mercoledì 18 marzo 2020

CORONAVIRUS





Ci sarebbero tante cose da aggiungere e notare ma il momento è all’urgenza. Nello sforzo prioritario per liberarci di un parassita biologico inusitato ma prevedibile, non dobbiamo rinunciare a combattere per l’emancipazione di sempre. Per questo i due articoli che vi ho tradotto mi sembrano ottimi, solidali oltre le diverse storie personali dei loro autori, per invitare a rompere l’ipnosi della servitù volontaria che continua – anche e persino nella situazione attuale con suoi ben concreti e immediati pericoli – a proteggere e sviluppare il processo mortifero del produttivismo capitalista.
In questo contesto senza precedenti, è fondamentale che una denuncia radicale del sistema non si riduca, idiotamente, a ignorare o sottovalutare e rimuovere i rischi in corso legati al coronavirus. Bisogna liberarsi del coronavirus assolutamente e prioritariamente, ma non sarà servito a nulla se non ci libereremo degli untori oggettivi che sono i dominanti dell’antropocene produttivista in cui il modo di produzione capitalista è diventato un modo di distruzione della vita.
Solidarietà e coscienza di specie. Finita l’epidemia grazie alla solidarietà umana, al sapere condiviso e alla generosità di un personale medico commovente di dedizione, niente sarà più come prima!
Contro il cinismo dell’economia politica e la peste emozionale che essa veicola, scommettiamo sulla vita.
 Sergio Ghirardi

 Risultato immagini per negozi chiusi coronavirus


Coronavirus COVID 19: dov’è il pericolo mortale?
Cronaca di una catastrofe annunciata

Oggi non andrò a votare...  (domenica 15 marzo, nonostante il confinamento di tutti i francesi, si è svolto il primo turno delle elezioni comunali in tutta la Francia con il 56% di astensioni. NdT)
Oggi non andrò a votare, il mantenimento delle elezioni comunali costituisce una messa in pericolo deliberata della vita altrui. Per quali scopi politicanti? Mi rifiuto di partecipare a questa commedia pseudo democratica! E non perché ho 75 anni, ma perché sono ricercatrice in salute pubblica, in lotta da cinquant’anni contro le diseguaglianze riguardo alla salute e in favore della prevenzione, in particolare la lotta contro le patologie professionali e ambientali, prima fra tutte la patologia cancerogena, la malattia più mortale di tutte.
In una prospettiva di salute pubblica, l’incoerenza è patente: imporre la chiusura di “tutti i luoghi pubblici non essenziali alla vita” il sabato sera e convocare 40 milioni di elettori ai seggi la domenica mattina, è come minimo irresponsabile, nel peggiore dei casi criminale. Degli scienziati anonimi, vicini al potere servono da alibi pseudo razionale al governo per mantenere una scadenza elettorale pericolosa e totalmente contraria all’obbiettivo che dovrebbe essere il loro, il nostro: interrompere a ogni costo la catena di contaminazione.
Interrompere la catena di contaminazione
Negli anni 1970/80 grazie ai miei maestri in salute pubblica, a New York, Algeri, Londra, ho imparato il senso profondo di questa espressione “interrompere la catena di contaminazione”, applicata in primo luogo alle malattie infettive. Si tratta di agire in prossimità dei luoghi di contaminazione. La strategia? Appoggiarsi sulle cure amministrate in prima linea per una diagnosi precoce e un isolamento immediato a domicilio sotto la sorveglianza del personale curante più accessibile. Qui in Francia si tratta dei medici generalisti la cui azione in vicinanza dei loro pazienti sarebbe molto più efficace che ingombrare il SAMU (equivalente francese del S.S.U.E.M. NdT) e i servizi ospedalieri (il pronto soccorso, la rianimazione, le cure intensive). Perché il governo ha scelto come luogo quasi esclusivo della presa in carico del coronavirus, non i medici generalisti ma l’ospedale? Poiché l’epidemia è nota dal mese di gennaio, perché avere aspettato il 7 marzo per autorizzare i laboratori cittadini a fare il test che permetterebbe  ai generalisti di fare il loro lavoro in migliori condizioni? Il ritardo accumulato nella presa in carico efficiente dei malati conduce alla situazione italiana dove i servizi sanitari sono debordati. Mentre, da anni, le politiche pubbliche di riduzione delle spese per la sanità hanno depresso i margini di manovra del personale ospedaliero per affrontare qualunque epidemia, nessuna misura di miglioramento concreto e sostanziale delle condizioni di lavoro all’ospedale è stata annunciata negli interventi di questi ultimi giorni!
