Portrait d’un imbecile, Philippe Soupault, 1921 |
Eccovi, con un piccolo décalage
di tempo, la traduzione di uno scritto inviatomi dal mio grande amico Raoul di
cui condivido appieno i sentimenti di rabbia contro tutte le “bestialità” e d’amore per la vita. Sergio Ghirardi
L’oscurantismo è sempre stato il modo di far luce
usato dal potere
Ci sono cose con le quali non si ride. Non abbastanza ! Scutenaire
La stupidità è
una bomba a frammentazione. Essa non colpisce soltanto l’intelligenza, suo
bersaglio preferito, ma si propaga sforando le coscienze che si mettono a
pisciare dappertutto. Quelle - essenzialmente gestionali - del mondo statale e
politico hanno celebrato la loro incontinenza con delle azioni di grazia per
loro doppiamente vantaggiose. I notabili hanno potuto in tutta impunità
ringraziare il cielo - fosse pure quello di Allah - per averli sbarazzati di un
pugno di irriverenti. Nello stesso tempo si sono offerti, con pompa magna nazionale,
clerical-laica e repubblicana alla francese, il lusso di santificare come martiri
del libero pensiero degli eredi di Daumier e di Steinlen, morti per aver fatto
uso del diritto riconosciuto a ciascuno di sputtanare senza eccezioni tutte le
bandiere, le religioni, gli imbroglioni politici e burocratici, i tirapiedi del
potere (compresi quelli che hanno sgomitato nel bel mezzo dell’ubuesca
manifestazione). Eredi, del resto, che avevano fatto mostra di grande
moderazione se si compara Charlie Hebdo
all’Assiette au beurre, al Père
Peinard, alla Feuille di Zo d’Axa.
Senza dubbio
non abbiamo riso abbastanza di una tale messa ecumenica, celebrazione delle
virtù di una civiltà esemplare che non smette di distruggere i valori umani a
favore del valore mercantile (nella parata dei manichini mancava soltanto Lehman
Brothers, la cui presenza avrebbe senz’altro fatto piacere a Bernard Maris).
Passata l’onda
di choc perfettamente recuperata dalla gente di potere, che cosa resta tra le
macerie? Lo stesso caos psicologico e sociale tanto utile alle imprese
multinazionali e alle mafie bancarie. Il rafforzamento della sola funzione
ancora assunta dallo Stato: la repressione (di chi di che cosa? Circolate non
c’è niente da vedere!). Il clientelismo di destra e di sinistra. L’ipocrisia
umanitaria e le vittime in cerca di colpevoli. La strategia del capro
espiatorio (non è il sistema che mi schiaccia, ma il mio vicino!). L’ideologia,
infine, questo sistema di evacuazione delle acque nere dell’egotismo
intellettuale. L’ideologia, dove proliferano delle idee che separate dalla
vita, la svuotano della sua sostanza e non ne sono che dei simulacri.
Dal
diciannovesimo secolo fino a poco tempo fa, ci si è battuti, torturati,
massacrati per delle ideologie, come nel sedicesimo secolo, quando un pelo di
culo biblico spediva sul rogo.
Ieri, la buona
parola comunista mimetizzava i gulag, le prediche nazionaliste inviavano
milioni di uomini alla morte, l’eloquenza socialista occultava la solidarietà
dei corrotti, dovunque, sotto il tavolo dei valori evangelici, si applicava l’uccidetevi gli uni con gli altri (quel
che Ruandesi e Iugoslavi, del resto, hanno messo in pratica anche senza
l’ausilio della religione). Le idee passano, le pance sventrate restano. È
quanto Lautréamont chiamava la macchia di sangue intellettuale.
Nell’emozione
provocata dall’assassinio di Charlie,
non ho sentito il grido della vita. In realtà non è la Repubblica, la Francia,
la libertà di pensiero che sono state aggredite, ma il nostro diritto di vivere
come vogliamo (parlo di vivere, non di quella sopravvivenza dove ciascuno la fa
là dove gli si intima di fare). Non dico che quel grido non abbia risuonato.
Milioni d’individui hanno percepito che a subire offesa era la loro stessa
umanità. Penso piuttosto che la coscienza non abbia ancora terminato il suo
lavoro per riuscire a partorire, mentre l’oscurantismo emozionale trova ovunque
un impiego.
Bisogna
ritornare alla base, a quel che noi viviamo e vogliamo vivere senza cadere
nella trappola dei simboli e delle astrazioni. Non è così facile. I grandi
palloni politici sono scoppiati ma noi continuiamo a sguazzare tra i loro avanzi.
