In
quale ambiente è cresciuto? La sua infanzia l’ha preparato al seguito del suo
percorso?
La
mia infanzia si è svolta a Lessines, piccola città operaia. Le miniere di
porfido delimitavano i quartieri bassi dove abitavo, in opposizione a quelli
alti principalmente tenuti dalla borghesia. All’epoca la coscienza di classe
era per così dire ritmata dalle sirene che segnalavano, a ore precise,
l’inizio, la fine del lavoro, le pause e gli incidenti. A mio padre, ferroviere,
dispiaceva di non aver potuto, per mancanza di mezzi economici, proseguire gli
studi. Sognava per me una sorte migliore, mettendomi, però, in guardia contro
quelli che salendo nella scala sociale diventano “traditori della loro classe
sociale”. Gli sono grato delle riserve che ho nutrito molto presto nei
confronti del ruolo d’intellettuale-guida, di tribuno, di maître à penser. La ripugnanza
che suscita oggi lo stato di decomposizione delle pretese “élites” conferma la
fondatezza delle mie reticenze. Ho mostrato in Finalmente la libertà si risveglia al soffio della vita[1]
perché e come i governanti siano diventati sempre più stupidi. Chi prende un
po’ di distanza dall’aggressione mediatica della menzogna, può verificarlo
facilmente: l’intelligenza intellettuale declina con il potere, l’intelligenza
sensibile progredisce con l’umano.
Ho sempre accordato un
posto preponderante al piacere di sapere, di esplorare, di diffondere le
conoscenze acquisite. Considero la curiosità – con l’amore, la creazione e
la solidarietà – una delle attrazioni passionali più indispensabili per la
costruzione dell’essere umano. Ed è proprio quel che persiste a soffocare un
sistema che non si vergogna di chiamare educazione il “levati di lì che mi ci metto” con cui il mercato
competitivo raccoglie i suoi schiavi.
Non sono un esperto in nulla. Il mio Movimento del libero spirito[2]
risponde al desiderio di esaminare più da vicino quel medio evo al quale gli
storici imputano, un po’ precipitosamente, un’adesione generale alla fede
cristiana. La mia Resistenza al
cristianesimo risponde alla preoccupazione ludica che mi è sempre piaciuta
di essere, per dirlo con la bella formula di Prevert, “intatto da Dio”.
La migliore critica di questo passatempo
amabilmente sovversivo, è venuta dai Gilet jaunes che stimano, a giusto titolo,
che la lotta esistenziale e sociale ha facilmente la meglio su quisquilie come
le opinioni religiose, politiche, filosofiche.
Lei è
anche l’ispiratore di generazioni in cerca di un’altra società. Come e quando
Lei si è ingaggiato in questa direzione? Da dove è venuto il suo sguardo
radicale?
Senza idealizzare un’infanzia vissuta in
un ambito famigliare piuttosto festivo (“non è perché si è poveri che bisogna
vivere poveramente”, diceva mio padre), ho avuto l’impressione paradossale che
il benevolo affetto che mi risparmiava da molti tormenti (salvo il senso di
colpa onnipresente), mi metteva in contatto diretto con le crudeli condizioni
che intorno a me colpivano uomini, donne, bambini, animali. Al punto che la
collera contro l’ingiustizia e la barbarie ha preso il posto di quelle rivolte
che si vedono esacerbarsi nell’adolescenza contro l’autorità parentale. Mai mio
padre ha invocato il suo potere o una mancanza di rispetto per farmi tacere
quando lo trattavo da “socialdemocratico” nelle nostre tempestose discussioni
politiche.
Quali
sono stati gli incontri determinanti nella sua vita e perché?
Senza dubbio quelli che,
piovuti su un terreno fertile, hanno risposto a una domanda dell’esistenza, a
un vuoto bisognoso di essere colmato. Nel mucchio: Germinal di Zola, La lotta
col demone di Zweig, Nietzsche,
Marx, Hölderlin, Shelley, Nerval, Jarry, Artaud, il surréalismo. Più tardi,
Volin, Coeurderoy, Ciliga, Ida Mett, Victor Serge, Montaigne, Jan Valtin e
infine Fourier.
Quali sono i compagni di strada il cui
sguardo le è stato prezioso ? Siné che, a modo suo, ha lungamente
condiviso i suoi impegni?
