venerdì 5 luglio 2019

Tocca al popolo prendere in mano la cosa pubblica (intervista a R. Vaneigem per Marianne del 4/7/2019)







Le due ultime pubblicazioni di Raoul Vaneigem (Sull’autogestione della vita quotidiana, Derive Approdi, Roma 2019 e Appel à la vie, Libertalia, Paris 2019) sono un unico contributo all’emergenza di territori liberati dall'’impresa statale e mercantile che invita all’autogestione generalizzata, alla salvaguardia del pianeta, all’essere contro l’avere, alla poesia e alla rivoluzione connessa con l’apparizione del movimento dei Gilet jaunes.
A seguire l’intervista scritta a R. Vaneigem per Marianne del 4/7/2019.
Sergio Ghirardi


Proposizioni raccolte da Galaad Wilgos
Marianne: 1. Lei ha cominciato il suo ultimo libro dicendo che bisogna ”FARE TABULA RASA DI UN PASSATO CHE CI HA DISIMPARATO A VIVERE”. Fare tabula rasa è stata la parola d’ordine di avanguardie e di correnti progressiste importanti durante il XIX e XX secolo. Eppure il Medio evo, con le sue tavole rotonde, la sua etica cavalleresca, le sue libagioni, il suo amore cortese, il suo lavoro artigianale e le sue convivialità ha potuto ispirare dei rivoluzionari. Che inventario fa Lei del passato?
Non si tratta di cancellare il passato (del resto come si potrebbe?), ma di frantumare la cappa di alienazione secolare che esso fa pesare sul nostro presente, impedendoci di respirare un’aria nuova. Farla finita col sistema di sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo che desertifica oggi la vita e il pianeta in nome del profitto, implica di ristabilire i contatti con i tentativi di emancipazione tanto ardentemente manifestati durante le lotte sociali del passato. Le jacqueries, la corrente cortese che onorava la donna, le rivolte comunaliste, le idee del Rinascimento, la Rivoluzione francese, la Comune di Parigi, le collettività libertarie della rivoluzione spagnola, per quanto brutalmente interrotte, hanno aperto una via maestra alla libertà che, dal Chiapas al Rojava, dalla Francia dei Gilets jaunes all’Algeria e al Sudan illumina la coscienza universale.
2. Il mondo moderno sembra offrire sempre meno occasioni di stupore meraviglioso, di passioni sfrenate, di sentimenti profondi o di poesia. E ciò malgrado si sia fatto di tutto questo una delle principali armi della pubblicità. Houellebecq ha fatto di questa esistenza asettica, grigia e mediocre il suo tema di predilezione. Lei oppone a questa “sopravvivenza” la potenza poetica della vita. E ancora possibile vivere altro che questa non esistenza al tempo dello smartphone e dei “lavori idioti”?
Mi pone la questione proprio quando, sotto i nostri occhi, una “poesia pratica” crepa la vecchia struttura mentale e sociale dominante, quando si abbozza un Rinascimento che supera l’ideologia umanista del XV e XVI secolo radicandosi nel vissuto. Un’insurrezione sociale ed esistenziale è scaturita all’improvviso, rianimando la coscienza umana e strappandola alla sua letargia. Contro ogni attesa? Diciamo più precisamente che è scaturita da una lunga attesa. Essa segna il primo risveglio di una coscienza rimasta allo stato larvale dopo il Movimento delle occupazioni del maggio 1968. La parte radicale di quel Movimento aveva espresso la volontà di superare, attraverso la creazione di una vita autentica, la triste sopravvivenza e il confort consumistico che il progetto economico del Welfare State aveva deciso di venderci.
