https://reporterre.net/Raoul-Vaneigem-Contre-le-capitalisme-une-revolution-maraichere
CONTRO IL CAPITALISMO UNA RIVOLUZIONE DELL’ORTICOLTURA
Raoul Vaneigem *
Bisogno di ZAD (in francese Zones A
Défendre: zone da difendere dall’avanzata del mostro produttivista, NdT),
emancipazione delle società... In un momento in cui la diserzione si sta
diffondendo in Francia, Reporterre ha parlato con Raoul Vaneigem, i cui scritti
hanno influenzato il maggio 68.
* Scrittore
impegnato, protagonista essenziale dell'Internazionale Situazionista con Guy
Debord, il medievalista Raoul Vaneigem ha pubblicato una cinquantina di libri a
cominciare dal suo Trattato del saper
vivere ad uso delle giovani generazioni (mia traduzione per Castelvecchi,
Roma 2006, NdT), che ha contribuito al sollevamento delle università nel maggio
68. Un affascinante libro-intervista con Gérard Berréby, Rien n'est fin, tout commence, pubblicato a Parigi nel 2014 da
Allia, permette di comprendere meglio la sua traiettoria, dall’ambiente operaio
dell'Hainaut belga alla difesa del socialismo autogestito. Tra le sue ultime pubblicazioni, Niente resiste alla gioia di vivere, Ritorno alla base e Ritorno
alla vita (tutti rintracciabili su Barravento e pubblicati su carta da
Nautilus, Torino, NdT). Un saggio di Adeline Baldacchino gli è stato recentemente
dedicato: Raoul Vaneigem — Une politique
de la joie (a cura di Michalon, 2022).
Reporterre — Il 10 maggio scorso gli
studenti dell'AgroParisTech hanno denunciato pubblicamente l'insegnamento ricevuto,
ai loro occhi complice della “devastazione sociale ed ecologica in corso”. Dopo
altri, sollecitavano a biforcare per "vite meno ciniche", in
particolare in campagna. Sono questi i semi di una ribellione che da tempo Lei invoca
contro il capitalismo e il suo disprezzo per la vita?
Raoul Vaneigem — Abbandonare i centri urbani per riconnettersi con la natura
non è più paragonabile al ritiro in campagna che ha motivato gli hippy, in
seguito al venir meno del movimento delle occupazioni del maggio 68. I
pesticidi avrebbero rapidamente ricordato ai sognatori bucolici che il profitto
diffonde ovunque il suo odore. La scelta della campagna va ben oltre una
reazione di autodifesa della vita in preda all'inquinamento urbano.
L'ironia della storia ci ricorda ora le lotte comunaliste che,
nel XII e XIII secolo, videro insorgere le città nascenti, in Catalogna,
nell'Italia settentrionale, in Germania, nella Francia occitana e in Piccardia,
contro la tirannia dei signori feudali. L'importanza crescente del libero
scambio, che inaugurava la lotta del capitalismo contro l'immobilismo agrario
incatenato dall'aristocrazia, fu allora il motore di una lotta che opponeva la
borghesia delle città contro il potere oppressivo dei feudatari. Tuttavia,
questo progetto di emancipazione ha rivelato molto presto la sua ambiguità. Nel
suo Complainte des tisserandes,
Chrétien de Troyes si è fatto eco della nuova oppressione. Per aver alimentato
le lotte comunaliste, lo slogan "l'aria delle città rende liberi"
servirà da trampolino di lancio per l'ideologia di una felicità terrena
liberata dagli dei e dalla loro tutela.
L'attrattiva della campagna è che offre nuove basi per le lotte
che stanno prendendo forma oggi, inseparabilmente esistenziali e sociali.
Perché, a parte l’ostinazione dei Gilet Jaunes, la stagnazione delle lotte
rivendicative è spaventosa. La rivolta aspira ad aprirsi altre strade. La
campagna offre alla prospettiva di uno sconvolgimento collettivo e individuale quel
che si potrebbe qualificare come un “campo
di battaglia smilitarizzato”, un luogo di possibilità, aperto alle sfide
della poesia creativa.
Sta emergendo un’evidenza: il movimento di emancipazione
universale nascerà da piccole entità federate, da micro-società spinte dalla
volontà di difendere e sviluppare il senso umano. È finita la scommessa sul
gran numero di manifestanti, sulle folle troppo facilmente manipolabili, sulle
nazioni, sui gruppi sovrappopolati. Se la città può evitare di soffocare nel
sovraffollamento, è facendo rivivere le sue vecchie strutture di villaggio,
ricreando quelle solidarietà di quartiere che sono sempre state propizie alle
rivolte e alle insurrezioni — Haussmann non si
sbagliava, inquadrandole e sventrandole con larghi viali.
