sabato 28 giugno 2025

Inizio della fine o esordio di un nuovo mondo possibile - Sergio Ghirardi Sauvageon

 
















“La tirannia è il regno della maggioranza

dove l'individuo scompare e l'obbedienza

all'entità collettiva è considerata la virtù suprema”.

Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, 1951.

 

In seguito al fallimento storico del movimento delle occupazioni del Maggio 1968, le dinamiche dei movimenti di emancipazione contro il dominio capitalista hanno perso ogni speranza indotta dalle rivolte proletarie che hanno segnato la fine del XIX° secolo e i due terzi di quello successivo. Nel cuore di quest'epoca ormai archiviata (1871-1968), la rivoluzione socialista russa ha rappresentato nell'immaginario collettivo l'icona mistica degli sfruttati della terra che volevano l'abolizione della classe proletaria e l'emancipazione della specie. Questa credenza diffusa fu la tragica svolta di una truffa escatologica storica da cui non ci siamo ancora rimessi.

Purtroppo, e non a caso, in risposta immediata alla radicalità umanista della rivoluzione proletaria[1], i fascismi sono comparsi ovunque, a sinistra come a destra, vampirizzando le lotte di classe: il fascismo rosso bolscevico da una parte e il fascismo bruno e nero dall'altra, seguiti oggi – quasi un secolo dopo – da un postfascismo psicopatico e tecnocratico.

Per un intero secolo attraversato da due guerre mondiali, preannuncio anticipato della terza a venire, la violenza politica ha marcato un'umanità per la quale la predazione e il suprematismo sono da tempo comportamenti abituali, diffusi e banalizzati. In realtà, queste tare da animali predatori sono molto apprezzate e sfruttate dall'egoismo primario e narcisista che dilaga, atteggiamenti molto più facili da assumere in una società produttivista e patriarcale plurimillenaria piuttosto che l'aiuto reciproco e la solidarietà stati d'animo e d'azione che rappresentano invece la sola via d'uscita auspicabile dalla preistoria senza fine della specie umana.

Riferendosi all'essenziale di una terza via rivoluzionaria risolutamente laica e poeticamente umana, sappiamo oggi, nella lotta contro lo spettacolo del dominio, che dobbiamo evitare la trappola in cui i disertori dell'economia politica, critici di un mondo alienato, diventano dei militanti ottusi, attori suicidi di una guerra civile permanente che suona la campana a morto di ogni rivoluzione sociale: “Anime belle del linguaggio dominante, siete voi che incitate all'omicidio, all’odio, al saccheggio, alla guerra civile. All'ombra dello spettacolo crudele e ridicolo, si staglia l'antica guerra dei poveri contro i ricchi, che, mascherata e falsificata dalla rifrazione ideologica, è oggi la guerra dei poveri che vogliono restarlo e dei poveri che vogliono cessare di esserlo[2].

Mezzo secolo dopo queste sagge parole, l'abolizione della povertà rimane un obiettivo ancora da raggiungere, mentre le forme di questa povertà si sono approfondite e moltiplicate. Esiste un tragico legame tra la presa di coscienza che il capitalismo sta distruggendo la vita sulla Terra e il fatto che un altro mondo sarebbe effettivamente possibile, pur sapendo che la classe dominante – o meglio, la tecnocrazia mafiosa dell’oligarchia che ne ha preso il posto proletarizzando la borghesia – usa tutta la violenza e le manipolazioni necessarie per rendere l'emancipazione sempre più improbabile, se non impossibile.

Il fallimento planetario della prima rivolta antiproduttivista della storia, fomentata un po’ dovunque attorno al Maggio 1968, ha reso possibile a una tecno scienza capitalista sempre più potente di programmare l'addomesticamento della specie e la graduale scomparsa del vivente, lasciando agli eventuali sopravvissuti all'apocalisse tecnologica una sola scelta: ricominciare quasi da zero in un mondo sconvolto oltre ogni immaginazione.

