lunedì 16 novembre 2020

Intervista a Raoul Vaneigem del giornale belga Le Soir 14 11 2020

 



 

In quale ambiente è cresciuto? La sua infanzia l’ha preparato al seguito del suo percorso?

La mia infanzia si è svolta a Lessines, piccola città operaia. Le miniere di porfido delimitavano i quartieri bassi dove abitavo, in opposizione a quelli alti principalmente tenuti dalla borghesia. All’epoca la coscienza di classe era per così dire ritmata dalle sirene che segnalavano, a ore precise, l’inizio, la fine del lavoro, le pause e gli incidenti. A mio padre, ferroviere, dispiaceva di non aver potuto, per mancanza di mezzi economici, proseguire gli studi. Sognava per me una sorte migliore, mettendomi, però, in guardia contro quelli che salendo nella scala sociale diventano “traditori della loro classe sociale”. Gli sono grato delle riserve che ho nutrito molto presto nei confronti del ruolo d’intellettuale-guida, di tribuno, di maître à penser. La ripugnanza che suscita oggi lo stato di decomposizione delle pretese “élites” conferma la fondatezza delle mie reticenze. Ho mostrato in Finalmente la libertà si risveglia al soffio della vita[1] perché e come i governanti siano diventati sempre più stupidi. Chi prende un po’ di distanza dall’aggressione mediatica della menzogna, può verificarlo facilmente: l’intelligenza intellettuale declina con il potere, l’intelligenza sensibile progredisce con l’umano.

Ho sempre accordato un posto preponderante al piacere di sapere, di esplorare, di diffondere le conoscenze acquisite. Considero la curiosità – con l’amore, la creazione e la solidarietà – una delle attrazioni passionali più indispensabili per la costruzione dell’essere umano. Ed è proprio quel che persiste a soffocare un sistema che non si vergogna di chiamare educazione il “levati di lì che mi ci metto” con cui il mercato competitivo raccoglie i suoi schiavi.

Non sono un esperto in nulla. Il mio Movimento del libero spirito[2] risponde al desiderio di esaminare più da vicino quel medio evo al quale gli storici imputano, un po’ precipitosamente, un’adesione generale alla fede cristiana. La mia Resistenza al cristianesimo risponde alla preoccupazione ludica che mi è sempre piaciuta di essere, per dirlo con la bella formula di Prevert, “intatto da Dio”.

La migliore critica di questo passatempo amabilmente sovversivo, è venuta dai Gilet jaunes che stimano, a giusto titolo, che la lotta esistenziale e sociale ha facilmente la meglio su quisquilie come le opinioni religiose, politiche, filosofiche.

Lei è anche l’ispiratore di generazioni in cerca di un’altra società. Come e quando Lei si è ingaggiato in questa direzione? Da dove è venuto il suo sguardo radicale?

Senza idealizzare un’infanzia vissuta in un ambito famigliare piuttosto festivo (“non è perché si è poveri che bisogna vivere poveramente”, diceva mio padre), ho avuto l’impressione paradossale che il benevolo affetto che mi risparmiava da molti tormenti (salvo il senso di colpa onnipresente), mi metteva in contatto diretto con le crudeli condizioni che intorno a me colpivano uomini, donne, bambini, animali. Al punto che la collera contro l’ingiustizia e la barbarie ha preso il posto di quelle rivolte che si vedono esacerbarsi nell’adolescenza contro l’autorità parentale. Mai mio padre ha invocato il suo potere o una mancanza di rispetto per farmi tacere quando lo trattavo da “socialdemocratico” nelle nostre tempestose discussioni politiche.

Quali sono stati gli incontri determinanti nella sua vita e perché?

Senza dubbio quelli che, piovuti su un terreno fertile, hanno risposto a una domanda dell’esistenza, a un vuoto bisognoso di essere colmato. Nel mucchio: Germinal di Zola, La lotta col demone di Zweig, Nietzsche, Marx, Hölderlin, Shelley, Nerval, Jarry, Artaud, il surréalismo. Più tardi, Volin, Coeurderoy, Ciliga, Ida Mett, Victor Serge, Montaigne, Jan Valtin e infine Fourier.

Quali sono i compagni di strada il cui sguardo le è stato prezioso ? Siné che, a modo suo, ha lungamente condiviso i suoi impegni?

