“La tirannia è il regno della maggioranza
dove l'individuo scompare e l'obbedienza
all'entità collettiva è considerata la virtù suprema”.
Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, 1951.
In
seguito al fallimento storico del movimento delle occupazioni del Maggio 1968,
le dinamiche dei movimenti di emancipazione contro il dominio capitalista hanno
perso ogni speranza indotta dalle rivolte proletarie che hanno segnato la fine
del XIX° secolo e i due terzi di quello successivo. Nel cuore di quest'epoca ormai
archiviata (1871-1968), la rivoluzione socialista russa ha rappresentato
nell'immaginario collettivo l'icona mistica degli sfruttati della terra che
volevano l'abolizione della classe proletaria e l'emancipazione della specie.
Questa credenza diffusa fu la tragica svolta di una truffa escatologica storica
da cui non ci siamo ancora rimessi.
Purtroppo,
e non a caso, in risposta immediata alla radicalità umanista della rivoluzione
proletaria[1], i fascismi sono comparsi ovunque, a sinistra come a destra, vampirizzando
le lotte di classe: il fascismo rosso bolscevico da una parte e il fascismo
bruno e nero dall'altra, seguiti oggi – quasi un secolo dopo – da un
postfascismo psicopatico e tecnocratico.
Per
un intero secolo attraversato da due guerre mondiali, preannuncio anticipato
della terza a venire, la violenza politica ha marcato un'umanità per la quale la
predazione e il suprematismo sono da tempo comportamenti abituali, diffusi e
banalizzati. In realtà, queste tare da animali predatori sono molto apprezzate
e sfruttate dall'egoismo primario e narcisista che dilaga, atteggiamenti molto
più facili da assumere in una società produttivista e patriarcale plurimillenaria
piuttosto che l'aiuto reciproco e la solidarietà – stati d'animo e
d'azione che rappresentano invece la sola via d'uscita auspicabile dalla
preistoria senza fine della specie umana.
Riferendosi
all'essenziale di una terza via rivoluzionaria risolutamente laica e
poeticamente umana, sappiamo oggi, nella lotta contro lo spettacolo del
dominio, che dobbiamo evitare la trappola in cui i disertori dell'economia
politica, critici di un mondo alienato, diventano dei militanti ottusi, attori
suicidi di una guerra civile permanente che suona la campana a morto di ogni
rivoluzione sociale: “Anime belle del
linguaggio dominante, siete voi che incitate all'omicidio, all’odio, al
saccheggio, alla guerra civile. All'ombra dello spettacolo crudele e ridicolo, si
staglia l'antica guerra dei poveri contro i ricchi, che, mascherata e
falsificata dalla rifrazione ideologica, è oggi la guerra dei poveri che
vogliono restarlo e dei poveri che vogliono cessare di esserlo”[2].
Mezzo
secolo dopo queste sagge parole, l'abolizione della povertà rimane un obiettivo
ancora da raggiungere, mentre le forme di questa povertà si sono approfondite e
moltiplicate. Esiste un tragico legame tra la presa di coscienza che il
capitalismo sta distruggendo la vita sulla Terra e il fatto che un altro mondo sarebbe
effettivamente possibile, pur sapendo che la classe dominante – o meglio, la
tecnocrazia mafiosa dell’oligarchia che ne ha preso il posto proletarizzando la
borghesia – usa tutta la violenza e le manipolazioni necessarie per rendere
l'emancipazione sempre più improbabile, se non impossibile.
Il
fallimento planetario della prima rivolta antiproduttivista della storia, fomentata
un po’ dovunque attorno al Maggio 1968, ha reso possibile a una tecno scienza
capitalista sempre più potente di programmare l'addomesticamento della specie e
la graduale scomparsa del vivente, lasciando agli eventuali sopravvissuti
all'apocalisse tecnologica una sola scelta: ricominciare quasi da zero in un
mondo sconvolto oltre ogni immaginazione.
Dal
1969, nonostante la messa in guardia del Rapporto Meadows del 1972[3], abbiamo continuato a subire passivamente la transizione da un
mondo ingiusto e arbitrario a un mondo meno egualitario e più assurdo che mai,
destinato all'implosione. La repressione e la falsificazione spettacolare hanno
deviato lo slancio generoso e universale della rivoluzione sociale incompiuta e
ridotta alla miseria spettacolare di una rivoluzione politica. Tale regressione
suicida ha permesso ai dominanti della società patriarcale di spingere il
cinismo produttivista fino alla quasi completa distruzione delle condizioni
necessarie alla vita umana e alla vita sulla terra in generale. Così, più che
quelle di Nostradamus, sono le profezie scientifiche di Marx sul dominio reale del Capitale che si sono
rivelate vere, in peggio: ben oltre un marxismo la cui ideologia ha contribuito
al fallimento della rivoluzione sociale.
