Ci sarebbero tante cose
da aggiungere e notare ma il momento è all’urgenza. Nello sforzo prioritario
per liberarci di un parassita biologico inusitato ma prevedibile, non dobbiamo
rinunciare a combattere per l’emancipazione di sempre. Per questo i due articoli
che vi ho tradotto mi sembrano ottimi, solidali oltre le diverse storie
personali dei loro autori, per invitare a rompere l’ipnosi della servitù
volontaria che continua – anche e persino nella situazione attuale con suoi ben
concreti e immediati pericoli – a proteggere e sviluppare il processo mortifero
del produttivismo capitalista.
In questo contesto senza
precedenti, è fondamentale che una denuncia radicale del sistema non si riduca,
idiotamente, a ignorare o sottovalutare e rimuovere i rischi in corso legati al
coronavirus. Bisogna liberarsi del coronavirus assolutamente e
prioritariamente, ma non sarà servito a nulla se non ci libereremo degli untori
oggettivi che sono i dominanti dell’antropocene produttivista in cui il modo di
produzione capitalista è diventato un modo di distruzione della vita.
Solidarietà e coscienza
di specie. Finita l’epidemia grazie alla solidarietà umana, al sapere condiviso
e alla generosità di un personale medico commovente di dedizione, niente sarà
più come prima!
Contro il cinismo
dell’economia politica e la peste emozionale che essa veicola, scommettiamo
sulla vita.
Sergio Ghirardi
Coronavirus
COVID 19: dov’è il pericolo mortale?
Cronaca
di una catastrofe annunciata
Oggi non andrò a votare... (domenica
15 marzo, nonostante il confinamento di tutti i francesi, si è svolto il primo
turno delle elezioni comunali in tutta la Francia con il 56% di astensioni. NdT)
Oggi
non andrò a votare, il mantenimento delle elezioni comunali costituisce una
messa in pericolo deliberata della vita altrui. Per quali scopi politicanti? Mi
rifiuto di partecipare a questa commedia pseudo democratica! E non perché ho 75
anni, ma perché sono ricercatrice in salute pubblica, in lotta da cinquant’anni
contro le diseguaglianze riguardo alla salute e in favore della prevenzione, in
particolare la lotta contro le patologie professionali e ambientali, prima fra
tutte la patologia cancerogena, la malattia più mortale di tutte.
In
una prospettiva di salute pubblica, l’incoerenza è patente: imporre la chiusura
di “tutti i luoghi pubblici non essenziali alla vita” il sabato sera e
convocare 40 milioni di elettori ai seggi la domenica mattina, è come minimo
irresponsabile, nel peggiore dei casi criminale. Degli scienziati anonimi,
vicini al potere servono da alibi pseudo razionale al governo per mantenere una
scadenza elettorale pericolosa e totalmente contraria all’obbiettivo che
dovrebbe essere il loro, il nostro: interrompere a ogni costo la catena di
contaminazione.
Interrompere la catena di contaminazione
Negli
anni 1970/80 grazie ai miei maestri in salute pubblica, a New York, Algeri,
Londra, ho imparato il senso profondo di questa espressione “interrompere la
catena di contaminazione”, applicata in primo luogo alle malattie infettive. Si
tratta di agire in prossimità dei luoghi di contaminazione. La strategia?
