sabato 27 agosto 2022

CONTRO IL CAPITALISMO UNA RIVOLUZIONE DELL’ORTICOLTURA Raoul Vaneigem *





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CONTRO IL CAPITALISMO UNA RIVOLUZIONE DELL’ORTICOLTURA

Raoul Vaneigem *


Bisogno di ZAD (in francese Zones A Défendre: zone da difendere dall’avanzata del mostro produttivista, NdT), emancipazione delle società... In un momento in cui la diserzione si sta diffondendo in Francia, Reporterre ha parlato con Raoul Vaneigem, i cui scritti hanno influenzato il maggio 68.

 

* Scrittore impegnato, protagonista essenziale dell'Internazionale Situazionista con Guy Debord, il medievalista Raoul Vaneigem ha pubblicato una cinquantina di libri a cominciare dal suo Trattato del saper vivere ad uso delle giovani generazioni (mia traduzione per Castelvecchi, Roma 2006, NdT), che ha contribuito al sollevamento delle università nel maggio 68. Un affascinante libro-intervista con Gérard Berréby, Rien n'est fin, tout commence, pubblicato a Parigi nel 2014 da Allia, permette di comprendere meglio la sua traiettoria, dall’ambiente operaio dell'Hainaut belga alla difesa del socialismo autogestito. Tra le sue ultime pubblicazioni, Niente resiste alla gioia di vivere, Ritorno alla base e Ritorno alla vita (tutti rintracciabili su Barravento e pubblicati su carta da Nautilus, Torino, NdT). Un saggio di Adeline Baldacchino gli è stato recentemente dedicato: Raoul Vaneigem — Une politique de la joie (a cura di Michalon, 2022).

ReporterreIl 10 maggio scorso gli studenti dell'AgroParisTech hanno denunciato pubblicamente l'insegnamento ricevuto, ai loro occhi complice della “devastazione sociale ed ecologica in corso”. Dopo altri, sollecitavano a biforcare per "vite meno ciniche", in particolare in campagna. Sono questi i semi di una ribellione che da tempo Lei invoca contro il capitalismo e il suo disprezzo per la vita?

Raoul Vaneigem — Abbandonare i centri urbani per riconnettersi con la natura non è più paragonabile al ritiro in campagna che ha motivato gli hippy, in seguito al venir meno del movimento delle occupazioni del maggio 68. I pesticidi avrebbero rapidamente ricordato ai sognatori bucolici che il profitto diffonde ovunque il suo odore. La scelta della campagna va ben oltre una reazione di autodifesa della vita in preda all'inquinamento urbano.

L'ironia della storia ci ricorda ora le lotte comunaliste che, nel XII e XIII secolo, videro insorgere le città nascenti, in Catalogna, nell'Italia settentrionale, in Germania, nella Francia occitana e in Piccardia, contro la tirannia dei signori feudali. L'importanza crescente del libero scambio, che inaugurava la lotta del capitalismo contro l'immobilismo agrario incatenato dall'aristocrazia, fu allora il motore di una lotta che opponeva la borghesia delle città contro il potere oppressivo dei feudatari. Tuttavia, questo progetto di emancipazione ha rivelato molto presto la sua ambiguità. Nel suo Complainte des tisserandes, Chrétien de Troyes si è fatto eco della nuova oppressione. Per aver alimentato le lotte comunaliste, lo slogan "l'aria delle città rende liberi" servirà da trampolino di lancio per l'ideologia di una felicità terrena liberata dagli dei e dalla loro tutela.

L'attrattiva della campagna è che offre nuove basi per le lotte che stanno prendendo forma oggi, inseparabilmente esistenziali e sociali. Perché, a parte l’ostinazione dei Gilet Jaunes, la stagnazione delle lotte rivendicative è spaventosa. La rivolta aspira ad aprirsi altre strade. La campagna offre alla prospettiva di uno sconvolgimento collettivo e individuale quel che si potrebbe qualificare come un “campo di battaglia smilitarizzato”, un luogo di possibilità, aperto alle sfide della poesia creativa.

Sta emergendo un’evidenza: il movimento di emancipazione universale nascerà da piccole entità federate, da micro-società spinte dalla volontà di difendere e sviluppare il senso umano. È finita la scommessa sul gran numero di manifestanti, sulle folle troppo facilmente manipolabili, sulle nazioni, sui gruppi sovrappopolati. Se la città può evitare di soffocare nel sovraffollamento, è facendo rivivere le sue vecchie strutture di villaggio, ricreando quelle solidarietà di quartiere che sono sempre state propizie alle rivolte e alle insurrezioni Haussmann non si sbagliava, inquadrandole e sventrandole con larghi viali.