Henri Lefebvre, Guy Debord, Attila Kotànyi, Mustapha Khayati. Ho conosciuto troppo poco Siné, di cui apprezzavo l’irriducibile lotta contro la macchina per decerebrare (perfettamente lubrificata dal nazismo e dallo stalinismo) che funziona oggi a pieno ritmo.

Quali sono gli esempi di personalità che Lei pensa potrebbero ispirare chiunque? Per esempio il subcomandante Marcos (ora Galeano) che fu un porta parola (e non un leader) del movimento zapatista? O Noam Chomsky che condivide con lei una doppia carriera d’intellettuale impegnato? O Greta Thunberg che si è levata a livello locale di fronte alla distruzione dei nostri ecosistemi?

Non c’è nessuna lezione da prendere da chicchessia se non si abolisce prima il culto della personalità. Gli zapatisti non mancano mai di ricordare che non sono un modello ma un’esperienza. Non ho letto Chomsky. Ignoro a quali manipolazioni del capitalismo verde-dollaro Greta Thunberg sia esposta, ma gli insulti riversati sugli adolescenti preoccupati di salvare la terra liberandola dall’impresa del profitto ha rivelato a quale grado di bassezza siano giunti quelli che si definiscono degli intellettuali, vuoi – colmo del ridicolo – dei filosofi.

Nella maggior parte, i sociologi ripetono delle evidenze sdegnando la poesia che intorno a loro aspira a cambiare il mondo. Caro giovane Marx che scriveva: “Finora i filosofi hanno interpretato il mondo, ora si tratta di cambiarlo!”.

Mi sento in migliore compagnia con gli insorti della vita quotidiana, per quanto confusi possano essere, che si agitano ai quattro angoli del mondo. C’è là un pensiero che si risveglia e che imprimerà nelle mentalità e nei costumi la sua radicale novità purché essa preservi l’obiettivo dei suoi principi fondamentali: niente capi, nessun rappresentante autoproclamato, niente apparecchi politici e sindacali; autorganizzazione, priorità assoluta all’umano e alla solidarietà.

Come si è ritrovato membro influente dell’Internazionale situazionista? È stato sorpreso dal felice mese di Maggio?

È stato Henri Lefebvre, al quale avevo scritto, che mi ha messo in contatto con Guy Debord.

Sorpreso dal Maggio? No, felice, sì! La rivoluzione del 1789 non è nata dal pensiero illuminista ma è incontestabile che i Diderot, Rousseau, Voltaire non sono stati estranei al suo sbocco insurrezionale. Se la critica elaborata dall’Internazionale situazionista non ha fatto che coincidere con un tornante della storia in cui il capitalismo scopriva nel consumismo una nuova fonte di profitto, è invece innegabile che La Società dello spettacolo di Debord, Della miseria in ambiente studentesco di Khayati e il mio Trattato del saper vivere all’uso delle giovani generazioni hanno avuto sul Movimento delle occupazioni un’influenza che non smette di propagarsi clandestinamente. Un colpo mortale è stato portato allora a verità considerate immutabili da millenni: il potere gerarchico, il rispetto dell’autorità, il patriarcato, la paura e il disprezzo della donna, l’odio per la natura, la venerazione dell’esercito, l’obbedienza religiosa e ideologica, la concorrenza, la competizione, la predazione, il sacrificio, la necessità del lavoro. Da allora un’idea segue il suo corso: la vera vita non può essere confusa con una sopravvivenza che riduce il destino della donna e dell’uomo a quello di una bestia da soma o da preda.

Lei ha rotto con l’Internazionale situazionista costatando la sua disfatta nel trasformare la società ma anche per “rifare assolutamente la sua coerenza“ autonomamente. Come ha vissuto queste lacerazioni politiche a livello personale? Quali lezioni ne ha tratto per la lotta?

Il trionfo della colonizzazione consumistica e lo scacco del nostro progetto di autogestione generalizzata sono stati duramente vissuti. La disperazione ha riaffermato la sua impresa e un buon numero di nemici della merce ne sono diventati gli adepti. L’esperienza mi ha dissuaso da ogni impegno politico, da ogni partecipazione a un gruppo.