Henri Lefebvre, Guy Debord, Attila Kotànyi, Mustapha Khayati. Ho
conosciuto troppo poco Siné, di cui apprezzavo l’irriducibile lotta contro la
macchina per decerebrare (perfettamente lubrificata dal nazismo e dallo
stalinismo) che funziona oggi a pieno ritmo.
Quali sono gli esempi di personalità che
Lei pensa potrebbero ispirare chiunque? Per esempio il subcomandante Marcos
(ora Galeano) che fu un porta parola (e non un leader) del movimento zapatista?
O Noam Chomsky che condivide con lei una doppia carriera d’intellettuale
impegnato? O Greta Thunberg che si è levata a livello locale di fronte alla
distruzione dei nostri ecosistemi?
Non c’è nessuna lezione da prendere da chicchessia se non si abolisce
prima il culto della personalità. Gli zapatisti non mancano mai di ricordare
che non sono un modello ma un’esperienza. Non ho letto Chomsky. Ignoro a quali
manipolazioni del capitalismo verde-dollaro Greta Thunberg sia esposta, ma gli
insulti riversati sugli adolescenti preoccupati di salvare la terra liberandola
dall’impresa del profitto ha rivelato a quale grado di bassezza siano giunti
quelli che si definiscono degli intellettuali, vuoi – colmo del ridicolo – dei
filosofi.
Nella maggior parte, i sociologi ripetono delle evidenze sdegnando la
poesia che intorno a loro aspira a cambiare il mondo. Caro giovane Marx che
scriveva: “Finora i filosofi hanno interpretato il mondo, ora si tratta di
cambiarlo!”.
Mi sento in migliore compagnia con gli insorti della vita quotidiana, per
quanto confusi possano essere, che si agitano ai quattro angoli del mondo. C’è
là un pensiero che si risveglia e che imprimerà nelle mentalità e nei costumi
la sua radicale novità purché essa preservi l’obiettivo dei suoi principi
fondamentali: niente capi, nessun rappresentante autoproclamato, niente
apparecchi politici e sindacali; autorganizzazione, priorità assoluta all’umano
e alla solidarietà.
Come si è ritrovato membro influente
dell’Internazionale situazionista? È stato sorpreso dal felice mese di Maggio?
È
stato Henri Lefebvre, al
quale avevo scritto, che mi ha messo in contatto con Guy Debord.
Sorpreso dal Maggio? No, felice, sì! La rivoluzione del 1789 non è nata
dal pensiero illuminista ma è incontestabile che i Diderot, Rousseau, Voltaire
non sono stati estranei al suo sbocco insurrezionale. Se la critica elaborata
dall’Internazionale situazionista non ha fatto che coincidere con un tornante
della storia in cui il capitalismo scopriva nel consumismo una nuova fonte di
profitto, è invece innegabile che La
Società dello spettacolo di Debord, Della
miseria in ambiente studentesco di Khayati e il mio Trattato del saper vivere all’uso delle giovani generazioni hanno
avuto sul Movimento delle occupazioni un’influenza che non smette di propagarsi
clandestinamente. Un colpo mortale è stato portato allora a verità considerate
immutabili da millenni: il potere gerarchico, il rispetto dell’autorità, il
patriarcato, la paura e il disprezzo della donna, l’odio per la natura, la
venerazione dell’esercito, l’obbedienza religiosa e ideologica, la concorrenza,
la competizione, la predazione, il sacrificio, la necessità del lavoro. Da
allora un’idea segue il suo corso: la vera vita non può essere confusa con una
sopravvivenza che riduce il destino della donna e dell’uomo a quello di una
bestia da soma o da preda.
Lei ha rotto con l’Internazionale
situazionista costatando la sua disfatta nel trasformare la società ma anche
per “rifare assolutamente la sua coerenza“ autonomamente. Come ha vissuto
queste lacerazioni politiche a livello personale? Quali lezioni ne ha tratto
per la lotta?
Il trionfo della colonizzazione consumistica e lo scacco del nostro
progetto di autogestione generalizzata sono stati duramente vissuti. La
disperazione ha riaffermato la sua impresa e un buon numero di nemici della
merce ne sono diventati gli adepti. L’esperienza mi ha dissuaso da ogni impegno
politico, da ogni partecipazione a un gruppo.