Appoggiarsi sulle cure amministrate in prima linea per una diagnosi precoce e
un isolamento immediato a domicilio sotto la sorveglianza del personale curante
più accessibile. Qui in Francia si tratta dei medici generalisti la cui azione
in vicinanza dei loro pazienti sarebbe molto più efficace che ingombrare il
SAMU (equivalente francese del S.S.U.E.M. NdT) e i servizi ospedalieri (il
pronto soccorso, la rianimazione, le cure intensive). Perché il governo ha
scelto come luogo quasi esclusivo della presa in carico del coronavirus, non i
medici generalisti ma l’ospedale? Poiché l’epidemia è nota dal mese di gennaio,
perché avere aspettato il 7 marzo per autorizzare i laboratori cittadini a fare
il test che permetterebbe ai generalisti
di fare il loro lavoro in migliori condizioni? Il ritardo accumulato nella
presa in carico efficiente dei malati conduce alla situazione italiana dove i
servizi sanitari sono debordati. Mentre, da anni, le politiche pubbliche di
riduzione delle spese per la sanità hanno depresso i margini di manovra
del personale ospedaliero per affrontare qualunque epidemia, nessuna misura di
miglioramento concreto e sostanziale delle condizioni di lavoro all’ospedale è
stata annunciata negli interventi di questi ultimi giorni!
Rifiutare
il miglioramento delle condizioni di lavoro nelle EHPAD
(case
di riposo per anziani, NdT) significa condannare donne e uomini anziani
all’isolamento
I
movimenti sociali del personale delle EHPAD, infermiere e infermieri sfiniti,
durano da mesi. Per essi le famiglie rappresentano in permanenza un aiuto
indispensabile, una “variabile benevola d’aggiustamento”, per parlare come i
tecnocrati che ci governano.
Il
divieto di ogni visita dei parenti dei residenti appesantisce ancora il compito
del personale curante, mentre priva i nostri anziani di quel che è più
importante in quest’epoca della vita: la presenza dei propri cari, congiunti,
figli, nipoti, fratelli e sorelle, amici e amiche ... L’interruzione brutale di
ogni presenza affettiva può uccidere anche più sicuramente del coronavirus.
Ma chi sono “i più vulnerabili”?
Nella
comunicazione del governo esiste un immenso angolo morto perché esso sa che se
l’abbordasse apertamente, dovrebbe riconoscere le carenze abissali delle sue
politiche di sanità in materia di rischi professionali e ambientali. Voglio
parlare di un’altra epidemia ben più grave e mortale di quella del coronavirus,
si tratta dell’epidemia gravissima di patologie cancerogene e del pericolo
mortale che il coronavirus fa correre a quanti ne sono malati. La maggior parte
dei malati di cancro ha un sistema immunitario alterato ed è trattata spesso
con il cortisone che rende molto più vulnerabili alle forme gravi d’infezione e
dunque, evidentemente, al coronavirus.
Conoscete
le ultime statistiche di questa epidemia? Certo che no, perché nessun governo
diffonde questa informazione assortita delle misure che si dovrebbero prendere
per interrompere la catena di contaminazione dovuta alle sostanze tossiche
presenti in primo luogo nell’ambiente di lavoro dei lavoratori, in particolare
gli operai (e i contadini, NdT), ma
ormai tracimate nell’ambiente di tutti (i
consumatori, lavoratori del consumo ormai ben più importanti dei produttori,
NdT).
In
assenza di censimento dei casi in tempo reale come per il COVID 19, le ultime
stime statistiche di Santé
publique France (2019) sono le seguenti: 382000 nuovi
casi per anno. E, con 157000 decessi per anno, le patologie cancerogene sono diventate
in Francia la prima causa di mortalità (Stime nazionali dell’incidenza e della
mortalità tumorale in Francia metropolitana tra il 1990 e il 2018). A livello
dell’Unione europea la stima dei decessi per cancro dovuto al lavoro tocca i
130000 casi per anno, cioè il numero attuale di casi di coronavirus registrati
questa settimana su scala planetaria. Queste cifre testimoniano di cancro che
se combinata con quella di coronavirus COVID 19 pesa certamente molto
sull’apparizione di forme gravi dell’infezione implicanti il decesso.
I
nostri governanti lottano per interrompere la catena di contaminazione dovuta
alle sostanze tossiche che producono l’epidemia attuale e futura di patologie
cancerogene? No, perché? Perché bisognerebbe finalmente ammettere che
l’esposizione alle migliaia di sostanze tossiche con effetti cancerogeni
imporrebbe immediatamente l’interdizione di ogni fabbricazione,
commercializzazione, utilizzo di queste sostanze. Invece le lobby industriali
vigilano e i governi successivi, tra cui quello attuale, si vogliono garanti
degli interessi economici, molto di più che della salute delle persone.