Rifiutare il miglioramento delle condizioni di lavoro nelle EHPAD
(case di riposo per anziani, NdT) significa condannare donne e uomini anziani all’isolamento
I movimenti sociali del personale delle EHPAD, infermiere e infermieri sfiniti, durano da mesi. Per essi le famiglie rappresentano in permanenza un aiuto indispensabile, una “variabile benevola d’aggiustamento”, per parlare come i tecnocrati che ci governano.
Il divieto di ogni visita dei parenti dei residenti appesantisce ancora il compito del personale curante, mentre priva i nostri anziani di quel che è più importante in quest’epoca della vita: la presenza dei propri cari, congiunti, figli, nipoti, fratelli e sorelle, amici e amiche ... L’interruzione brutale di ogni presenza affettiva può uccidere anche più sicuramente del coronavirus.
Ma chi sono “i più vulnerabili”?
Nella comunicazione del governo esiste un immenso angolo morto perché esso sa che se l’abbordasse apertamente, dovrebbe riconoscere le carenze abissali delle sue politiche di sanità in materia di rischi professionali e ambientali. Voglio parlare di un’altra epidemia ben più grave e mortale di quella del coronavirus, si tratta dell’epidemia gravissima di patologie cancerogene e del pericolo mortale che il coronavirus fa correre a quanti ne sono malati. La maggior parte dei malati di cancro ha un sistema immunitario alterato ed è trattata spesso con il cortisone che rende molto più vulnerabili alle forme gravi d’infezione e dunque, evidentemente, al coronavirus.
Conoscete le ultime statistiche di questa epidemia? Certo che no, perché nessun governo diffonde questa informazione assortita delle misure che si dovrebbero prendere per interrompere la catena di contaminazione dovuta alle sostanze tossiche presenti in primo luogo nell’ambiente di lavoro dei lavoratori, in particolare gli operai (e i contadini, NdT), ma ormai tracimate nell’ambiente di tutti (i consumatori, lavoratori del consumo ormai ben più importanti dei produttori, NdT).
In assenza di censimento dei casi in tempo reale come per il COVID 19, le ultime stime statistiche di Santé publique France (2019) sono le seguenti: 382000 nuovi casi per anno. E, con 157000 decessi per anno, le patologie cancerogene sono diventate in Francia la prima causa di mortalità (Stime nazionali dell’incidenza e della mortalità tumorale in Francia metropolitana tra il 1990 e il 2018). A livello dell’Unione europea la stima dei decessi per cancro dovuto al lavoro tocca i 130000 casi per anno, cioè il numero attuale di casi di coronavirus registrati questa settimana su scala planetaria. Queste cifre testimoniano di cancro che se combinata con quella di coronavirus COVID 19 pesa certamente molto sull’apparizione di forme gravi dell’infezione implicanti il decesso.
I nostri governanti lottano per interrompere la catena di contaminazione dovuta alle sostanze tossiche che producono l’epidemia attuale e futura di patologie cancerogene? No, perché? Perché bisognerebbe finalmente ammettere che l’esposizione alle migliaia di sostanze tossiche con effetti cancerogeni imporrebbe immediatamente l’interdizione di ogni fabbricazione, commercializzazione, utilizzo di queste sostanze. Invece le lobby industriali vigilano e i governi successivi, tra cui quello attuale, si vogliono garanti degli interessi economici, molto di più che della salute delle persone.
Di fronte alle catastrofi industriali, ma anche alla disseminazione cronica della radioattività, dell’amianto, dei pesticidi e di altre sostanze chimiche pericolose di cui si nutre l’inquinamento atmosferico, il messaggio delle autorità sanitarie francesi (come di tutti gli altri Stati, NdT) è invariabilmente questo: “Non c’è un pericolo immediato!”.
IL coronavirus COVID 19 farà certamente molte vittime tra i malati di cancro, di malattie neuro tossiche, cardiovascolari e altri malanni cronici. Tuttavia, non contabilizzati, questi decessi saranno attribuiti non al cancro o ad altre cause preesistenti, ma al coronavirus. Un modo per far abbassare artificialmente la mortalità per cancro, sempre così preoccupante?
