Lorenzo de Medici, Trionfo di Bacco e Arianna, 1490.
Tra il marzo e
il maggio 2020, la società planetaria ha subito una svolta unica e decisiva
nella storia dell’umanità. Fino a ieri tutto un sistema immondo di manipolazione delle coscienze era
riuscito a rimuovere la minima precauzione sensata sui veri problemi del mondo nonostante
gli espliciti segnali d’allarme provenienti dalla natura.
Pur
tardivamente accertata, l’apparizione di un microscopico coronavirus ha messo a
nudo uno sconvolgimento delle vite degli esseri umani del pianeta terra già in
corso da tempo, ma deliberatamente disinnescato dalla ferrea propaganda diffusa
dalla casta oligarchica dei profittatori al potere e dai loro servi mercenari.
Campagne
ecologiche spettacolarmente pressanti quanto sterili e “tira a campare” hanno
continuato a banalizzare i rischi più che imminenti di apocalittiche catastrofi
climatiche. Questi allarmi ambigui e contraddittori si sono aggiunti ai pericoli
già in corso (da Chernobyl a Fukushima, per non citare che le catastrofi maggiori)
dovuti a un uso incosciente ma redditizio nell’immediato dell’energia nucleare,
dei pesticidi in agricoltura, degli antibiotici nell’allevamento e altre
nocività comunemente usate dall’industria del business.
I business dell’industria e di una tecnologia sempre
più digitale, hanno contribuito mano nella mano, anzi mani sulla tastiera del
computer o del telefono, all’aumento delle patologie cancerogene, cardiache e altre
quisquilie per un’umanità in marcia verso la catastrofe facendosi dei selfies
sull’orlo dell’abisso e comunicandosi per mail e social network le sue
inquietudini impotenti e le sue rabbie esibizioniste.
Ora, invece,
di colpo, quasi quattro miliardi d’individui[1]
hanno visto crollare le loro abitudini, la loro già fittizia autonomia, i loro
movimenti obbligati di sopravvivenza consumistica, nel nome di una sicurezza
sanitaria giudicata improvvisamente in grave pericolo.
Oltre ogni
ragionevole dubbio, è chiaro che nel suo procedere inarrestabile, la natura,
aggredita e sollecitata dall’artificializzazione progressiva della società
umana, ha oggettivamente operato un subitaneo lavoro pedagogico di risanamento
delle superstizioni dominanti, obbligando una specie ormai abituata allo
spettacolo di una vita assente a un brusco risveglio di fronte all’urgenza
imposta dalla realtà.
Tutto il
sistema planetario di una società ormai globale, produttivista da millenni e
capitalista da secoli, ha mostrato il suo deretano tragicamente umano ma
ridicolmente nudo ai cyborg trans umanisti in cerca di una vita eterna pagabile
a rate mensili.
Tutto il
meccanismo folle del produttivismo capitalista ha dovuto modificare
drasticamente e subitaneamente il suo funzionamento abituale nell’esercizio
collettivo della sopravvivenza della specie a fini di lucro. Una vera e propria
distopia pratica ha preso il posto dell’ideologia dominante fondata sul mito
della democrazia parlamentare osannata da tutti – dittatori, affaristi,
lobbisti e servitori volontari –, tranne da chi vorrebbe una democrazia vera,
diretta e autogestita dalla comunità reale degli esseri umani.
Oppressi da un
potere che si pretende benefico mentre succhia loro il sangue, gli sfruttati
educati a restarlo, sono pur tuttavia sempre in cerca di un senso da dare alla
loro voglia crescente di rivoltarsi contro il totalitarismo allegramente in
marcia. Un potere sempre più aggressivo e invadente si estende, infatti, con
l’ausilio prezioso di una tecnologia invasiva e ormai capace d’integrarsi fin
nel corpo psicofisico individuale dei suoi sempre più liberi schiavi.
Che il potere
sia in marcia, del resto, lo annuncia esso stesso, cinico e senza scrupoli, ma
cieco e variabile per necessità o per capriccio. Lo spettacolo dominante marcia
ora con il passo dell’oca grottesco di dittature cibernetiche già
oggettivamente trans umaniste come la Cina, ora con il ritmo blando ma
insinuante, subdolo e talvolta delirante dei prodotti adulterati di una
democrazia formale sempre più artificiale e corrotta. Il parlamentarismo è,
infatti, servito in tutto il vasto mondo sedicente “occidentale” dal
laboratorio politico di una propaganda capillare, mediatizzata e digitalizzata.
Corsi e
ricorsi storici si susseguono in una storia confiscata dai dominanti ma vissuta
anche dalla coscienza infelice dei dominati. È in questo contesto che il virus
dal nome evocatore dei tempi andati delle monarchie trionfanti, non si è
fermato a Wuhan e neppure a Eboli, ma si è diffuso in Lombardia e poi nel mondo
senza trovare ostacoli.