Di
fronte alle catastrofi industriali, ma anche alla disseminazione cronica della
radioattività, dell’amianto, dei pesticidi e di altre sostanze chimiche
pericolose di cui si nutre l’inquinamento atmosferico, il messaggio delle
autorità sanitarie francesi (come di
tutti gli altri Stati, NdT) è invariabilmente questo: “Non c’è un pericolo
immediato!”.
IL
coronavirus COVID 19 farà certamente molte vittime tra i malati di cancro, di
malattie neuro tossiche, cardiovascolari e altri malanni cronici. Tuttavia, non
contabilizzati, questi decessi saranno attribuiti non al cancro o ad altre
cause preesistenti, ma al coronavirus. Un modo per far abbassare artificialmente
la mortalità per cancro, sempre così preoccupante?
Annie Thebaud Mony, 15 mars 2020
Coronavirus COVID 19 : où est le danger mortel ? Chronique d’une
catastrophe annoncée
Aujourd’hui je n’irai pas voter...
Aujourd’hui je n’irai pas voter.
Le maintien des élections municipales constitue une mise en danger délibérée de
la vie d’autrui. Pour quelles fins politiciennes ? Je me refuse à cette
comédie pseudo-démocratique ! Et ce n’est pas parce que j’ai 75 ans. C’est
parce que je suis chercheure en santé publique, en lutte depuis 50 ans contre
les inégalités de santé et pour la prévention, en particulier la lutte contre
les atteintes professionnelles et environnementales, au premier rang desquelles
le cancer, maladie mortelle s’il en est.
Dans une perspective de
santé publique, l’incohérence est patente : imposer la fermeture de
« tous les lieux publics non essentiels à la vie » le samedi soir et
convoquer 40 millions d’électeurs aux urnes le dimanche matin, est, au minimum
irresponsable, au pire criminel. Des scientifiques anonymes, proches du
pouvoir, servent d’alibi pseudo-rationnel au gouvernement pour maintenir une
échéance électorale dangereuse et totalement contraire à l’objectif qui devrait
être le leur, le nôtre : interrompre à tout prix la chaîne de
contamination.
Interrompre la chaîne de
contamination
Dans les années 1970/80, auprès
de mes maîtres en santé publique, à New York, Alger, Londres, j’ai appris le
sens premier de cette expression « interrompre la chaîne de
contamination », appliquée en premier lieu aux maladies infectieuses. Il
s’agit d’agir au plus près des lieux de contamination. La stratégie ?
S’appuyer sur les soins de première ligne pour un diagnostic précoce et une
mise à l’isolement immédiat à domicile sous surveillance des soignants les plus
accessibles. Ici, en France, il s’agit des médecins généralistes dont l’action
au plus près de leurs patients aurait été /serait tellement plus efficiente que
d’encombrer le SAMU (le 15) et les services hospitaliers (urgences, réanimation,
soins intensifs). Pourquoi le gouvernement a-t-il choisi comme lieu quasi
exclusif de prise en charge du coronavirus, non pas les médecins généralistes,
mais l’hôpital ? Alors que l’épidémie est connue depuis le mois de
janvier, pourquoi avoir attendu le 7 mars 2020 pour autoriser les laboratoires
de ville à faire le test, permettant ainsi aux généralistes de faire leur
travail dans de meilleures conditions ? Le retard pris dans une prise en
charge efficiente des malades conduit à la situation italienne de débordements
des services sanitaires. Alors que, depuis des années, les politiques publiques
de réduction des dépenses de santé ont détruit les marges de manœuvre des
personnels hospitaliers pour affronter n’importe quelle épidémie, aucune mesure
d’amélioration concrète et substantielle des conditions de travail à l’hôpital
n’a été annoncée dans les allocutions « solennelles » de ces derniers
jours!