 

ReporterreNel 1967 il suo “Trattato del saper vivere ad uso delle giovani generazioni” invitava a uscire dal determinismo sociale per “crearsi ricreando la società”. I giovani adulti disertori che cercano oggi di ancorarsi di nuovo a un'esistenza materiale collegata al vivente (panificio, apicoltura, ecc.) rispondono a questo movimento?

Raoul Vaneigem — Dall'alto della loro burocrazia politica e sindacale, dove gestiscono l'impotenza della sovversione, i retori dell'anticapitalismo hanno sempre trattato con disprezzo coloro che volevano attenuare attraverso delle riforme una disumanità di cui condannavano visceralmente la crudeltà. I riformisti non erano rivoluzionari, ma nemmeno lo erano le grandi ideologie proletarie, se giudichiamo dallo smembramento della coscienza operaia che dobbiamo loro. A dire il vero, non bisogna sbagliarsi, le cosiddette organizzazioni umanitarie in stile Kouchner sono per la maggior parte un’impostura. Partecipano alla filantropia, al mercato caritativo, insomma alle opere pie del capitalismo. Ma, lì come ovunque, sta a noi porci incessantemente la domanda “Cui prodest? A chi giova tutto ciò?”. Non c'è altro mezzo per separare, vagliandole, le iniziative deleterie da quelle salutari.

Ciò che attrae nel progetto di “crearsi ricreando il mondo” scopre la sua pratica attraverso i gruppi di solidarietà in cui l'autonomia individuale è l'elemento centrale. Mentre lo Stato e i suoi finanziatori moltiplicano le aree da distruggere, un numero crescente di collettività si oppone loro acquistando, su base privata, terreni che dedicano alla permacultura, all'agricoltura rinaturalizzata, all'orticoltura, all'artigianato, alla ricerca di energie non inquinanti, escludendo l'ecologia mercantile. Tali iniziative incoraggiano rivolte inaspettate, come quella degli ingegneri agronomi che si rifiutano di collaborare ulteriormente all'avvelenamento agro-alimentare, dei ricercatori che non supportano più le tecnologie disumanizzanti, dei tecnici diventati ostili alle industrie dell'inquinamento climatico che li impiegano. Immaginate, in quest’ottica, un sabotaggio delle tasse e delle imposte da parte di funzionari diventati, loro malgrado, esattori dell’ingiustizia!

“L'intero pianeta freme dello stesso desiderio di una vita libera.”

Va ricordato che sotto i colori dell'umorismo e del buonumore, una "rivoluzione dell'orticoltura" sta lavorando per recuperare una terra che è nostra. I colpi che aboliranno la tutela degli Stati e degli interessi privati scaturiranno dall’esistenziale e dal suo tessuto sociale. È della massima importanza che in questi luoghi di ritrovata fraternità si possa riscoprire la gioia della convivenza, l'efflorescenza delle passioni, il desiderio senza fine. Che l'apicoltore si senta tra le sue api come in un ambiente naturale e in relazioni veramente umane, fa tutta la differenza con la stessa occupazione esercitata nel mondo mercantile. Quello che sta accadendo davanti ai nostri occhi è un rovesciamento radicale. Il risorgere del mutuo soccorso e dell'autonomia individuale annuncia la fine del regno dell'individualista, dello schiavo predatore, del piccolo uomo dal calcolo egoistico. È lo sradicamento della servitù volontaria.

Ridurre queste nuove solidarietà a un folclore associativo significa dimenticare che possono essere il fermento di ulteriori sviluppi. Il rifiuto della barbarie ha dato vita a zone da difendere come il Chiapas zapatista e il Rojava. La Francia lo illustra con una pretesa galattica di una specificità insolita e insolente. Se la presenza imperturbabile dei Gilet jaunes irradia umilmente delle risonanze poetiche che turbano il mondo intero, non è né per caso né per magia, ma perché il pianeta intero freme dello stesso desiderio di una vita libera. Perché ovunque, dal Cile allo Sri Lanka, il sogno di una società radicalmente nuova si coniuga con la storia e si concretizza.