L’Italia è
stata, dunque, il primo paese gravemente colpito dalla pandemia dopo la Cina. Cosi,
in una strana rimembranza delle teorie del Vico, quel confino che il fascismo
mussoliniano aveva inventato al suo nascere per controllare e vessare gli
antifascisti precoci degli albori del ventennio a venire, è stato riesumato
come un’arma di difesa contro la propagazione del coronavirus; quest’ombrello
protettore d’occasione è diventato una necessità diffusa sulla scala del
pianeta in mancanza di respiratori, di reagenti per i test e di maschere di
protezione, materiale prezioso colpevolmente carente per l’imperizia sparagnina
degli Stati[2].
Dal confino di
ieri al confinamento di oggi, si è passati dal sopruso subito al ricatto
imposto da una realtà sfuggita al controllo non dei deboli – che per condizione
non controllano mai nulla –, ma dei potenti, forti nello sfruttare e manipolare
i loro simili, ma impotenti di fronte ai diktat della natura quando essa
reagisce spontaneamente alle punture di spillo inferte alla sua epidermide
robusta dall’hybris degli umanoidi produttivisti.
Eppure i virus
e le epidemie vengono da lontano e gli uomini sono stati confrontati al
pericolo in questione fin da quando la civiltà mercantile l’ha introdotto come
una costante nel rapporto tra l’uomo e la natura.
La diffusione
delle malattie virali è stata, infatti, una delle conseguenze deleterie
dell’addomesticamento progressivo e indiscriminato delle specie animali da
parte dell’uomo. Questo processo ha caratterizzato il passaggio dalle prime
società di popoli raccoglitori nomadi ai molto più stanziali agricoltori che
hanno integrato nel loro quotidiano la pericolosa promiscuità interspecifica
legata all’addomesticamento e all’allevamento sedentario di diverse specie
animali a uso e consumo degli esseri umani. Il prezzo di questo mutamento è stato
l’introduzione d’innumerevoli patologie (morbillo, scarlattina, varicella per
citarne alcune ben note) inesistenti
ai tempi in cui gli esseri umani mantenevano una netta distanza dagli animali
che procuravano loro cibo e altri preziosi beni di consumo.
Nei quattro
millenni cruciali (dal nono al quinto prima dell’era cosiddetta cristiana)
trascorsi tra la scoperta dell’agricoltura e il suo trasformarsi in attività
produttivista (cioè in lavoro per i più e in arricchimento per pochi altri), le
popolazioni di raccoglitori delle società organiche[3],
pur praticando già moderatamente la pastorizia e altri tipi di sfruttamento
animale, si sono volontariamente limitati a un’agricoltura di sostentamento
capace di garantire l’autonomia di una comunità dai capricci aleatori della
natura senza faticare troppo, né aumentare il tempo dedicato alla soddisfazione
dei bisogni necessari alla vita.
Sembra,
infatti, che le attività necessarie, faticose o piacevoli, non eccedessero le
due, tre ore quotidiane di quella preistorica epoca di abbondanza e di tempo
parzialmente libero[4]
che ha preceduto l’epoca storica,
così pomposamente chiamata dai dominanti e dalla loro cultura del potere.
Questi popoli, organicamente sintonici con la natura di cui erano e si
sentivano parte, sono stati catalogati come barbari e selvaggi dai civilizzati
allorché erano molto attenti ed evoluti nella ricerca di armonia vitale e nel
mantenimento di una distanza che potremmo oggi chiamare di sicurezza tra le
diverse specie in contatto. Si garantivano, come meglio potevano, un impiego
del tempo piacevole pur in una natura primitiva in cui, certo, i pericoli erano
svariati e sempre presenti.
Sia ben
chiaro, del resto, che questa mia descrizione non intende accarezzare alcuna
simpatia primitivista ma solo esplicitare una robusta diffidenza verso la
demente modernizzazione industriale della tecnica, sfuggita al controllo dei
suoi inventori umani a vantaggio di una minoranza di sfruttatori beceri e
pestiferi.
Per capire lo
sviluppo successivo della storia umana, è fondamentale registrare la lunga
resistenza generalizzata e spontanea dei popoli raccoglitori delle società
organiche preistoriche alla trasformazione dell’agricoltura in una macchina
essenzialmente manovrata dall’economia; processo che avrebbe dato vita, qualche
millennio più tardi, all’alienazione redditizia e invadente dell’economia
politica.
Per dirla
tutta, il problema non è affatto l’agricoltura, ma l’uso snaturante che ne è
stato fatto dall’ideologia produttivista, distruttrice della relazione organica
tra la specie umana e la natura, tra gli uomini fra loro e tra i due generi
biologici che godono insieme della dimensione orgastica del vivente,
volgarmente chiamata amore.