Refuser l’amélioration des
conditions de travail dans les EHPAD est condamner les ancien.ne.s à
l’isolement
Les mouvements sociaux de
soignant.e.s des EHPAD, épuisé.e.s, durent depuis des mois. Pour eux, les
familles représentent en permanence une aide indispensable, une
«variable bénévole d’ajustement », pour parler comme les
technocrates qui nous gouvernent.
L’interdiction de toute visite
des proches des résidents alourdit encore la tâche des personnels soignants,
tout en privant nos ancien.ne.s de ce qui est le plus important à cette époque
de la vie : la présence des plus proches, conjoint.e.s, enfants,
petits-enfants, frères et sœurs, ami.e.s…. L’interruption brutale de toute
présence affective peut tuer plus sûrement encore que le coronavirus.
Mais qui sont « les plus
vulnérables » ?
Dans la communication du
gouvernement, il existe un immense angle mort, car il sait que s’il l’abordait
ouvertement, il lui faudrait reconnaître les carences abyssales de ses
politiques de santé en matière de risques professionnels et environnementaux.
Je veux parler d’une autre épidémie autrement plus grave et mortelle que celle
du coronavirus, il s’agit de l’épidémie gravissime de cancers et du péril
mortel que fait courir le coronavirus à ceux et celles qui en sont atteints.
Car les patients atteints de cancer ont pour la plupart un système immunitaire
altéré et sont souvent traités avec des corticoïdes, ce qui les rend
effectivement beaucoup plus vulnérables aux formes graves des infections et
donc, bien sûr, au coronavirus.
Connaissez-vous les dernières
statistiques de cette épidémie ? Non bien sûr, car aucun gouvernement ne
diffuse cette information assortie des mesures qu’il devrait prendre pour
interrompre la chaîne de contamination par les substances toxiques, présentes
en premier lieu, dans l’environnement de travail des travailleurs, en
particulier les ouvriers, mais qui débordent au delà dans notre environnement à
tous.
En l’absence de recensement des cas en temps réel
comme pour le Covid 19, les dernières estimations statistiques de Santé
publique France (2019) sont les suivantes : 382 000 nouveaux cas par
an. Et, avec 157 000 décès par an, les cancers sont devenus en France la
première cause de mortalité (Estimations nationales de l’incidence et de la
mortalité par cancer en France métropolitaine entre 1990 et 2018). Au niveau de
l'Union Européenne, l’estimation des décès par cancer dus au travail atteint
130 000 cas par an, soit le nombre actuel de cas de coronavirus atteint cette
semaine à l’échelle planétaire. Ces chiffres témoignent d’une épidémie de
cancer qui, se combinant à celle du coronavirus COVID19, pèse certainement très
lourdement sur la survenue de formes graves de l’infection conduisant aux
décès.
Nos gouvernants luttent-ils pour
arrêter la chaîne de contamination par les substances toxiques qui produisent
l’épidémie de cancer actuelle et future ? Non. Pourquoi ? Parce qu’il
faudrait enfin admettre que l’exposition aux milliers de substances toxiques
ayant des effets cancérogènes devrait conduite immédiatement à
l’interdiction de toute fabrication, commercialisation, utilisation de ces
substances. Mais les lobbys industriels veillent et les gouvernements
successifs, dont celui-ci, se veulent garant des intérêts économiques, beaucoup
plus que de la santé des personnes.
Confrontés à des catastrophes
industrielles mais aussi à la dissémination chronique de la radioactivité, de
l’amiante, des pesticides et autres substances chimiques dangereuses, dont la
pollution atmosphérique se nourrit, le message des autorités sanitaires
françaises est invariablement celui-ci : « c’est sans danger
immédiat ! »
Le coronavirus COVID 19 fera
certainement beaucoup de victimes parmi les malades atteints de cancer, de
maladies neurotoxiques, cardiovasculaires et autres atteintes chroniques. Mais
non comptabilisés, ces décès seront attribués, non au cancer ou autres causes
préexistantes, mais au coronavirus. Une manière de faire baisser
artificiellement la mortalité par cancer, toujours aussi préoccupante ?
