venerdì 6 marzo 2020

Un contributo di Raoul Vaneigem all’assemblea dei Gilets Jaunes a Toulouse (ADA 5) il 6,7,8 Marzo 2020. PER LA COMUNE



Risultato immagini per rivolta donne chile


Un’insurrezione popolare si diffonde nel mondo propagandosi a un numero crescente di paesi. Nonostante le diverse condizioni, motivazioni, culture, mentalità, tutte queste sollevazioni hanno un punto comune: il popolo non vuole più governi che pretendono imporgli la loro presenza e autorità. È la lotta di quelli in basso contro quelli in alto.
Siamo nell’equilibrio instabile dello statu quo. Il potere oppressivo si mantiene sulle sue posizioni, rifiuta di cedere di un pollice. Teme un rovesciamento della situazione. Questo ribaltamento è alla portata del sollevamento popolare che sfida lo Stato e con la fermezza di una giusta collera afferma la sua determinazione di proseguire senza sosta la sua lotta.
A prima vista, lo statu quo è favorevole allo Stato e ai suoi finanziatori. L’intransigenza dei governanti mira a volgarizzare nell’opinione l’immagine di una fortezza inamovibile che nulla riuscirà a smuovere. La loro propaganda agita lo spettro della disperazione che scuote sempre la memoria delle rivolte sconfitte. Puntano sulla stanchezza. Contano sull’amaro “a che cosa serve” per rispedire gli insorti a cuccia. I nostri nemici si sbagliano doppiamente!
La solidità dello Stato è solo superficiale, Il suo potere decisionale è fittizio, è tra le mani di una potenza finanziaria mondiale che poco a poco si sostituisce allo Stato. Molti cittadini francesi incriminano la Commissione europea e la rendono responsabile delle loro disgrazie. Le si rimprovera d’imporre ai governi “democraticamente eletti” delle restrizioni finanziarie che rovinano il settore pubblico, impoveriscono, uccidono. Si dimentica che le istituzioni europee sono solo uno strumento delle mafie finanziarie internazionali. Sono queste il nostro vero nemico, come l’ha rivelato ai Cileni l’assassino economico Milton Friedman. Tuttavia, per quanto restino pericolosi, i gestori di un mercato di cui sono contemporaneamente i signori e gli schiavi, fanno sempre meno mostra di una potenza reale e sempre più di una potenza fittizia, un’autorità la cui messa in scena è destinata a imbambolarci come il serpente ipnotizza la sua preda. Tuttavia, abbiamo dimostrato di non essere più delle prede e di revocare la predazione. Loro, invece si dedicano a guerre da commessi viaggiatori. Nello stesso tempo prede e predatori, si sfiancano in rivalità concorrenziali e litigano per un osso nel quale non resterà presto più nulla da rosicchiare. Perché lo Stato e le istituzioni sovranazionali rischiano il crollo ineluttabile di un sistema in cui il denaro gira in tondo non riproducendo più che se stesso e non è che una forma virtuale destinata a divorarsi divorando tutto sul suo passaggio.
Dei dirigenti sempre più stupidi, degli insorti sempre più intelligenti. Il fallimento reso redditizio del sistema mercantile non provoca solo la distruzione della terra e delle specie che la abitano, essa provoca un deterioramento mentale che di anno in anno debilita gli amministratori della rovina universale. Sono stati incapaci d’impedire che una formidabile onda insurrezionale frantumi l’assalto delle loro imprese mortifere. Vi ponete la questione dell’effetto di rovesciamento del vecchio mondo nel nuovo? Avviene lentamente sotto i vostri occhi. Capi di Stato e governanti sono vinti dalla senescenza a misura che il loro nervo della guerra si sclerotizza, mentre l’insurrezione popolare e la disobbedienza civile attestano di giorno in giorno un’intelligenza che l’apertura alla vita non cessa di stimolare.