Annie Thebaud Mony, 15 mars 2020 
 

Coronavirus COVID 19 : où est le danger mortel ? Chronique d’une catastrophe annoncée

Aujourd’hui je n’irai pas voter...
Aujourd’hui je n’irai pas voter. Le maintien des élections municipales constitue une mise en danger délibérée de la vie d’autrui. Pour quelles fins politiciennes ? Je me refuse à cette comédie pseudo-démocratique ! Et ce n’est pas parce que j’ai 75 ans. C’est parce que je suis chercheure en santé publique, en lutte depuis 50 ans contre les inégalités de santé et pour la prévention, en particulier la lutte contre les atteintes professionnelles et environnementales, au premier rang desquelles le cancer, maladie mortelle s’il en est.
Dans une  perspective de santé publique, l’incohérence est patente : imposer la fermeture de « tous les lieux publics non essentiels à la vie » le samedi soir et convoquer 40 millions d’électeurs aux urnes le dimanche matin, est, au minimum irresponsable, au pire criminel. Des scientifiques anonymes, proches du pouvoir, servent d’alibi pseudo-rationnel au gouvernement pour maintenir une échéance électorale dangereuse et totalement contraire à l’objectif qui devrait être le leur, le nôtre : interrompre à tout prix la chaîne de contamination.
Interrompre la chaîne de contamination
Dans les années 1970/80, auprès de mes maîtres en santé publique, à New York, Alger, Londres, j’ai appris le sens premier de cette expression « interrompre la chaîne de contamination », appliquée en premier lieu aux maladies infectieuses. Il s’agit d’agir au plus près des lieux de contamination. La stratégie ? S’appuyer sur les soins de première ligne pour un diagnostic précoce et une mise à l’isolement immédiat à domicile sous surveillance des soignants les plus accessibles. Ici, en France, il s’agit des médecins généralistes dont l’action au plus près de leurs patients aurait été /serait tellement plus efficiente que d’encombrer le SAMU (le 15) et les services hospitaliers (urgences, réanimation, soins intensifs). Pourquoi le gouvernement a-t-il choisi comme lieu quasi exclusif de prise en charge du coronavirus, non pas les médecins généralistes, mais l’hôpital ? Alors que l’épidémie est connue depuis le mois de janvier, pourquoi avoir attendu le 7 mars 2020 pour autoriser les laboratoires de ville à faire le test, permettant ainsi aux généralistes de faire leur travail dans de meilleures conditions ? Le retard pris dans une prise en charge efficiente des malades conduit à la situation italienne de débordements des services sanitaires. Alors que, depuis des années, les politiques publiques de réduction des dépenses de santé ont détruit les marges de manœuvre des personnels hospitaliers pour affronter n’importe quelle épidémie, aucune mesure d’amélioration concrète et substantielle des conditions de travail à l’hôpital n’a été annoncée dans les allocutions « solennelles » de ces derniers jours!
Refuser l’amélioration des conditions de travail dans les EHPAD  est condamner les ancien.ne.s à l’isolement
Les mouvements sociaux de soignant.e.s des EHPAD, épuisé.e.s, durent depuis des mois. Pour eux, les familles représentent en permanence une aide indispensable,  une  «variable bénévole d’ajustement », pour parler comme les technocrates qui nous gouvernent.
L’interdiction de toute visite des proches des résidents alourdit encore la tâche des personnels soignants, tout en privant nos ancien.ne.s de ce qui est le plus important à cette époque de la vie : la présence des plus proches, conjoint.e.s, enfants, petits-enfants, frères et sœurs, ami.e.s…. L’interruption brutale de toute présence affective peut tuer plus sûrement encore que le coronavirus.
Mais qui sont « les plus vulnérables » ?
Dans la communication du gouvernement, il existe un immense angle mort, car il sait que s’il l’abordait ouvertement, il lui faudrait reconnaître les carences abyssales de ses politiques de santé en matière de risques professionnels et environnementaux. Je veux parler d’une autre épidémie autrement plus grave et mortelle que celle du coronavirus, il s’agit de l’épidémie gravissime de cancers et du péril mortel que fait courir le coronavirus à ceux et celles qui en sont atteints. Car les patients atteints de cancer ont pour la plupart un système immunitaire altéré et sont souvent traités avec des corticoïdes, ce qui les rend effectivement beaucoup plus vulnérables aux formes graves des infections et donc, bien sûr, au coronavirus.