Per quattro
lunghi millenni, pur potendolo, gli esseri umani hanno rifiutato di adeguarsi
alle esigenze di un produttivismo reso possibile dall’addomesticamento dei
cereali accumulabili senza problemi di deterioramento; prerogativa che ha reso
possibile, per la prima volta nella storia, « fare del grano »[5],
inventando, cioè, la ricchezza economica e la società gerarchica che ne ha diretto
lo sfruttamento fino ai nostri giorni.
L’umanità non
è mai stata totalmente nomade, ma ha sempre mescolato la tendenza spontanea a
un movimento sociale incessante – in funzione della soddisfazione dei bisogni e
dei desideri degli individui della comunità di appartenenza – con delle
sedentarietà relative, soprattutto dopo la scoperta dell’agricoltura che ha
rivoluzionato le società organiche primitive quasi quanto l’utilizzazione del
fuoco, quattrocentomila anni prima, aveva cambiato la vita dei primati che
fummo . Grazie all’agricoltura, infatti, è diventata possibile una sedentarietà
più godibile pur senza intaccare, per millenni, lo spirito libero e vitale teso
all’esplorazione psicogeografica dei godimenti della vita.
Un tale
godimento spontaneo e prolungato del presente vissuto è stato, del resto,
testimoniato in tutte le epoche da molte celebrazioni famose: basti citare il carpe diem di Orazio che ha anticipato di un millennio e mezzo
l’elogio del presente declamato poeticamente da Lorenzo il magnifico alla fine
del medioevo, poi il progetto emancipatore di un ben più recente Fourier;
tuttavia, tutti i commoventi promotori di un diritto alla pigrizia rivendicato da Paul Lafargue, hanno intinto
le loro radici storiche nell’attività orgastica che una nutrita schiera di
esseri umani non contaminati dall’irruzione
della morale sessuale[6],
ha sempre privilegiato naturalmente, a partire da una centralità femminile
acratica garante della libertà di tutti.
La corazza
caratteriale sessuofobica – e dunque inevitabilmente sessuomaniaca per
compensazione della frustrazione subita – costituitasi in seguito all’irruzione
della morale in questione, ha prodotto una peste emozionale particolarmente
violenta, sfruttatrice e sopraffattrice, da parte di diversi gruppi
patriarcali, conquistatori, schiavisti e maschilisti.
Una serie
d’invasioni da parte dei Kurgan[7],
registrate da Marija Gimbutas nella preistoria più recente, hanno avuto
progressivamente ragione nell’Europa antica di una pacifica civiltà gilanica[8]
legata al periodo ben più felice delle società organiche matricentriche.
Logicamente su
tutto ciò è stato fatto un assordante silenzio accompagnato e sostenuto dalle
ideologie religiose in generale e dai monoteismi patriarcali in particolare.
Questa vera e propria omertà è cominciata dalla fondazione delle prime
città-Stato (la cui data coincide, del resto, con quella delle invasioni
Kurgan) e dall’affermarsi della sintesi di tutto questo : un produttivismo
mercantile fondato su uno schiavismo patriarcale sistematico e sul diffondersi
del suo bellicismo guerriero in una società divisa da un’endemica lotta di
classe e di genere, fino alla sua fase terminale attuale – il capitalismo.
È sulla scia
lontana di questo processo metastorico reso volutamente invisibile e dagli
effetti disastrosi, che il coronavirus ha fatto oggi la sua apparizione, come
un capello su una zuppa già seriamente adulterata, obbligando l’umanità intera
a interrogarsi sul suo presente fino a coinvolgere il proprio passato rimosso
per riaprire la chance di un futuro possibile.
La questione
particolare riguardante il coronavirus funziona infatti da lente d’ingrandimento
sulla questione maggiore e atavica di una peste emozionale economicista che sta
ormai distruggendo le basi stesse della vita, attaccando una biodiversità da
cui dipendono i mammiferi umani quanto la maggior parte delle altre specie
animali e vegetali.
Il panico che
ha guidato gli Stati, i politici e gli scienziati collusi nella gestione della
crisi del coronavirus, ha mostrato chiaramente quanto gli uomini di potere
siano inaffidabili, portatori di un’irresponsabilità sociale maggiore che mette
in discussione l’intera civiltà che li ha generati.
Al contrario, emerge
con una limpidezza commovente che i semplici esseri umani si aiutano
reciprocamente come possono, ma generosamente, solidali di fronte alla
difficoltà. Ecco perché, se l’umanità vuole salvarsi, deve
decidersi a elaborare una coscienza di specie antigerarchica che inglobi
l’antica coscienza di classe sconfitta per abbattere il Leviatano che la sta
distruggendo.