Reporterre — Nel 1967 il suo
“Trattato del saper vivere ad uso delle giovani generazioni” invitava a uscire
dal determinismo sociale per “crearsi ricreando la società”. I giovani adulti
disertori che cercano oggi di ancorarsi di nuovo a un'esistenza materiale collegata
al vivente (panificio, apicoltura, ecc.) rispondono a questo movimento?
Raoul Vaneigem — Dall'alto della loro burocrazia politica e sindacale, dove
gestiscono l'impotenza della sovversione, i retori dell'anticapitalismo hanno
sempre trattato con disprezzo coloro che volevano attenuare attraverso delle
riforme una disumanità di cui condannavano visceralmente la crudeltà. I riformisti
non erano rivoluzionari, ma nemmeno lo erano le grandi ideologie proletarie, se
giudichiamo dallo smembramento della coscienza operaia che dobbiamo loro. A
dire il vero, non bisogna sbagliarsi, le cosiddette organizzazioni umanitarie — in stile Kouchner — sono per la maggior
parte un’impostura. Partecipano alla filantropia, al mercato caritativo,
insomma alle opere pie del capitalismo. Ma, lì come ovunque, sta a noi porci
incessantemente la domanda “Cui prodest?
A chi giova tutto ciò?”. Non c'è altro mezzo per separare, vagliandole, le
iniziative deleterie da quelle salutari.
Ciò che attrae nel progetto di “crearsi ricreando il mondo” scopre la sua pratica attraverso i
gruppi di solidarietà in cui l'autonomia individuale è l'elemento centrale.
Mentre lo Stato e i suoi finanziatori moltiplicano le aree da distruggere, un
numero crescente di collettività si oppone loro acquistando, su base privata,
terreni che dedicano alla permacultura, all'agricoltura rinaturalizzata,
all'orticoltura, all'artigianato, alla ricerca di energie non inquinanti,
escludendo l'ecologia mercantile. Tali iniziative incoraggiano rivolte
inaspettate, come quella degli ingegneri agronomi che si rifiutano di
collaborare ulteriormente all'avvelenamento agro-alimentare, dei ricercatori
che non supportano più le tecnologie disumanizzanti, dei tecnici diventati
ostili alle industrie dell'inquinamento climatico che li impiegano. Immaginate,
in quest’ottica, un sabotaggio delle tasse e delle imposte da parte di
funzionari diventati, loro malgrado, esattori dell’ingiustizia!
“L'intero pianeta freme dello stesso desiderio di una vita libera.”
Va ricordato che sotto i colori dell'umorismo e del buonumore,
una "rivoluzione dell'orticoltura"
sta lavorando per recuperare una terra che è nostra. I colpi che aboliranno la
tutela degli Stati e degli interessi privati scaturiranno dall’esistenziale e dal
suo tessuto sociale. È della massima importanza che in questi luoghi di
ritrovata fraternità si possa riscoprire la gioia della convivenza,
l'efflorescenza delle passioni, il desiderio senza fine. Che l'apicoltore si senta
tra le sue api come in un ambiente naturale e in relazioni veramente umane, fa
tutta la differenza con la stessa occupazione esercitata nel mondo mercantile.
Quello che sta accadendo davanti ai nostri occhi è un rovesciamento radicale.
Il risorgere del mutuo soccorso e dell'autonomia individuale annuncia la fine
del regno dell'individualista, dello schiavo predatore, del piccolo uomo dal
calcolo egoistico. È lo sradicamento della servitù volontaria.
Ridurre queste nuove solidarietà a un folclore associativo
significa dimenticare che possono essere il fermento di ulteriori sviluppi. Il
rifiuto della barbarie ha dato vita a zone da difendere come il Chiapas
zapatista e il Rojava. La Francia lo illustra con una pretesa galattica di una
specificità insolita e insolente. Se la presenza imperturbabile dei Gilet jaunes
irradia umilmente delle risonanze poetiche che turbano il mondo intero, non è
né per caso né per magia, ma perché il pianeta intero freme dello stesso desiderio
di una vita libera. Perché ovunque, dal Cile allo Sri Lanka, il sogno di una
società radicalmente nuova si coniuga con la storia e si concretizza.