Dal 1969, nonostante la messa in guardia del Rapporto Meadows del 1972[3], abbiamo continuato a subire passivamente la transizione da un mondo ingiusto e arbitrario a un mondo meno egualitario e più assurdo che mai, destinato all'implosione. La repressione e la falsificazione spettacolare hanno deviato lo slancio generoso e universale della rivoluzione sociale incompiuta e ridotta alla miseria spettacolare di una rivoluzione politica. Tale regressione suicida ha permesso ai dominanti della società patriarcale di spingere il cinismo produttivista fino alla quasi completa distruzione delle condizioni necessarie alla vita umana e alla vita sulla terra in generale. Così, più che quelle di Nostradamus, sono le profezie scientifiche di Marx sul dominio reale del Capitale che si sono rivelate vere, in peggio: ben oltre un marxismo la cui ideologia ha contribuito al fallimento della rivoluzione sociale.

A differenza della rivolta spontanea, la rivoluzione si basa su un pensiero previo, su una dottrina che cerca di applicarsi alla realtà. Troppo spesso essa persegue l'obiettivo di istituzionalizzarsi, producendo i dirigenti di un nuovo ordine che si pretende egualitario: burocrati, mercanti, intellettuali, statisti, militari, disinformatori opportunisti, un mix variegato di mercenari riciclati al servizio di un nuovo Leviatano che si presenta come rivoluzionario, giusto il tempo di imporre i suoi nuovi dettami suprematisti.

Dal 1789, la borghesia francese ha forgiato un modello rivoluzionario di dominio applicabile a tutti i conflitti sociali emergenti. Così, la spontaneità di un aiuto reciproco disinteressato, volto a creare un altro mondo, è stato rapidamente scartato dal progetto rivoluzionario: la testa umana popolare della rivolta è stata tagliata per dare il suo corpo acefalo al mostro freddo che è lo Stato.

Il ruolo dello Stato nella società "rivoluzionata" incarna la disumanizzazione della rivoluzione, mentre la rivolta spontanea è un’espressione della libertà dell’essere umano. Il Leviatano capitalista ha sfruttato appieno questo carattere contraddittorio e ambiguo della rivoluzione, confinando nel contempo il proletariato nella società dei consumi, privandolo così di ogni volontà rivoluzionaria consapevole.

La necessaria rivoluzione emancipatrice diventa quindi quasi impossibile. Che si tratti di lavoratori o disoccupati, il lavoro produttivista impera dovunque: i giovani, fortemente plasmati dai media, nonostante la spontanea autenticità della loro gioventù bruciata, sono disorientati e aggrediti da una servitù volontaria che si esprime ora con una rivolta disperata, ora con un riflesso d’integrazione spettacolare. Il loro addomesticamento schizofrenizzato contribuisce al fallimento della spontaneità critica necessaria alla formazione di una società umana libera e gioiosa.

Da parte loro, gli intellettuali, sempre più specializzati, sono diventati incapaci di qualsiasi riflessione globale. Il sapere alienato gestito dalle mani sporche della tecnocrazia è ulteriormente inquinato dalla fede dogmatica nella doxa dominante di un mondo di merci feticizzate.

Quale soggetto può dunque avviare un processo rivoluzionario? Chissà, anche se a volte si hanno piacevoli sorprese: dei Gilet Jaunes inaspettati, insperati, autentici quanto effimeri, abbastanza lucidi ma in deriva incontrollata, arrabbiati quanto i situazionisti di un tempo ma indeboliti dall'inquinamento ideologico del nuovo mondo virtuale che si è aggiunto alla repressione dello Stato! Quando lo spettacolo infuria impunemente con il sostegno della tecnocrazia, non è certamente facile cambiare il mondo senza prendere lucciole per lanterne, senza morire di noia, di tristezza, di dolore nella confusione coltivata e la rabbia impotente.

Tutta la storia moderna è stata la lotta tra due forme di dominio. Il comunismo autoritario (capitalismo di Stato inquisitore) e il capitalismo liberale (produttivismo sfrenato e privo di etica) sono due forme spettacolarmente opposte e complementari di suprematismo produttivista di stampo fascista. La democrazia parlamentare è una formulazione fallimentare e falsificata d'uguaglianza dei cittadini, mentre la tendenza consigliare prevista da una democrazia diretta generalizzata della vita quotidiana è un'ipotesi radicale di organizzazione sociale in cui le decisioni vengono prese preservando l'uguaglianza dei soggetti, con l'obiettivo di rompere con il produttivismo gerarchizzante.