A
differenza della rivolta spontanea, la rivoluzione si basa su un pensiero
previo, su una dottrina che cerca di applicarsi alla realtà. Troppo spesso essa
persegue l'obiettivo di istituzionalizzarsi, producendo i dirigenti di un nuovo
ordine che si pretende egualitario: burocrati, mercanti, intellettuali,
statisti, militari, disinformatori opportunisti, un mix variegato di mercenari
riciclati al servizio di un nuovo Leviatano che si presenta come rivoluzionario, giusto il tempo di
imporre i suoi nuovi dettami suprematisti.
Dal
1789, la borghesia francese ha forgiato un modello rivoluzionario di dominio
applicabile a tutti i conflitti sociali emergenti. Così, la spontaneità di un aiuto
reciproco disinteressato, volto a creare un altro mondo, è stato rapidamente
scartato dal progetto rivoluzionario: la testa umana popolare della rivolta è
stata tagliata per dare il suo corpo acefalo al mostro freddo che è lo Stato.
Il ruolo dello Stato nella società "rivoluzionata" incarna la
disumanizzazione della rivoluzione, mentre la rivolta spontanea è un’espressione
della libertà dell’essere umano. Il Leviatano capitalista ha sfruttato appieno
questo carattere contraddittorio e ambiguo della rivoluzione, confinando nel
contempo il proletariato nella società dei consumi, privandolo così di ogni
volontà rivoluzionaria consapevole.
La necessaria rivoluzione emancipatrice diventa quindi quasi impossibile.
Che si tratti di lavoratori o disoccupati, il lavoro produttivista impera dovunque:
i giovani, fortemente plasmati dai media, nonostante la spontanea autenticità
della loro gioventù bruciata, sono disorientati e aggrediti da una servitù
volontaria che si esprime ora con una rivolta disperata, ora con un riflesso d’integrazione
spettacolare. Il loro addomesticamento schizofrenizzato contribuisce al
fallimento della spontaneità critica necessaria alla formazione di una società
umana libera e gioiosa.
Da
parte loro, gli intellettuali, sempre più specializzati, sono diventati
incapaci di qualsiasi riflessione globale. Il sapere alienato gestito dalle
mani sporche della tecnocrazia è ulteriormente inquinato dalla fede dogmatica
nella doxa dominante di un mondo di merci feticizzate.
Quale
soggetto può dunque avviare un processo rivoluzionario? Chissà, anche se a
volte si hanno piacevoli sorprese: dei Gilet
Jaunes inaspettati, insperati, autentici quanto effimeri, abbastanza lucidi
ma in deriva incontrollata, arrabbiati quanto i situazionisti di un tempo ma
indeboliti dall'inquinamento ideologico del nuovo mondo virtuale che si è
aggiunto alla repressione dello Stato! Quando lo spettacolo infuria impunemente
con il sostegno della tecnocrazia, non è certamente facile cambiare il mondo
senza prendere lucciole per lanterne, senza morire di noia, di tristezza, di
dolore nella confusione coltivata e la rabbia impotente.
Tutta
la storia moderna è stata la lotta tra due forme di dominio. Il comunismo autoritario
(capitalismo di Stato inquisitore) e il capitalismo liberale (produttivismo
sfrenato e privo di etica) sono due forme spettacolarmente opposte e
complementari di suprematismo produttivista di stampo fascista. La democrazia parlamentare è una
formulazione fallimentare e falsificata d'uguaglianza dei cittadini, mentre la
tendenza consigliare prevista da una
democrazia diretta generalizzata della vita quotidiana è un'ipotesi radicale di
organizzazione sociale in cui le decisioni vengono prese preservando
l'uguaglianza dei soggetti, con l'obiettivo di rompere con il produttivismo
gerarchizzante.
Nel
frattempo, la tecnologia è diventata una realtà onnicomprensiva, la cui
artificialità sostituisce l'ambiente naturale, creando una barriera tra l'uomo
e la natura: la tecnologia si è evoluta in tecno scienza e non è più un insieme
di mezzi che l'uomo può eventualmente utilizzare. Come ci ha ricordato Ellul
molto tempo fa, la tecnologia è diventata l'unico ambiente di vita dell'umanità
che essa soffoca e plasma. Le relazioni umane, le ideologie e le qualità degli
esseri umani, persino la loro fisiologia, ne risultano radicalmente modificate.
L'avvento
dell'informatica ha giocato un ruolo decisivo in questa radicale
trasformazione. Il computer ci ha fatto passare dalla civiltà dell'esperienza
vissuta a quella della conoscenza asservita, mettendo in mostra il conflitto
tra l'autoritarismo della razionalità astratta e la creatività
dell'irrazionalità passionale dell'umano.
