Un’insurrezione
popolare si diffonde nel mondo propagandosi a un numero
crescente di paesi. Nonostante le diverse condizioni, motivazioni, culture,
mentalità, tutte queste sollevazioni hanno un punto comune: il popolo non vuole
più governi che pretendono imporgli la loro presenza e autorità. È la lotta di
quelli in basso contro quelli in alto.
Siamo nell’equilibrio
instabile dello statu quo. Il potere oppressivo si mantiene sulle sue
posizioni, rifiuta di cedere di un pollice. Teme un rovesciamento della
situazione. Questo ribaltamento è alla portata del sollevamento popolare che
sfida lo Stato e con la fermezza di una giusta collera afferma la sua
determinazione di proseguire senza sosta la sua lotta.
A prima vista, lo statu
quo è favorevole allo Stato e ai suoi finanziatori. L’intransigenza dei governanti
mira a volgarizzare nell’opinione l’immagine di una fortezza inamovibile che
nulla riuscirà a smuovere. La loro propaganda agita lo spettro della
disperazione che scuote sempre la memoria delle rivolte sconfitte. Puntano sulla
stanchezza. Contano sull’amaro “a che cosa serve” per rispedire gli insorti a
cuccia. I nostri nemici si sbagliano doppiamente!
La solidità dello Stato è
solo superficiale, Il suo potere decisionale è fittizio, è tra le mani di una
potenza finanziaria mondiale che poco a poco si sostituisce allo Stato. Molti
cittadini francesi incriminano la Commissione europea e la rendono responsabile
delle loro disgrazie. Le si rimprovera d’imporre ai governi “democraticamente
eletti” delle restrizioni finanziarie che rovinano il settore pubblico,
impoveriscono, uccidono. Si dimentica che le istituzioni europee sono solo uno
strumento delle mafie finanziarie internazionali. Sono queste il nostro vero
nemico, come l’ha rivelato ai Cileni l’assassino economico Milton Friedman. Tuttavia,
per quanto restino pericolosi, i gestori di un mercato di cui sono
contemporaneamente i signori e gli schiavi, fanno sempre meno mostra di una potenza
reale e sempre più di una potenza fittizia, un’autorità la cui messa in scena è
destinata a imbambolarci come il serpente ipnotizza la sua preda. Tuttavia,
abbiamo dimostrato di non essere più delle prede e di revocare la predazione.
Loro, invece si dedicano a guerre da commessi viaggiatori. Nello stesso tempo
prede e predatori, si sfiancano in rivalità concorrenziali e litigano per un
osso nel quale non resterà presto più nulla da rosicchiare. Perché lo Stato e
le istituzioni sovranazionali rischiano il crollo ineluttabile di un sistema in
cui il denaro gira in tondo non riproducendo più che se stesso e non è che una
forma virtuale destinata a divorarsi divorando tutto sul suo passaggio.
Dei
dirigenti sempre più stupidi, degli insorti sempre più intelligenti.
Il fallimento reso redditizio del sistema mercantile non provoca solo la
distruzione della terra e delle specie che la abitano, essa provoca un
deterioramento mentale che di anno in anno debilita gli amministratori della
rovina universale. Sono stati incapaci d’impedire che una formidabile onda
insurrezionale frantumi l’assalto delle loro imprese mortifere. Vi ponete la
questione dell’effetto di rovesciamento del vecchio mondo nel nuovo? Avviene
lentamente sotto i vostri occhi. Capi di Stato e governanti sono vinti dalla
senescenza a misura che il loro nervo della guerra si sclerotizza, mentre
l’insurrezione popolare e la disobbedienza civile attestano di giorno in giorno
un’intelligenza che l’apertura alla vita non cessa di stimolare.
La
parte alta della società marcisce, quella bassa rivive.
Gli individui autonomi fanno mostra di una creatività che porta l’offensiva usando
due diversi angoli d’approccio. Mentre analisi critiche, ricorsi giuridici,
sabotaggi, logoramenti tramite il ridicolo denunciano in alto le truffe di un
Olimpo da operetta, alla base si moltiplicano e s’amplificano delle assemblee
locali e regionali direttamente confrontate al problema della generosità umana
in una società del calcolo egoista. Questa lotta, nello stesso tempo plurale e
unitaria, nutre la decisione degli insorti, la loro determinazione a “non
mollare”. È così che la vita rivendica la sua priorità assoluta sull’economia
del profitto.
