giovedì 26 marzo 2015

Dalla Francia con orrore Chi vuole la pelle delle ZAD (zone da difendere)?



 Si trattava d’ironia? Il 6 marzo, lo stesso giorno in cui la zona da difendere (ZAD) della foresta di Sivens (micro Val di Susa francese) è stata nuovamente evacuata dalla polizia, Manuel Valls s’è inquietato “del silenzio della società e degli intellettuali” di fronte alla crescita dell’estrema destra (vedi Le Monde del 7 marzo). Vista dal Tarn (regione in cui si trova il sito in questione), dove gli oppositori alla costruzione dello sbarramento di Sivens si sono confrontati per tutto febbraio con delle pratiche d’ispirazione fascista, la dichiarazione del Primo Ministro appare come un’insolente provocazione. Infatti, il suo governo si è appoggiato su una frangia della destra estrema per indebolire la lotta contro il progetto in questione e facilitare l’evacuazione della Zad del Testet. Per rendere comprensibile quest’affermazione, è necessario un breve ritorno su fatti quasi ignorati dai media.
Dal weekend del 31 gennaio 2015 dei piccoli gruppi d’individui hanno cominciato a bloccare l’accesso della Zad a tutti quelli che vogliono andarci. Per interrompere il contatto tra gli zadisti e i loro numerosi appoggi nella regione tali gruppi non ci vanno certo di mano morta: quelli che portano dei viveri ai difensori della foresta sono svaligiati dei loro carichi; altri si ritrovano gli pneumatici tagliati, l’auto nel fosso oppure ribaltata per non aver tenuto abbastanza un basso profilo; tutti sono apertamente minacciati e talvolta seguiti quando si allontanano dai blocchi operati da questi “pro sbarramento”.
Così il sindaco di un piccolo comune del sud del Tarn, Patrick Rossignol, venuto a partecipare a una discussione sulla Zad il 1° febbraio, è stato “filato” da Sivens fino al centro di Gaillac. Avendovi parcheggiato l’auto, il tempo di una riunione, si è ritrovato all’uscita con il parabrezza in briciole. Nella sua testimonianza che ha postato su Internet, racconta anche come il gruppo di militanti di Gaillac, che lo avevano accompagnato alla Gendarmerie per la denuncia, sia stato attaccato con sbarre di ferro da un gruppo di “pro sbarramento” mentre i gendarmi non si sono degnati di uscire dai loro locali se non all’ultimo momento, quando i fatti si svolgevano proprio sotto le loro finestre.
Per tutto il mese, i partecipanti alle lotte contro lo sbarramento di Sivens sono stati spesso minacciati e molestati alla presenza di forze dell’ordine (gli zadisti, invece, hanno il privilegio di poter essere aggrediti senza testimoni nella foresta a ogni ora del giorno e della notte). I gendarmi si presentavano nei dintorni della Zad come forza d’interposizione, ma la loro connivenza con i “pro sbarramento” era sfacciata. Domenica 1° marzo, nella serata, un giovane che cercava di raggiungere la Zad si è visto sbarrare la strada e intimare di scendere dal suo automezzo che è stato incendiato sotto gli occhi dei gendarmi. I quali si dicevano troppo pochi per potersi opporre, al punto di non procedere neppure alla denuncia dei fatti...Mercoledì 4 marzo, infine, le forze dell’ordine che circondavano il sito per impedire ogni rinforzo e approvvigionamento agli zadisti, hanno permesso ai “pro sbarramento” (in quel momento più numerosi) di riversarsi sull’accampamento degli oppositori con testimonianze di caccia all’uomo, di saccheggi e di incendi perfino nelle capanne in cui si trovavano degli animali (vedi il reportage sul sito Reporterre.net). 