Reporterre — Questi gesti forti
fanno eco a una crescente coscienza ecologica. Credete forse che l'ecologia politica,
con le sue lotte contro i grandi progetti inutili (su strada, per via aerea,
ecc.), la sua denuncia del produttivismo e del lavoro forzato (per i coloni),
la sua difesa del vivente, possa essere un'occasione di rinascita politica? In
che misura?
Raoul Vaneigem — Per quanto simpatiche, le manifestazioni a favore del clima
servono come sfogo al sentimento d’impotenza che i manifestanti provano
intimamente. Come immaginare che misure pratiche e minimamente sostanziali
contro l'inquinamento possano essere adottate da Stati e monopoli che ne sono
la causa e i beneficiari? Non è nelle capitali che la rabbia è indispensabile,
è al fianco degli zadisti in lotta contro la diffusione delle nocività, dei pesticidi,
delle inutilità redditizie – non abbiamo nemmeno ottenuto il bando dei prodotti
che uccidono le api e ci avvelenano!
Quali virtù volete attribuire alla politica e al
parlamentarismo? La merce elettorale è intercambiabile. Il dritto vale il rovescio.
Il populismo di stampo fascista chiede la libertà di non farsi vaccinare e il
populismo di sinistra chiede la vaccinazione obbligatoria. Abbiamo mai sperimentato
una tale penuria d’intelligenza sensibile e di senso umano? Mentre le buffonate
mediatiche attirano l'attenzione, le lobby del nucleare, del petrolio, dei
prodotti farmaceutici, del 5G, del gas di scisto e degli illeciti bancari
trionfano con il supporto di una corruzione e di un parassitismo statale esibiti
senza scrupoli. Questo bel mondo se la prenderebbe a cuore se ne avesse uno. In
questo caso gli basta la “totale” certezza di poter continuare la sua lucrativa
impresa di distruzione.
Reporterre — Come passare dalla
diserzione individuale all'insurrezione collettiva?
Raoul Vaneigem — Lo Stato e i suoi sponsor avrebbero interesse a trascinarci
in una guerra civile, o almeno nella sua parodia. Ne avrebbero un doppio
vantaggio. Ci rinchiuderebbero su un terreno che conoscono abbastanza bene da poterci
schiacciare. Ancora più deplorevole, ci militarizzerebbero, ci
meccanizzerebbero, ingaggiandoci a controsenso rispetto alla coscienza umana
per la quale noi lottiamo. Libero chi lo vuole di ricorrere a una qualche
guerriglia senz’armi, secondo il principio “non
distruggere mai un essere umano, ma distruggere le macchine che ci
disumanizzano”.
Tuttavia, visto il crollo programmato dal crescente divario tra l’economia
reale e l’economia speculativa, è meglio scommettere su un'insurrezione
pacifica come quella illustrata a loro modo dagli zapatisti, dai Gilet Gialli e
da quegli improbabili insorti che spuntano dappertutto.
Il popolo aveva finito per rendersi conto che i loro sfruttatori
erano dei malati. Ora si accorge che il potere non è più nelle mani di malaticci
ma che è gestito dal terrore epidemico e dall'epidemia del terrore. Il
capitalismo morente trasforma la morbosità in un modo di governo. La paura della
malattia è lo strumento di un'oppressione automatizzata. Una volta messa in
moto, la macchina funziona da sola, fa uso di leader senza cervello, creature acefale
che incespicano dalla stupidità all'incompetenza. Lo Stato ei suoi sponsor sono
esonerati da ogni responsabilità. E noi, di ogni dovere verso di loro!
L'autodifesa sanitaria diventa per tutte e tutti la sostanza di un'autodifesa
generalizzata. Da questo punto di vista, l'autogestione — cioè l’organizzazione del popolo per mano sua — non ha più nulla di sovversivo, è una cura sanitaria
perfettamente legittima!
La diserzione ha il
vento in poppa. L’appello a disertare la scorsa primavera degli studenti di
AgroParisTech è stato visto più di dodici milioni di volte. Ovunque, giovani e
meno giovani mettono in discussione il lavoro. E alcuni biforcano per
inventare, altrove, una vita che donne e uomini considerano più ricca.
Dopo la nostra indagine
sulla grande dimissione, Reporterre torna, in una serie estiva, su quest'onda.
Per interrogarla. Perché non è così facile lasciar perdere tutto. Cambiare vita.
Reinventare il lavoro, il quotidiano. Alcuni ci riescono, certuni hanno
difficoltà, altri si arrendono. Attraverso ritratti e interviste, da scoprire
dal 16 al 19 agosto, ci chiederemo: come fare della diserzione un'onda di fondo,
un maremoto?