Annie Thebaud Mony, 15 mars 2020
CORONAVIRUS
Certamente, mettere in
dubbio il pericolo del coronavirus è un atteggiamento assurdo. Per contro non è
altrettanto assurdo che una perturbazione del corso abituale delle malattie
faccia l’oggetto di un tale sfruttamento emozionale e rimetta in marcia
quell’incompetenza arrogante che ha preteso in passato di tenere fuori dalla
Francia la nuvola di Chernobyl? Certo si sa con quale facilità lo spettro
dell’apocalisse esca dalla sua scatola per far suo il primo cataclisma venuto,
rabberciare l’immagine del diluvio universale e infilare il vomere del senso di
colpa nel suolo sterile di Sodoma e Gomorra. La maledizione divina assecondava
utilmente il potere. Almeno fino al terremoto di Lisbona nel 1755, quando il
marchese di Pombal, amico di Voltaire ha approfittato del sisma per massacrare
i gesuiti, ricostruire la città secondo le sue concezioni e liquidare
allegramente i suoi rivali politici a forza di processi “proto stalinisti”. Non
faremo l’ingiuria a Pombal, per quanto odioso fosse, di comparare la sua
brillantezza dittatoriale con le miserabili misure che il totalitarismo
democratico applica mondialmente all’epidemia di coronavirus. Che cinismo
imputare alla propagazione del flagello la deplorevole insufficienza dei mezzi
medici disponibili! Sono decenni che il bene pubblico è malandato e il settore
ospedaliero paga il prezzo di una politica che favorisce gli interessi
finanziari a detrimento della salute dei cittadini. C’è sempre più denaro per
le banche e sempre meno letti e personale curante per gli ospedali. Quali
pagliacciate dissimuleranno più a lungo che questa gestione catastrofica del
catastrofismo è inerente al capitalismo finanziario mondialmente dominante e
oggi mondialmente combattuto nel nome della vita, del pianeta e delle specie da
salvare. Senza cadere nella rimasticatura della punizione divina che è l’idea
di una Natura che si sbarazza dell’uomo come di un verme importuno e nocivo,
non è inutile ricordare che per millenni, lo sfruttamento della natura umana e
della natura terrestre hanno imposto il dogma dell’antiphysis, dell’antinatura.
Il libro di Eric Postaire, Le epidemie
del XXI° secolo, pubblicato nel 1997, conferma gli effetti disastrosi dello
snaturamento persistente che denuncio da decenni. Evocando il dramma della
“mucca pazza” (previsto da Rudolf Steiner fin dal 1920), l’autore ricorda che
oltre a essere disarmati di fronte a certe malattie, prendiamo coscienza che il
progresso scientifico stesso può provocarne. Nel suo plaidoyer in favore di un
approccio responsabile delle epidemie e del loro trattamento, incrimina quel
che nella prefazione Claude Gudin chiama la “filosofia del registratore di
cassa”. Pone la questione: subordinando la salute della popolazione alla legge
del profitto, fino a trasformare degli animali erbivori in carnivori, non
rischiamo di provocare catastrofi fatali per la Natura e per l’umanità?”I
governanti, si sa, hanno già risposto con un SÌ unanime. Che importa, giacché
il NO degli interessi finanziari continua a trionfare cinicamente? Ci voleva il
coronavirus per dimostrare ai più ottusi che lo snaturamento per ragioni di
redditività ha conseguenze disastrose sulla salute universale – quella gestita
ininterrottamente da un’Organizzazione mondiale le cui preziose statistiche
mascherano la sparizione degli ospedali pubblici? Esiste una correlazione
evidente tra il coronavirus e il crollo del capitalismo mondiale. Nello stesso
tempo, appare non meno evidente che quel che ricopre e sommerge l’epidemia di
coronavirus è una peste emozionale, una paura isterica, un panico che dissimula
contemporaneamente le carenze di trattamento e che perpetua il male inquietando
il paziente. Al momento delle grandi epidemie di peste del passato, le
popolazioni facevano penitenza e confessavano la loro colpa flagellandosi. I
manager della disumanizzazione mondiale non hanno forse interesse a persuadere
i popoli che non esiste via d’uscita alla sorte miserabile che è loro imposta?