La parte alta della società marcisce, quella bassa rivive. Gli individui autonomi fanno mostra di una creatività che porta l’offensiva usando due diversi angoli d’approccio. Mentre analisi critiche, ricorsi giuridici, sabotaggi, logoramenti tramite il ridicolo denunciano in alto le truffe di un Olimpo da operetta, alla base si moltiplicano e s’amplificano delle assemblee locali e regionali direttamente confrontate al problema della generosità umana in una società del calcolo egoista. Questa lotta, nello stesso tempo plurale e unitaria, nutre la decisione degli insorti, la loro determinazione a “non mollare”. È così che la vita rivendica la sua priorità assoluta sull’economia del profitto.
Creare nuove condizioni d’esistenza è una priorità. La rovina delle nostre conquiste sociali e i decreti che il capitalismo ci impone con la sua democrazia totalitaria, danno un’idea del caos in cui ha l’intenzione di precipitarci. Ricordiamoci di quel che è successo in Grecia. Benché sostenuto da una maggioranza popolare che lo spingeva a uscire dall’Unione europea, il governo di Tsipras ha fatto retromarcia prendendo una decisione opposta alla volontà popolare. Ha ceduto a un ricatto apertamente dichiarato: “se non accettate le misure d’austerità che preconizziamo, lascerete l’Europa, non disporrete più di denaro per pagare i salari, intrattenere le scuole, i trasporti, gli ospedali. “Dopo di noi il diluvio!”. Tsipras ha dovuto cedere perché niente preparava la società greca a evitare il cataclisma programmato. Non è inquietante che non si tirino lezioni da questo disastro annunciato? La nostra energia non dovrebbe impiegarsi principalmente a gettare le basi di microsocietà capaci di rispondere alla sfida del caos e dell’assurdità devastatrice di cui la situazione del settore ospedaliero, alimentare, energetico ci danno un assaggio?
Il più grande pericolo che ci minaccia è mancare di audacia. È non dare fiducia alle nostre capacità, sottovalutare la nostra inventività. Attendere delle soluzioni dallo Stato ci condanna a vegetare nella sua carcassa putrescente. Come dimenticare che la legge del profitto che determina tutte le leggi del sistema consiste nel riprendere con una mano quel che è stato dato dall'altra. Dialogare con lo Stato è entrare nelle fauci del mostro.
È meno importante coprirlo di colpi che sostituirgli un insieme di microsocietà umane in cui la libertà di vivere s’impiega nello sperimentare le ricchezze della sua diversità e nell’armonizzare le sue scelte contraddittorie.
La truffa del referendum. In Francia gli insorti di ambo i generi esigono un Referendum d’iniziativa cittadina (RIC). Il governo non vuole sentirne parlare se non nella forma di quel che chiama Referendum d’iniziativa condivisa (RIP) su cui avrebbe evidentemente il controllo. Contemporaneamente lo stesso governo mostra il suo disprezzo dei referendum rigettando una petizione sottoscritta da più di un milione di oppositori alla vendita dell’aeroporto di Parigi al settore privato. In Cile si prepara la stessa truffa. Il governo propone di rimpiazzare la costituente di Pinochet ricorrendo alla farsa elettorale e alle sue manipolazioni tradizionali. L’obiettivo? Imporre dall'alto una costituzione che servirà a legalizzare l’impresa del capitalismo sulle risorse del paese. Non ne abbiamo abbastanza di assistere, ancora una volta, a questo gioco di prestigio che, in nome del popolo, conferisce i pieni poteri al mercato? Come accettare una costituzione che non è, neppure per idea, redatta direttamente dal popolo, dalle assemblee di quartiere e di villaggio?
La lotta per la qualità della vita irride la dittatura delle cifre, della misura, del numero. La cifra è la misura del potere. Esso regna per la quantità perché regna su degli oggetti, su un ammasso anonimo di merci. Noi scopriamo oggi una prospettiva inversa. La qualità annulla la dittatura del numero. La qualità della vita irride i conti di bilancio che la riducono a un elemento di profitto. La qualità è l’autenticità vissuta. In quanto tale, essa può marcare il suo interesse per quel che la riguarda e il suo disinteresse per le guerre concorrenziali che le mafie mondialiste si fanno tra loro. Il nostro interesse è di salvaguardarci dalle conseguenze di queste guerre di cui quelle e quelli in basso sono sempre le vittime.