Quest’obiettivo generale è inseparabile
dal problema particolare del
coronavirus perché in ogni situazione il comportamento del potere è sempre
oggettivamente irrazionale e antisociale. Quel che è accaduto è destinato a
continuare, se non si rovescia la prospettiva sociale della specie umana, perché
è molto peggio dell’arzigogolato complotto ordito dai cattivi, egoisti e
diabolici: è, tragicamente, il frutto dell’incapacità strutturale della civiltà
produttivista di operare dal punto di vista della vita organica.
Risulta ormai semplicemente
e drammaticamente evidente per tutti che la pratica del confinamento è un
errore da evitare nella gestione di un’epidemia, salvo se il comportamento
irresponsabile del potere economico ha messo molte popolazioni nella condizione
di non avere altra scelta.
Storicamente,
infatti, il confinamento delle popolazioni è stato una prassi frequente quando
gli esseri umani mancavano di mezzi e della conoscenza scientifica delle cause
delle diverse pandemie che hanno accompagnato lo sviluppo delle società umane
produttiviste. Oggi non si pretende più di combattere la peste usando gli
escrementi dei topi, ma l’ignoranza di un tempo è stata sostituita dalla
speculazione del JIT (Just In Time),
metodo industriale di risparmio calcolato delle scorte che ha messo un gran
numero di Stati-nazione capitalisti nell’incapacità di proteggere minimamente
con le maschere[9]
la popolazione, così come di testare e curare al meglio un numero importante di
casi gravi[10].
Il
confinamento si è imposto in questa situazione dovuta all’imperizia cinica e
ottusa del potere dell’economia politica e solo l’intelligenza e la sensibilità
collettiva dei popoli hanno autogestito la situazione nel migliore dei modi
possibili. Restando, cioè, vigilanti altrettanto sui rischi d’infezione che sul
loro uso come alibi per una definitiva robotizzazione dell’umano in un sistema
sociale orwelliano. La riflessione sul tema è stata abbondante quanto
l’impossibilità di muoversi liberamente. Ora si avvicina inderogabilmente il
momento di scelte sociali radicali per il bene di tutti e della specie intera.
Sergio Ghirardi, 28 maggio
2020
[1]
Tuttavia,
che ne è stato nel frattempo dei quasi altrettanti quattro miliardi di persone
dichiarate estranee a questo tsunami sociale? Mica vivono sulla Luna e nemmeno
ancora su Marte!
[2] A parte i deliranti patologici
come Trump e Bolsonaro, i pochi paesi scampati al confinamento perché in grado
di opporre al virus un controllo medico e mezzi di protezione più efficaci,
hanno ottenuto buoni risultati nella profilassi.
[3] In accordo con M. Bookchin, chiamo
organiche le società umane caratterizzate da un accordo armonico con la natura
che il produttivismo ha distrutto.
[4] Vedi in proposito Marshall Sahlins, L'economia dell'età
della pietra. Scarsità e abbondanza nelle società primitive, (1972),
Bompiani, Milano 1980.
[5] Secondo i luoghi e le condizioni climatiche, anche orzo, sorgo, mais o
altri cereali e poi riso, una volta messa a punto la sua cultura per irrigazione.
[6] W. Reich, L’irruzione della morale sessuale coercitiva, (1951), Sugar, Milano
1972. Vissuto dal vivo, nel secolo
scorso, da Malinowski nelle sue prolungate esplorazioni antropologiche nelle
isole Trobriand, il passaggio traumatico da una società matricentrica al
patriarcato ha evidenziato un tornante decisivo nello sviluppo della nevrosi
sociale, dimostratasi ben peggio del “disagio della civiltà” diagnosticato da
Freud.
[7]
Marija Gimbutas, Kurgan – Le origini
della cultura europea, Medusa, Milano 2010, ha
chiamato Kurgan (dalla forma a tumulo delle loro sepolture) le
popolazioni originarie delle steppe pontico caspiche del sud della Russia
(dall’estuario del Danubio fino ai monti Urali all’est e fino al Caucaso
settentrionale a sud). Avvezzi a domare i cavalli, attività che sviluppa un
autoritarismo feroce, i Kurgan hanno investito in fasi
successive i territori dell’Europa antica matricentrica dal 4200 AC.
[8] Secondo Gimbutas, le comunità
gilaniche (delle donne libere, dal greco gyné donna + lyein/lyo
liberare) furono aggredite e vinte dalle società patriste (devote alla legge
del padre, dunque del maschio dominante) dei Kurgan.
[9] Fino a diffondere una criminale
menzogna sulla loro presunta inutilità!
[10] Per carenza di materiale si è
arrivati alla straziante necessità di scegliere chi intubare e chi lasciare
morire tra due malati gravi!
Décaméron final - le souvenir des origines
pour l’invention d’un autre
présent
« Combien belle est la jeunesse, elle ne cesse de fuir ! Qu'à son
gré chacun soit en liesse : rien n'est moins sûr que demain ».