Certo la colonizzazione consumistica ha sommerso il pensiero radicale ma la vita non rivendica di meno i suoi diritti nel mondo intero. L’impoverimento che cresce dappertutto minaccia quello stato di benessere la cui realtà di potere d’acquisto mostra che esso resiste soltanto tramite la persistenza della menzogna.

Scommetto sulla vita presente in ciascuno per suscitare un risveglio delle coscienze, per sbarazzare gli individui del loro individualismo che rincretinisce e restituirli all’intelligenza che fa di ciascuna e ciascuno un essere solidale, molto semplicemente umano.

Epicureo, Lei fa l’elogio della “pigrizia affinata” e si leva contro l’alienazione del lavoro salariato. Eppure Lei pubblica in continuazione.

Non sono edonista (l’ideologia del piacere ne è la falsificazione). Non ho il culto della scrittura. Ignoro l’angoscia della pagina bianca, temo soltanto di non avere a portata di mano di che scrivere una nota che la mia memoria rischia di perdere. Non scrivo che per la necessità interiore di fare avanzare un pensiero che parteciperà a un risveglio della coscienza umana reclamato dalla grande collera planetaria dei popoli.

Lei ha sempre sostenuto la libertà assoluta dell’espressione contro ogni censura. Degli avvenimenti tragici in Europa (l’attentato a Charlie ma anche l’assassinio recente di un professore in Francia) mostrano che il diritto di bestemmiare non è più garantito come prima ( anche se molti ne hanno fatto le spese precedentemente). Che ne pensa?

Bestemmiare non ha senso che per uno spirito religioso. La religione è sempre stata il cuore di un mondo senza cuore. Quando le lotte sociali hanno fatto battere l’organo vitale di una società radicalmente nuova, si è assistito al crollo del cristianesimo, prima così potente.

La liquidazione della coscienza di classe provocata dalla burocratizzazione sindacale e politica del movimento operaio e soprattutto dal maremoto del consumismo ha permesso d’istillare nel cuore della società il peggiore dei veleni, il denaro. Come il cristianesimo aveva approfittato della disgregazione delle religioni romane, l’islam non ha nessuna difficoltà nel raccogliere i cocci del cristianesimo. Nessuna repressione ne verrà a capo. Non ci sarà per distruggere la sua impresa mortifera che il ritorno al vivente che l’insurrezione esistenziale e sociale implica.

Nella lotta della disobbedienza civile non c’è né colore della pelle o dei capelli, né sesso né credenza che tengano.

Viviamo una crisi sanitaria importante. Quali precauzioni prende Lei stesso? Capisce la limitazione di certe nostre libertà in questo contesto? Pensa che ciò necessiti un’azione coordinata centralizzata, quella dello Stato, spesso condannato dagli anarchici?

Ho evocato in L’insurrezione della vita quotidiana la possibilità di un’autodifesa sanitaria. Una relazione di fiducia tra malati e personale curante in possesso di mezzi tecnici revocherebbe una paura che uccide più del virus.

Questo panico, oggi propagato secondo i metodi di Goebbels, permette allo Stato di arricchire Big-pharma e i suoi azionisti a spese della salute, dell’educazione, del bene pubblico (la nostra res publica).

L’umanità sta morendo affinché sopravviva un’economia in cui il denaro impazzito gira in tondo scavando la propria tomba.

È sensibile allo sconvolgimento degli ecosistemi e come spiega che i nostri comportamenti mettano tanto tempo a cambiare?

Come vuole che si preoccupino del clima gli Stati e le multinazionali per i quali la vita non è nulla di fronte al profitto immediato? La passività litigiosa dei rassegnati è peggiore della tirannia dei signori. Si sono visti i risultati di Nuits Debout, degli Indignati in Spagna o dei movimenti antiausterità in Grecia.

Non c’è altra soluzione che un ritorno alla base. Le condizioni di esistenza, la devastazione economica e burocratica, l’avvelenamento degli alimenti, la disumanizzazione di cui soffrono i popoli sono diventati i motori di un’insurrezione generalizzata (pur se intermittente). La vera democrazia verrà da iniziative locali che si federino a livello planetario. Rinvio alla lettura della mia analisi delle ZAD (zone da difendere) sviluppata in Contributo all’emergenza di territori liberati dall’impresa statale e mercantile[3]. Siamo sempre stati indotti a ragionare secondo una logica di macrosocietà. Per la reificazione mercantile il soggetto non esiste. Il numero è un oggetto morto.