Certo la colonizzazione consumistica ha sommerso il pensiero radicale ma
la vita non rivendica di meno i suoi diritti nel mondo intero. L’impoverimento
che cresce dappertutto minaccia quello stato di benessere la cui realtà di
potere d’acquisto mostra che esso resiste soltanto tramite la persistenza della
menzogna.
Scommetto sulla vita presente in ciascuno per suscitare un risveglio
delle coscienze, per sbarazzare gli individui del loro individualismo che rincretinisce
e restituirli all’intelligenza che fa di ciascuna e ciascuno un essere
solidale, molto semplicemente umano.
Epicureo, Lei fa l’elogio della “pigrizia
affinata” e si leva contro l’alienazione del lavoro salariato. Eppure Lei
pubblica in continuazione.
Non sono edonista (l’ideologia del piacere ne è la falsificazione). Non
ho il culto della scrittura. Ignoro l’angoscia della pagina bianca, temo
soltanto di non avere a portata di mano di che scrivere una nota che la mia
memoria rischia di perdere. Non scrivo che per la necessità interiore di fare avanzare
un pensiero che parteciperà a un risveglio della coscienza umana reclamato
dalla grande collera planetaria dei popoli.
Lei
ha sempre sostenuto la libertà assoluta dell’espressione contro ogni censura.
Degli avvenimenti tragici in Europa (l’attentato a Charlie ma anche
l’assassinio recente di un professore in Francia) mostrano che il diritto di bestemmiare
non è più garantito come prima ( anche se molti ne hanno fatto le spese
precedentemente). Che ne pensa?
Bestemmiare non ha
senso che per uno spirito religioso. La religione è sempre stata il cuore di un
mondo senza cuore. Quando le lotte sociali hanno fatto battere l’organo vitale di una società radicalmente nuova, si è assistito al crollo
del cristianesimo, prima così potente.
La liquidazione della
coscienza di classe provocata dalla burocratizzazione sindacale e politica del
movimento operaio e soprattutto dal maremoto del consumismo ha permesso
d’istillare nel cuore della società il peggiore dei veleni, il denaro. Come il
cristianesimo aveva approfittato della disgregazione delle religioni romane,
l’islam non ha nessuna difficoltà nel raccogliere i cocci del cristianesimo.
Nessuna repressione ne verrà a capo. Non ci sarà per distruggere la sua impresa
mortifera che il ritorno al vivente che l’insurrezione esistenziale e sociale
implica.
Nella lotta della
disobbedienza civile non c’è né colore della pelle o dei capelli, né sesso né
credenza che tengano.
Viviamo
una crisi sanitaria importante. Quali precauzioni prende Lei stesso? Capisce la
limitazione di certe nostre libertà in questo contesto? Pensa che ciò necessiti
un’azione coordinata centralizzata, quella dello Stato, spesso condannato dagli
anarchici?
Ho evocato in L’insurrezione della vita quotidiana la
possibilità di un’autodifesa sanitaria. Una relazione di fiducia tra malati e
personale curante in possesso di mezzi tecnici revocherebbe una paura che
uccide più del virus.
Questo panico, oggi
propagato secondo i metodi di Goebbels, permette allo Stato di arricchire Big-pharma
e i suoi azionisti a spese della salute, dell’educazione, del bene pubblico (la
nostra res publica).
L’umanità sta morendo
affinché sopravviva un’economia in cui il denaro impazzito gira in tondo
scavando la propria tomba.
È
sensibile allo sconvolgimento degli ecosistemi e come spiega che i nostri
comportamenti mettano tanto tempo a cambiare?
Come vuole che si
preoccupino del clima gli Stati e le multinazionali per i quali la vita non è
nulla di fronte al profitto immediato? La passività litigiosa dei rassegnati è peggiore
della tirannia dei signori. Si sono visti i risultati di Nuits Debout, degli
Indignati in Spagna o dei movimenti antiausterità in Grecia.
Non c’è altra soluzione
che un ritorno alla base. Le condizioni di esistenza, la devastazione economica
e burocratica, l’avvelenamento degli alimenti, la disumanizzazione di cui soffrono
i popoli sono diventati i motori di un’insurrezione generalizzata (pur se
intermittente). La vera democrazia verrà da iniziative locali che si federino a
livello planetario. Rinvio alla lettura della mia analisi delle ZAD (zone da
difendere) sviluppata in Contributo
all’emergenza di territori liberati dall’impresa statale e mercantile[3]. Siamo sempre stati indotti a ragionare
secondo una logica di macrosocietà. Per la reificazione mercantile il soggetto
non esiste. Il numero è un oggetto morto.