ReporterreQuesti gesti forti fanno eco a una crescente coscienza ecologica. Credete forse che l'ecologia politica, con le sue lotte contro i grandi progetti inutili (su strada, per via aerea, ecc.), la sua denuncia del produttivismo e del lavoro forzato (per i coloni), la sua difesa del vivente, possa essere un'occasione di rinascita politica? In che misura?

Raoul Vaneigem — Per quanto simpatiche, le manifestazioni a favore del clima servono come sfogo al sentimento d’impotenza che i manifestanti provano intimamente. Come immaginare che misure pratiche e minimamente sostanziali contro l'inquinamento possano essere adottate da Stati e monopoli che ne sono la causa e i beneficiari? Non è nelle capitali che la rabbia è indispensabile, è al fianco degli zadisti in lotta contro la diffusione delle nocività, dei pesticidi, delle inutilità redditizie – non abbiamo nemmeno ottenuto il bando dei prodotti che uccidono le api e ci avvelenano!

Quali virtù volete attribuire alla politica e al parlamentarismo? La merce elettorale è intercambiabile. Il dritto vale il rovescio. Il populismo di stampo fascista chiede la libertà di non farsi vaccinare e il populismo di sinistra chiede la vaccinazione obbligatoria. Abbiamo mai sperimentato una tale penuria d’intelligenza sensibile e di senso umano? Mentre le buffonate mediatiche attirano l'attenzione, le lobby del nucleare, del petrolio, dei prodotti farmaceutici, del 5G, del gas di scisto e degli illeciti bancari trionfano con il supporto di una corruzione e di un parassitismo statale esibiti senza scrupoli. Questo bel mondo se la prenderebbe a cuore se ne avesse uno. In questo caso gli basta la “totale” certezza di poter continuare la sua lucrativa impresa di distruzione.

ReporterreCome passare dalla diserzione individuale all'insurrezione collettiva?

Raoul Vaneigem — Lo Stato e i suoi sponsor avrebbero interesse a trascinarci in una guerra civile, o almeno nella sua parodia. Ne avrebbero un doppio vantaggio. Ci rinchiuderebbero su un terreno che conoscono abbastanza bene da poterci schiacciare. Ancora più deplorevole, ci militarizzerebbero, ci meccanizzerebbero, ingaggiandoci a controsenso rispetto alla coscienza umana per la quale noi lottiamo. Libero chi lo vuole di ricorrere a una qualche guerriglia senz’armi, secondo il principio “non distruggere mai un essere umano, ma distruggere le macchine che ci disumanizzano”.

Tuttavia, visto il crollo programmato dal crescente divario tra l’economia reale e l’economia speculativa, è meglio scommettere su un'insurrezione pacifica come quella illustrata a loro modo dagli zapatisti, dai Gilet Gialli e da quegli improbabili insorti che spuntano dappertutto.

Il popolo aveva finito per rendersi conto che i loro sfruttatori erano dei malati. Ora si accorge che il potere non è più nelle mani di malaticci ma che è gestito dal terrore epidemico e dall'epidemia del terrore. Il capitalismo morente trasforma la morbosità in un modo di governo. La paura della malattia è lo strumento di un'oppressione automatizzata. Una volta messa in moto, la macchina funziona da sola, fa uso di leader senza cervello, creature acefale che incespicano dalla stupidità all'incompetenza. Lo Stato ei suoi sponsor sono esonerati da ogni responsabilità. E noi, di ogni dovere verso di loro! L'autodifesa sanitaria diventa per tutte e tutti la sostanza di un'autodifesa generalizzata. Da questo punto di vista, l'autogestione cioè l’organizzazione del popolo per mano sua non ha più nulla di sovversivo, è una cura sanitaria perfettamente legittima!

 

 

 

La diserzione ha il vento in poppa. L’appello a disertare la scorsa primavera degli studenti di AgroParisTech è stato visto più di dodici milioni di volte. Ovunque, giovani e meno giovani mettono in discussione il lavoro. E alcuni biforcano per inventare, altrove, una vita che donne e uomini considerano più ricca.

Dopo la nostra indagine sulla grande dimissione, Reporterre torna, in una serie estiva, su quest'onda. Per interrogarla. Perché non è così facile lasciar perdere tutto. Cambiare vita. Reinventare il lavoro, il quotidiano. Alcuni ci riescono, certuni hanno difficoltà, altri si arrendono. Attraverso ritratti e interviste, da scoprire dal 16 al 19 agosto, ci chiederemo: come fare della diserzione un'onda di fondo, un maremoto?