Oggi la soggettività si scuote. L’importante è che ho voglia di vivere e la lotta che conduco quotidianamente contro quel che me l’impedisce. Non è il numero dei protestatari che fa la loro forza, è l’intelligenza sensibile che progredisce negli individui e li solidarizza, evitando loro l’abbruttimento populista, l’individualismo che rincretinisce e cerca un capro espiatorio per soddisfare le sue frustrazioni.

Il movimento femminista è molto evoluto in questi ultimi tempi. Che ne pensa?

C’è voluto molto tempo per capirlo: la liberazione della donna e la riabilitazione della natura sono inseparabili. Alla nuova società che esce lentamente dal limbo, toccherà di superare il confronto tra l’ultima arroganza del patriarcato indebolito e un femminismo talmente accecato dal desiderio di vendetta da rivendicare il diritto alle peggiori prerogative del maschio. Bella vittoria davvero celebrare la stirpe delle Thatcher! Bella emancipazione diventare ministre, prefette, soldatesse, poliziotte, torturatrici, donne d’affari!

L’essere umano è il divenire dell’uomo e della donna, è il superamento del virilismo e del femminismo.

Qual è il suo avviso sul Belgio? Questo paese così complicato da governare significa qualcosa per Lei? Come ne vede l’avvenire?

Rifiuto d’identificarmi con un’identità geografica. Me ne infischio di essere belga o irochese ma sono sensibile a quella donna di Bruxelles che interrogata sugli effetti del confinamento e della chiusura dei bistrot, si diceva scandalizzata perché “ è tutta un’arte di vivere che è distrutta”.

Amo le patate fritte, gioisco bevendo una Triple Westmalle, una Bush, una Rochefort, una St. Feuillien Grand cru, sono attaccato al mio parlare piccardo. Non ho niente in comune con le pecore che, in nome di non so quale Belgio, continuano a votare per i loro macellai. Quel che uccide la gioia di vivere festeggia la carogna.

Lei si è spesso rivolto ai giovani nei suoi scritti. Quale suggerimento darebbe oggi a un giovane (diciamo di 16 anni)?

D’imparare a vivere, non di strisciare come un cane al quale si abbaiano degli ordini. Di rifiutare la servitù volontaria, di sperimentare dei modi di società in cui non sia più necessario avvilirsi per un pugno di dollari.

Tuttavia, con quale diritto dare dei consigli e perché tenerne conto se non ne sentite il desiderio in voi?

Un gruppo teatrale belga, il Raoul collectif si rivendica oggi del suo nome (e della sua eredità), che ne pensa?

 una testimonianza di amicizia e di complicità che aiuta a vivere. Tali elementi sparsi fondano poco a poco il progetto di aiuto reciproco che sognava Kropotkin.

È nota la citazione di Gramsci: “ Il vecchio mondo muore, il nuovo tarda ad apparire e in questo chiaro scuro sorgono i mostri”. Come evitarli?

Siamo in una mutazione di civiltà; la vecchia muore, la nuova nasce temendo la sua novità. I mostri spariranno quando bandiremo la paura che dà loro la loro vera sostanza.

Per finire, noi domandiamo normalmente alle personalità che intervistiamo di raccomandarci una lettura. Che cosa proporrebbe?

Ancora, sempre (riflettendo soprattutto alla messa in pratica) il Discorso sulla servitù volontaria di La Boétie. Tuttavia, la migliore lettura, la più difficile e la più appassionante, resta quella di se stessi.

 

NB Nella pubblicazione del 14 novembre 2020 la questione sul femminismo è stata soppressa dalla versione su carta e trasferita nella versione on line.



[1] Quest’ultimo libro di Vaneigem, appena uscito in francese, é già pronto e tradotto in italiano e attende un editore di buona volontà che lo faccia circolare e conoscere anche in italiano. Fatevi vivi (NdT).

[2] R. Vaneigem, Il movimento del libero spirito, Nautilus, Torino 1995 (NdT).