La regressione che ne è seguita ha instaurato una dittatura democratica dei consumi. Le sue paccottiglie e le sue menzogne si polverizzano ormai a misura che si accelera un impoverimento che arriva a minacciare la semplice sopravvivenza delle popolazioni. L’intero pianeta è condannato alla sterilizzazione, all’inquinamento, alla desertificazione. Il potere d’acquisto diminuisce, l’esistenza è sempre più precaria, lo Stato distrugge il bene pubblico, le scuole, gli ospedali, i trasporti, le imprese, l’agricoltura. E' evidente che lo Stato non è nient'altro che il gendarme delle multinazionali che accorda la sua legittimità ai truffatori e accusa d’illegalità chiunque rifiuti di lasciarsi spogliare. Tocca ormai al popolo prendere in mano la res publica, la cosa pubblica che il governo dilapida e vende all’incanto. La disobbedienza civile è un diritto dovunque regni il diritto di opprimere.
3. I Gilets jaunes di cui Lei festeggia l'avvento, hanno cercato di distinguersi dalle organizzazioni tradizionali (partiti, sindacati) di cui diffidano fin dall'’inizio. Sono stati del resto spesso criticati per mancanza di organizzazione. Sono davvero disorganizzati?
Quel che irrita i politici, i sindacalisti, gli intellettuali sia di sinistra che di destra, è che affermando il rifiuto dei capi e dei delegati non scelti dalle assemblee, il movimento dei Gilets jaunes toglie loro ogni potere di manipolazione e di recupero. Una tale decisione implica un’autorganizzazione sperimentata nelle assemblee e nelle assemblee delle assemblee. Per la prima volta nelle lotte sociali (esclusa la Comune e le collettività libertarie della rivoluzione spagnola) le differenze religiose e politiche, i calcoli egoistici dell’individualismo (fondamento del populismo) sono assorbiti da una rivendicazione prioritaria: gettare le basi di una società umana. Si scherniranno le approssimazioni, gli errori, le incertezze? Che importa? L’autorganizzazione è un’incombenza dai tempi lunghi. Il bambino cade più di una volta prima di imparare a camminare.
4. I Gilets jaunes si sono particolarmente messi in luce per le loro azioni violente, rivendicate come tali. Alcuni vedono in questo un’evoluzione positiva nel senso che un movimento popolare decide finalmente di attaccare fisicamente dei simboli dello Stato e del capitalismo, altri vi vedono un pericolo per il movimento. Nel suo libro Sull’autogestione della vita quotidiana (Derive Approdi, Roma 2019) Lei dichiara che la violenza “ è solo un esorcismo e non cambia niente al sortilegio secolare che ci paralizza”. La violenza è dunque un freno o una necessità della volontà di costruire una società autogestita?
Fracassare la vetrina di una banca o di un negozio di lusso, vuol dire prendersela con un simbolo non con un sistema. Il caos serve gli interessi del potere. Ha bisogno di un’arena in cui robocops e gladiatori paramilitari del gauchismo si affrontano con una brutalità simile ma di segno opposto. Di fronte a un governo la cui arroganza è alimentata da una stupidità che atterrisce, la collera del popolo ha dato prova di una rara moderazione. I maltrattamenti di milioni di donne e uomini giustificano ampiamente la collera. La collera sì, l’accecamento no! L’arma insurrezionale per eccellenza non è lo sfogo rabbioso delle frustrazioni (che i populismi gauchisti o di stampo fascista manipolano con tanta facilità), ma la priorità accordata alla vita e all’umano, la cui gratuità non chiede di meglio che di propagarsi.
Vincente sarà lo sviluppo della coscienza umana e, nonostante la stanchezza e i dubbi, la ferma decisione di non cedere. La potenza di questa determinazione non smetterà di crescere perché non si preoccupa né di vittoria né di sconfitta. Perché senza capi né rappresentanti recuperatori, essa è là e detiene da sola la libertà di accedere a una vita autentica. Attraverso un pacifismo insurrezionale e creativo il mondo cambierà di base. Il numero di manifestanti diminuisce? Attenti all’errore! La forza di un’insurrezione risiede meno nel numero di partigiani che nella qualità delle rivendicazioni. Il progetto di una società umana ha un potere d’irradiamento incomparabilmente maggiore dello spettacolo dello scontento.