Che non resta loro che la flagellazione della servitù volontaria? La
formidabile macchina mediatica non fa che ripetere la vecchia menzogna del
decreto celeste, impenetrabile, ineluttabile dove il denaro impazzito ha
soppiantato gli Dei sanguinari e capricciosi del passato. Lo scatenamento della
barbarie poliziesca contro i manifestanti pacifici ha mostrato ampiamente che
la lotta militare è la sola cosa che funziona efficacemente. Essa confina oggi
donne, uomini e bambini in quarantena. Fuori la bara, dentro la televisione, la
finestra aperta su un mondo chiuso! È una condizione capace di
aggravare il malessere esistenziale scommettendo sulle emozioni graffiate
dall'angoscia, esacerbando l’accecamento della collera impotente. Tuttavia,
anche la menzogna cede al crollo generale. L’istupidimento statale e populista
ha toccato il limite. Non può negare che un’esperienza è in corso. La
disobbedienza civile si propaga e sogna di società radicalmente nuove perché
radicalmente umane. La solidarietà libera dalla loro pelle di montone
individualista degli individui che non temono più di pensare autonomamente.
Il coronavirus è
diventato il rivelatore del fallimento dello Stato. Ecco almeno un soggetto di
riflessione per le vittime del confinamento forzato. Al momento della
pubblicazione delle mie Modeste proposte
agli scioperanti, degli amici mi hanno fatto notare la difficoltà a
ricorrere al rifiuto collettivo, che io suggerivo, nel pagare le imposte, le
tasse, i prelevamenti fiscali. Ed ecco che il fallimento avverato dello
Stato-truffatore attesta una rovina economica e sociale che rende assolutamente
insolvibili le piccole e medie imprese, il commercio locale, i redditi modesti,
i gruppi familiari di agricoltori e persino le professioni cosiddette liberali.
Il crollo del Leviatano si è rivelato più convincente delle nostre intenzioni
di abbatterlo. Il coronavirus ha fatto anche meglio. L’arresto delle nocività
produttiviste ha diminuito l’inquinamento mondiale, risparmiato una morte
programmata per milioni di persone, la natura respira, i delfini tornano a
scorazzare in Sardegna, i canali di Venezia purificati dal turismo di massa
ritrovano un’acqua chiara, la Borsa crolla.
La Spagna si rassegna a
nazionalizzare gli ospedali privati come se riscoprisse il sistema
mutualistico, come se lo Stato si ricordasse dello Stato-provvidenza che ha
distrutto. Niente è acquisito, tutto comincia. L’utopia marcia ancora a quattro
zampe. Abbandoniamo alla loro inanità celeste i miliardi di banconote e d’idee
vuote che girano in tondo sopra le nostre teste. L’importante è fare noi stessi
“gli affari nostri” lasciando la bolla affarista disfarsi e implodere. Stiamo
attenti a non mancare di audacia e di fiducia in noi! Il nostro presente non è
il confino che la sopravvivenza ci impone, è l’apertura a tutti i possibili.
Sotto l’effetto del panico lo Stato oligarchico è costretto ad adottare misure
che ancora ieri decretava impossibili. Noi vogliamo rispondere all’appello
della vita e della terra da restaurare. La quarantena è propizia alla
riflessione. Il confinamento non abolisce la presenza della strada, la
reinventa. Lasciatemi pensare, cum grano
salis, che l’insurrezione della vita quotidiana ha delle virtù terapeutiche
insospettate.