[3] R. Vaneigem, Sull’autogestione della vita quotidiana. Contributo all’emergenza di territori liberati dall’impresa statale e mercantile DeriveApprodi, Roma 2019 (NdT).



Interview de Raoul Vaneigem

par le journal belge LE SOIR

Samedi 14’ novembre 2020

 

Dans quel milieu avez-vous grandi? Votre enfance vous a-t-elle préparé à la suite de votre parcours?

 

Mon enfance s’est déroulée à Lessines, une petite ville ouvrière. Les carrières de porphyre définissaient les bas-quartiers, où j’habitais, par opposition à ceux du haut, tenus principalement par la bourgeoisie. A l’époque, la conscience de classe était pour ainsi dire rythmée par les sirènes qui à des heures précises signalaient le début, la fin du travail, les pauses et les accidents. Mon père, cheminot, regrettait de n’avoir pu, faute de moyens financiers, poursuivre des études. Il rêvait pour moi d’un sort meilleur, non sans me mettre en garde contre ceux qui, en s’élevant dans l’échelle sociale deviennent « traîtres à leur classe. » Je lui suis gré des réserves que j’ai nourries très tôt envers le rôle d’intellectuel - guide, tribun, maître à penser. La répugnance que suscite aujourd’hui l’état de délabrement des prétendues « élites » confirme le bien-fondé de mes réticences. J’ai montré dans La liberté enfin s’éveille au souffle de la vie pourquoi et comment les gouvernants sont devenus de plus en plus stupides. Qui prend un peu de recul avec le harcèlement médiatique du mensonge, peut le vérifier sans peine : l’intelligence intellectuelle décline avec le pouvoir, l’intelligence sensible progresse avec l’humain.

          J’ai toujours accordé une place prépondérante au plaisir de savoir, d’explorer, de diffuser les connaissances acquises. Je tiens la curiosité – avec l’amour, la création et la solidarité – pour une des attractions passionnelles les plus indispensables à la construction de l’être humain. C’est précisément ce que persiste à étouffer un système qui n’a pas honte d’appeler éducation le « pousse-toi de là que je m’y mette » où le marché compétitif ramasse ses esclaves.

          Je ne suis pas un expert en quoi que ce soit. Mon Mouvement du libre esprit répond au désir d’examiner de plus près ce moyen-âge auquel les historiens imputent un peu rapidement une adhésion générale à la foi chrétienne. Ma Résistance au christianisme répond à la préoccupation ludique qui m’a toujours réjoui d’être, selon la belle formule de Prévert, « intact de Dieu».

          La meilleure critique de ce passe-temps, aimablement subversif, est venue des gilets jaunes estimant à juste titre que la lutte existentielle et sociale l’emporte haut la main sur des broutilles comme les opinions religieuses, politiques, philosophiques.

 

Vous êtes aussi l'inspirateur de générations à la recherche d'une autre société. Comment et quand, vous êtes-vous engagé dans cette voie? D'où est venu votre regard radical ?

 

Sans idéaliser une enfance dans un milieu familial plutôt festif (« ce n’est pas parce qu’on est pauvre qu’il faut vivre pauvrement » disait mon père), j’ai eu l’impression paradoxale que la bienveillante affection, qui m’épargnait bien des tourments (sauf la culpabilité omniprésente), me jetait en contact direct avec les conditions cruelles qui autour de moi accablaient hommes, femmes, enfants, animaux. Si bien que la colère contre l’injustice et la barbarie a pris la place de ces révoltes que l’on voit s’exacerber à l’adolescence contre l’autorité parentale. Jamais mon père n’a invoqué son pouvoir ou un manque de respect pour me faire taire alors que je le traitais de « social-démocrate » dans nos orageuses discussions politiques.

 

Quelles sont les rencontres qui ont été déterminantes dans votre vie? Pourquoi?

 

Celles sans doute qui, tombées sur un terrain fertile, ont répondu à une demande de l’existence, à une béance en mal d’être comblée. Pêle-mêle : Germinal de Zola, Le combat avec le démon de Zweig, Nietzsche, Marx, Hölderlin, Shelley, Nerval, Jarry, Artaud, le surréalisme. Plus tard, Voline, Coeurderoy, Ciliga, Ida Mett, Victor Serge, Montaigne, Jan Valtin. Fourier, enfin

 

Quelles sont ces compagnons de route dont le regard a été précieux pour vous? Siné qui a partagé longtemps à sa manière vos engagements ?