Laurent de Médicis, Trionfo di Bacco e Arianna,
1490.
Entre mars et mai 2020, la société planétaire a subi un détournement unique
et décisif dans l’histoire de l’humanité. Jusqu’à hier tout un système immonde
de manipulation des consciences avait réussi le refoulement de la moindre réflexion
sensée concernant les vrais problèmes du monde, malgré les signaux d’alarme
explicites venant de la nature.
Même si confirmée tardivement, l’apparition d’un microscopique coronavirus
a mis à nus un bouleversement des vies des êtres humains de la planète terre déjà
agissant depuis un moment, mais délibérément désamorcé par la propagande opiniâtre
répandue par la caste oligarchique des profiteurs au pouvoir et par leurs
serviteurs mercenaires.
Campagnes écologistes spectaculairement pressantes mais stériles et sans
débouchées concrètes ont continué à banaliser les risques plus qu’imminents de
catastrophes climatiques apocalyptiques. Ces alarmes ambigus et contradictoires
se sont ajoutés aux dangers déjà en cours (de Tchernobyl à Fukushima, pour ne citer
que les catastrophes majeures), dus à une utilisation inconsciente mais
rentable à court terme de l’énergie nucléaire, des pesticides dans
l’agriculture, des antibiotiques dans l’élevage et autres nuisances couramment
utilisés par l’industrie du business.
Les business de l’industrie et d’une technologie de plus en plus digitale,
ont contribué, main dans la main, ou plutôt mains sur le clavier de
l’ordinateur ou du telephone, à l’augmentation des pathologies cancérigènes,
cardiaques et autres bagatelles pour une humanité en marche vers la catastrophe
en se faisant des selfies au bord du gouffre et communiquant par mail et par réseaux
sociaux ses inquiétudes impuissantes et ses rages exhibitionnistes.
Maintenant, en revanche, d’un coup, presque quatre milliards d’individus[1] ont vu
s’écrouler leurs habitudes, leur déjà fictive autonomie, leurs mouvements
obligés de survie consumériste, au nom d’une sécurité sanitaire jugée
soudainement en grave danger.
Hors de tout doute raisonnable, c’est clair que dans son mouvement
inarrêtable, la nature, agressée et sollicitée par l’artificialisation
progressive de la société humaine, a objectivement mis en œuvre un soudain
travail pédagogique d’assainissement des superstitions dominantes, en obligeant
une espèce désormais habituée au spectacle d’une vie absente à un brusque
réveil face à l’urgence imposée par la réalité.
Tout le système planétaire d’une société désormais globale, productiviste
depuis des millénaires et capitaliste depuis des siècles, a montré ses fesses
tragiquement humaines mais ridiculement nues aux cyborgs trans humanistes en
quête d’une vie éternelle payable à tempérament.
Tout le mécanisme fou du productivisme capitaliste a du modifier
drastiquement et soudainement son fonctionnement habituel dans l’exercice
collectif de la survie de l’espèce à but lucratif. Une véritable dystopie
pratique a pris la place de l’idéologie dominante fondée sur le mythe de la
démocratie parlementaire saluée par tous – dictateurs, affairistes, lobbyistes
et serviteurs volontaires –, sauf par ceux qui voudraient une vraie démocratie,
directe et autogérée par la communauté réelle des êtres humains.
Opprimés par un pouvoir qui se prétend bienfaisant alors qu’il suce leur
sang, les exploités éduques à le rester, sont pourtant toujours en quête d’un
sens à donner à leur envie croissante de se révolter contre le totalitarisme
joyeusement en marche. Un pouvoir toujours plus agressif et envahissant
s’étale, en fait, avec l’aide précieux d’une technologie invasive et désormais
capable d’intégrer même le corps psychophysique individuel de ses esclaves de
plus en plus libres.
Que le pouvoir soit en marche, d’ailleurs, c’est annoncé par lui-même,
cynique et sans scrupules, mais aveugle et changeant par nécessité ou par
caprice. Le spectacle dominant marche une fois avec le grotesque pas de l’oie
des dictatures cybernétiques déjà objectivement trans humanistes comme la
Chine, une autre avec le rythme fade mais insinuant, sournois et parfois
délirant des produits frelatés d’une démocratie formelle toujours plus
artificielle et corrompue. Le parlementarisme est, en fait, servi partout dans
le vaste monde soi-disant « occidental » par le laboratoire politique
d’une propagande capillaire, médiatisée et digitalisée.
Cours et recours historiques se succèdent dans une histoire confisquée par
les dominants mais vécue aussi par la conscience malheureuse des dominés. C’est
dans ce contexte que le virus au nom évocateur du vieux temps des monarchies
triomphantes, ne s’est pas arrêté à Wuhan ni à Eboli, mais il s’est répandu en
Lombardie, puis dans le monde sans trouver d’obstacles.