Creare nuove condizioni
d’esistenza è una priorità. La rovina delle nostre conquiste sociali e i
decreti che il capitalismo ci impone con la sua democrazia totalitaria, danno
un’idea del caos in cui ha l’intenzione di precipitarci. Ricordiamoci di quel
che è successo in Grecia. Benché sostenuto da una maggioranza popolare che lo
spingeva a uscire dall’Unione europea, il governo di Tsipras ha fatto
retromarcia prendendo una decisione opposta alla volontà popolare. Ha ceduto a
un ricatto apertamente dichiarato: “se non accettate le misure d’austerità che
preconizziamo, lascerete l’Europa, non disporrete più di denaro per pagare i
salari, intrattenere le scuole, i trasporti, gli ospedali. “Dopo di noi il
diluvio!”. Tsipras ha dovuto cedere perché niente preparava la società greca a
evitare il cataclisma programmato. Non è inquietante che non si tirino lezioni
da questo disastro annunciato? La nostra energia non dovrebbe impiegarsi
principalmente a gettare le basi di microsocietà capaci di rispondere alla
sfida del caos e dell’assurdità devastatrice di cui la situazione del settore
ospedaliero, alimentare, energetico ci danno un assaggio?
Il più grande pericolo
che ci minaccia è mancare di audacia. È non dare fiducia alle nostre capacità,
sottovalutare la nostra inventività. Attendere delle soluzioni dallo Stato ci
condanna a vegetare nella sua carcassa putrescente. Come dimenticare che la
legge del profitto che determina tutte le leggi del sistema consiste nel
riprendere con una mano quel che è stato dato dall'altra. Dialogare con lo
Stato è entrare nelle fauci del mostro.
È meno importante
coprirlo di colpi che sostituirgli un insieme di microsocietà umane in cui la
libertà di vivere s’impiega nello sperimentare le ricchezze della sua diversità
e nell’armonizzare le sue scelte contraddittorie.
La
truffa del referendum. In Francia gli insorti di ambo i generi
esigono un Referendum d’iniziativa cittadina (RIC). Il governo non vuole
sentirne parlare se non nella forma di quel che chiama Referendum d’iniziativa
condivisa (RIP) su cui avrebbe evidentemente il controllo. Contemporaneamente
lo stesso governo mostra il suo disprezzo dei referendum rigettando una
petizione sottoscritta da più di un milione di oppositori alla vendita
dell’aeroporto di Parigi al settore privato. In Cile si prepara la stessa
truffa. Il governo propone di rimpiazzare la costituente di Pinochet ricorrendo
alla farsa elettorale e alle sue manipolazioni tradizionali. L’obiettivo?
Imporre dall'alto una costituzione che servirà a legalizzare l’impresa del
capitalismo sulle risorse del paese. Non ne abbiamo abbastanza di assistere, ancora
una volta, a questo gioco di prestigio che, in nome del popolo, conferisce i
pieni poteri al mercato? Come accettare una costituzione che non è, neppure per
idea, redatta direttamente dal popolo, dalle assemblee di quartiere e di
villaggio?
La
lotta per la qualità della vita irride la dittatura delle cifre, della misura,
del numero. La cifra è la misura del potere. Esso regna per la
quantità perché regna su degli oggetti, su un ammasso anonimo di merci. Noi
scopriamo oggi una prospettiva inversa. La qualità annulla la dittatura del
numero. La qualità della vita irride i conti di bilancio che la riducono a un
elemento di profitto. La qualità è l’autenticità vissuta. In quanto tale, essa
può marcare il suo interesse per quel che la riguarda e il suo disinteresse per
le guerre concorrenziali che le mafie mondialiste si fanno tra loro. Il nostro
interesse è di salvaguardarci dalle conseguenze di queste guerre di cui quelle
e quelli in basso sono sempre le vittime.