Sotto i suoi aspetti più visibili, la guerriglia pacifica mobilita centinaia di migliaia di partigiani della disobbedienza civile. L’otre della menzogna mediatica continua a ripetere che i manifestanti sono sfiatati, che diminuiscono di numero, né la Francia, né il Cile, né il Libano, né il Sudan né l’Algeria, né l’Iran cedono sul fronte delle rivendicazioni. Non si sbagliano di nemico, la loro volontà non decresce. L’avversario è la macchina del profitto che distrugge la vita, la lotta è quella della vita che rifiuta di essere distrutta.
Il fenomeno guadagna in profondità, colpisce i modi di pensare e di agire. Un numero crescente d’individui riscopre le gioie della solidarietà e prende coscienza che la realtà vissuta non ha nulla in comune con la realtà contabile, di bilancio, statistica architettata in quegli alti luoghi che non sono altro che le celle segrete del mercato.
Né dirigenti né rappresentanti autoproclamati. Oltre ai capi, le assemblee auto organizzate escludono gli apparati politici e sindacali così come i loro delegati. I membri di queste assemblee sono pronti, invece, a discutere a titolo personale con tutti gli individui, militanti o no, quali che siano le loro opinioni religiose o ideologiche. Stimano, infatti, che la lotta sociale per una società più umana e più generosa vinca sulle rappresentazioni del mondo che ognuno edifica in ragione della sua storia particolare. Non invitano a rinunciare alle convinzioni personali ma a superarle, a restituirle, cioè, in condizioni che permetteranno di negarle nella loro forma antica e conservarle in quella nuova. Tolleranza per tutte le idee, intolleranza per ogni atto disumano.





La Comune è il luogo della vita ritrovata. Essa è un’agora di libertà, dove tutte le idee hanno il vantaggio di esprimersi, di essere intese e di concretarsi sottoforma di decisioni collettive. Perché? Perché essa riunisce all’inizio un piccolo numero di persone che si conoscono o imparano a conoscersi. Hanno il privilegio di occupare un terreno a loro familiare, dove sono meglio in grado d’intervenire con conoscenza di causa. Hanno il vantaggio di essere in una prossimità alla quale la federazione delle Comuni presta una distanza critica, una coscienza affinata.
Ogni Comune è la base di una moltitudine di entità simili. La loro federazione formerà un tessuto sociale capace di soppiantare uno Stato che non smette di degradare le condizioni d’esistenza. È qui, sul terreno della nostra esistenza quotidiana, che la nostra creatività ha le maggiori possibilità di battere in breccia l’imperialismo statale e mercantile. L’essere umano ha sempre piegato senza rompere. Basta curvare la nuca, basta con un mondo in cui, come si desolava Chamfort, il cuore ha solo la scelta tra spezzarsi o indurirsi.
La lotta della Comune è quella della generosità umana contro la dittatura del profitto. Non tollereremo che il capitalismo mondiale e il calcolo egoista inquinino il nostro ambiente e la nostra coscienza umana. L’aiuto ai più poveri dipende dalle assemblee popolari, non dalla fredda giurisdizione statale e dai suoi sostenitori xenofobi, razzisti, sessisti. Lo slancio della solidarietà conduce a un’irreprimibile e insolita sensazione: La vita va così veloce che non abbiamo più il tempo di morire. L’insurrezione è una cura di salute.
La donna è alla punta della lotta per gli esseri umani. Là risiede la sua unità. Un’unità rivendicativa che minaccia la tradizione maschilista e i rigurgiti patriarcali. Come stupirsi che il potere tenti di spezzettarla in categorie per opporle le une alle altre e “dividere per regnare”. Trattare la donna come un’astrazione permette, in effetti, di farle assumere dei ruoli e delle funzioni riservate una volta al patriarcato. Il senso umano non è presente con la stessa intensità nella poliziotta, la torturatrice, l’affarista, la militare, la mafiosa, l’autocrate quanto nell’insorta che lotta per un’uguale emancipazione dell’uomo e della donna. Tuttavia, ovunque il nocciolo di umanità non è del tutto scomparso, perché non dare fiducia alla vita per la soppressione della corazza oppressiva?