Nel frattempo, la tecnologia è diventata una realtà onnicomprensiva, la cui artificialità sostituisce l'ambiente naturale, creando una barriera tra l'uomo e la natura: la tecnologia si è evoluta in tecno scienza e non è più un insieme di mezzi che l'uomo può eventualmente utilizzare. Come ci ha ricordato Ellul molto tempo fa, la tecnologia è diventata l'unico ambiente di vita dell'umanità che essa soffoca e plasma. Le relazioni umane, le ideologie e le qualità degli esseri umani, persino la loro fisiologia, ne risultano radicalmente modificate.

L'avvento dell'informatica ha giocato un ruolo decisivo in questa radicale trasformazione. Il computer ci ha fatto passare dalla civiltà dell'esperienza vissuta a quella della conoscenza asservita, mettendo in mostra il conflitto tra l'autoritarismo della razionalità astratta e la creatività dell'irrazionalità passionale dell'umano.

L'informatica ha spinto il sistema tecnico al suo parossismo, interconnettendo tutti i suoi elementi e trasformando completamente il rapporto con la realtà, de realizzando tutto, facendo di ogni cosa un segno consumabile. A ciò si reagisce come se si trattasse di una mutazione superficiale dell'umanità, mentre l'essere umano non è più lo stesso; è incluso nel sistema tecnico, proprio come gli oggetti tecnici.

Ci stiamo evolvendo verso il livello finale e intimo della reificazione. Internet è diventato un oligopolio assoluto controllato da una manciata di grandi imprese. S’impegna in una manipolazione capitalista per monopolizzare la nostra attenzione al fine di diffondere senza limiti la sua propaganda più schifosa.

Alcuni sono particolarmente preoccupati, e non senza ragione: "Il continuo sviluppo tecno scientifico renderà la Terra sempre più ostile alla vita e causerà quasi certamente la morte di miliardi di esseri umani e probabilmente la completa scomparsa della maggior parte delle forme di vita complesse se la biosfera dovesse essere troppo danneggiata." (Anti-Tech Resistance).

È difficile immaginare un'altra soluzione al problema che non sia quella di smantellare le infrastrutture della civiltà moderna per impedire il disastro. Il recente blackout in Spagna e Portogallo è un precedente inquietante di ciò che ci aspetta. Oggi, senza elettricità, tutto si ferma: non si può più pagare, comunicare, muoversi... Quando le pompe idrauliche smettono di funzionare, ogni attività cessa.

Da sempre, i dominanti della civiltà patriarcale produttivista hanno lavorato per manipolare i comportamenti e il pensiero dei loro contemporanei, spingendoli a integrare il pensiero dominante o a formularne una critica ideologica priva di effetti pratici. Di fronte alle menzogne della disinformazione tecnocratica programmata, è prioritario affinare il proprio spirito critico in nome dell'idea di verità da cui dipende la libertà.

Il Capitalocene è un'opposizione adialettica e in ultima analisi spettacolare tra materialismo produttivista e idealismo mistico. È qui che ci troviamo oggi. In un'epoca in cui la rivoluzione fu possibile, ma è fallita, è urgente lottare per evitare le insidie di un dominio sempre più invasivo. Oggi, il terrorismo di una società artificiale offre alla nostra coscienza di specie tecno critica un'ultima, magra possibilità di redimerci e reintegrare la vita che sfugge: tecno totalitarismo o rivoluzione!

Sergio Ghirardi Sauvageon, 26 giugno 2025



[1] Con le sue radici nella Comune di Parigi, la si attendeva in Germania ed è invece esplosa in Russia nel 1917.

[2] Raoul Vaneigem, Terrorismo o rivoluzione, Piano B Edizioni, Prato 2010. In sintonia con questo testo prezioso e preveggente, noto e critico da tempo che lo scadimento inaccettabile della lotta sociale rivoluzionaria in sovversioni mafiose reazionarie è una peste emozionale che inquina le rivolte radicali antiproduttiviste fin dal maggio 68.