Sotto i suoi aspetti più
visibili, la guerriglia pacifica mobilita centinaia di migliaia di partigiani
della disobbedienza civile. L’otre della menzogna mediatica continua a ripetere
che i manifestanti sono sfiatati, che diminuiscono di numero, né la Francia, né
il Cile, né il Libano, né il Sudan né l’Algeria, né l’Iran cedono sul fronte
delle rivendicazioni. Non si sbagliano di nemico, la loro volontà non decresce.
L’avversario è la macchina del profitto che distrugge la vita, la lotta è
quella della vita che rifiuta di essere distrutta.
Il fenomeno guadagna in
profondità, colpisce i modi di pensare e di agire. Un numero crescente
d’individui riscopre le gioie della solidarietà e prende coscienza che la
realtà vissuta non ha nulla in comune con la realtà contabile, di bilancio,
statistica architettata in quegli alti luoghi che non sono altro che le celle
segrete del mercato.
Né
dirigenti né rappresentanti autoproclamati. Oltre ai capi, le
assemblee auto organizzate escludono gli apparati politici e sindacali così come
i loro delegati. I membri di queste assemblee sono pronti, invece, a discutere
a titolo personale con tutti gli individui, militanti o no, quali che siano le
loro opinioni religiose o ideologiche. Stimano, infatti, che la lotta sociale
per una società più umana e più generosa vinca sulle rappresentazioni del mondo
che ognuno edifica in ragione della sua storia particolare. Non invitano a
rinunciare alle convinzioni personali ma a superarle, a restituirle, cioè, in
condizioni che permetteranno di negarle nella loro forma antica e conservarle in
quella nuova. Tolleranza per tutte le idee, intolleranza per ogni atto
disumano.
La Comune è il luogo della vita ritrovata. Essa è un’agora di libertà, dove tutte le idee hanno il vantaggio di esprimersi, di essere intese e di concretarsi sottoforma di decisioni collettive. Perché? Perché essa riunisce all’inizio un piccolo numero di persone che si conoscono o imparano a conoscersi. Hanno il privilegio di occupare un terreno a loro familiare, dove sono meglio in grado d’intervenire con conoscenza di causa. Hanno il vantaggio di essere in una prossimità alla quale la federazione delle Comuni presta una distanza critica, una coscienza affinata.
Ogni
Comune è la base di una moltitudine di entità simili.
La loro federazione formerà un tessuto sociale capace di soppiantare uno Stato
che non smette di degradare le condizioni d’esistenza. È qui, sul terreno della
nostra esistenza quotidiana, che la nostra creatività ha le maggiori
possibilità di battere in breccia l’imperialismo statale e mercantile. L’essere
umano ha sempre piegato senza rompere. Basta curvare la nuca, basta con un
mondo in cui, come si desolava Chamfort, il cuore ha solo la scelta tra
spezzarsi o indurirsi.
La
lotta della Comune è quella della generosità umana contro la dittatura del
profitto. Non tollereremo che il capitalismo mondiale e il
calcolo egoista inquinino il nostro ambiente e la nostra coscienza umana.
L’aiuto ai più poveri dipende dalle assemblee popolari, non dalla fredda
giurisdizione statale e dai suoi sostenitori xenofobi, razzisti, sessisti. Lo
slancio della solidarietà conduce a un’irreprimibile e insolita sensazione: La
vita va così veloce che non abbiamo più il tempo di morire. L’insurrezione è
una cura di salute.
La
donna è alla punta della lotta per gli esseri umani.
Là risiede la sua unità. Un’unità rivendicativa che minaccia la tradizione
maschilista e i rigurgiti patriarcali. Come stupirsi che il potere tenti di
spezzettarla in categorie per opporle le une alle altre e “dividere per
regnare”. Trattare la donna come un’astrazione permette, in effetti, di farle
assumere dei ruoli e delle funzioni riservate una volta al patriarcato. Il
senso umano non è presente con la stessa intensità nella poliziotta, la
torturatrice, l’affarista, la militare, la mafiosa, l’autocrate quanto
nell’insorta che lotta per un’uguale emancipazione dell’uomo e della donna.
Tuttavia, ovunque il nocciolo di umanità non è del tutto scomparso, perché non
dare fiducia alla vita per la soppressione della corazza oppressiva?