 

Questo spaventoso slancio di cittadinanza attiva è stato innanzitutto condotto senza etichetta politica visibile se non per i bracciali “anticapelloni” che esibivano i “pro sbarramento”. Nella stampa locale questi piccoli gruppi d’intimidazione erano presentati come “agricoltori del posto arrabbiati” ma la gente che li conosce li dice elettori se non militanti del Front National, e neppure tutti agricoltori. I siti internet che rivendicano queste azioni tengono un discorso di destra dura (anti disoccupati, anti stranieri) con aggiunta di minacce di morte contro gli zadisti. Uno degli animatori del blog Testet.Sivens.com sarebbe un sovvenzionatore del giornale Boulevard Voltaire. Sul posto alcuni SUV inalberano stemmi del FN. Assumendo pubblicamente l’organizzazione di una settimana di blocco della ZAD a partire dal 2 marzo, la FNSEA (sindacato contadino conservatore che aveva incoraggiato da mesi l’azione di questi “ultras” a livello locale) ha portato il suo sostegno ufficiale a delle pratiche abbiette. Non denunciandole, il governo di Hollande e Valls vi ha aggiunto la sua approvazione.
Infatti, per tutti quelli che sono stati esposti a una tale offensiva, la situazione è sconcertante perche non è chiaro se la polizia fosse in sostegno dei “pro sbarramento” civili o se fossero questi miliziani che aiutavano la polizia a reprimere un’occupazione insopportabile tanto agli occhi dei baroni del Consiglio Generale del Tarn che a quelli del Primo Ministro.
Del resto, il contrasto è assai forte tra l’estremismo dei mezzi impiegati per rimettere la foresta di Sivens a disposizione dei cementatori e il carattere consensuale degli argomenti usati per giustificare questo colpo di mano. Prendiamo l’appello dei Giovani Agricoltori della regione Midi-Pyrénées agli agricoltori della FNSEA di tutta la regione (28 febbraio): “La commedia è durata anche troppo. Bisogna passare da una fase in cui gli “antitutto” possono bloccare tutto a una fase di sviluppo responsabile dove i progetti economici strutturanti per i nostri territori possano essere iniziati e realizzati. Oltre lo sbarramento sul Tescou si tratta della posta globale di Sivens.”. Ecco una parola d’ordine alla quale nessuno nella classe politica saprebbe opporsi, escluso forse JL Melenchon (ultimo gauchista di servizio) quando va alla caccia dei voti mascherando il suo vecchio stampo produttivista. Il segretario di Stato per la Riforma territoriale, André Vallini, non ha forse dichiarato di recente: “Affinché la Francia resti la Francia, dobbiamo continuare a costruire aeroporti, sbarramenti, autostrade, linee TGV, strutture turistiche.”? Potrebbe, tuttavia, trattarsi di Bayrou, (Modem), Xavier Bertrand (UMP) o Marine Le Pen (FN).
 

Il che significa che andando a bastonare al freddo e sotto la pioggia dei giovani capelloni che tentano concretamente di rendere un altro mondo possibile, i miliziani del FN e della FNSEA difendono gli interessi dell’élite politico-economica che dicono di aborrire. La quale continua a presentarsi come moderata e democratica mentre può apparentemente contare su uomini esperti per impedire, con tutti i mezzi necessari, che emergano delle alternative teoriche e pratiche allo sviluppo industriale, alla società della crescita e al suo inevitabile saccheggio umano e ecologico. Siamo qui al cuore dell’identità storica dell’estrema destra – al di là da quello che essa veicola per sciovinismo e xenofobia, al di là dei voti essenzialmente di protesta che procurano il suo successo elettorale: l’estrema destra si radica nella società quando le classi dirigenti sono costrette ad affidarle un ruolo nel mantenimento dell’ordine, cioè nella repressione di movimenti anticapitalisti e nella salvaguardia degli affari correnti (che il business possa continuare come al solito). Questo ruolo è generalmente tenuto da individui e gruppi che avrebbero anch’essi motivo di prendersela con il sistema economico che si prepara a maciullarli, ma che, per un insieme di ragioni personali e sociologiche, aderiscono al richiamo dell’ordine – il leitmotiv dei “pro sbarramento” durante tutte queste settimane è stato: “domandiamo allo Stato d’applicare la legge”...pur esercitando, ovviamente, una pressione  tale da porre numerose leggi sotto i piedi.