Connaissez-vous les dernières statistiques de cette épidémie ? Non bien sûr, car aucun gouvernement ne diffuse cette information assortie des mesures qu’il devrait prendre pour interrompre la chaîne de contamination par les substances toxiques, présentes en premier lieu, dans l’environnement de travail des travailleurs, en particulier les ouvriers, mais qui débordent au delà dans notre environnement à tous.
En l’absence de recensement des cas en temps réel comme pour le Covid 19, les dernières estimations statistiques de Santé publique France (2019) sont les suivantes : 382 000  nouveaux cas par an. Et, avec 157 000 décès par an, les cancers sont devenus en France la première cause de mortalité (Estimations nationales de l’incidence et de la mortalité par cancer en France métropolitaine entre 1990 et 2018). Au niveau de l'Union Européenne, l’estimation des décès par cancer dus au travail atteint 130 000 cas par an, soit le nombre actuel de cas de coronavirus atteint cette semaine à l’échelle planétaire. Ces chiffres témoignent d’une épidémie de cancer qui, se combinant à celle du coronavirus COVID19, pèse certainement très lourdement sur la survenue de formes graves de l’infection conduisant aux décès. 
Nos gouvernants luttent-ils pour arrêter la chaîne de contamination par les substances toxiques qui produisent l’épidémie de cancer actuelle et future ? Non. Pourquoi ? Parce qu’il faudrait enfin admettre que l’exposition aux milliers de substances toxiques ayant des effets  cancérogènes devrait conduite immédiatement à l’interdiction de toute fabrication, commercialisation, utilisation de ces substances. Mais les lobbys industriels veillent et les gouvernements successifs, dont celui-ci, se veulent garant des intérêts économiques, beaucoup plus que de la santé des personnes.
Confrontés à des catastrophes industrielles mais aussi à la dissémination chronique de la radioactivité, de l’amiante, des pesticides et autres substances chimiques dangereuses, dont la pollution atmosphérique se nourrit, le message des autorités sanitaires françaises est invariablement celui-ci : « c’est sans danger immédiat ! »
Le coronavirus COVID 19 fera certainement beaucoup de victimes parmi les malades atteints de cancer, de maladies neurotoxiques, cardiovasculaires et autres atteintes chroniques. Mais non comptabilisés, ces décès seront attribués, non au cancer ou autres causes préexistantes,  mais au coronavirus. Une manière de faire baisser artificiellement la mortalité par cancer, toujours aussi préoccupante ?
Annie Thebaud Mony, 15 mars 2020 




CORONAVIRUS

Certamente, mettere in dubbio il pericolo del coronavirus è un atteggiamento assurdo. Per contro non è altrettanto assurdo che una perturbazione del corso abituale delle malattie faccia l’oggetto di un tale sfruttamento emozionale e rimetta in marcia quell’incompetenza arrogante che ha preteso in passato di tenere fuori dalla Francia la nuvola di Chernobyl? Certo si sa con quale facilità lo spettro dell’apocalisse esca dalla sua scatola per far suo il primo cataclisma venuto, rabberciare l’immagine del diluvio universale e infilare il vomere del senso di colpa nel suolo sterile di Sodoma e Gomorra. La maledizione divina assecondava utilmente il potere. Almeno fino al terremoto di Lisbona nel 1755, quando il marchese di Pombal, amico di Voltaire ha approfittato del sisma per massacrare i gesuiti, ricostruire la città secondo le sue concezioni e liquidare allegramente i suoi rivali politici a forza di processi “proto stalinisti”. Non faremo l’ingiuria a Pombal, per quanto odioso fosse, di comparare la sua brillantezza dittatoriale con le miserabili misure che il totalitarismo democratico applica mondialmente all’epidemia di coronavirus. Che cinismo imputare alla propagazione del flagello la deplorevole insufficienza dei mezzi medici disponibili! Sono decenni che il bene pubblico è malandato e il settore ospedaliero paga il prezzo di una politica che favorisce gli interessi finanziari a detrimento della salute dei cittadini. C’è sempre più denaro per le banche e sempre meno letti e personale curante per gli ospedali. Quali pagliacciate dissimuleranno più a lungo che questa gestione catastrofica del catastrofismo è inerente al capitalismo finanziario mondialmente dominante e oggi mondialmente combattuto nel nome della vita, del pianeta e delle specie da salvare. Senza cadere