[3] Rapporto del Club di Roma sui limiti della crescita, i cui aggiornamenti sono stati pubblicati nel 1992, 2004 e 2012.



Le début de la fin ou le commencement d’un nouveau monde possible



« La tyrannie est le règne de la majorité

où l’individu disparaît, et où l’obéissance

à l’entité collective est érigée en vertu suprême ».

Hannah Arendt, Les origines du totalitarisme, 1951.

Face à l’échec historique du mouvement des occupations de Mai 68, les dynamiques des mouvements d’émancipation contre la domination capitaliste ont perdu tout l’espoir apporté par les révoltes prolétariennes marquant la fin du dix-neuvième siècle et les deux tiers du suivant. Au cœur de cette époque désormais révolue (1871-1968), la révolution socialiste russe a représenté dans l’imaginaire collectif l’icône mystique des exploités de la terre qui voulaient l’abolition de la classe prolétaire et l’émancipation de l’espèce. Cette croyance diffuse fut le tournant tragique d’une arnaque eschatologique historique dont nous ne sommes toujours pas sortis.

Hélas, et pas par hasard, en réponse immédiate à la radicalité humaniste de la révolution prolétarienne[1], les fascismes sont apparu partout, à gauche comme à droite, vampirisant les luttes de classes : le fascisme rouge bolchevique d’un coté et les fascismes brun et noirs de l’autre, suivis aujourd’hui – presque un siècle après – par un postfascisme psychopathe et technocrate.

Pendant tout le XXème siècle traversé par deux guerres mondiales pré annonçant la troisième à venir, la violence politique a marqué une humanité dont la prédation et le suprématisme sont des comportements habituels, répandus et banalisés depuis belle lurette. En fait ces tares d’animaux prédateurs sont fortement appréciées et utilisées par l’égoïsme primaire et narcissique sévissant, attitudes bien plus faciles à assumer dans une société productiviste et patriarcale plurimillénaire plutôt que l’entraide et la solidarité – états d’âme et d’action qui sont, en revanche, la seule voie de sortie souhaitable de la préhistoire sans fin de l’espèce humaine.

Se référant à l’essentiel d’une troisième voie révolutionnaire résolument laïque et poétiquement humaine, on sait aujourd’hui, en se battant contre le spectacle de la domination, qu’il faut éviter le piège où les déserteurs de l’économie politique, critiques d’un monde aliéné, deviennent des militants bornés, acteurs suicidaires d’une guerre civile permanente qui sonne le glas de toute révolution sociale : « Belles âmes du langage dominant, c'est vous qui incitez au meurtre, à la haine, au pillage, à la guerre civile. À l'ombre du spectacle cruel et ridicule, se dessine l'antique guerre des pauvres contre les riches qui, masquée et falsifiée par la réfraction idéologique, est aujourd'hui la guerre des pauvres qui veulent le rester et des pauvres qui veulent cesser de l'être »[2].

Un demi-siècle après ces sages paroles, l’abolition de la pauvreté reste un objectif toujours à atteindre, alors qu’elle ne cesse de s’aggraver sous des multiples formes. Il y a une liaison tragique entre le constat que le capitalisme est en train de détruire la vie sur terre et le fait qu’un autre monde serait-t-il effectivement possible, tout en sachant que la classe dominante – ou plutôt la technocratie mafieuse de l’oligarchie qui a pris sa place en prolétarisant la bourgeoisie – utilise toute la violence et les manipulations nécessaires pour rendre l’émancipation de plus en plus improbable, voire impossible.

L’échec planétaire de la première révolte antiproductiviste de l’histoire, fomentée un peu partout autour de mai 1968, a permis à une techno science capitaliste de plus en plus puissante de programmer la domestication de l’espèce et la disparition progressive du vivant, laissant aux éventuels survivants de l’apocalypse technologique une seul choix : repartir presque à zéro dans un monde bouleversé au-delà du pensable.