Oggi la soggettività si
scuote. L’importante è che ho voglia di vivere e la lotta che conduco
quotidianamente contro quel che me l’impedisce. Non è il numero dei
protestatari che fa la loro forza, è l’intelligenza sensibile che progredisce
negli individui e li solidarizza, evitando loro l’abbruttimento populista,
l’individualismo che rincretinisce e cerca un capro espiatorio per soddisfare
le sue frustrazioni.
Il
movimento femminista è molto evoluto in questi ultimi tempi. Che ne pensa?
C’è voluto molto tempo
per capirlo: la liberazione della donna e la riabilitazione della natura sono
inseparabili. Alla nuova società che esce lentamente dal limbo, toccherà di
superare il confronto tra l’ultima arroganza del patriarcato indebolito e un
femminismo talmente accecato dal desiderio di vendetta da rivendicare il
diritto alle peggiori prerogative del maschio. Bella vittoria davvero celebrare
la stirpe delle Thatcher! Bella emancipazione diventare ministre, prefette,
soldatesse, poliziotte, torturatrici, donne d’affari!
L’essere umano è il
divenire dell’uomo e della donna, è il superamento del virilismo e del
femminismo.
Qual
è il suo avviso sul Belgio? Questo paese così complicato da governare significa
qualcosa per Lei? Come ne vede l’avvenire?
Rifiuto d’identificarmi
con un’identità geografica. Me ne infischio di essere belga o irochese ma sono
sensibile a quella donna di Bruxelles che interrogata sugli effetti del
confinamento e della chiusura dei bistrot, si diceva scandalizzata perché “ è
tutta un’arte di vivere che è distrutta”.
Amo le patate fritte, gioisco
bevendo una Triple Westmalle, una Bush, una Rochefort, una St. Feuillien Grand cru,
sono attaccato al mio parlare piccardo. Non ho niente in comune con le pecore
che, in nome di non so quale Belgio, continuano a votare per i loro macellai.
Quel che uccide la gioia di vivere festeggia la carogna.
Lei si è
spesso rivolto ai giovani nei suoi scritti. Quale suggerimento darebbe oggi a
un giovane (diciamo di 16 anni)?
D’imparare a vivere, non di strisciare
come un cane al quale si abbaiano degli ordini. Di rifiutare la servitù
volontaria, di sperimentare dei modi di società in cui non sia più necessario
avvilirsi per un pugno di dollari.
Tuttavia, con quale diritto dare dei
consigli e perché tenerne conto se non ne sentite il desiderio in voi?
Un gruppo
teatrale belga, il Raoul collectif
si rivendica oggi
del suo nome (e della sua eredità), che ne pensa?
una testimonianza di amicizia e di complicità
che aiuta a vivere. Tali elementi sparsi fondano poco a poco il progetto di
aiuto reciproco che sognava Kropotkin.
È
nota la citazione di Gramsci: “ Il vecchio mondo muore, il nuovo tarda ad
apparire e in questo chiaro scuro sorgono i mostri”. Come evitarli?
Siamo in una mutazione
di civiltà; la vecchia muore, la nuova nasce temendo la sua novità. I mostri
spariranno quando bandiremo la paura che dà loro la loro vera sostanza.
Per
finire, noi domandiamo normalmente alle personalità che intervistiamo di
raccomandarci una lettura. Che cosa proporrebbe?
Ancora, sempre
(riflettendo soprattutto alla messa in pratica) il Discorso sulla servitù volontaria di La Boétie. Tuttavia, la
migliore lettura, la più difficile e la più appassionante, resta quella di se
stessi.
NB
Nella pubblicazione del 14 novembre 2020 la questione sul femminismo è stata
soppressa dalla versione su carta e trasferita nella versione on line.
[1] Quest’ultimo libro di Vaneigem,
appena uscito in francese, é già pronto e tradotto in italiano e attende un
editore di buona volontà che lo faccia circolare e conoscere anche in italiano.
Fatevi vivi (NdT).
[2] R. Vaneigem, Il movimento del libero spirito,
Nautilus, Torino 1995 (NdT).