La
Comune è il nostro territorio, la nostra esistenza vi è legittima.
A questa legalità naturale, lo Stato sostituisce una legalità che nulla ci
obbliga a riconoscere. Non è forse venuto meno il contratto sociale con il
quale lo Stato s’impegnava a garantirci scuole, ospedali, trasporti, mezzi di
sussistenza in cambio dei prelevamenti fiscali? A ciò si aggiungono le misure
arbitrarie che il suo totalitarismo democratico moltiplica attentando alla
dignità umana. Non è dunque evidente che noi siamo nella legalità e che lo
Stato è, de facto, in un’illegalità
che dal punto di vista delle sue stesse leggi ci autorizza ad abrogarlo?
Eppure, la struttura municipale che ha impiantato è tuttora in funzione. Essa
fa del sindaco un funzionario sottomesso alla sua autorità. Preso in tenaglia
tra la rappresentazione dello Stato e quella della popolazione locale, naviga
tra l’onestà, la corruzione, la modestia del porta parola e l’arroganza
dell’edile intronizzato. Come le assemblee d’autogestione possono coesistere nell’ambito
di un’organizzazione municipale infeudata allo Stato, senza rinnegarsi? A ogni
territorio in via di liberazione, le proprie forme di lotta.
Quali
relazioni con le municipalità tradizionali? Nessuno ignora
che l’esperienza della democrazia diretta segna una rottura con i modi di
scrutinio impostici dal rituale elettorale. A differenza del voto organizzato
dal clientelismo politico, la Comune è l’emanazione di assemblee di prossimità.
I problemi che esse abbordano sono i problemi concreti della popolazione di un
villaggio, di un quartiere urbano, della regione circostante, dove la loro
federazione dà una visione globale, mondiale, a decisioni prese localmente.
Esse sono i prodotti di un ambiente che riguarda ciascuno e in cui ognuno sa di
che cosa parla. Esse rendono concreta una pratica di vita, non una pratica
dell’ideologia. Il comune è un’antenna meno all’ascolto dei cittadini che dello
Stato che li governa. Per noi, invece, la Comune è un mondo chiamato a
sradicare la mondializzazione del profitto.
Il
tamburo dell’unità risuona ovunque. Quale unità?
Chiamare all’unità e alla convergenza delle lotte è prendere le cose a
rovescio. Le dichiarazioni astratte, per quanto generose, sono degli
specchietti per le allodole. Prendono il vecchio sentiero delle buone
intenzioni. La speranza non smette d’inciamparsi nel trionfalismo e nel
disfattismo. Finiremo, ancora una volta, per arruolarci in quei fronti previsti
per mobilitare l’energia di tutte e di tutti contro quanto insiste a portare
una maschera dell’oppressione globale?
Al momento della
rivoluzione spagnola, Berneri aveva lanciato questo avvertimento:”Solo la lotta
anticapitalista può opporsi al fascismo. La trappola dell’antifascismo
significa l’abbandono dei principi della rivoluzione sociale”. Poi aggiunge:
“La rivoluzione va vinta sul terreno sociale, non militare”. In che cosa
consiste la forza poetica dei Gilets Jaunes e delle assemblee auto organizzate?
Nel fatto che mettono in primo piano dei problemi economici, sociali,
psicologici ai quali nessuno sfugge in questi tempi di mutamento (permacultura,
divieto dei pesticidi, blocco dei circuiti mercantili, eradicazione delle
nocività petrolchimiche e nucleari, esplorazione energetica, rivitalizzazione
del tessuto rurale e urbano, rottura con il feticismo del denaro, ricostruzione
dell’insegnamento, guerriglia condotta secondo il principio “mai distruggere un
essere umano e mai smettere di distruggere quel che lo disumanizza”).
La vera unità è la lotta
per il vivere meglio.
La
disobbedienza civile è un diritto imprescrittibile ovunque regni il diritto di opprimere.
La redazione di una carta uscita dalle Comuni e dalle loro assemblee potrebbe
garantirne il principio e dare corpo alla legalità di una democrazia la cui
poesia pratica la libererebbe per sempre dall'’impresa statale e mercantile.