 

Henri Lefebvre, Guy Debord, Attila Kotànyi, Mustapha Khayati. J’ai trop peu connu Siné, dont j’appréciais l’irréductible combat contre la machine à décerveler (si bien huilée par le nazisme et par le stalinisme) qui tourne aujourd’hui à plein rendement.

 

Qui sont les exemples de personnalités dont vous pensez que tout un chacun pourrait s'inspirer? Par exemple, le sous-commandant Marcos (maintenant Galeano) qui fut un porte-parole (et non un leader) du mouvement zapatiste? Ou Noam Chomsky qui partage avec vous une carrière double d'intellectuel engagé? Ou Greta Thunberg qui s'est dressée au niveau local face à la destruction de nos écosystèmes ?

 

          Il n’y a aucune leçon valable à tirer d’une personne si on n’abolit pas au préalable le culte de la personnalité. Les zapatistes ne manquent jamais de rappeler qu’ils ne sont pas un modèle mais une expérience. Je n’ai pas lu Chomsky. J’ignore à quelles manipulations du capitalisme vert-dollar Greta Thunberg est exposée mais les insultes déversées sur ces adolescents, soucieux de sauver la terre et de la dégager de l'emprise du profit, a révélé à quel degré de veulerie sont arrivés ceux qui se targuent d’être des intellectuels, voire – comble du ridicule – des philosophes.

          Pour la plupart, les sociologues ressassent des constats en dédaignant la poésie qui autour d’eux aspire à changer le monde. Cher jeune Marx, vous qui écriviez «Les philosophes n‘ont fait qu’interpréter le monde, il s’agit maintenant de le transformer ! »

          Je me sens en meilleure compagnie avec les insurgés de la vie quotidienne, si confus qu’ils puissent être, qui s’agitent aux quatre coins du monde. Il y a là une pensée qui s’éveille. Elle imprimera dans les mentalités et les mœurs sa radicale nouveauté pour autant qu’elle garde le cap de ses principes fondamentaux : pas de chefs, pas de représentants autoproclamés, pas d’appareils politiques et syndicaux ; auto-organisation, priorité absolue à l’humain et à la solidarité.

 

Comment vous êtes-vous retrouvé membre influent de l'Internationale Situationniste? Avez-vous été surpris par l'heureux mois de Mai?

 

          C’est Henri Lefebvre, à qui j’avais écrit, qui m’a mis en contact avec Guy Debord.

          Surpris par Mai ? Non, heureux, oui ! La révolution de 1789 n’est pas née de la pensée des Lumières mais il est incontestable que les Diderot, Rousseau, Voltaire n’ont pas été étrangers à son essor insurrectionnel. Si la critique élaborée par l’Internationale situationniste n’a fait que coïncider avec un tournant de l’histoire où le capitalisme découvrait dans le consumérisme une nouvelle source de profit, il est en revanche indéniable que la Société du spectacle de Debord, De la misère en milieu étudiant de Khayati et mon Traité de savoir-vivre à l’usage des jeunes générations ont eu sur le Mouvement des occupations de Mai 1968 une influence qui ne cesse de se propager clandestinement. Un coup mortel a été porté alors à des vérités tenues pour immuables depuis des millénaires : le pouvoir hiérarchique, le respect de l’autorité, le patriarcat, la peur et le mépris de la femme, la haine de la nature, la vénération de l’armée, l’obédience religieuse et idéologique, la concurrence, la compétition, la prédation, le sacrifice, la nécessité du travail. Depuis lors une idée fait son chemin : la vraie vie ne peut se confondre avec cette survie qui ravale le sort de la femme et de l’homme à celui d’une bête de somme et d’une bête de proie.

 

Vous avez rompu avec l'Internationale Situationniste en faisant le constat de son échec à transformer la société mais aussi pour "refaire absolument votre cohérence" de votre côté. Comment avez-vous vécu ces déchirements politiques au niveau personnel? Quelles leçons en avez-vous tirées pour le combat ?