Depuis 1969 et bien qu’alertés par le rapport Meadows de1972[3], on a continué de subir passivement la transition entre un monde injuste et arbitraire et un monde plus inégalitaire et absurde que jamais, destiné à l’implosion. La répression et la falsification spectaculaire ont détourné l’élan généreux et universel de la révolution sociale inachevée et réduite à la misère spectaculaire d’une révolution politique. Une telle régression suicidaire a permis aux dominants de la société patriarcale de pousser le cynisme productiviste jusqu’à la destruction quasi achevée des conditions nécessaires à la vie humaine et à la vie sur terre tout court. Ainsi, plutôt que celles de Nostradamus ce sont les prophéties scientifiques de Marx sur la domination réelle du Capital qui se sont avérées, en pire : bien au-delà d’un marxisme dont l’idéologie a contribué à l’échec de la révolution sociale.

À la différence de la révolte spontanée, la révolution s’appuie sur une pensée préalable, sur une doctrine qui cherche à s’appliquer au réel. Elle poursuit alors, trop souvent, le but de s’institutionnaliser, produisant les gestionnaires d’un ordre nouveau prétendument égalitaire : bureaucrates, marchands, intellectuels, hommes d’Etat, militaires, désinformateurs opportunistes, mélange hétéroclite de mercenaires recyclés au service d’un nouveau Léviathan qui se présente comme révolutionnaire, le temps nécessaire pour imposer ses nouveaux diktats suprématistes.

À partir de 1789 la bourgeoisie française a construit un modèle révolutionnaire de domination applicable à tous les conflits sociaux possibles. Ainsi la spontanéité d’une entraide sans calculs, ayant pour but de créer un autre monde, a vite été écartée du projet révolutionnaire : la tète humaine populaire de la révolte a été tranchée pour donner son corps acéphale au monstre froid qu’est l’Etat.

Le rôle de l’État dans la société « révolutionnée » incarne la deshumanisation de la révolution, tandis que la révolte spontanée est une expression de la liberté de l’être humain. Le Léviathan capitaliste a largement joué sur ce caractère contradictoire et ambigu de la révolution, en même temps qu’il enfermait le prolétariat dans la société de consommation, en lui ôtant ainsi toute volonté révolutionnaire consciente.

La nécessaire révolution émancipatrice devient alors presque impossible. Travailleurs ou chômeurs, le travail productiviste domine partout : les jeunes, fortement modelés par les médias, et malgré l’authenticité spontanée de leur fureur de vivre, sont désorientés et acculés à une servitude volontaire qui s’exprime ici par une révolte désespérée, là par un réflexe d’intégration spectaculaire. Leur domestication schizophrène contribue à l’échec de la spontanéité critique nécessaire à la formation d’une société humaine libre et joyeuse.

De leur côté les intellectuels, de plus en plus spécialisés, sont devenus incapables de toute réflexion globale. La connaissance aliénée gérée par les mains sales de la technocratie est encore davantage polluée par la foi dogmatique dans la doxa dominante d’un monde de marchandises fétichisées.

Quel sujet peut alors engager un processus révolutionnaire ? Quien sabe, même si on a parfois des agréables surprises : des Gilets Jaunes inattendus, inespérés, authentiques autant qu’éphémères, assez lucides mais à la dérive non maitrisée, aussi enragés que les situationnistes d’antan mais affaiblis par la pollution idéologique du nouveau monde virtuel qui s’ajoute à la répression de l’Etat ! Quand le spectacle sévit impunément, avec la technocratie à l’appui, il n’est décidément pas facile de changer le monde sans prendre des vessies pour des lanternes, sans mourir d’ennui, de tristesse, de douleur dans la confusion entretenue et la rage impuissante.

Toute l’histoire moderne a été le combat entre deux formes de domination. Communisme autoritaire (capitalisme d’Etat inquisiteur) et capitalisme libéral (productivisme débridé et dépourvu d’éthique) sont deux formes spectaculairement opposées et complémentaires du suprématisme productiviste fascisant. La démocratie parlementaire est une formulation ratée et falsifiée d’egalité citoyenne alors que la tendance conseilliste envisagée par une démocratie directe généralisée de la vie quotidienne est une hypothèse radicale d’organisation sociale où les décisions sont prises en préservant l’egalité des sujets, dans un but de rupture avec le productivisme hiérarchisant.