Abbasso la Repubblica degli affari! Viva la repubblica del senso umano!
Traduzione di essegi del 4/3/2020
POUR LA COMMUNE
Une insurrection populaire gagne le monde. Elle se propage à un nombre croissant de pays. En
dépit des différences de conditions, de motivations, de cultures, de mentalités, tous présentent
un point commun : le peuple ne veut plus d’un gouvernement qui prétend lui imposer sa présence et son
autorité. C’est la lutte de ceux du bas contre ceux du haut.
Nous sommes dans l’équilibre instable du statu quo.
Le pouvoir
oppressif campe sur ses positions, il refuse de céder d’un pouce. Il craint un
basculement de la situation. Ce basculement est à la portée du soulèvement populaire
qui nargue l’État et, avec la fermeté d’une juste colère, affirme sa
détermination de poursuivre sans relâche son combat.
Au premier abord, le statu quo joue en faveur de
l’État et de ses commanditaires. L’intransigeance des gouvernants vise à vulgariser
dans l’opinion l’image d’une forteresse inamovible que rien ne réussira à
ébranler. Leur propagande agite le spectre du désespoir qui hante toujours la
mémoire des révoltes perdues. Ils misent sur la fatigue, ils comptent sur l’amer
«à quoi bon» pour renvoyer les insurgés à la niche. Nos ennemis se trompent
deux fois !
La solidité de l’État n’est que de surface. Son pouvoir de décision est factice, il est entre
les mains d’une puissance financière mondiale qui peu à peu se substitue à lui.
Beaucoup de citoyens français incriminent la Commission européenne et la
rendent responsable de leurs malheurs. On lui reproche d’imposer aux gouvernements
«démocratiquement élus» des restrictions budgétaires qui ruinent le secteur public, paupérisent,
tuent. C’est oublier que les instances européennes ne sont elles-mêmes
qu’un instrument des mafias financières internationales. Celles-ci sont notre
véritable ennemi, comme l’a révélé aux Chiliens l’assassin économique Milton
Friedman. Néanmoins, si redoutables qu’ils demeurent, les gestionnaires d’un
marché dont ils sont à la fois les maître et les esclaves, font montre de moins
en moins d’une puissance réelle et de plus en plus d’une puissance fictive, une autorité dont la mise en scène
est destinée à nous fasciner comme le serpent fascine sa proie. Mais nous avons
prouvé que nous n’étions plus des proies et que nous révoquions la prédation.
Eux, en revanche, se livrent à des guerres de commis-voyageurs. A la fois
proies et prédateurs, ils s‘épuisent en
rivalités concurrentielles et se déchirent pour un os où il ne restera
bientôt plus rien à ronger. Car l’État et les instances supranationales sont
guettés par l’effondrement inéluctable d’un système où l’argent tourne en rond,
ne reproduit plus que lui-même, n’est qu’une forme virtuelle appelée à se
dévorer elle-même en dévorant tout sur son passage.
Des dirigeants de plus en plus bêtes, des insurgées
et des insurgés de plus en plus intelligents. La faillite rentabilisée du système marchand ne
provoque pas seulement la destruction de la terre et de ses espèces, elle
entraîne une détérioration mentale qui d’année en année débilite les administrateurs
du délabrement universel. Ils ont été incapables d’empêcher qu’une formidable
vague insurrectionnelle brise l’assaut de leurs entreprises mortifères. Vous
vous interrogez sur l’effet de bascule du vieux monde dans le nouveau ? Il s’opère
lentement sous vos yeux. Chefs d’État et gouvernants sont gagnés par la
sénescence à mesure que leur nerf de la guerre se sclérose, alors que
l’insurrection populaire et la désobéissance civile attestent de jour en jour
une intelligence que l’ouverture à la vie ne cesse de stimuler.
Le haut pourrit, le bas revit. Les individus autonomes font montre d’une créativité
qui mène l’offensive sous deux angles d’approche. Tandis qu’analyses critiques,
recours juridiques, sabotages, harcèlements par le ridicule dénoncent au sommet
les escroqueries d’un Olympe d’opérette, à la base se multiplient et
s’amplifient des assemblées locales et régionales directement confrontées au
problème de la générosité humaine dans une société du calcul égoïste. Ce combat
à la fois pluriel et unitaire, nourrit la résolution des insurgés, leur
détermination de «ne rien lâcher». C’est là que la vie revendique sa priorité
absolue sur l’économie de profit.