[3] R. Vaneigem, Sull’autogestione della vita quotidiana. Contributo all’emergenza di
territori liberati dall’impresa statale e mercantile DeriveApprodi, Roma 2019 (NdT).
Interview de
Raoul Vaneigem
par le journal
belge LE SOIR
Samedi 14’
novembre 2020
Dans quel milieu avez-vous grandi?
Votre enfance vous a-t-elle préparé à la suite de votre parcours?
Mon enfance s’est déroulée à Lessines,
une petite ville ouvrière. Les carrières de porphyre définissaient les
bas-quartiers, où j’habitais, par opposition à ceux du haut, tenus
principalement par la bourgeoisie. A l’époque, la conscience de classe était pour
ainsi dire rythmée par les sirènes qui à des heures précises signalaient le
début, la fin du travail, les pauses et les accidents. Mon père, cheminot,
regrettait de n’avoir pu, faute de moyens financiers, poursuivre des études. Il
rêvait pour moi d’un sort meilleur, non sans me mettre en garde contre ceux
qui, en s’élevant dans l’échelle sociale deviennent « traîtres à leur
classe. » Je lui suis gré des réserves que j’ai nourries très tôt envers
le rôle d’intellectuel - guide, tribun, maître à penser. La répugnance que
suscite aujourd’hui l’état de délabrement des prétendues « élites »
confirme le bien-fondé de mes réticences. J’ai montré dans La liberté enfin
s’éveille au souffle de la vie pourquoi et comment les gouvernants sont
devenus de plus en plus stupides. Qui prend un peu de recul avec le harcèlement
médiatique du mensonge, peut le vérifier sans peine : l’intelligence
intellectuelle décline avec le pouvoir, l’intelligence sensible progresse avec
l’humain.
J’ai toujours accordé une place prépondérante
au
plaisir de savoir, d’explorer, de diffuser les connaissances acquises. Je tiens
la curiosité – avec l’amour, la création et la solidarité – pour une des
attractions passionnelles les plus indispensables à la construction de l’être
humain. C’est précisément ce que persiste à étouffer un système qui n’a pas
honte d’appeler éducation le « pousse-toi de là que je m’y mette » où
le marché compétitif ramasse ses esclaves.
Je
ne suis pas un expert en quoi que ce soit. Mon Mouvement du libre esprit
répond au désir d’examiner de plus près ce moyen-âge auquel les historiens
imputent un peu rapidement une adhésion générale à la foi chrétienne. Ma Résistance
au christianisme répond à la préoccupation ludique qui m’a toujours
réjoui d’être, selon la belle formule de Prévert, « intact de Dieu».
La
meilleure critique de ce passe-temps, aimablement subversif, est venue des
gilets jaunes estimant à juste titre que la lutte existentielle et sociale
l’emporte haut la main sur des broutilles comme les opinions religieuses,
politiques, philosophiques.
Vous êtes aussi l'inspirateur de
générations à la recherche d'une autre société. Comment et quand, vous
êtes-vous engagé dans cette voie? D'où est venu votre regard radical ?
Sans idéaliser une enfance dans un
milieu familial plutôt festif (« ce n’est pas parce qu’on est pauvre qu’il
faut vivre pauvrement » disait mon père), j’ai eu l’impression paradoxale
que la bienveillante affection, qui m’épargnait bien des tourments (sauf la
culpabilité omniprésente), me jetait en contact direct avec les conditions
cruelles qui autour de moi accablaient hommes, femmes, enfants, animaux. Si
bien que la colère contre l’injustice et la barbarie a pris la place de ces
révoltes que l’on voit s’exacerber à l’adolescence contre l’autorité parentale.
Jamais mon père n’a invoqué son pouvoir ou un manque de respect pour me faire
taire alors que je le traitais de « social-démocrate » dans nos
orageuses discussions politiques.
Quelles sont les rencontres qui ont
été déterminantes dans votre vie? Pourquoi?
Celles sans doute qui, tombées sur un
terrain fertile, ont répondu à une demande de l’existence, à une béance en mal
d’être comblée. Pêle-mêle : Germinal de Zola, Le combat avec le
démon de Zweig, Nietzsche, Marx, Hölderlin, Shelley, Nerval, Jarry, Artaud,
le surréalisme. Plus tard, Voline, Coeurderoy, Ciliga, Ida Mett, Victor Serge,
Montaigne, Jan Valtin. Fourier, enfin
Quelles sont ces compagnons de route
dont le regard a été précieux pour vous? Siné qui a partagé longtemps à sa
manière vos engagements ?