Raoul Vaneigem, 17 marzo 2020
CORONAVIRUS
Contester le danger du coronavirus relève à coup sûr de l’absurdité. En
revanche, n’est-il pas tout aussi absurde qu’une perturbation du cours habituel
des maladies fasse l’objet d’une pareille exploitation émotionnelle et rameute
cette incompétence arrogante qui bouta jadis hors de France le nuage de
Tchernobyl ? Certes, nous savons avec quelle facilité le spectre de l’apocalypse
sort de sa boite pour s’emparer du premier cataclysme venu, rafistoler
l’imagerie du déluge universel et enfoncer le soc de la culpabilité dans le sol
stérile de Sodome et Gomorrhe. La malédiction divine secondait utilement le
pouvoir. Du moins jusqu’au tremblement de terre de Lisbonne en 1755, lorsque le
marquis de Pombal, ami de Voltaire, tire parti du séisme pour massacrer les
jésuites, reconstruire la ville selon ses conceptions et liquider allègrement
ses rivaux politiques à coups de procès «proto-staliniens.» On ne fera pas
l’injure à Pombal, si odieux qu’il soit, de comparer son coup d’éclat
dictatorial aux misérables mesures que le totalitarisme démocratique applique
mondialement à l’épidémie de coronavirus. Quel cynisme que d’imputer à la
propagation du fléau la déplorable insuffisance des moyens médicaux mis en œuvre ! Cela fait
des décennies que le bien public est mis à mal, que le secteur hospitalier fait
les frais d’une politique qui favorise les intérêts financiers au détriment de la santé des citoyens. Il y a
toujours plus d’argent pour les banques et de moins en moins de lits et de
soignants pour les hôpitaux. Quelles pitreries dissimuleront plus longtemps que
cette gestion catastrophique du catastrophisme est inhérente au capitalisme financier mondialement dominant, et aujourd’hui
mondialement combattu au nom de la vie, de la planète et des espèces à sauver.
Sans verser dans cette resucée de la punition divine qu’est l’idée d’une Nature
se débarrassant de l’Homme comme d’une vermine importune et nuisible, il n’est
pas inutile de rappeler que pendant des millénaires, l’exploitation de la
nature humaine et de la nature terrestre a imposé le dogme de l’antiphysis, de
l’antinature. Le livre d’Eric Postaire, Les
épidémie du XXIe siècle, paru en 1997, confirme les effets désastreux de la dénaturation persistante,
que je dénonce depuis des décennies. Evoquant le drame de la «vache folle»
(prévu par Rudolf Steiner dès 1920), l’auteur rappelle qu’en plus d’être
désarmés face à certaines maladies nous prenons conscience que le progrès
scientifique lui-même peut en provoquer. Dans son plaidoyer en
faveur d’une approche responsable des épidémies et de leur traitement, il
incrimine ce que le préfacier, Claude Gudin, appelle la « philosophie du
tiroir caisse ». Il pose la question : « À subordonner la santé de la
population aux lois du profit, jusqu’à transformer des animaux herbivores en
carnivores, ne risquons-nous pas de provoquer des catastrophes fatales pour la
Nature et l’Humanité ? » Les gouvernants, on le sait, ont déjà répondu par un
OUI unanime. Quelle importance puisque le NON des intérêts financiers continue
de triompher cyniquement ? Fallait-il le coronavirus pour démontrer aux plus
bornés que la dénaturation pour raison de rentabilité a des conséquences
désastreuses sur la santé universelle -
celle que gère sans désemparer une Organisation mondiale dont les précieuses
statistiques pallient la disparition des hôpitaux publics ? Il existe une
corrélation évidente entre le coronavirus et l’effondrement du capitalisme
mondial. Dans le même temps, il apparaît non moins évidemment que ce qui
recouvre et submerge l’épidémie du coronavirus, c’est une peste émotionnelle,
une peur hystérique, une panique qui tout à la fois dissimule les carences de traitement
et perpétue le mal en affolant le patient. Lors des grandes épidémies de peste
du passé, les populations faisaient pénitence et clamaient leur coulpe en se
flagellant. Les managers de la déshumanisation mondiale n’ont-ils pas intérêt à
persuader les peuples qu’il n’y a pas d’issue au sort misérable qui leur est
fait ? Qu’il ne leur reste que la flagellation de la servitude volontaire ? La
formidable machine médiatique ne fait que ressasser le vieux mensonge du décret
céleste, impénétrable, inéluctable où l’argent fou a supplanté les Dieux
sanguinaires et capricieux du passé. Le déchaînement de la barbarie policière
contre les manifestants pacifiques a amplement montré que la loi militaire est
la seule chose qui fonctionnait efficacement. Elle confine aujourd’hui femmes, hommes et enfants en quarantaine.