 

          Le triomphe de la colonisation consumériste et l’échec de notre projet d’autogestion généralisée ont été durement vécus. Le désespoir a réaffirmé son emprise et bon nombres d’ennemis de la marchandise sont devenus ses adeptes. L’expérience m’a dissuadé de tout engagement politique, de toute participation à un groupe.

          Certes, la colonisation consumériste a submergé la pensée radicale mais la vie n’en revendique pas moins ses droits dans le monde entier. La paupérisation qui s’accroît partout menace cet état de bien-être dont la réalité du pouvoir d’achat démontre qu’il ne tient plus que par la persistance du mensonge.

          Je mise sur la vie présente en chacun pour susciter un éveil des consciences, pour débarrasser les individus de leur individualisme crétinisant et les rendre à l’intelligence qui fait de chacune et de chacun un être solidaire, humain, tout simplement.

 

Epicurien, vous faites l'éloge de la "paresse affinée" et vous dressez contre l'aliénation du travail salarié. Pourtant vous publiez à tire larigot.

 

          Je ne suis pas hédoniste (l’idéologie du plaisir en est la falsification). Je n’ai pas le culte de l’écriture. J’ignore la hantise de la page blanche, je redoute seulement de n’avoir pas sous la main de quoi écrire une note que ma mémoire risque d’égarer. Je n’écris que dans la nécessité intérieure de mener plus avant une pensée qui participera de cet éveil de la conscience humaine qu’appelle la grande colère planétaire des peuples.

 

 Vous avez toujours prôné la liberté absolue de l'expression contre toute censure. Des évènements tragiques en Europe (l'attentat à Charlie mais aussi le meurtre récent d'un professeur en France) montrent que le droit au blasphème n'est plus aussi garanti qu'avant (même si beaucoup en ont fait les frais auparavant). Qu'en pensez-vous ?

 

          Le blasphème n’a de sens que pour un esprit religieux. La religion a toujours été le cœur d’un monde sans cœur. Lorsque les luttes sociales ont fait battre l’organe vital d’une société radicalement nouvelle, on a assisté à la déconfiture du christianisme, jadis si puissant.

          La liquidation de la conscience de classe provoquée par la bureaucratisation syndicale et politique du mouvement ouvrier et surtout par le raz de marée du consumérisme a laissé s’instiller au cœur de la société le pire venin qui soit, celui de l’argent. Comme le christianisme avait profité de la désagrégation des religions romaines, l’islam n’a eu aucune peine à ramasser les débris du christianisme. Aucune répression n’en viendra à bout. Il n’y aura pour détruire son emprise mortifère que le retour au vivant qu’implique l’insurrection existentielle et sociale.

          Dans le combat de la désobéissance civile, il n’y a ni couleur de peau ou de cheveux, ni sexe ni croyance qui vaillent.

 

Nous vivons une crise sanitaire importante. Quelles précautions prenez-vous vous-même? Comprenez-vous la limitation de certaines de nos libertés dans ce contexte? Pensez-vous que cela nécessite une action coordonnée, centralisée, celle de l'Etat, souvent décriée par les anarchistes?

 

          J’ai évoqué dans L’insurrection de la vie quotidienne la possibilité d’une autodéfense sanitaire. Une relation de confiance entre soignés et soignants disposant de moyens techniques révoquerait cette peur qui tue plus que le virus.     Cette panique, aujourd’hui propagée selon les méthodes de Goebbels, permet à l’État d’enrichir Big pharma et ses actionnaires aux dépens de la santé, de l’éducation, du bien public (notre res publica).

          L’humanité est en train de mourir pour que survive une économie où l’argent fou tourne en rond en creusant sa propre tombe.

 

Etes-vous sensible à ce bouleversement des écosystèmes et comment expliquez-vous que nos comportements mettent tant de temps à changer ?

 

          Comment voulez-vous que se préoccupent du climat les Etats et les multinationales pour lesquels la vie n’est rien en regard du profit immédiat ? La passivité hargneuse des résignés est pire que la tyrannie des maîtres. On a vu ce qu’ont donné Nuit Debout, les Indignés en Espagne ou les mouvements anti-austérité en Grèce.