Créer de nouvelles conditions d’existence est une
priorité. La ruine
de nos acquis sociaux et les ukases que le capitalisme et sa démocratie
totalitaire nous assènent donnent une idée du chaos où il a l’intention de nous
précipiter. Souvenons-nous de ce qui est arrivé à la Grèce. Bien que soutenu
par une majorité populaire qui le pressait de sortir de l’Union européenne, le
gouvernement grec de Tsipras a fait marche arrière, il a pris une décision
opposée à la volonté populaire. Il a cédé à un chantage ouvertement
déclaré : «si vous n’acceptez pas les mesures d’austérité que nous
préconisons, vous quitterez l’Europe, vous ne disposerez plus d’argent, vous
n’aurez plus de quoi payer les salaires, entretenir les écoles, les transports,
les hôpitaux. Après nous le déluge !» Tsipras a dû céder parce que rien ne
préparait la société grecque à éviter le cataclysme programmé. N’est-il pas
inquiétant que nous ne tirions pas les leçons de ce désastre annoncé ? Notre
énergie ne devrait-elle pas s’employer principalement à jeter les bases de microsociétés
capables de répondre aux défis du chaos et de l’absurdité dévastatrice dont
l’état du secteur hospitalier, alimentaire, énergétique nous donne un
avant-goût ?
Le plus grand danger qui nous menace c’est de
manquer d’audace.
C’est de ne pas faire confiance en nos propres capacités, de sous-estimer notre
inventivité. Attendre des solutions de l’État nous condamne à végéter dans sa
carcasse pourrissante. Comment oublier que la loi du profit, qui détermine
toutes les lois du système, consiste à reprendre d’une main ce qui a été donné
de l’autre. Dialoguer avec l’État, c’est entrer dans la gueule du monstre.
L’important
est moins de le percer de nos coups que de lui substituer un ensemble de microsociétés
humaines où la liberté de vivre s’emploie à expérimenter les richesses de sa
diversité et à harmoniser ses options contradictoires.
L’escroquerie du référendum. En France, les insurgées et les insurgés exigent
un Référendum d’initiative citoyenne (RIC). Le gouvernement ne veut pas en
entendre parler, si ce n’est sous la forme de ce qu’il appelle Referendum
d’initiative partagée (RIP) dont il aurait évidemment le contrôle. Dans le même
temps, le même gouvernement affiche son mépris des référendums en rejetant une
pétition de plus d’un million d’opposants à la vente de l’aéroport de Paris au
secteur privé. Au Chili, la même escroquerie se prépare. Le gouvernement
propose de remplacer la constituante de Pinochet en recourant à la farce
électorale et à ses manipulations traditionnelles. Le but ? Imposer par les
instances du haut une constitution qui servira à légaliser la main mise du
capitalisme sur les ressources du pays. Ne sommes-nous pas lassés d’assister
une fois encore à ce tour de prestidigitation qui, au nom du peuple, confère
les pleins pouvoirs au marché ? Comment entériner une constitution populaire
qui n’est pas, loin s’en faut, rédigée directement par le peuple, par des
assemblées de quartiers et de villages ?
La lutte pour la qualité de la vie se moque de la
dictature des chiffres, de la mesure, du nombre. Le chiffre est la mesure du pouvoir. Il règne par
la quantité parce qu’il règne sur des objets, sur un amas anonyme des
marchandises. Nous découvrons aujourd’hui une perspective inverse. La qualité
annule la dictature du nombre. La qualité de la vie se moque des comptes
budgétaires qui la réduisent à un élément de profit. La qualité est
l’authenticité vécue. C’est en tant que telle qu’elle peut marquer son intérêt
pour ce qui la concerne et son désintérêt pour les guerres concurrentielles que
les mafias mondialistes se livrent entre elles. Notre intérêt c’est de parer
aux retombées de ces guerres, dont celles et ceux d’en bas sont toujours les
victimes.