Nel momento in cui lo Stato francese si lancia in una gigantesca operazione di comunicazione ambientale, che culminerà il prossimo dicembre nella conferenza Paris Climat,  è  cruciale per lui di soffocare la voce che da qualche anno si fa intendere, a fatica ma con insistenza, sia in Francia che altrove, in particolare attraverso le lotte contro i grandi progetti utili al capitalismo: soltanto lo stop dello sviluppo industriale, seguito da un riesame profondo della nostra civiltà di macchine potrà restituirci la speranza di un mondo vivibile, socialmente ed ecologicamente. Ciò implica, beninteso, un cambiamento politico immenso che i nostri dirigenti vogliono scongiurare a qualunque prezzo, giocando sulle paure e le contraddizioni in seno al popolo.
Se l’atmosfera fosse più leggera in questi ultimi tempi, si potrebbe lungamente ridere della fanfaronata di Valls in vista del meeting di dicembre: “Come la Francia dei Lumi ha saputo mostrare il cammino, il modello ambientale francese deve ispirare il mondo. In qualche modo, noi dobbiamo proporre un nuovo universalismo.”. Dopo gli ultimi sussulti del conflitto di Sivens e la carta bianca concessa dal governo alla FNSEA, sappiamo dunque che il Diderot del XXI secolo si chiama Xavier Beulin (capo della FNSEA) e che il nuovo universalismo francese consisterà nell’incoraggiare dappertutto sulla terra l’uso di pesticidi nelle stesse nostre quantità.
Sosta d’ironia a denti stretti: per i numerosi abitanti della regione di Sivens che si sentono feriti dagli ultimi avvenimenti, come lo erano stati dalla morte di Rémi Fraisse quattro mesi fa, non è ancora tutto perduto. Lo sbarramento resta da fare e può dunque essere impedito. Ormai sappiamo, però, fino a quali estremi i difensori di quest’opera possono andare – numerosi articoli di stampa sulla riunione del Consiglio Generale del 6 marzo attestano, del resto, che alcuni deputati del Tarn non hanno la minima intenzione di costruire uno sbarramento più piccolo di quello inizialmente previsto.

Célia Izoard e Matthieu Amiech








PS: Per la vocazione internazionalista di barravento mi pare buono aggiungere in fondo pure il testo in francese   (Sergio Ghirardi)
Qui veut la peau des ZAD ?
Était-ce de l’ironie ? Le 6 mars, jour même où la zone à défendre (ZAD) de la forêt de Sivens a été une nouvelle fois évacuée par la police, Manuel Valls s’est inquiété du « silence de la société et des intellectuels » devant la montée de l’extrême droite (cf. Le Monde du 7 mars). Vue du Tarn, où les opposants à la construction du barrage de Sivens ont été pendant tout le mois de février confrontés à des pratiques d’inspiration fasciste, la déclaration du premier ministre apparaît comme une insolente provocation. Car c’est bien sur une frange de l’extrême droite que son gouvernement s’est appuyé pour affaiblir la lutte contre le projet de barrage et faciliter l’évacuation de la ZAD du Testet. Pour rendre intelligible cette affirmation, un bref retour sur des faits peu médiatisés est nécessaire.
À partir du week-end du 31 janvier 2015, de petits groupes d’hommes commencent à bloquer l’accès de la ZAD à tous ceux qui veulent s’y rendre. Pour couper le contact entre les zadistes et leurs nombreux soutiens dans la région, ces groupes n’y vont pas de mainmorte : ceux qui apportent des vivres aux défenseurs de la forêt sont dévalisés de leur chargement ; d’autres se retrouvent les pneus crevés, la voiture dans le fossé ou même renversée sur le toit, faute d’avoir fait profil suffisamment bas ; tous sont ouvertement menacés, et parfois suivis quand ils s’éloignent des barrages de ces « pro-barrages ».