La Comune è il nostro territorio, la nostra esistenza vi è legittima. A questa legalità naturale, lo Stato sostituisce una legalità che nulla ci obbliga a riconoscere. Non è forse venuto meno il contratto sociale con il quale lo Stato s’impegnava a garantirci scuole, ospedali, trasporti, mezzi di sussistenza in cambio dei prelevamenti fiscali? A ciò si aggiungono le misure arbitrarie che il suo totalitarismo democratico moltiplica attentando alla dignità umana. Non è dunque evidente che noi siamo nella legalità e che lo Stato è, de facto, in un’illegalità che dal punto di vista delle sue stesse leggi ci autorizza ad abrogarlo? Eppure, la struttura municipale che ha impiantato è tuttora in funzione. Essa fa del sindaco un funzionario sottomesso alla sua autorità. Preso in tenaglia tra la rappresentazione dello Stato e quella della popolazione locale, naviga tra l’onestà, la corruzione, la modestia del porta parola e l’arroganza dell’edile intronizzato. Come le assemblee d’autogestione possono coesistere nell’ambito di un’organizzazione municipale infeudata allo Stato, senza rinnegarsi? A ogni territorio in via di liberazione, le proprie forme di lotta.
Quali relazioni con le municipalità tradizionali? Nessuno ignora che l’esperienza della democrazia diretta segna una rottura con i modi di scrutinio impostici dal rituale elettorale. A differenza del voto organizzato dal clientelismo politico, la Comune è l’emanazione di assemblee di prossimità. I problemi che esse abbordano sono i problemi concreti della popolazione di un villaggio, di un quartiere urbano, della regione circostante, dove la loro federazione dà una visione globale, mondiale, a decisioni prese localmente. Esse sono i prodotti di un ambiente che riguarda ciascuno e in cui ognuno sa di che cosa parla. Esse rendono concreta una pratica di vita, non una pratica dell’ideologia. Il comune è un’antenna meno all’ascolto dei cittadini che dello Stato che li governa. Per noi, invece, la Comune è un mondo chiamato a sradicare la mondializzazione del profitto.
Il tamburo dell’unità risuona ovunque. Quale unità? Chiamare all’unità e alla convergenza delle lotte è prendere le cose a rovescio. Le dichiarazioni astratte, per quanto generose, sono degli specchietti per le allodole. Prendono il vecchio sentiero delle buone intenzioni. La speranza non smette d’inciamparsi nel trionfalismo e nel disfattismo. Finiremo, ancora una volta, per arruolarci in quei fronti previsti per mobilitare l’energia di tutte e di tutti contro quanto insiste a portare una maschera dell’oppressione globale?
Al momento della rivoluzione spagnola, Berneri aveva lanciato questo avvertimento:”Solo la lotta anticapitalista può opporsi al fascismo. La trappola dell’antifascismo significa l’abbandono dei principi della rivoluzione sociale”. Poi aggiunge: “La rivoluzione va vinta sul terreno sociale, non militare”. In che cosa consiste la forza poetica dei Gilets Jaunes e delle assemblee auto organizzate? Nel fatto che mettono in primo piano dei problemi economici, sociali, psicologici ai quali nessuno sfugge in questi tempi di mutamento (permacultura, divieto dei pesticidi, blocco dei circuiti mercantili, eradicazione delle nocività petrolchimiche e nucleari, esplorazione energetica, rivitalizzazione del tessuto rurale e urbano, rottura con il feticismo del denaro, ricostruzione dell’insegnamento, guerriglia condotta secondo il principio “mai distruggere un essere umano e mai smettere di distruggere quel che lo disumanizza”).
La vera unità è la lotta per il vivere meglio.
La disobbedienza civile è un diritto imprescrittibile ovunque regni il diritto di opprimere. La redazione di una carta uscita dalle Comuni e dalle loro assemblee potrebbe garantirne il principio e dare corpo alla legalità di una democrazia la cui poesia pratica la libererebbe per sempre dall'’impresa statale e mercantile. Abbasso la Repubblica degli affari! Viva la repubblica del senso umano!