Sous
ses aspects les plus visibles, la guérilla pacifique mobilise des centaines de
milliers de partisans de la désobéissance civile. L’outre du mensonge
médiatique a beau assurer que les manifestants s’essoufflent, que leur nombre
diminue, ni la France, ni le Chili, ni le Liban, ni le Soudan, ni l’Algérie, ni
l’Iran ne cèdent sur le front des revendications. Ils ne se trompent pas
d’ennemi, leur volonté ne faiblit pas. L’adversaire est la machine du profit
qui broie la vie, le combat est celui de la vie qui refuse d’être broyée.
Le
phénomène gagne en profondeur, il affecte les modes de pensée et de
comportement. Un nombre croissant d’individus redécouvrent les joies de la
solidarité et prennent conscience que la réalité vécue n’a rien en commun avec
la réalité comptable, budgétaire, statistique concoctée dans ces hauts-lieux,
qui ne sont en fait que le cul-de-basse-fosse du marché.
Ni dirigeant ni représentant autoproclamés. Outre les chefs, les assemblées auto-organisées
excluent les appareils politiques et syndicaux et ceux qui seraient délégués
par eux. Les membres de ces assemblées sont prêts, en revanche à discuter à
titre personnel avec tous les individus, militants et non-militants, quelles
que soient leurs opinions religieuses et idéologiques. Ils estiment en effet
que la lutte sociale pour une société plus humaine et plus généreuse l’emporte
sur les représentations du monde que chaque personne édifie en raison de son
histoire particulière. Ils n’appellent pas à renoncer à des convictions
personnelles mais à les dépasser, c’est-à-dire à les resituer dans des
conditions qui permettront de les nier sous leur forme ancienne et de les
conserver sous leur forme nouvelle. Tolérance pour toutes les idées, intolérance
pour tout acte inhumain.
La Commune est le lieu de la vie retrouvée. C’est une agora de liberté où tous les avis ont l’avantage
de s’exprimer, d’être entendus et de se concrétiser sous forme de décisions
collectives. Pourquoi ? Parce qu’elle rassemble au départ un petit nombre
de gens qui se connaissent ou apprennent à se connaître. Ils ont le privilège
d’occuper un terrain qui leur est familier, où ils sont les mieux à même
d’intervenir en connaissance de cause. Ils ont l’avantage d’être dans une
proximité à laquelle la fédération des communes prête une distance critique,
une conscience affinée.
Chaque commune est la base d’une multitude
d’entités similaires.
Leur fédération formera un tissu social capable de supplanter un Etat qui ne
cesse de dégrader les conditions d’existence. C’est là, sur le terrain de notre
existence quotidienne, que notre créativité a le plus de chance de battre en
brèche l’impérialisme étatique et marchand. L’être humain a toujours plié sans
se rompre. C’en est fini de courber la nuque, c’en est fini de ce monde où,
comme se désolait Chamfort, le cœur n’a que le choix de se briser ou de se
bronzer.
Le combat de la Commune est celui de la générosité
humaine contre la dictature du profit. Nous n’allons pas tolérer que le capitalisme
mondial et le calcul égoïste pollue notre environnement et notre conscience
humaine. L’aide aux plus démunis relève des assemblées populaires non de la
froide juridiction étatique et de ses souteneurs xénophobes, racistes,
sexistes. L’élan de la solidarité porte à une irrépressible
et insolite sensation : la vie va si vite que nous n’avons plus le temps de mourir. L’insurrection est une
cure de santé.
La femme est à la pointe
du combat pour l’être humains. Là réside son unité. C’est une unité
revendicative qui menace la tradition machiste et les résurgences patriarcales.
Comment s’étonner que le pouvoir tente de la morceler en catégories afin de les
dresser les unes contre les autres et de « diviser pour régner ».
Traiter la femme comme une abstraction permet en effet de lui faire assumer des
rôles et des fonctions réservés jadis au patriarcat. Le sens humain n’est pas présent
avec la même intensité chez la policière, la tortionnaire, l’affairiste, la
militaire, la mafieuse, l’autocrate et chez l’insurgée qui lutte pour une égale
émancipation de l’homme et de la femme. Mais partout où le noyau d’humanité n’a
pas disparu tout à fait, pourquoi ne pas faire confiance à la vie pour venir à
bout de la carapace oppressive ?