L’Italie a été, donc, le premier pays lourdement frappé par la pandémie
après la Chine. Ainsi, par un étrange rappel aux théories de Vico, ce
« confino » que le fascisme mussolinien avait inventé à ses débuts
pour contrôler et réprimer les antifascistes précoces du début du
« ventennio » à venir, a été exhumé comme une arme de défense contre
la propagation du coronavirus ; ce parapluie protecteur d’occasion est devenu
une nécessité répandue à l’échelle de la planète à cause du manque des
respirateurs, des réactifs pour les tests et de masques de protection, matériel
précieux dont le défaut coupable est du au disfonctionnement grippe-sou des
Etats[2]
Du « confino » de hier au confinement d’aujourd’hui, on est passé
de l’abus subi au chantage imposé par une réalité échappée au contrôle, non pas
des faibles – qui par leur condition ne contrôlent jamais rien –, mais des
puissants, forts dans l’exploitation et la manipulation de leurs semblables,
mais impuissants face aux diktats de la nature quand elle réagit spontanément
aux égratignures infligées à sa peau solide par l’hybris des humanoïdes
productivistes.
Et pourtant, les virus et les épidémies viennent de loin et les hommes ont
été confrontés au péril en question depuis que la civilisation marchande l’a
introduit comme une constante dans la relation entre l’homme et la nature.
La diffusion des maladies virales a été, en fait, une des conséquences
délétères de la domestication progressive et indiscriminée des espèces animales
de la part des humains. Ce processus a marqué le passage des premières sociétés
nomades de peuples de la cueillette aux agriculteurs beaucoup plus sédentaires
qui ont intégré dans leur quotidien la dangereuse promiscuité interspécifique
liée à la domestication et à l’élevage sédentaire de multiples espèces animales
pour l’utilisation et la consommation des humains. Le prix de cette mutation a
été l’introduction d’innombrables pathologies (rougeole, scarlatine, varicelle,
pour citer les plus connues) inexistantes à l’époque où les êtres humains
gardaient une nette distance des animaux qui leur procuraient de la nourriture
et d’autres précieux biens de consommation.
Pendant les quatre millénaires cruciaux (du neuvième au cinquième avant
l’ère soi-disant chrétienne) passés entre la découverte de l’agriculture et sa
transformation en une activité productiviste (c'est-à-dire en travail pour un
grand nombre et en enrichissement pour quelqu’un), les peuples cueilleurs des
sociétés organiques[3],
tout en pratiquant déjà modérément l’élevage et d’autres formes d’exploitation
animale, ont volontairement limité l’agriculture à une activité de subsistance
capable de garantir l’autonomie d’une communauté des caprices aléatoires de la
nature sans trop se fatiguer, ni augmenter le temps dédié à la satisfaction des
besoins nécessaires à la vie.
Car il semble que les activités nécessaires, pénibles ou agréables, ne
dépassaient pas les deux, trois heures quotidiennes pendant cette époque
préhistorique d’abondance et de temps partiellement libre[4] qui
précéda l’époque historique, ainsi
pompeusement appelée par les dominants et leur culture du pouvoir. Ces peuples
primaires, organiquement en syntonie avec la nature dont ils étaient et se
sentaient partie, ont été catalogués comme barbares et sauvages par les
civilisés, alors qu’ils étaient très attentifs et évolués dans la recherche
d’une harmonie vitale et dans le maintien d’une distance qu’on pourrait aujourd’hui
appeler de sécurité entre les differentes espèces en contact. Ils se
garantissaient, le mieux possible, un emploi du temps agréable même dans une
nature primitive où, certainement, les dangers étaient multiples et toujours
présents.
Qu’il soit clair, d’ailleurs, que ma description n’a pas du tout
l’intention de cajoler la moindre sympathie primitiviste, mais rendre explicite
une forte méfiance envers la démentielle modernisation industrielle de la
technique, échappée au contrôle de ses concepteurs humains à l’avantage d’une
minorité d’exploiteurs grossiers et pestifères.
Pour comprendre le développement successif de l’histoire humaine, il est
fondamental d’enregistrer la longue résistance généralisée et spontanée des
peuples cueilleurs des sociétés organiques de la préhistoire envers la
transformation de l’agriculture en une machine essentiellement manœuvrée par
l’économie ; processus qui a donné vie, quelques millénaires après, à
l’aliénation rentable et envahissante de l’économie politique.
Pour tout dire, le problème n’est pas du tout l’agriculture, mais son
utilisation dénaturante par l’idéologie productiviste, destructrice de la
relation organique entre l’espèce
humaine et la nature, entre les hommes et leurs semblables et entre les deux
genres biologiques qui jouissent ensemble de la dimension orgastique du vivant,
vulgairement appelée amour.