          Il n’y a pas d’autre solution qu’un retour à la base. Les conditions d’existence, la dévastation économique et bureaucratique, l’empoisonnement des aliments, la déshumanisation dont souffrent les peuples sont devenus les moteurs d’une insurrection généralisée (même si elle est intermittente). La vraie démocratie viendra d’initiatives locales se fédérant planétairement. Je renvoie le lecteur à mon analyse des ZAD développée dans Contribution à l’émergence de territoires libérés de l’emprise étatique et marchande. Nous avons toujours été induits à raisonner selon une logique de macro-société. Pour la réification marchande, le sujet n’existe pas. Le nombre est un objet mort.

          Aujourd’hui, la subjectivité s’ébroue. L’important, c’est ce que j’ai envie de vivre et le combat que je mène quotidiennement contre ce qui m’en empêche. Ce n’est pas le nombre de protestataires qui fait leur force, c’est l’intelligence sensible qui progresse chez les individus et les solidarise, leur évitant l’abrutissement populiste, l’individualisme qui crétinise et cherche un bouc émissaire pour assouvir ses frustrations.

 

Le mouvement féministe a beaucoup évolué ces derniers temps. Qu’en pensez-vous ?

 

          Il a fallu longtemps pour le comprendre : la libération de la femme et la réhabilitation de la nature sont inséparables. A la société nouvelle, qui lentement sort des limbes, il appartiendra de dépasser l'affrontement entre l’ultime arrogance du patriarcat défaillant et un féminisme que le désir de vengeance aveugle au point de revendiquer le droit aux pires prérogatives de l'homme. La belle victoire que de célébrer l’engeance des Thatcher ! La belle émancipation que de devenir ministre, préfète, militaire, policière, tortionnaire, femme d'affaires !  

          L’être humain est le devenir de l’homme et de la femme, il est le dépassement du virilisme et du féminisme.

 

Quel est votre avis sur la Belgique ? Ce pays si compliqué à gouverner signifie-t-il quelque chose pour vous ? Comment voyez-vous son avenir ?

 

          Je refuse de m’identifier à une entité géographique. Je me moque d’être Belge ou Iroquois mais je me sens touché par cette Bruxelloise qui, interrogée sur les effets du confinement et des fermetures de bistrots se disait outrée parce que « c’est tout un art de vivre que l’on détruit ».

          J’aime les frites, je me régale d’une Triple Westmalle, d’une Bush, d’une Rochefort, d’une St. Feuillien Grand cru, je suis attaché à mon parler picard. Je n’ai rien en commun avec les moutons qui, au nom de je ne sais quelle Belgique, vont continuer à voter pour leurs bouchers. Ce qui tue la joie de vivre fait fête à la charogne.

 

Vous vous êtes souvent adressé à la jeunesse dans vos écrits. Quelle suggestion feriez-vous à un jeune (disons 16 ans) aujourd’hui ?

 

          D’apprendre à vivre, non à ramper comme un chien à qui l’on aboie des ordres. De refuser la servitude volontaire, d’expérimenter des modes de sociétés où il ne soit plus nécessaire de s’avilir pour une poignée de dollars.

          Mais de quel droit donner des conseils et pourquoi en tenir compte si vous n’en sentez pas le désir en vous?

 

Un groupe de théâtre  belge, le Raoul collectif se revendique aujourd'hui de votre nom (et de votre héritage), qu'en pensez-vous ?

 

          C’est un témoignage d’amitié et de complicité qui aide à vivre. De tels éléments épars fondent peu à peu le projet d’entraide dont rêvait Kropotkine.

 

On connait la citation de Gramsci "Le vieux monde se meurt, le nouveau monde tarde à apparaître et dans ce clair-obscur surgissent les monstres". Comment les éviter ?

 

          Nous sommes dans une mutation de civilisation, la vieille meurt, la nouvelle naît en redoutant sa nouveauté. Les monstres disparaîtront quand nous bannirons la peur qui leur confère leur vraie substance.

 

Enfin, nous demandons normalement aux personnalités que nous interviewons de nous recommander une lecture. Que nous proposeriez-vous ?

          Encore, toujours (en réfléchissant surtout à sa mise en pratique) le Discours de la servitude volontaire de La Boétie. Toutefois, la meilleure lecture, la plus difficile et la plus passionnante, reste celle de soi-même.

 

NB. Dans la publication du 14 novembre 2020, la question sur le féminisme a été supprimée de la version papier et transférée dans la version en ligne.