L'informatica
ha spinto il sistema tecnico al suo parossismo, interconnettendo tutti i suoi
elementi e trasformando completamente il rapporto con la realtà, de realizzando
tutto, facendo di ogni cosa un segno consumabile. A ciò si reagisce come se si
trattasse di una mutazione superficiale dell'umanità, mentre l'essere umano non
è più lo stesso; è incluso nel sistema tecnico, proprio come gli oggetti
tecnici.
Ci
stiamo evolvendo verso il livello finale e intimo della reificazione. Internet
è diventato un oligopolio assoluto controllato da una manciata di grandi imprese.
S’impegna in una manipolazione capitalista per monopolizzare la nostra
attenzione al fine di diffondere senza limiti la sua propaganda più schifosa.
Alcuni
sono particolarmente preoccupati, e non senza ragione: "Il continuo sviluppo tecno scientifico
renderà la Terra sempre più ostile alla vita e causerà quasi certamente la
morte di miliardi di esseri umani e probabilmente la completa scomparsa della
maggior parte delle forme di vita complesse se la biosfera dovesse essere
troppo danneggiata." (Anti-Tech Resistance).
È
difficile immaginare un'altra soluzione al problema che non sia quella di
smantellare le infrastrutture della civiltà moderna per impedire il disastro.
Il recente blackout in Spagna e
Portogallo è un precedente inquietante di ciò che ci aspetta. Oggi, senza
elettricità, tutto si ferma: non si può più pagare, comunicare, muoversi...
Quando le pompe idrauliche smettono di funzionare, ogni attività cessa.
Da sempre,
i dominanti della civiltà patriarcale produttivista hanno lavorato per
manipolare i comportamenti e il pensiero dei loro contemporanei, spingendoli a
integrare il pensiero dominante o a formularne una critica ideologica priva di
effetti pratici. Di fronte alle menzogne della disinformazione tecnocratica
programmata, è prioritario affinare il proprio spirito critico in nome
dell'idea di verità da cui dipende la libertà.
Il
Capitalocene è un'opposizione adialettica e in ultima analisi spettacolare tra
materialismo produttivista e idealismo mistico. È qui che ci troviamo oggi. In
un'epoca in cui la rivoluzione fu possibile, ma è fallita, è urgente lottare
per evitare le insidie di un dominio sempre più invasivo. Oggi, il terrorismo
di una società artificiale offre alla nostra coscienza di specie tecno critica
un'ultima, magra possibilità di redimerci e reintegrare la vita che sfugge: tecno
totalitarismo o rivoluzione!
Sergio
Ghirardi Sauvageon, 26 giugno 2025
[1] Con le sue radici nella Comune di Parigi, la si attendeva in
Germania ed è invece esplosa in Russia nel 1917.
[2] Raoul Vaneigem, Terrorismo o rivoluzione, Piano B
Edizioni, Prato 2010. In sintonia con questo testo prezioso e preveggente, noto
e critico da tempo che lo scadimento inaccettabile della lotta sociale
rivoluzionaria in sovversioni mafiose reazionarie è una peste emozionale che
inquina le rivolte radicali antiproduttiviste fin dal maggio 68.
[3] Rapporto del Club di Roma sui limiti della crescita, i cui
aggiornamenti sono stati pubblicati nel 1992, 2004 e 2012.
Le début de la fin ou le commencement d’un nouveau monde possible
« La tyrannie est le règne de la majorité
où l’individu disparaît, et où l’obéissance
à l’entité collective est érigée en vertu suprême ».
Hannah Arendt, Les origines du totalitarisme, 1951.
Face à l’échec historique du
mouvement des occupations de Mai 68, les dynamiques des mouvements
d’émancipation contre la domination capitaliste ont perdu tout l’espoir apporté
par les révoltes prolétariennes marquant la fin du dix-neuvième siècle et les
deux tiers du suivant. Au cœur de cette époque désormais révolue (1871-1968),
la révolution socialiste russe a représenté dans l’imaginaire collectif l’icône
mystique des exploités de la terre qui voulaient l’abolition de la classe
prolétaire et l’émancipation de l’espèce. Cette croyance diffuse fut le
tournant tragique d’une arnaque eschatologique historique dont nous ne sommes
toujours pas sortis.
Hélas, et pas par hasard, en
réponse immédiate à la radicalité humaniste de la révolution prolétarienne[1], les fascismes sont
apparu partout, à gauche comme à droite, vampirisant les luttes de
classes : le fascisme rouge bolchevique d’un coté et les fascismes brun et
noirs de l’autre, suivis aujourd’hui – presque un siècle après – par un
postfascisme psychopathe et technocrate.