Che cosa resta
delle ideologie, tanto influenti ancora ieri? Il clientelismo le ha squarciate.
Le dichiarazioni programmatiche hanno ormai le risonanze di scorregge mediatiche.
Per contro, siamo circondati dalle parole evocate da Rabelais: esse vagano
inquiete nell’aria perché la gola che le ha profferite, e dove esse vogliono
tornare, è stata tranciata.
Si assassina la
vita e le parole girano a vuoto.
Che cos’è la
libertà di pensare senza la libertà di vivere? Un «parla, parla pure» al servizio di tutto e di nulla. Il potere fotte
proprio bene il popolo, lo schiaccia con delle parole in guisa di stivaletti. Non
servono nemmeno più gli scarponi militari.
Di fronte
all’enormità della menzogna che l’economia diffonde da mane a sera, ci sono
quelli che piegano la schiena, quelli che si lasciano persuadere a ingoiare
l’amarezza del presente per paura del domani, quelli che s’impoveriscono,
s’arrabbiano e si disperano sotto il tallone di ferro del profitto. Tutto si
gioca sotto la menzogna delle parole.
La vita è oggi
la posta di una lotta veritiera che si combatte in ciascuno. L’ubriacatura
della disperazione, quest’alcool adulterato, fa facilmente vacillare e passare
da un comportamento al suo contrario. Tra resistenza e passività ci vorrebbe una
frontiera più netta. Non c’è. Eppure la posta in gioco è chiara. La
rassegnazione e la sua impotenza astiosa fabbricano con una desolante facilità
dei paurosi ordinari, dei suicidi, degli assassini, dei terroristi (così
chiamati per distinguerli dai poliziotti propensi alle sbavature, dalle milizie
delle compagnie multinazionali, dai promotori immobiliari che gettano le
famiglie sulla strada, dagli aggiotatori che moltiplicano il numero di
disoccupati, dai devastatori dell’ambiente, dagli avvelenatori dell’industria
agroalimentare, dai giuristi del Mercato Transatlantico le cui leggi avranno la
meglio su quelle delle nazioni).
Voler vivere,
comunque e malgrado tutto, è l’altra scelta, più appassionante, più difficile:
si è soli e tutto è ancora da creare. O
questo o la capitolazione nella violenza rivolta contro di sé e contro i propri
simili.
Non è vero che
le parole uccidono. Esse servono soltanto da alibi agli assassini. Quando
l’energia non nutre la gioia di vivere, s’investe nell’odio, nel risentimento,
nel regolamento di conti, nella vendetta.
Con la sua
paura del desiderio, della natura, della donna, della vita libera, la religione
è un grande serbatoio di frustrazioni. Non a caso i disperati vi pescano le
parole che permettono loro di soddisfare il gusto della morte, delle parole la
cui sacralità inventa in un colpo solo quel che la urta e quello di cui ha
bisogno, il blasfemo.
Il blasfemo
esiste solo per il credente, basta far scivolare le parole come delle
conchiglie vuote e riempirle: attaccare la politica del governo israeliano vuol
dire essere antisemiti, scrivere «né
padrone né Allah» è essere islamofobico, denunciare i preti pedofili è
ferire il cristiano nella sua fede. Non so più chi diceva: datemi una frase di
un autore e lo farò impiccare.
La violenza
endemica è dappertutto, prodotta e stimolata da un sistema economico che rovina
le risorse del pianeta, impoverisce la vita quotidiana, minaccia persino la
semplice sopravvivenza delle popolazioni. Le multinazionali hanno interesse a
favorire i conflitti locali e la guerra di tutti contro tutti. Quale migliore
condizione che il caos per saccheggiare impunemente il pianeta, avvelenare regioni
intere con il gas di scisto o con lo sfruttamento di filoni auriferi?
Quella di
arruolare in conflitti assurdi degli individui che con un minimo di riflessione
potrebbero decidersi a denunciare le manovre degli sfruttatori fino ad unirsi
contro di loro, è una strategia a basso costo.
Mettetevi
dunque nel ruolo dei finanziatori accordando più importanza a certe categorie
di assassini che ad altre. Sotto quale etichetta mettereste il tarato che in
Norvegia ha massacrato un centinaio di persone in nome della purezza etnica? E
lo studente che un bel mattino ha freddamente ucciso i suoi compagni di classe?
Incoraggiata o
no da fazioni religiose o ideologiche, la stupidità ha la stessa origine: la
noia, la frustrazione, l’abbrutimento, la disperazione, la sensazione di essere
finiti in una trappola dalla quale soltanto un grande balzo verso il nulla
potrà liberare.