Traduzione di essegi del 4/3/2020




POUR LA COMMUNE

Une insurrection populaire gagne le monde. Elle se propage à un nombre croissant de pays. En dépit des différences de conditions, de motivations,  de cultures, de mentalités, tous présentent un point commun : le peuple ne veut plus d’un gouvernement  qui prétend lui imposer sa présence et son autorité. C’est la lutte de ceux du bas contre ceux du haut.
Nous sommes dans l’équilibre instable du statu quo. Le pouvoir oppressif campe sur ses positions, il refuse de céder d’un pouce. Il craint un basculement de la situation. Ce basculement est à la portée du soulèvement populaire qui nargue l’État et, avec la fermeté d’une juste colère, affirme sa détermination de poursuivre sans relâche son combat.
Au premier abord, le statu quo joue en faveur de l’État et de ses  commanditaires. L’intransigeance des gouvernants vise à vulgariser dans l’opinion l’image d’une forteresse inamovible que rien ne réussira à ébranler. Leur propagande agite le spectre du désespoir qui hante toujours la mémoire des révoltes perdues. Ils misent sur la fatigue, ils comptent sur l’amer «à quoi bon» pour renvoyer les insurgés à la niche. Nos ennemis se trompent deux fois !
La solidité de l’État n’est que de surface. Son pouvoir de décision est factice, il est entre les mains d’une puissance financière mondiale qui peu à peu se substitue à lui. Beaucoup de citoyens français incriminent la Commission européenne et la rendent responsable de leurs malheurs. On lui reproche d’imposer aux gouvernements «démocratiquement élus» des restrictions budgétaires qui ruinent le secteur public,  paupérisent,  tuent. C’est oublier que les instances européennes ne sont elles-mêmes qu’un instrument des mafias financières internationales. Celles-ci sont notre véritable ennemi, comme l’a révélé aux Chiliens l’assassin économique Milton Friedman. Néanmoins, si redoutables qu’ils demeurent, les gestionnaires d’un marché dont ils sont à la fois les maître et les esclaves, font montre de moins en moins d’une puissance réelle et de plus en plus d’une puissance  fictive, une autorité dont la mise en scène est destinée à nous fasciner comme le serpent fascine sa proie. Mais nous avons prouvé que nous n’étions plus des proies et que nous révoquions la prédation. Eux, en revanche, se livrent à des guerres de commis-voyageurs. A la fois proies et prédateurs, ils s‘épuisent en  rivalités concurrentielles et se déchirent pour un os où il ne restera bientôt plus rien à ronger. Car l’État et les instances supranationales sont guettés par l’effondrement inéluctable d’un système où l’argent tourne en rond, ne reproduit plus que lui-même, n’est qu’une forme virtuelle appelée à se dévorer elle-même en dévorant tout sur son passage.
Des dirigeants de plus en plus bêtes, des insurgées et des insurgés de plus en plus intelligents. La faillite rentabilisée du système marchand ne provoque pas seulement la destruction de la terre et de ses espèces, elle entraîne une détérioration mentale qui d’année en année débilite les administrateurs du délabrement universel. Ils ont été incapables d’empêcher qu’une formidable vague insurrectionnelle brise l’assaut de leurs entreprises mortifères. Vous vous interrogez sur l’effet de bascule du vieux monde dans le nouveau ? Il s’opère lentement sous vos yeux. Chefs d’État et gouvernants sont gagnés par la sénescence à mesure que leur nerf de la guerre se sclérose, alors que l’insurrection populaire et la désobéissance civile attestent de jour en jour une intelligence que l’ouverture à la vie ne cesse de stimuler.