C’est ainsi que le maire d’une petite commune du sud du Tarn, Patrick Rossignol, venu participer à une discussion sur la ZAD le 1er février, est « filé » de Sivens jusqu’au centre-ville de Gaillac. Y ayant garé sa voiture le temps d’une réunion, il retrouve à la sortie son pare-brise éclaté. Dans le témoignage qu’il a fait tourner sur internet, il relate aussi comment le groupe de militants gaillacois venus l’accompagner à la gendarmerie pour porter plainte, quelques minutes plus tard, est attaqué à la barre de fer par des « pro-barrages » ; les gendarmes ne daignant sortir de leur bâtiment qu’au dernier moment, alors que les faits se déroulent juste sous leurs fenêtres.
Tout au long du mois, les participants à la lutte contre le barrage sont fréquemment menacés et molestés en présence des forces de l’ordre (les zadistes, eux, ont la chance de l’être sans témoin dans la forêt, à toute heure du jour et de la nuit). Les gendarmes se présentaient aux abords de la ZAD en mission d’interposition, mais leur connivence avec les « pro-barrage » était grossière. Dimanche 1er mars, un jeune homme tentant de gagner la ZAD en soirée se voit ainsi barrer la route et sommer de descendre de son camion, lequel est promptement incendié sous les yeux des gendarmes. Ceux-ci se disant trop peu nombreux pour s’y opposer, ce qui les empêchera même de dresser un procès-verbal… Mercredi 4 mars, enfin, les forces de l’ordre qui encerclaient le site pour empêcher tout renfort et tout approvisionnement aux zadistes laissent les « pro-barrage » (plus nombreux à ce moment-là) déferler sur le campement d’opposants, où les témoignages font état de chasses à l’homme, de saccage et d’incendie, jusqu’à des cabanes abritant des animaux (voir les reportages du site Reporterre.net).
Cet effrayant élan de citoyenneté active a d’abord été mené sans étiquette politique visible, si ce n’est les brassards « anti-pelluts » (anti-chevelus) qu’arboraient les « pro-barrages ». Dans la presse locale, ces petits groupes pratiquant l’intimidation étaient présentés comme des « agriculteurs du coin en colère » ; mais les gens qui les connaissent les disent électeurs voire militants du Front national, et pas tous agriculteurs. Les sites internet revendiquant ces actions tiennent un discours de droite dure (anti-chômeurs, anti-étrangers) agrémenté de menaces de mort contre les zadistes. L’un des animateurs du blog Testet.sivens.com serait contributeur du journal Boulevard Voltaire. Sur place, certains 4 × 4 arboraient des écussons du Front national. En assumant publiquement l’organisation d’une semaine de blocage de la ZAD à compter du 2 mars, la FNSEA (qui avait depuis plusieurs mois encouragé l’action de ces « ultras » au niveau local) a apporté sa caution officielle à des pratiques crapuleuses. En ne les dénonçant pas, le gouvernement de Hollande et Valls leur a aussi donné son approbation.
En fait, pour tous ceux qui ont été confrontés à cette offensive, la situation a ceci de troublant qu’on ne sait pas dire si la police était en soutien des « pro-barrage » civils ou si ce sont ces miliciens qui ont aidé la police à réprimer une occupation insupportable, aussi bien aux yeux des barons du conseil général du Tarn qu’à ceux du premier ministre.
Par ailleurs, le contraste est assez frappant entre l’extrémisme des moyens employés pour remettre la forêt de Sivens à disposition des bétonneurs, et le caractère consensuel des arguments servant à justifier ce coup de force. Prenons l’appel des Jeunes Agriculteurs de Midi-Pyrénées aux agriculteurs FNSEA de toute leur région (28 février) : « La comédie n’a que trop duré. Il faut passer d’une phase ou les “anti-tout” peuvent tout bloquer à une phase de développement responsable où les projets économiques structurants pour nos territoires peuvent être engagés et réalisés. Au-delà de cette retenue sur le Tescou, c’est l’enjeu global de Sivens. » Voilà un mot d’ordre auquel personne dans la classe politique ne saurait s’opposer, à part peut-être Jean-Luc Mélenchon quand il va à la pêche aux voix en masquant son vieux fond productiviste. Le secrétaire d’État à la Réforme territoriale, André Vallini, n’a-t-il pas déclaré récemment : « Pour que la France reste la France, nous devons continuer à construire des aéroports, des barrages, des autoroutes, des lignes de TGV, des équipements de tourisme » ? Mais cela pourrait être François Bayrou, Xavier Bertrand ou Marine Le Pen.