Henri Lefebvre, Guy Debord, Attila
Kotànyi, Mustapha Khayati. J’ai trop peu connu Siné, dont j’appréciais
l’irréductible combat contre la machine à décerveler (si bien huilée par le
nazisme et par le stalinisme) qui tourne aujourd’hui à plein rendement.
Qui sont les exemples de personnalités
dont vous pensez que tout un chacun pourrait s'inspirer? Par exemple, le
sous-commandant Marcos (maintenant Galeano) qui fut un porte-parole (et non un
leader) du mouvement zapatiste? Ou Noam Chomsky qui partage avec vous une
carrière double d'intellectuel engagé? Ou Greta Thunberg qui s'est dressée au
niveau local face à la destruction de nos écosystèmes ?
Il
n’y a aucune leçon valable à tirer d’une personne si on n’abolit pas au
préalable le culte de la personnalité. Les zapatistes ne manquent jamais de
rappeler qu’ils ne sont pas un modèle mais une expérience. Je n’ai pas lu
Chomsky. J’ignore à quelles manipulations du capitalisme vert-dollar Greta
Thunberg est exposée mais les insultes déversées sur ces adolescents, soucieux
de sauver la terre et de la dégager de l'emprise du profit, a révélé à quel
degré de veulerie sont arrivés ceux qui se targuent d’être des
intellectuels, voire – comble du ridicule – des philosophes.
Pour
la plupart, les sociologues ressassent des constats en dédaignant la poésie qui
autour d’eux aspire à changer le monde. Cher jeune Marx, vous qui écriviez «Les
philosophes n‘ont fait qu’interpréter le monde, il s’agit maintenant de le
transformer ! »
Je
me sens en meilleure compagnie avec les insurgés de la vie quotidienne, si
confus qu’ils puissent être, qui s’agitent aux quatre coins du monde. Il y a là
une pensée qui s’éveille. Elle imprimera dans les mentalités et les mœurs sa
radicale nouveauté pour autant qu’elle garde le cap de ses principes
fondamentaux : pas de chefs, pas de représentants autoproclamés, pas
d’appareils politiques et syndicaux ; auto-organisation, priorité absolue
à l’humain et à la solidarité.
Comment vous êtes-vous retrouvé membre
influent de l'Internationale Situationniste? Avez-vous été surpris par
l'heureux mois de Mai?
C’est
Henri Lefebvre, à qui j’avais écrit, qui m’a mis en contact avec Guy Debord.
Surpris
par Mai ? Non, heureux, oui ! La révolution de 1789 n’est pas née de
la pensée des Lumières mais il est incontestable que les Diderot, Rousseau,
Voltaire n’ont pas été étrangers à son essor insurrectionnel. Si la critique
élaborée par l’Internationale situationniste n’a fait que coïncider avec un
tournant de l’histoire où le capitalisme découvrait dans le consumérisme une
nouvelle source de profit, il est en revanche indéniable que la Société du
spectacle de Debord, De la misère en milieu étudiant de Khayati et
mon Traité de savoir-vivre à l’usage des jeunes générations ont eu sur
le Mouvement des occupations de Mai 1968 une influence qui ne cesse de se
propager clandestinement. Un coup mortel a été porté alors à des vérités tenues
pour immuables depuis des millénaires : le pouvoir hiérarchique, le
respect de l’autorité, le patriarcat, la peur et le mépris de la femme, la
haine de la nature, la vénération de l’armée, l’obédience religieuse et
idéologique, la concurrence, la compétition, la prédation, le sacrifice, la
nécessité du travail. Depuis lors une idée fait son chemin : la vraie vie
ne peut se confondre avec cette survie qui ravale le sort de la femme et de
l’homme à celui d’une bête de somme et d’une bête de proie.
Vous avez rompu avec l'Internationale
Situationniste en faisant le constat de son échec à transformer la société mais
aussi pour "refaire absolument votre cohérence" de votre côté.
Comment avez-vous vécu ces déchirements politiques au niveau personnel? Quelles
leçons en avez-vous tirées pour le combat ?