nella rimasticatura della punizione divina che è l’idea di una Natura che si sbarazza dell’uomo come di un verme importuno e nocivo, non è inutile ricordare che per millenni, lo sfruttamento della natura umana e della natura terrestre hanno imposto il dogma dell’antiphysis, dell’antinatura. Il libro di Eric Postaire, Le epidemie del XXI° secolo, pubblicato nel 1997, conferma gli effetti disastrosi dello snaturamento persistente che denuncio da decenni. Evocando il dramma della “mucca pazza” (previsto da Rudolf Steiner fin dal 1920), l’autore ricorda che oltre a essere disarmati di fronte a certe malattie, prendiamo coscienza che il progresso scientifico stesso può provocarne. Nel suo plaidoyer in favore di un approccio responsabile delle epidemie e del loro trattamento, incrimina quel che nella prefazione Claude Gudin chiama la “filosofia del registratore di cassa”. Pone la questione: subordinando la salute della popolazione alla legge del profitto, fino a trasformare degli animali erbivori in carnivori, non rischiamo di provocare catastrofi fatali per la Natura e per l’umanità?”I governanti, si sa, hanno già risposto con un SÌ unanime. Che importa, giacché il NO degli interessi finanziari continua a trionfare cinicamente? Ci voleva il coronavirus per dimostrare ai più ottusi che lo snaturamento per ragioni di redditività ha conseguenze disastrose sulla salute universale – quella gestita ininterrottamente da un’Organizzazione mondiale le cui preziose statistiche mascherano la sparizione degli ospedali pubblici? Esiste una correlazione evidente tra il coronavirus e il crollo del capitalismo mondiale. Nello stesso tempo, appare non meno evidente che quel che ricopre e sommerge l’epidemia di coronavirus è una peste emozionale, una paura isterica, un panico che dissimula contemporaneamente le carenze di trattamento e che perpetua il male inquietando il paziente. Al momento delle grandi epidemie di peste del passato, le popolazioni facevano penitenza e confessavano la loro colpa flagellandosi. I manager della disumanizzazione mondiale non hanno forse interesse a persuadere i popoli che non esiste via d’uscita alla sorte miserabile che è loro imposta? Che non resta loro che la flagellazione della servitù volontaria? La formidabile macchina mediatica non fa che ripetere la vecchia menzogna del decreto celeste, impenetrabile, ineluttabile dove il denaro impazzito ha soppiantato gli Dei sanguinari e capricciosi del passato. Lo scatenamento della barbarie poliziesca contro i manifestanti pacifici ha mostrato ampiamente che la lotta militare è la sola cosa che funziona efficacemente. Essa confina oggi donne, uomini e bambini in quarantena. Fuori la bara, dentro la televisione, la finestra aperta su un mondo chiuso! È una condizione capace di aggravare il malessere esistenziale scommettendo sulle emozioni graffiate dall'angoscia, esacerbando l’accecamento della collera impotente. Tuttavia, anche la menzogna cede al crollo generale. L’istupidimento statale e populista ha toccato il limite. Non può negare che un’esperienza è in corso. La disobbedienza civile si propaga e sogna di società radicalmente nuove perché radicalmente umane. La solidarietà libera dalla loro pelle di montone individualista degli individui che non temono più di pensare autonomamente.
Il coronavirus è diventato il rivelatore del fallimento dello Stato. Ecco almeno un soggetto di riflessione per le vittime del confinamento forzato. Al momento della pubblicazione delle mie Modeste proposte agli scioperanti, degli amici mi hanno fatto notare la difficoltà a ricorrere al rifiuto collettivo, che io suggerivo, nel pagare le imposte, le tasse, i prelevamenti fiscali. Ed ecco che il fallimento avverato dello Stato-truffatore attesta una rovina economica e sociale che rende assolutamente insolvibili le piccole e medie imprese, il commercio locale, i redditi modesti, i gruppi familiari di agricoltori e persino le professioni cosiddette liberali. Il crollo del Leviatano si è rivelato più convincente delle nostre intenzioni di abbatterlo. Il coronavirus ha fatto anche meglio. L’arresto delle nocività produttiviste ha diminuito l’inquinamento mondiale, risparmiato una morte programmata per milioni di persone, la natura respira, i delfini tornano a scorazzare in Sardegna, i canali di Venezia purificati dal turismo di massa ritrovano un’acqua chiara, la Borsa crolla. 