Le haut pourrit, le bas revit. Les individus autonomes font montre d’une créativité qui mène l’offensive sous deux angles d’approche. Tandis qu’analyses critiques, recours juridiques, sabotages, harcèlements par le ridicule dénoncent au sommet les escroqueries d’un Olympe d’opérette, à la base se multiplient et s’amplifient des assemblées locales et régionales directement confrontées au problème de la générosité humaine dans une société du calcul égoïste. Ce combat à la fois pluriel et unitaire, nourrit la résolution des insurgés, leur détermination de «ne rien lâcher». C’est là que la vie revendique sa priorité absolue sur l’économie de profit.
Créer de nouvelles conditions d’existence est une priorité. La ruine de nos acquis sociaux et les ukases que le capitalisme et sa démocratie totalitaire nous assènent donnent une idée du chaos où il a l’intention de nous précipiter. Souvenons-nous de ce qui est arrivé à la Grèce. Bien que soutenu par une majorité populaire qui le pressait de sortir de l’Union européenne, le gouvernement grec de Tsipras a fait marche arrière, il a pris une décision opposée à la volonté populaire. Il a cédé à un chantage ouvertement déclaré : «si vous n’acceptez pas les mesures d’austérité que nous préconisons, vous quitterez l’Europe, vous ne disposerez plus d’argent, vous n’aurez plus de quoi payer les salaires, entretenir les écoles, les transports, les hôpitaux. Après nous le déluge !» Tsipras a dû céder parce que rien ne préparait la société grecque à éviter le cataclysme programmé. N’est-il pas inquiétant que nous ne tirions pas les leçons de ce désastre annoncé ? Notre énergie ne devrait-elle pas s’employer principalement à jeter les bases de microsociétés capables de répondre aux défis du chaos et de l’absurdité dévastatrice dont l’état du secteur hospitalier, alimentaire, énergétique nous donne un avant-goût ?
Le plus grand danger qui nous menace c’est de manquer d’audace. C’est de ne pas faire confiance en nos propres capacités, de sous-estimer notre inventivité. Attendre des solutions de l’État nous condamne à végéter dans sa carcasse pourrissante. Comment oublier que la loi du profit, qui détermine toutes les lois du système, consiste à reprendre d’une main ce qui a été donné de l’autre. Dialoguer avec l’État, c’est entrer dans la gueule du monstre.
          L’important est moins de le percer de nos coups que de lui substituer un ensemble de microsociétés humaines où la liberté de vivre s’emploie à expérimenter les richesses de sa diversité et à harmoniser ses options contradictoires.
L’escroquerie du référendum. En France, les insurgées et les insurgés exigent un Référendum d’initiative citoyenne (RIC). Le gouvernement ne veut pas en entendre parler, si ce n’est sous la forme de ce qu’il appelle Referendum d’initiative partagée (RIP) dont il aurait évidemment le contrôle. Dans le même temps, le même gouvernement affiche son mépris des référendums en rejetant une pétition de plus d’un million d’opposants à la vente de l’aéroport de Paris au secteur privé. Au Chili, la même escroquerie se prépare. Le gouvernement propose de remplacer la constituante de Pinochet en recourant à la farce électorale et à ses manipulations traditionnelles. Le but ? Imposer par les instances du haut une constitution qui servira à légaliser la main mise du capitalisme sur les ressources du pays. Ne sommes-nous pas lassés d’assister une fois encore à ce tour de prestidigitation qui, au nom du peuple, confère les pleins pouvoirs au marché ? Comment entériner une constitution populaire qui n’est pas, loin s’en faut, rédigée directement par le peuple, par des assemblées de quartiers et de villages ?   
La lutte pour la qualité de la vie se moque de la dictature des chiffres, de la mesure, du nombre. Le chiffre est la mesure du pouvoir. Il règne par la quantité parce qu’il règne sur des objets, sur un amas anonyme des marchandises. Nous découvrons aujourd’hui une perspective inverse. La qualité annule la dictature du nombre. La qualité de la vie se moque des comptes budgétaires qui la réduisent à un élément de profit. La qualité est l’authenticité vécue. C’est en tant que telle qu’elle peut marquer son intérêt pour ce qui la concerne et son désintérêt pour les guerres concurrentielles que les mafias mondialistes se livrent entre elles. Notre intérêt c’est de parer aux retombées de ces guerres, dont celles et ceux d’en bas sont toujours les victimes.