5. Una delle rivendicazioni principali dei Gilets jaunes è il Referendum d’Iniziativa di Cittadinanza (RIC). Il RIC è un passo verso la società autogestita che Lei auspica?
Se il RIC prevede di suscitare l’interesse o l’attenzione dello Stato è uno specchietto per le allodole. Le decisioni locali sulla gestione del quotidiano, dibattute e poi sottoposte alla scelta delle assemblee delle assemblee mi sembrano più importanti. Esse guidano, in effetti, l’elaborazione di quel che gli zapatisti chiamano una carta di “buon governo”, un governo fatto dal popolo per il popolo. La democrazia è in piazza, non nelle urne. L’antica classe media, oggi oppressa dalle tasse e dalle imposte che arricchiscono le multinazionali, si associa poco a poco a un’insurrezione generalizzata in cui le divergenze di opinione sono soppiantate dal desiderio di vivere emancipandosi da un sistema di coercizione millenario. Quel che ieri sembrava una chimera, un’utopia, un delirio diventa possibile a causa dello Stato che qualifica d’insensatezza tutto ciò che non va nella sua direzione.
Il Leviatano non cambierà, non concepisce altra realtà se non nell’ambito della sua invarianza. Solo la servitù volontaria e il rincretinimento che essa implica ci hanno dissuaso dal decretare la gratuità dei trasporti pubblici, la creazione di banche solidali, il recupero (tramite uno sciopero dei funzionari?) del denaro delle tasse e delle imposte ingiustamente incassate dallo Stato truffatore. Non abbiamo altra scelta che reinventare l’insegnamento per rompere con l’educazione concentrazionaria, abolire il mercato degli schiavi diplomati. I poliziotti ritroveranno i compiti che competono loro: smantellamento del narcotraffico, riduzione allo stato di non nuocere dei malfattori psicopatici, degli inquinatori, degli avvelenatori di terre coltivabili e di acqua potabile. Fin da bambini siamo stati bombardati dall'idea che non si poteva cambiare il mondo, ma nel bambino che l’adulto non è riuscito a soffocare in sé rinasce quest’aspirazione che non ha mai smesso di essere il nostro soffio di vita: noi possiamo tutto, o almeno molto di più di quanto immaginiamo, perché la creatività dell’essere umano non ha limiti.
La rapacità dell’avere non ci renderà stupidi ancora per molto. Essa finisce laddove l’essere decide di affermarsi.
6. Lei dice nel suo ultimo libro che “non sono le dubbie lotte, spettacolari e compiacenti, condotte dall'attivismo umanitario, vegetalista e animalista che metteranno fine alla misoginia, al comunitarismo, ai maltrattamenti delle bestie, all’individualismo gregario, all’egoismo” e invita all’emersione di uno “stile di vita”. Che cosa intende con questo?
Una nuova civiltà emerge dal limbo di una civiltà mercantile il cui imputridimento è tangibile. Stiamo entrando in un’era in cui tutto ricomincia, dove le nostre mentalità, le nostre conoscenze, i nostri comportamenti sono destinati a cambiare radicalmente e hanno già cominciato a farlo. Chi non capisce, sul filo della sua esistenza quotidiana, che uno stile di vita sta soppiantando la condizione di bestia da soma e di bestia da preda alla quale il sistema di sfruttamento economico, psicologico e sociale ha ridotto uomini e donne? Durante una manifestazione dei Gilets jaunes, un pensionato ha confidato a un giornalista: “Ho sempre sentito parlare di solidarietà, ma è la prima volta che trovo un significato a questa parola”. Lo stesso vale per la libertà e l’uguaglianza. Niente e nessuno impedirà alle parole di ritrovare il loro senso umano.