La Spagna si rassegna a nazionalizzare gli ospedali privati come se riscoprisse il sistema mutualistico, come se lo Stato si ricordasse dello Stato-provvidenza che ha distrutto. Niente è acquisito, tutto comincia. L’utopia marcia ancora a quattro zampe. Abbandoniamo alla loro inanità celeste i miliardi di banconote e d’idee vuote che girano in tondo sopra le nostre teste. L’importante è fare noi stessi “gli affari nostri” lasciando la bolla affarista disfarsi e implodere. Stiamo attenti a non mancare di audacia e di fiducia in noi! Il nostro presente non è il confino che la sopravvivenza ci impone, è l’apertura a tutti i possibili. Sotto l’effetto del panico lo Stato oligarchico è costretto ad adottare misure che ancora ieri decretava impossibili. Noi vogliamo rispondere all’appello della vita e della terra da restaurare. La quarantena è propizia alla riflessione. Il confinamento non abolisce la presenza della strada, la reinventa. Lasciatemi pensare, cum grano salis, che l’insurrezione della vita quotidiana ha delle virtù terapeutiche insospettate.
Raoul Vaneigem, 17 marzo 2020


CORONAVIRUS
Contester le danger du coronavirus relève à coup sûr de l’absurdité. En revanche, n’est-il pas tout aussi absurde qu’une perturbation du cours habituel des maladies fasse l’objet d’une pareille exploitation émotionnelle et rameute cette incompétence arrogante qui bouta jadis hors de France le nuage de Tchernobyl ? Certes, nous savons avec quelle facilité le spectre de l’apocalypse sort de sa boite pour s’emparer du premier cataclysme venu, rafistoler l’imagerie du déluge universel et enfoncer le soc de la culpabilité dans le sol stérile de Sodome et Gomorrhe. La malédiction divine secondait utilement le pouvoir. Du moins jusqu’au tremblement de terre de Lisbonne en 1755, lorsque le marquis de Pombal, ami de Voltaire, tire parti du séisme pour massacrer les jésuites, reconstruire la ville selon ses conceptions et liquider allègrement ses rivaux politiques à coups de procès «proto-staliniens.» On ne fera pas l’injure à Pombal, si odieux qu’il soit, de comparer son coup d’éclat dictatorial aux misérables mesures que le totalitarisme démocratique applique mondialement à l’épidémie de coronavirus. Quel cynisme que d’imputer à la propagation du éau la déplorable insuffisance des moyens médicaux mis en œuvre ! Cela fait des décennies que le bien public est mis à mal, que le secteur hospitalier fait les frais d’une politique qui favorise les intérêts nanciers au détriment de la santé des citoyens. Il y a toujours plus d’argent pour les banques et de moins en moins de lits et de soignants pour les hôpitaux. Quelles pitreries dissimuleront plus longtemps que cette gestion catastrophique du catastrophisme est inhérente au capitalisme nancier mondialement dominant, et aujourd’hui mondialement combattu au nom de la vie, de la planète et des espèces à sauver. Sans verser dans cette resucée de la punition divine qu’est l’idée d’une Nature se débarrassant de l’Homme comme d’une vermine importune et nuisible, il n’est pas inutile de rappeler que pendant des millénaires, l’exploitation de la nature humaine et de la nature terrestre a imposé le dogme de l’antiphysis, de l’antinature. Le livre d’Eric Postaire, Les épidémie du XXIe siècle, paru en 1997, conrme les effets désastreux de la dénaturation persistante, que je dénonce depuis des décennies. Evoquant le drame de la «vache folle» (prévu par Rudolf Steiner dès 1920), l’auteur rappelle qu’en plus d’être désarmés face à certaines maladies nous prenons conscience que le progrès scientique lui-même peut en provoquer. Dans son plaidoyer en faveur d’une approche responsable des épidémies et de leur traitement, il incrimine ce que le préfacier, Claude Gudin, appelle la « philosophie du tiroir caisse ». Il pose la question : « À subordonner la santé de la population aux lois du prot, jusqu’à transformer des animaux herbivores en carnivores, ne risquons-nous pas de provoquer des catastrophes fatales pour la Nature et l’Humanité ? » Les gouvernants, on le sait, ont déjà répondu par un OUI unanime. Quelle importance puisque le NON des intérêts financiers continue de triompher cyniquement ? Fallait-il le coronavirus pour démontrer aux