude Birraux, alors président (UMP) de l’Office parlementaire d’évaluation des choix scientifiques et technologiques (Opecst), y a constaté «des situations parfois burlesques».

La communication entre les autorités ne semble pas rodée non plus. Fin 2011, lors du dernier exercice autour de l’usine de retraitement d’Areva à Beaumont-Hague (Manche), qui concentre le plus de matière radioactive en Europe, la préfecture a mis 40 minutes pour parvenir à se connecter en audioconférence avec Areva et l’ASN. Les codes téléphoniques n’étaient pas les bons.

«Nombre d’exercices demandent à la population de rester chez elle et de laisser les enfants à l’école. Mais des alertes déclenchées par erreur ont montré que quand les gens pensent que c’est un véritable accident, ils se précipitent à l’école pour prendre leurs enfants et s’en aller», témoigne Alexis Calafat, qui préside l’association des maires de communes où se trouvent des sites nucléaires.

- 'Des bouchons inextricables' -

A Gravelines, en 2011, on a testé l’évacuation. Résultat: un «ballet incessant d’autobus qui se croisaient et se recroisaient au centre de Gravelines et créaient des bouchons inextricables, parce que les chauffeurs ne savaient pas où ils devaient se rendre», selon un rapport de la CLI.

A Golfech, les exercices de crise ne sont plus pratiqués que tous les cinq ans au lieu de trois ans, pour des raisons budgétaires, déplore M. Calafat.

Et dans la très nucléaire Normandie, où l’usine de la Hague est restée coupée du monde pendant deux jours en 2013 à cause de la neige avant que l’armée ne dégage la route, les élus s’interrogent sur l’accessibilité des sites.

La France a toutefois progressé depuis 20 ans, nuancent des élus.

En témoigne la création après Fukushima des Forces d’action rapide nucléaire (Farn), composées de 230 «pompiers du nucléaire». Ce dispositif unique au monde, salué par l’Agence internationale de l’énergie atomique (AIEA), est réparti sur quatre sites: Paluel, le Bugey, Civaux (Vienne) et Dampierre (Loiret).

Depuis 2011, tous les départements doivent avoir leur stock d’iode à distribuer sur tout leur territoire. Dans le Haut-Rhin, par exemple, les lieux de stockage sont multiples. En Moselle, les comprimés sont regroupés à moins de 15 minutes de la centrale de Cattenom. Dans la Manche, en revanche, ils sont près de Saint-Lô, à une heure et demie de route de Flamanville.

En cas d’accident, une fois les comprimés acheminés dans le canton concerné, il revient aux maires d’avoir une liste de volontaires pour les distribuer. «Les maires en sont pénalement responsables. Ils peuvent se retrouver face à un tribunal comme celui de la Faute-sur-mer», affirme Yannick Rousselet de Greenpeace France. L’ancien maire de cette commune vendéenne a été condamné en décembre à quatre ans de prison ferme pour la mort de 29 personnes lors du passage de la tempête Xynthia en 2010.

Quant à l’Assemblée nationale, elle devrait voter jeudi, sur proposition de l’UMP, la création d’un délit pénal d’intrusion dans les centrales nucléaires, passible d’un an d’emprisonnement, pour s’opposer aux actions des militants antinucléaires.