La Commune est notre territoire, notre existence y
est légale. A
cette légalité naturelle, l’État a substitué une légalité que rien ne nous
oblige à reconnaître. N’est-il pas devenu caduc le contrat social par lequel il
s’engageait, en échange de prélèvements fiscaux, à nous garantir écoles,
hôpitaux, transports, moyens de subsistance ? A cela s’ajoutent les
mesures arbitraires attentatoires à la dignité humaine que son totalitarisme
démocratique multiplie. N’est-il pas, dès lors, évident que nous sommes dans la
légalité et qu’il est lui, de facto, dans une illégalité qui, du point
de vue de ses propres lois, nous autorise à le bannir ? Cependant, la structure
municipale qu’il a implantée est toujours en place. Elle fait du maire un
fonctionnaire soumis à son autorité. Pris en tenaille entre la représentation
de l’État et la représentation de la population locale, il navigue entre
l’honnêteté, la corruption, la modestie du porte-parole et l’arrogance de
l’édile intronisé. Comment les assemblées d’autogestion peuvent-elles, sans se
renier, coexister dans le cadre d’une organisation municipale inféodée à
l’État ? À chaque territoire en voie de
libération, ses propres formes de lutte.
Quelles relations avec la mairie traditionnelle? Nul n’ignore que l’expérience de la démocratie
directe marque une rupture avec les modes de scrutin
que le rituel électoral nous impose. A la différence du vote organisé par le
clientélisme politique, la Commune est l’émanation d'assemblées de proximité.
Les problèmes qu'elles abordent sont des problèmes concrets, qui se posent à la
population d'un village, d'un quartier urbain, de la région environnante où
leur fédération prête une vision globale, mondiale, à des décisions prises
localement. Elles sont issues d'un milieu où chacun est concerné et sait de
quoi il parle. Elles concrétisent une pratique de vie, non une pratique de
l’idéologie. La mairie est une antenne, elle est moins à l’écoute des citoyens
que de l’État qui les gouverne. Or, pour nous, la Commune est un monde appelé à
éradiquer la mondialisation du profit.
Le tambour de l’unité résonne partout. Quelle
unité ? Appeler à l’unité et à la convergence des
luttes, c’est prendre les choses à rebours. Les déclarations abstraites, si généreuses
qu’elles se veuillent, sont des leurres. Elles empruntent le vieux chemin des bonnes
intentions. L’espérance n’en finit pas de trébucher de triomphalisme en
défaitisme. Allons-nous une fois de plus nous enrôler dans ces fronts censés mobiliser l’énergie de tous et
de toutes contre ce qui se borne à porter un des masques de l’oppression
globale ? Lors de la révolution espagnole, Berneri avait lancé cette mise en
garde : « Seule la lutte anticapitaliste peut s’opposer au fascisme. Le piège de l’antifascisme signifie
l’abandon des principes de révolution sociale ». Et il ajoute : « La
révolution doit être gagnée sur le terrain
social et non sur le terrain militaire ». A quoi tient la force poétique des
Gilets jaunes et des assemblées auto-organisées ? Au fait qu’ils mettent au
premier plan des problèmes économiques, sociaux, psychologiques auxquels
personne n’échappe en ces temps de mutation (permaculture, interdiction des
pesticides, blocage des circuits marchands, éradication des nuisances
pétrochimiques et nucléaires, exploration énergétique, revivification du tissu
rural et urbain, rupture avec le fétichisme de l’argent, reconstruction de
l’enseignement, guérilla menée selon le principe « Ne jamais détruire un homme
et ne jamais cesser de détruire ce qui le déshumanise »).
La véritable unité, c’est le combat
pour le mieux vivre.
La désobéissance civile
est un droit imprescriptible partout où règne le droit d'opprimer.
La rédaction d’une charte issue des Communes et de leurs assemblées pourrait en
garantir le principe et donner ses assises à la légalité d’une démocratie que
sa poésie pratique affranchisse à jamais de l’emprise étatique et marchande. A
bas la république des affaires ! Vive la république du sens humain !