Pendant quatre longs millénaires, tout en étant
capables de le faire, les êtres humains ont refusé de s’adapter aux exigences
d’un productivisme devenu possible par la domestication des céréales stockables
sans problemes de détérioration ; prérogative qui a rendu possible, pour
la première fois dans l’histoire, « faire du blé »[5],
en inventant ainsi la richesse économique et la société hiérarchique qui a dirigé
son exploitation jusqu’à aujourd’hui.
L’humanité n’a jamais été complétement nomade,
mais elle a toujours mélangé sa tendance spontanée à un mouvement social
incessant – en fonction de la satisfaction des besoins et des désirs des
individus de la communauté d’appartenance – avec des sédentarités relatives,
surtout après la découverte de l’agriculture qui a révolutionné les sociétés
organiques primitives presque autant que l’utilisation du feu, quatre cent
mille années auparavant, avait changé la vie des primates que nous fumes. Grace
à l’agriculture, en fait, une sédentarité plus jouissive est devenue possible,
sans entacher, pendant des millénaires, l’esprit libre et vital tendant à
l’exploration psychogeographique des jouissances de la vie.
Une telle jouissance spontanée et prolongée du
présent vécu a été, d’ailleurs, témoignée, dans toutes les époques, par
plusieurs célébrations fameuses : ça suffit de citer le Carpe diem de Horace qui a anticipé d’un
millénaire et demi l’éloge du présent déclamé poétiquement par Laurent de Médicis à la fin du Moyen-âge, puis le
projet émancipateur d’un bien plus récent Fourier ; néanmoins, tous les
émouvants promoteurs d’un droit à la paresse
revendiqué par Paul Lafargue, ont puisé leurs racines historiques dans
l’activité orgastique qu’une foule d’êtres humains non contaminés par l’irruption de la morale sexuelle[6] a toujours privilégié naturellement, à
partir d’une centralité féminine acratique garant de la liberté de tous.
La
cuirasse caractérielle sexophobique – donc inéluctablement sexo maniaque par
compensation de la frustration subie – constituée à la suite de l’irruption de
la morale en question, a produit une peste émotionnelle particulièrement
violente, exploiteuse et oppressant, de la part de plusieurs groupes
patriarcaux, conquéreurs, esclavagistes et machistes.
Une
série d’invasions de la part des Kurgan[7],
enregistrées par Marija Gimbutas dans la préhistoire la plus récente, ont eu
progressivement le dessus, dans l’Europe ancienne, d’une pacifique civilisation
gylanique[8]
liée à la période bien plus heureuse des sociétés organiques matri centriques.
Logiquement un silence assourdissant est tombé sur toute cette question,
accompagné et soutenu par les idéologies religieuses en général et par les
monothéismes patriarcaux en particulier. Cette véritable « omertà » a
commencé par la fondation des premières Cités-Etat (dont la date coïncide,
d’ailleurs avec celle des invasions Kurgan) et par l’affirmation de la synthèse
de cela : un productivisme marchand fondé sur un esclavage patriarcal
systématique et sur la diffusion de son bellicisme guerrier dans une société
divisée par une endémique lutte des classes et des genres, jusqu’à sa phase
terminale actuelle – le capitalisme.
C’est dans le sillon lointain de ce processus métahistorique rendu
volontairement invisible et aux conséquences désastreuses, que le coronavirus a
fait aujourd’hui son apparition, comme un cheveu dans une soupe déjà
abondamment frelatée, en obligeant l’humanité entière à s’interroger sur son
présent jusqu’à concerner son propre passé refoulé afin de relancer la chance
d’un futur possible.
La question particulière concernant le coronavirus fonctionne, en fait,
comme une loupe sur la question majeure et atavique d’une peste émotionnelle
économiste qui est en train de détruire les bases mêmes de la vie, en attaquant
une biodiversité dont dépendent les mammifères humains autant que la majorité
des autres espèces animales et végétales.
La panique qui a guidé les Etats, les politiciens et les scientifiques
complices dans la gestion de la crise du coronavirus, a montré clairement
combien les hommes du pouvoir ne sont pas fiables, porteurs d’une
irresponsabilité sociale majeure qui met en discussion toute la civilisation
qui les a générés.
En revanche, émerge avec une limpidité émouvante que les simples êtres
humains s’entraident réciproquement comme ils peuvent, mais généreusement,
solidaires face à la difficulté. Voila pourquoi, si l’humanité veut se sauver,
elle doit se décider à élaborer une conscience d’espèce antihiérarchique
incluant l’ancienne conscience de classe vaincue pour abattre le Léviathan qui
est en train de la détruire.