Le
triomphe de la colonisation consumériste et l’échec de notre projet
d’autogestion généralisée ont été durement vécus. Le désespoir a réaffirmé son
emprise et bon nombres d’ennemis de la marchandise sont devenus ses adeptes.
L’expérience m’a dissuadé de tout engagement politique, de toute participation
à un groupe.
Certes,
la colonisation consumériste a submergé la pensée radicale mais la vie n’en
revendique pas moins ses droits dans le monde entier. La paupérisation qui s’accroît
partout menace cet état de bien-être dont la réalité du pouvoir d’achat
démontre qu’il ne tient plus que par la persistance du mensonge.
Je
mise sur la vie présente en chacun pour susciter un éveil des consciences, pour
débarrasser les individus de leur individualisme crétinisant et les rendre à
l’intelligence qui fait de chacune et de chacun un être solidaire, humain, tout
simplement.
Epicurien, vous faites l'éloge de la
"paresse affinée" et vous dressez contre l'aliénation du travail
salarié. Pourtant vous publiez à tire larigot.
Je
ne suis pas hédoniste (l’idéologie du plaisir en est la falsification). Je n’ai
pas le culte de l’écriture. J’ignore la hantise de la page blanche, je redoute
seulement de n’avoir pas sous la main de quoi écrire une note que ma mémoire
risque d’égarer. Je n’écris que dans la nécessité intérieure de mener plus
avant une pensée qui participera de cet éveil de la conscience humaine
qu’appelle la grande colère planétaire des peuples.
Vous avez toujours prôné la
liberté absolue de l'expression contre toute censure. Des évènements tragiques
en Europe (l'attentat à Charlie mais aussi le meurtre récent d'un professeur en
France) montrent que le droit au blasphème n'est plus aussi garanti qu'avant
(même si beaucoup en ont fait les frais auparavant). Qu'en pensez-vous ?
Le
blasphème n’a de sens que pour un esprit religieux. La religion a toujours été
le cœur d’un monde sans cœur. Lorsque les luttes sociales ont fait battre l’organe
vital d’une société radicalement nouvelle, on a assisté à la déconfiture du
christianisme, jadis si puissant.
La
liquidation de la conscience de classe provoquée par la bureaucratisation
syndicale et politique du mouvement ouvrier et surtout par le raz de marée du
consumérisme a laissé s’instiller au cœur de la société le pire venin qui soit,
celui de l’argent. Comme le christianisme avait profité de la désagrégation des
religions romaines, l’islam n’a eu aucune peine à ramasser les débris du
christianisme. Aucune répression n’en viendra à bout. Il n’y aura pour détruire
son emprise mortifère que le retour au vivant qu’implique l’insurrection
existentielle et sociale.
Dans
le combat de la désobéissance civile, il n’y a ni couleur de peau ou de
cheveux, ni sexe ni croyance qui vaillent.
Nous vivons une crise sanitaire
importante. Quelles précautions prenez-vous vous-même? Comprenez-vous la
limitation de certaines de nos libertés dans ce contexte? Pensez-vous que cela
nécessite une action coordonnée, centralisée, celle de l'Etat, souvent décriée
par les anarchistes?
J’ai
évoqué dans L’insurrection de la vie quotidienne la possibilité d’une
autodéfense sanitaire. Une relation de confiance entre soignés et soignants
disposant de moyens techniques révoquerait cette peur qui tue plus que le
virus. Cette panique, aujourd’hui
propagée selon les méthodes de Goebbels, permet à l’État d’enrichir Big pharma
et ses actionnaires aux dépens de la santé, de l’éducation, du bien public
(notre res publica).
L’humanité
est en train de mourir pour que survive une économie où l’argent fou tourne en
rond en creusant sa propre tombe.
Etes-vous sensible à ce bouleversement
des écosystèmes et comment expliquez-vous que nos comportements mettent tant de
temps à changer ?
Comment
voulez-vous que se préoccupent du climat les Etats et les multinationales pour
lesquels la vie n’est rien en regard du profit immédiat ? La passivité
hargneuse des résignés est pire que la tyrannie des maîtres. On a vu ce qu’ont
donné Nuit Debout, les Indignés en Espagne ou les mouvements anti-austérité en
Grèce.