Dehors, le cercueil, dedans la télévision, la fenêtre ouverte sur un monde
fermé ! C’est une mise en condition capable d’aggraver le malaise existentiel
en misant sur les émotions écorchées par l’angoisse, en exacerbant
l’aveuglement de la colère impuissante. Mais même le mensonge cède à
l’effondrement général. La crétinisation étatique et populiste a atteint ses
limites. Elle ne peut nier qu’une expérience est en cours. La désobéissance
civile se propage et rêve de sociétés radicalement nouvelles parce que
radicalement humaines. La solidarité libère de leur peau de mouton
individualiste des individus qui ne craignent plus de penser par
eux-mêmes.
Le coronavirus est devenu le révélateur de la faillite de l’État. Voilà au
moins un sujet de réflexion pour les victimes du confinement forcé. Lors de la parution de mes Modestes propositions aux grévistes, des
amis m’ont remontré la difficulté de recourir au refus collectif, que je
suggérais, d’acquitter les impôts, taxes, prélèvements fiscaux. Or, voilà que la faillite avérée de l’État-escroc
atteste un délabrement économique et social qui rend absolument insolvables les
petites et moyennes entreprises, le commerce local, les revenus modestes, les
agriculteurs familiaux et jusqu’aux professions dites libérales. L’effondrement
du Léviathan a réussi à convaincre plus rapidement que nos résolutions de
l’abattre. Le coronavirus a fait mieux encore. L’arrêt des nuisances
productivistes a diminué la pollution mondiale, il épargne une mort programmée
à des millions de personnes, la nature respire, les dauphins reviennent
batifoler en Sardaigne, les canaux de Venise purifiés du tourisme de masse
retrouvent une eau claire, la bourse s’effondre. L’Espagne se résout à nationaliser
les hôpitaux privés, comme si elle redécouvrait la sécurité sociale, comme si
l’État se souvenait de l’État-providence qu’il a détruit. Rien n’est acquis,
tout commence. L’utopie marche encore à quatre pattes. Abandonnons à leur
inanité céleste les milliards de bank-notes et d’idées creuses qui tournent en
rond au-dessus de nos têtes. L’important, c’est de « faire nos affaires
nous-mêmes » en laissant la bulle affairiste se défaire et imploser.
Gardons-nous de manquer d’audace et de confiance en nous ! Notre présent n’est pas le confinement que la survie nous impose, il est l’ouverture à
tous les possibles. C’est sous l’effet de la panique que l’Etat oligarchique
est contraint d’adopter des mesures qu’hier encore il décrétait impossibles.
C’est à l’appel de la vie et de la terre à restaurer que nous voulons répondre.
La quarantaine est propice à la réflexion. Le confinement n’abolit pas la présence de la rue, il la
réinvente. Laissez-moi penser, cum grano
salis, que l’insurrection de la vie quotidienne a des vertus thérapeutiques
insoupçonnées.
Raoul Vaneigem 17
mars 2020