plus bornés que la dénaturation pour raison de rentabilité a des conséquences désastreuses  sur la santé universelle - celle que gère sans désemparer une Organisation mondiale dont les précieuses statistiques pallient la disparition des hôpitaux publics ? Il existe une corrélation évidente entre le coronavirus et l’effondrement du capitalisme mondial. Dans le même temps, il apparaît non moins évidemment que ce qui recouvre et submerge l’épidémie du coronavirus, c’est une peste émotionnelle, une peur hystérique, une panique qui tout à la fois dissimule les carences de traitement et perpétue le mal en affolant le patient. Lors des grandes épidémies de peste du passé, les populations faisaient pénitence et clamaient leur coulpe en se flagellant. Les managers de la déshumanisation mondiale n’ont-ils pas intérêt à persuader les peuples qu’il n’y a pas d’issue au sort misérable qui leur est fait ? Qu’il ne leur reste que la flagellation de la servitude volontaire ? La formidable machine médiatique ne fait que ressasser le vieux mensonge du décret céleste, impénétrable, inéluctable où l’argent fou a supplanté les Dieux sanguinaires et capricieux du passé. Le déchaînement de la barbarie policière contre les manifestants pacifiques a amplement montré que la loi militaire est la seule chose qui fonctionnait efficacement. Elle conne aujourd’hui femmes, hommes et enfants en quarantaine. Dehors, le cercueil, dedans la télévision, la fenêtre ouverte sur un monde fermé ! C’est une mise en condition capable d’aggraver le malaise existentiel en misant sur les émotions écorchées par l’angoisse, en exacerbant l’aveuglement de la colère impuissante. Mais même le mensonge cède à l’effondrement général. La crétinisation étatique et populiste a atteint ses limites. Elle ne peut nier qu’une expérience est en cours. La désobéissance civile se propage et rêve de sociétés radicalement nouvelles parce que radicalement humaines. La solidarité libère de leur peau de mouton individualiste des individus qui ne craignent plus de penser par eux-mêmes. 
Le coronavirus est devenu le révélateur de la faillite de l’État. Voilà au moins un sujet de réexion pour les victimes du connement forcé. Lors de la parution de mes Modestes propositions aux grévistes, des amis m’ont remontré la difficulté de recourir au refus collectif, que je suggérais, d’acquitter les impôts, taxes, prélèvements scaux. Or, voilà que la faillite avérée de l’État-escroc atteste un délabrement économique et social qui rend absolument insolvables les petites et moyennes entreprises, le commerce local, les revenus modestes, les agriculteurs familiaux et jusqu’aux professions dites libérales. L’effondrement du Léviathan a réussi à convaincre plus rapidement que nos résolutions de l’abattre. Le coronavirus a fait mieux encore. L’arrêt des nuisances productivistes a diminué la pollution mondiale, il épargne une mort programmée à des millions de personnes, la nature respire, les dauphins reviennent batifoler en Sardaigne, les canaux de Venise purifiés du tourisme de masse retrouvent une eau claire, la bourse s’effondre. L’Espagne se résout à nationaliser les hôpitaux privés, comme si elle redécouvrait la sécurité sociale, comme si l’État se souvenait de l’État-providence qu’il a détruit. Rien n’est acquis, tout commence. L’utopie marche encore à quatre pattes. Abandonnons à leur inanité céleste les milliards de bank-notes et d’idées creuses qui tournent en rond au-dessus de nos têtes. L’important, c’est de « faire nos affaires nous-mêmes » en laissant la bulle affairiste se défaire et imploser. Gardons-nous de manquer d’audace et de confiance en nous !  Notre présent n’est pas le connement que la survie nous impose, il est l’ouverture à tous les possibles. C’est sous l’effet de la panique que l’Etat oligarchique est contraint d’adopter des mesures qu’hier encore il décrétait impossibles. C’est à l’appel de la vie et de la terre à restaurer que nous voulons répondre. La quarantaine est propice à la réexion. Le connement n’abolit pas la présence de la rue, il la réinvente. Laissez-moi penser, cum grano salis, que l’insurrection de la vie quotidienne a des vertus thérapeutiques insoupçonnées.  
Raoul Vaneigem 17  mars  2020