Questa è la
trappola che bisogna eludere, stritolando l’economia mercantile. Perché questa,
sul suo passaggio, non lascia alcuna possibilità alla vita.
Bisognerà pure
che sul versante opposto alla disperazione si levi una grande risata, un riso
universale che non lasci alcuna possibilità al commercio che fa di un uomo una
cosa.
Il ridere della
gioia di vivere ritrovata.
Raoul Vaneigem, 12 janvier 2015
Versione originale in francese :
L’obscurantisme a toujours été le mode d’éclairage du pouvoir
Il y a des choses
avec lesquelles on ne rit pas. Pas assez ! Scutenaire
La bêtise est une bombe à fragmentation. Elle ne frappe pas seulement l’intelligence, sa cible de prédilection, elle se propage en trouant les consciences qui se mettent à pisser de partout. Celles — essentiellement gestionnaires — du monde étatique et politique ont célébré leur incontinence par des actions de grâce, qui leur étaient doublement profitables. Les notables ont pu, en toute immunité, remercier le ciel — fût-il celui d’Allah — de les avoir débarrassés d’une poignée d’irrévérencieux. Dans le même temps, ils se sont offert, avec une pompe nationale française, cléricale-laïque et républicaine, le luxe de sanctifier en martyrs de la libre pensée des héritiers de Daumier et de Steinlen usant du droit, reconnu à chacun, de conchier en leur totalité les drapeaux, les religions, les margoulins politiques et bureaucratiques, les palotins au pouvoir (dont ceux qui jouèrent des coudes dans la manifestation ubuesque). Ils faisaient montre au demeurant de beaucoup de modération, si l’on compare Charlie à l’Assiette au beurre, au Père Peinard, à la Feuille de Zo d’Axa.
Sans doute n’a-t-on pas assez ri de cette messe œcuménique, célébrant les
vertus d’une civilisation exemplaire, qui n’en finit pas de détruire les
valeurs humaines au profit de la valeur marchande (il ne manquait au défilé de
mannequins que Lehman Brothers, qui eût fait plaisir à Bernard Maris).
Passé l’onde de choc, si bien récupérée par les gens de pouvoir, que
reste-t-il dans les décombres ?
Le même chaos psychologique et social, si profitable aux entreprises
multinationales et aux mafias bancaires.
Le renforcement de la seule fonction encore assumée par l’État : la
répression (de qui, de quoi ? Circulez il n’y a rien à voir !). Le
clientélisme de gauche et de droite. L’hypocrisie humanitaire et les victimes
en quête de coupables. La stratégie du bouc émissaire (ce n’est pas le système
qui m’écrase, c’est mon voisin). L’idéologie enfin, ce tout à l’égout et à
l’ego des intellectuels. L’idéologie où prolifèrent des idées qui, séparées de
la vie, la vident de sa substance et n’en sont que les simulacres.
Du XIXe siècle à il n’y a pas si longtemps, on s’est battu,
torturé, massacré pour des idéologies, comme au XVIe siècle, où un
poil de cul biblique envoyait au bûcher.
Hier la bonne parole communiste masquait les goulags, les prêches
nationalistes envoyaient des millions d’hommes au casse-pipe, l’éloquence
socialiste occultait la solidarité des corrompus, partout, sous la table des
valeurs évangéliques s’appliquait le « tuez-vous les uns les autres »
(à quoi les Rwandais et les Yougoslaves ont au reste obtempéré sans avoir
besoin de la religion). Les idées passent, la tripaille reste. C’est ce que
Lautréamont appelait la tache de sang intellectuelle.
Dans l’émotion provoquée par l’assassinat de Charlie, je n’ai pas
entendu le cri de la vie. Or ce n’est pas la République, la France, la liberté
de pensée qui ont été agressées, c’est notre droit de vivre comme nous voulons
(je parle de vivre, non de cette survie où chacun fait où on lui dit de faire).
Je ne dis pas que ce cri n’a pas retenti. Des millions d’êtres ont pressenti
que ce qui était offensé, c’était leur humanité même. Je pense seulement que la
conscience n’a pas encore fait son travail d’accouchement. Alors que
l’obscurantisme émotionnel trouve partout des emplois.
Il faut en revenir à la base, à ce que nous vivons et voulons vivre, sans
nous prendre au piège des symboles et des abstractions. Ce n’est pas si facile.
Les grandes baudruches politiques ont crevé mais nous continuons à patauger
dans leurs détritus.
Que reste-t-il de ces idéologies hier encore si puissantes ? Le
clientélisme les a éviscérées. Les déclarations programmatiques n’ont que des
résonances de pet médiatique. En revanche nous sommes environnés de ces paroles
qu’évoque Rabelais : elles tournent affolées dans l’air parce que la gorge
qui les a proférées, et où elles veulent retourner, a été tranchée.