Ce but général est inséparable du problème particulier du coronavirus parce
qu’en toute situation le comportement du pouvoir est toujours objectivement
irrationnel et antisocial. Ce qui s’est passé est destiné à continuer, si on ne
renverse pas la perspective sociale de l’espèce humaine, car c’est bien pire d’un
alambiqué complot tramé par les méchants, égoïstes et diaboliques : il
est, tragiquement, le fruit de l’incapacité structurelle de la civilisation
productiviste à œuvrer du point de vue de la vie organique.
C’est désormais simplement et dramatiquement évident pour tous que la pratique
du confinement est une erreur à éviter dans la gestion d’une épidémie, sauf si
le comportement irresponsable du pouvoir économique a mis des populations
entières dans la situation de n’avoir pas le choix.
Historiquement, en fait, le confinement des populations a été une pratique
répandue quand les êtres humains manquaient des moyens et de la connaissance
scientifique des causes des pandémies diverses qui ont accompagné le
développement des sociétés humaines productivistes. Aujourd’hui on ne prétend
plus de lutter contre la peste en utilisant les excréments des rats, mais
l’ignorance d’antan s’est recyclée dans la spéculation du flux tendu (JIT, Just in Time), méthode industrielle
d’épargne calculé des escortes qui a mis un grand nombre d’Etats-Nation capitalistes
dans l’incapacité de protéger un minimum par les masques[9] la
population, ainsi que de tester et soigner au mieux un nombre important de cas
graves[10].
Le confinement s’est imposé dans cette situation due à la faillite cynique
et obtuse du pouvoir de l’économie politique et seules l’intelligence et la
sensibilité collective des peuples ont autogéré la situation dans le meilleur
des modes possibles. C'est-à-dire, en restant vigilants autant aux risques
d’infection qu’à leur utilisation comme un alibi pour une définitive
robotisation de l’humain par un système social orwellien. La réflexion sur le
thème a été abondante autant que l’impossibilité de bouger librement.
Maintenant s’approche, obligatoirement, le moment des choix sociaux radicaux pour
le bien de tous et de l’espèce entière.
Sergio Ghirardi, 28 maggio 2020
[1]
Néanmoins, entretemps, tous les autres – presque aussi nombreux – soi disant
non concernée par ce tsunami social, que sont-ils devenus ? Ils ne vivent
pas sur la Lune ni, pas encore, sur Mars !
[2] Mis de côté les délirants pathologiques comme Trump et
Bolsonaro, les rares pays qui ont échappé au confinement parce que capables
d’opposer au virus un contrôle médical et des moyens de protection plus efficaces,
ont obtenu des bons résultats dans la prophylaxie.
[3]
D’accord avec M. Bookchin, j’appelle organiques les sociétés humaines
caractérisées par un accord harmonique avec la nature que le productivisme a
brisé.
[4]
Voir à ce propos Marshall Sahlins, Âge de
pierre, âge d’abondance – L’économie des sociétés primitives, Gallimard,
Paris 1972.
[5]
Selon les lieux et les conditions climatiques, l’orge aussi, le sorgo, le mais
ou autres céréales, puis le riz, une fois maitrisée sa culture par irrigation.
[6] W. Reich, L’irruption
de la morale sexuelle, (1951), Payot, Paris 2007. Vécu directement, au
siècle dernier, par Malinowski pendant ses longues explorations
anthropologiques dans les iles Trobriand, le passage traumatisant d’une société
matri centrique au patriarcat a marqué un tournant décisif dans le
développement de la névrose sociale, apparue bien pire du « malaise dans
la civilisation » diagnostiqué par Freud.
[7] Marija Gimbutas, The Kurgan
wave (3400-3200 BC) into Europe and the following transformation of culture, in “Journal
of Indo-European Studies”, vol. 8, pp. 273-315, 1980; Marija Gimbutas, Kurgan – Le origini della cultura europea,
Medusa, Milano 2010. Gimbutas a appelé
Kurgan (pour la forme de leurs sépultures) les populations originaires des steppes
pontique-caspiennes du sud de la Russie (depuis l’estuaire de la Danube
jusqu’aux monts Oural à l’est et jusqu’au Caucase septentrional au sud).
Habitués à dompter les chevaux, pratique qui développe un autoritarisme poussé,
les Kurgan ont investi par phases successives les territoires de l’Europe
ancienne matri centrique depuis 4200 AC.
[8]
Selon Gimbutas les communautés gylaniques (des femmes libres, du grec gyné
femme + lyein/lyo libérer) furent agressées et vaincues par les sociétés
patristes (dévotes à la loi du père, donc du mâle dominant) des Kurgan.
[9]
Jusqu’à répandre le mensonge criminel de leur inutilité présumée !
[10] Par
manque de matériel, on est arrivé à la déchirante nécessité de choisir qui
intuber et qui laisser mourir entre deux malades graves !