          Sous ses aspects les plus visibles, la guérilla pacifique mobilise des centaines de milliers de partisans de la désobéissance civile. L’outre du mensonge médiatique a beau assurer que les manifestants s’essoufflent, que leur nombre diminue, ni la France, ni le Chili, ni le Liban, ni le Soudan, ni l’Algérie, ni l’Iran ne cèdent sur le front des revendications. Ils ne se trompent pas d’ennemi, leur volonté ne faiblit pas. L’adversaire est la machine du profit qui broie la vie, le combat est celui de la vie qui refuse d’être broyée.
          Le phénomène gagne en profondeur, il affecte les modes de pensée et de comportement. Un nombre croissant d’individus redécouvrent les joies de la solidarité et prennent conscience que la réalité vécue n’a rien en commun avec la réalité comptable, budgétaire, statistique concoctée dans ces hauts-lieux, qui ne sont en fait que le cul-de-basse-fosse du marché.
Ni dirigeant ni représentant autoproclamés. Outre les chefs, les assemblées auto-organisées excluent les appareils politiques et syndicaux et ceux qui seraient délégués par eux. Les membres de ces assemblées sont prêts, en revanche à discuter à titre personnel avec tous les individus, militants et non-militants, quelles que soient leurs opinions religieuses et idéologiques. Ils estiment en effet que la lutte sociale pour une société plus humaine et plus généreuse l’emporte sur les représentations du monde que chaque personne édifie en raison de son histoire particulière. Ils n’appellent pas à renoncer à des convictions personnelles mais à les dépasser, c’est-à-dire à les resituer dans des conditions qui permettront de les nier sous leur forme ancienne et de les conserver sous leur forme nouvelle. Tolérance pour toutes les idées, intolérance pour tout acte inhumain.
La Commune est le lieu de la vie retrouvée. C’est une agora de liberté où tous les avis ont l’avantage de s’exprimer, d’être entendus et de se concrétiser sous forme de décisions collectives. Pourquoi ? Parce qu’elle rassemble au départ un petit nombre de gens qui se connaissent ou apprennent à se connaître. Ils ont le privilège d’occuper un terrain qui leur est familier, où ils sont les mieux à même d’intervenir en connaissance de cause. Ils ont l’avantage d’être dans une proximité à laquelle la fédération des communes prête une distance critique, une conscience affinée.
Chaque commune est la base d’une multitude d’entités similaires. Leur fédération formera un tissu social capable de supplanter un Etat qui ne cesse de dégrader les conditions d’existence. C’est là, sur le terrain de notre existence quotidienne, que notre créativité a le plus de chance de battre en brèche l’impérialisme étatique et marchand. L’être humain a toujours plié sans se rompre. C’en est fini de courber la nuque, c’en est fini de ce monde où, comme se désolait Chamfort, le cœur n’a que le choix de se briser ou de se bronzer.
Le combat de la Commune est celui de la générosité humaine contre la dictature du profit. Nous n’allons pas tolérer que le capitalisme mondial et le calcul égoïste pollue notre environnement et notre conscience humaine. L’aide aux plus démunis relève des assemblées populaires non de la froide juridiction étatique et de ses souteneurs xénophobes, racistes, sexistes. L’élan de la solidarité porte à une irrépressible et insolite sensation : la vie va si vite que nous n’avons plus  le temps de mourir. L’insurrection est une cure de santé.
La femme est à la pointe du combat pour l’être humains. Là réside son unité. C’est une unité revendicative qui menace la tradition machiste et les résurgences patriarcales. Comment s’étonner que le pouvoir tente de la morceler en catégories afin de les dresser les unes contre les autres et de « diviser pour régner ». Traiter la femme comme une abstraction permet en effet de lui faire assumer des rôles et des fonctions réservés jadis au patriarcat. Le sens humain n’est pas présent avec la même intensité chez la policière, la tortionnaire, l’affairiste, la militaire, la mafieuse, l’autocrate et chez l’insurgée qui lutte pour une égale émancipation de l’homme et de la femme. Mais partout où le noyau d’humanité n’a pas disparu tout à fait, pourquoi ne pas faire confiance à la vie pour venir à bout de la carapace oppressive ?