Cela veut dire qu’en allant bastonner dans le froid et la pluie les jeunes chevelus qui tentent concrètement de rendre un autre monde possible, les miliciens du FN et de la FNSEA défendent les intérêts de l’élite politico-économique qu’ils disent honnir. Celle-ci continue généralement de se présenter comme modérée et démocrate, mais elle peut apparemment compter sur des hommes de terrain pour empêcher, par tous les moyens nécessaires, qu’émergent des alternatives idéologiques et pratiques au développement industriel, à la société de croissance et à son inévitable saccage, humain et écologique. On est là au cœur de l’identité historique de l’extrême droite — au-delà de ce qu’elle charrie évidemment de chauvinisme et de xénophobie, au-delà des votes essentiellement protestataires qui font son succès électoral : l’extrême droite s’enracine dans la société quand les classes dirigeantes sont contraintes de lui confier un rôle dans le maintien de l’ordre, c’est-à-dire la répression de mouvements anticapitalistes et la pérennisation des affaires courantes (que le business puisse continuer as usual). Ce rôle est en général tenu par des individus et des groupes qui devraient aussi s’en prendre au système économique, car celui-ci s’apprête à les broyer, mais qui pour tout un ensemble de raisons, personnelles et sociologiques, se rangent du côté de l’ordre — le leitmotiv des « pro-barrage » pendant toutes ces semaines était « nous demandons à l’État d’appliquer la loi »... quitte bien sûr à exercer cette pression en piétinant nombre de lois.
Au moment où l’État français s’engage dans une gigantesque opération de com’ environnementale, qui culminera en décembre prochain avec la conférence Paris Climat, il est crucial pour lui d’étouffer la voix qui se fait, poussivement mais avec insistance, entendre depuis quelques années en France et ailleurs, notamment à travers les luttes contre les grands projets utiles au capitalisme : seul l’arrêt du développement industriel, suivi d’un inventaire poussé dans notre civilisation de machines, peut nous rendre l’espoir d’un monde vivable, socialement et écologiquement. Cela implique bien sûr un changement politique immense que nos élites veulent conjurer à tout prix, en jouant sur les peurs et les contradictions au sein du peuple.
Si l’ambiance était plus légère ces temps-ci, on pourrait rire longuement de cette fanfaronnade de Manuel Valls en vue du sommet de décembre : « Comme la France des Lumières a su montrer un chemin, le modèle environnemental français doit inspirer le monde. C’est en quelque sorte un nouvel universalisme que nous devons proposer. » Après les derniers rebondissements du conflit de Sivens et le blanc-seing donné par le gouvernement à la FNSEA, on sait donc que le Diderot du XXIe siècle s’appelle Xavier Beulin, et que le nouvel universalisme français consistera à encourager partout sur la terre l’usage de pesticides dans les mêmes quantités que chez nous.
Trêve d’ironie grinçante : pour les nombreux habitants de la région de Sivens qui se sentent meurtris par les derniers événements, comme ils l’avaient été par la mort de Rémi Fraisse il y a quatre mois, tout n’est pas encore joué. Le barrage reste à construire et peut donc être empêché. Mais nous savons désormais jusqu’à quelles extrémités les défenseurs de cet ouvrage sont prêts à aller — nombre d’articles de presse sur la réunion du conseil général le 6 mars attestent d’ailleurs que certains élus tarnais n’ont aucune intention de construire un barrage plus petit que celui initialement prévu.
Célia Izoard et Matthieu Amiech