On assassine la vie et les mots tournent en rond.
Qu’est-ce que la liberté de pensée sans la liberté de vivre ? Un
« cause toujours » à l’usage du n’importe quoi. Le pouvoir se fout
bien du peuple, il le piétine avec des mots en guise de bottines. Les bottes
militaires ne sont même plus nécessaires.
Sous l’énormité du mensonge que l’économie diffuse à longueur de journée,
il y a ceux qui courbent le dos, ceux que la peur du lendemain persuade
d’avaler l’amertume du présent, ceux qui s’appauvrissent, s’enragent et se
désespèrent sous le talon de fer du profit. Tout se joue sous le mensonge des
mots.
La vie est aujourd’hui l’enjeu d’un véritable combat. Il se livre en
chacun. La gueule de bois du désespoir, cet alcool frelaté, fait facilement
vaciller et passer d’un comportement à son contraire. Entre résistance et
passivité, on souhaiterait que la frontière fût nette. Elle ne l’est pas.
Pourtant les enjeux sont clairs. La résignation et son impuissance hargneuse
fabriquent avec une désolante facilité des apeurés ordinaires, des suicidaires,
des tueurs, des terroristes (ainsi baptisés pour les distinguer des policiers
en bavure, des milices des compagnies multinationales, des promoteurs
immobiliers jetant les familles à la rue, des agioteurs multipliant le nombre
de chômeurs, des ravageurs de l’environnement, des empoisonneurs de l’industrie
agroalimentaire, des juristes du Marché transatlantique dont les lois
l’emporteront sur celles des nations.
Vouloir vivre envers et contre tout est l’autre choix, plus passionnant,
plus difficile : on est seul et il y a tout à créer. C’est cela ou sombrer
dans la violence en la tournant contre soi et contre ses semblables.
Il n’est pas vrai que les mots tuent. Les mots servent seulement d’alibi
aux tueurs. Quand l’énergie ne nourrit pas la joie de vivre, elle s’investit
dans la haine, le ressentiment, le règlement de compte, la vengeance.
Avec sa peur du désir, de la nature, de la femme, de la vie libre, la
religion est un grand réservoir de frustrations. Ce n’est pas un hasard si les
désespérés y puisent les mots qui leur permettront d’assouvir leur goût de la
mort, des mots dont la sacralité invente du même coup ce qui la heurte et dont
elle a besoin, le blasphème.
Le blasphème n’existant que pour le croyant, il suffit de faire glisser les
mots comme des coquilles vides et de les remplir : attaquer la politique
du gouvernement israélien, c’est être antisémite, écrire « ni maître ni
Allah », c’est être islamophobe, dénoncer les curés pédophiles c’est
blesser le chrétien dans sa foi. Je ne sais plus qui disait : donnez-moi
une phrase d’un auteur, et je le ferai pendre.
La violence endémique est partout, produite et stimulée par un système
économique qui ruine les ressources de la planète, appauvrit la vie
quotidienne, menace jusqu’à la simple survie des populations. Les
multinationales ont intérêt à favoriser les conflits locaux et la guerre de
tous contre tous. Quelles meilleures conditions que le chaos pour piller
impunément la planète, empoisonner des régions entières avec le gaz de schiste
ou l’exploitation des filons aurifères ?
C’est une stratégie peu coûteuse que d’enrôler dans des affrontements
absurdes des gens qui, avec un peu de réflexion, risqueraient de dénoncer les
manœuvres des exploiteurs et de se liguer contre eux.
Allez donc jouer le jeu des commanditaires en accordant plus d’importance à
certaines catégories d’assassins qu’à d’autres. Sous quel label rangerez-vous
le taré qui en Norvège a massacré une centaine de personnes au nom de la pureté
ethnique ? Et l’écolier qui un beau matin tue froidement ses compagnons de
classe ?
Encouragée ou non par des factions religieuses ou idéologiques, la bêtise a
la même origine : l’ennui, la frustration, l’abrutissement, le désespoir,
la sensation d’être pris au piège dont seul peut libérer un grand bond vers le
néant.
C’est ce piège qu’il s’agit de briser en brisant l’économie marchande. Sur
son passage, elle ne laisse aucune chance à la vie.
Il faudra bien que sur l’autre versant de la désespérance un grand rire se
lève, un rire universel ne laissant aucune chance au commerce qui d’un homme
fait une chose.
Le rire de la joie de vivre retrouvée.
Raoul Vaneigem, 12 janvier 2015