La Commune est notre territoire, notre existence y est légale. A cette légalité naturelle, l’État a substitué une légalité que rien ne nous oblige à reconnaître. N’est-il pas devenu caduc le contrat social par lequel il s’engageait, en échange de prélèvements fiscaux, à nous garantir écoles, hôpitaux, transports, moyens de subsistance ? A cela s’ajoutent les mesures arbitraires attentatoires à la dignité humaine que son totalitarisme démocratique multiplie. N’est-il pas, dès lors, évident que nous sommes dans la légalité et qu’il est lui, de facto, dans une illégalité qui, du point de vue de ses propres lois, nous autorise à le bannir ? Cependant, la structure municipale qu’il a implantée est toujours en place. Elle fait du maire un fonctionnaire soumis à son autorité. Pris en tenaille entre la représentation de l’État et la représentation de la population locale, il navigue entre l’honnêteté, la corruption, la modestie du porte-parole et l’arrogance de l’édile intronisé. Comment les assemblées d’autogestion peuvent-elles, sans se renier, coexister dans le cadre d’une organisation municipale inféodée à l’État ? À chaque territoire en voie de libération, ses propres formes de lutte.
Quelles relations avec la mairie traditionnelle? Nul n’ignore que l’expérience de la démocratie directe marque une rupture avec les modes de scrutin que le rituel électoral nous impose. A la différence du vote organisé par le clientélisme politique, la Commune est l’émanation d'assemblées de proximité. Les problèmes qu'elles abordent sont des problèmes concrets, qui se posent à la population d'un village, d'un quartier urbain, de la région environnante où leur fédération prête une vision globale, mondiale, à des décisions prises localement. Elles sont issues d'un milieu où chacun est concerné et sait de quoi il parle. Elles concrétisent une pratique de vie, non une pratique de l’idéologie. La mairie est une antenne, elle est moins à l’écoute des citoyens que de l’État qui les gouverne. Or, pour nous, la Commune est un monde appelé à éradiquer la mondialisation du profit.
Le tambour de l’unité résonne partout. Quelle unité ? Appeler à l’unité et à la convergence des luttes, c’est prendre les choses à rebours. Les déclarations abstraites, si généreuses qu’elles se veuillent, sont des leurres. Elles empruntent le vieux chemin des bonnes intentions. L’espérance n’en finit pas de trébucher de triomphalisme en défaitisme. Allons-nous une fois de plus nous enrôler dans ces  fronts censés mobiliser l’énergie de tous et de toutes contre ce qui se borne à porter un des masques de l’oppression globale ? Lors de la révolution espagnole, Berneri avait lancé cette mise en garde : « Seule la lutte anticapitaliste peut s’opposer au fascisme. Le piège de l’antifascisme signifie l’abandon des principes de révolution sociale ». Et il ajoute : « La révolution doit être gagnée sur le terrain social et non sur le terrain militaire ». A quoi tient la force poétique des Gilets jaunes et des assemblées auto-organisées ? Au fait qu’ils mettent au premier plan des problèmes économiques, sociaux, psychologiques auxquels personne n’échappe en ces temps de mutation (permaculture, interdiction des pesticides, blocage des circuits marchands, éradication des nuisances pétrochimiques et nucléaires, exploration énergétique, revivification du tissu rural et urbain, rupture avec le fétichisme de l’argent, reconstruction de l’enseignement, guérilla menée selon le principe « Ne jamais détruire un homme et ne jamais cesser de détruire ce qui le déshumanise »).
          La véritable unité, c’est le combat pour le mieux vivre.
La désobéissance civile est un droit imprescriptible partout où règne le droit d'opprimer. La rédaction d’une charte issue des Communes et de leurs assemblées pourrait en garantir le principe et donner ses assises à la légalité d’une démocratie que sa poésie pratique affranchisse à jamais de l’emprise étatique et marchande. A bas la république des affaires ! Vive la république du sens humain !