Entretemps, la technique est devenue une réalité englobante, dont l’artificialité se substitue au milieu naturel, faisant écran entre l’homme et la nature : la technologie a évolué en techno-science et n’est plus un ensemble de moyens que l’homme peut éventuellement utiliser. Comme Ellul nous le rappelait il y a longtemps déjà, elle est devenue l’unique milieu de vie de l’humain qu’elle étouffe et façonne. Les rapports humains, les idéologies et les qualités de l’être humain, jusqu’à sa physiologie, en résultent radicalement modifiés.

L’avènement de l’informatique a joué un rôle décisif dans cette mutation radicale. L’ordinateur nous a fait passer de la civilisation de l’expérience vécue à celle de la connaissance asservie, faisant éclater le conflit entre l’autoritarisme de la rationalité abstraite et la créativité de l’irrationalité passionnelle de l’humain.

L’informatique a poussé l’ensemble technicien à son paroxysme, en mettant tous ses éléments en interconnexion et transformant complétement le rapport au réel en déréalisant tout, en faisant de toute chose un signe consommable. On réagit à cela comme s’il s’agissait d’une mutation de surface de l’humanité, alors que l’homme n’est plus le même, il est inclus dans le système technicien exactement comme les objets techniques.

Nous évoluons vers le degré final et intime de la réification. Internet est devenu un oligopole absolu contrôlé par une poignée de grandes entreprises. Il se livre à une manipulation capitaliste pour accaparer notre attention afin de divulguer sans limites sa propagande la plus pourrie.

Certains s’inquiètent particulièrement et non sans raison : « La poursuite du développement technoscientifique rendra la Terre de plus en plus hostile à la vie, et provoquera de façon quasi certaine la mort de milliards d’êtres humains et probablement la disparition complète de la plupart des formes de vie complexes si la biosphère venait à être trop endommagée ». (Anti-Tech Resistance).

Difficile d’imaginer une autre solution au problème que le démantèlement des infrastructures de la civilisation moderne pour empêcher le désastre. Le récent black out en Espagne et Portugal est un précédent inquiétant de ce qui nous attend. Aujourd’hui sans l’électricité tout s’arrête : on ne peut plus payer, on ne peut plus communiquer, on ne peut plus bouger… Quand les pompes à eau se bloquent, toute activité tombe en panne.

Depuis toujours, les dominants de la civilisation patriarcale productiviste ont œuvré pour manipuler les comportements et la pensée de leurs contemporains, les poussant à intégrer la pensée dominante ou à en faire une critique idéologique sans effets pratiques. Face aux mensonges de la désinformation technocratique programmée, il est prioritaire d’affuter son propre esprit critique au nom de l’idée de vérité dont la liberté dépend.

Le Capitalocene est une opposition adialectique et finalement spectaculaire entre matérialisme productiviste et idéalisme mystique. Voilà où nous en sommes aujourd’hui. Dans une époque où la révolution fut possible mais ratée, il est urgent de lutter pour éviter les pièges d’une domination de plus en plus envahissante. Aujourd’hui le terrorisme d’une société artificielle donne à notre conscience d’espèce techno critique une dernière, mince chance de nous racheter et de réintégrer la vie qui s’échappe : techno totalitarisme ou révolution !

Sergio Ghirardi Sauvageon, le 26 juin 2025



[1] Ses racines plongeant dans la Commune de Paris, elle était attendue en Allemagne alors qu’elle a éclatée en Russie en 1917.

[2] Raoul Vaneigem, Terrorisme ou révolution, préface à Coeurderoy, Pour la révolution, Champ Libre, Paris 1972. En syntonie avec ce texte remarquable et prémonitoire, je remarque et je critique depuis longtemps que le dévoiement inacceptable de la lutte sociale révolutionnaire en des subversions mafieuses réactionnaires est une peste émotionnelle qui pollue les révoltes radicales antiproductivistes depuis Mai 68.

[3] Rapport du Club de Rome sur les limites à la croissance dont des mises à jour ont été publiées en 1992, 2004 et 2012.