Il
n’y a pas d’autre solution qu’un retour à la base. Les conditions d’existence,
la dévastation économique et bureaucratique, l’empoisonnement des aliments, la
déshumanisation dont souffrent les peuples sont devenus les moteurs d’une
insurrection généralisée (même si elle est intermittente). La vraie démocratie
viendra d’initiatives locales se fédérant planétairement. Je renvoie le lecteur
à mon analyse des ZAD développée dans Contribution à l’émergence de
territoires libérés de l’emprise étatique et marchande. Nous avons toujours
été induits à raisonner selon une logique de macro-société. Pour la réification
marchande, le sujet n’existe pas. Le nombre est un objet mort.
Aujourd’hui,
la subjectivité s’ébroue. L’important, c’est ce que j’ai envie de vivre et le combat que je mène quotidiennement
contre ce qui m’en empêche. Ce n’est pas le nombre de protestataires qui fait
leur force, c’est l’intelligence sensible qui progresse chez les individus et
les solidarise, leur évitant l’abrutissement populiste, l’individualisme qui
crétinise et cherche un bouc émissaire pour assouvir ses frustrations.
Le mouvement féministe a beaucoup
évolué ces derniers temps. Qu’en pensez-vous ?
Il a fallu longtemps pour le
comprendre : la libération de la femme et la réhabilitation de la nature sont
inséparables. A la société nouvelle, qui lentement sort des limbes, il
appartiendra de dépasser l'affrontement entre l’ultime arrogance du patriarcat
défaillant et un féminisme que le désir de vengeance aveugle au point de revendiquer
le droit aux pires prérogatives de l'homme. La belle victoire que de célébrer
l’engeance des Thatcher ! La belle émancipation que de devenir ministre,
préfète, militaire, policière, tortionnaire, femme d'affaires !
L’être humain est le devenir de l’homme et de la femme, il est le
dépassement du virilisme et du féminisme.
Quel est votre avis sur la
Belgique ? Ce pays si compliqué à gouverner signifie-t-il quelque chose
pour vous ? Comment voyez-vous son avenir ?
Je
refuse de m’identifier à une entité géographique. Je me moque d’être Belge ou
Iroquois mais je me sens touché par cette Bruxelloise qui, interrogée sur les
effets du confinement et des fermetures de bistrots se disait outrée parce que
« c’est tout un art de vivre que l’on détruit ».
J’aime
les frites, je me régale d’une Triple Westmalle, d’une Bush, d’une Rochefort,
d’une St. Feuillien Grand cru, je suis attaché à mon parler picard. Je n’ai
rien en commun avec les moutons qui, au nom de je ne sais quelle Belgique, vont
continuer à voter pour leurs bouchers. Ce qui tue la joie de vivre fait fête à la
charogne.
Vous vous êtes souvent adressé à la
jeunesse dans vos écrits. Quelle suggestion feriez-vous à un jeune (disons 16
ans) aujourd’hui ?
D’apprendre
à vivre, non à ramper comme un chien à qui l’on aboie des ordres. De refuser la
servitude volontaire, d’expérimenter des modes de sociétés où il ne soit plus
nécessaire de s’avilir pour une poignée de dollars.
Mais
de quel droit donner des conseils et pourquoi en tenir compte si vous n’en
sentez pas le désir en vous?
Un groupe de théâtre belge, le
Raoul collectif se revendique aujourd'hui de votre nom (et de votre héritage),
qu'en pensez-vous ?
C’est
un témoignage d’amitié et de complicité qui aide à vivre. De tels éléments
épars fondent peu à peu le projet d’entraide dont rêvait Kropotkine.
On connait la citation de Gramsci
"Le vieux monde se meurt, le nouveau monde tarde à apparaître et dans ce
clair-obscur surgissent les monstres". Comment les éviter ?
Nous
sommes dans une mutation de civilisation, la vieille meurt, la nouvelle naît en
redoutant sa nouveauté. Les monstres disparaîtront quand nous bannirons la peur
qui leur confère leur vraie substance.
Enfin, nous demandons normalement aux
personnalités que nous interviewons de nous recommander une lecture. Que nous
proposeriez-vous ?
Encore, toujours (en réfléchissant
surtout à sa mise en pratique) le Discours de la servitude volontaire de La
Boétie. Toutefois, la meilleure lecture, la plus difficile et la plus passionnante,
reste celle de soi-même.
NB. Dans la publication du 14 novembre
2020, la question sur le féminisme a été supprimée de la version papier et
transférée dans la version en ligne.