Pendant tout le XXème siècle
traversé par deux guerres mondiales pré annonçant la troisième à venir, la
violence politique a marqué une humanité dont la prédation et le suprématisme
sont des comportements habituels, répandus et banalisés depuis belle lurette.
En fait ces tares d’animaux prédateurs sont fortement appréciées et utilisées
par l’égoïsme primaire et narcissique sévissant, attitudes bien plus faciles à
assumer dans une société productiviste et patriarcale plurimillénaire plutôt que
l’entraide et la solidarité – états d’âme et d’action qui sont, en revanche, la
seule voie de sortie souhaitable de la préhistoire sans fin de l’espèce humaine.
Se référant à l’essentiel d’une
troisième voie révolutionnaire résolument laïque et poétiquement humaine, on
sait aujourd’hui, en se battant contre le spectacle de la domination, qu’il
faut éviter le piège où les déserteurs de l’économie politique, critiques d’un
monde aliéné, deviennent des militants bornés, acteurs suicidaires d’une guerre
civile permanente qui sonne le glas de toute révolution sociale : « Belles âmes du langage dominant, c'est vous qui incitez au meurtre, à la
haine, au pillage, à la guerre civile. À l'ombre du spectacle cruel et
ridicule, se dessine l'antique guerre des pauvres contre les riches qui,
masquée et falsifiée par la réfraction idéologique, est aujourd'hui la guerre
des pauvres qui veulent le rester et des pauvres qui veulent cesser de
l'être »[2].
Un demi-siècle après ces sages
paroles, l’abolition de la pauvreté reste un objectif toujours à atteindre,
alors qu’elle ne cesse de s’aggraver sous des multiples formes. Il y a une
liaison tragique entre le constat que le capitalisme est en train de détruire
la vie sur terre et le fait qu’un autre monde serait-t-il effectivement
possible, tout en sachant que la classe dominante – ou plutôt la technocratie
mafieuse de l’oligarchie qui a pris sa place en prolétarisant la bourgeoisie – utilise
toute la violence et les manipulations nécessaires pour rendre l’émancipation
de plus en plus improbable, voire impossible.
L’échec planétaire de la première
révolte antiproductiviste de l’histoire, fomentée un peu partout autour de mai
1968, a permis à une techno science capitaliste de plus en plus puissante de
programmer la domestication de l’espèce et la disparition progressive du
vivant, laissant aux éventuels survivants de l’apocalypse technologique une
seul choix : repartir presque à zéro dans un monde bouleversé au-delà du
pensable.
Depuis 1969 et bien qu’alertés par
le rapport Meadows de1972[3], on a continué de subir passivement
la transition entre un monde injuste et arbitraire et un monde plus
inégalitaire et absurde que jamais, destiné à l’implosion. La répression et la
falsification spectaculaire ont détourné l’élan généreux et universel de la
révolution sociale inachevée et réduite à la misère spectaculaire d’une
révolution politique. Une telle régression suicidaire a permis aux dominants de
la société patriarcale de pousser le cynisme productiviste jusqu’à la
destruction quasi achevée des conditions nécessaires à la vie humaine et à la
vie sur terre tout court. Ainsi, plutôt que celles de Nostradamus ce sont les
prophéties scientifiques de Marx sur la domination réelle du Capital qui se
sont avérées, en pire : bien au-delà d’un marxisme dont l’idéologie a
contribué à l’échec de la révolution sociale.
À la différence de la révolte
spontanée, la révolution s’appuie sur une pensée préalable, sur une doctrine
qui cherche à s’appliquer au réel. Elle poursuit alors, trop souvent, le but de
s’institutionnaliser, produisant les gestionnaires d’un ordre nouveau
prétendument égalitaire : bureaucrates, marchands, intellectuels, hommes
d’Etat, militaires, désinformateurs opportunistes, mélange hétéroclite de
mercenaires recyclés au service d’un nouveau Léviathan qui se présente comme révolutionnaire,
le temps nécessaire pour imposer ses nouveaux diktats suprématistes.
À partir de 1789 la bourgeoisie française
a construit un modèle révolutionnaire de domination applicable à tous les
conflits sociaux possibles. Ainsi la spontanéité d’une entraide sans calculs,
ayant pour but de créer un autre monde, a vite été écartée du projet révolutionnaire :
la tète humaine populaire de la révolte a été tranchée pour donner son corps
acéphale au monstre froid qu’est l’Etat.
Le rôle de l’État dans la société
« révolutionnée » incarne la deshumanisation de la révolution, tandis
que la révolte spontanée est une expression de la liberté de l’être humain. Le
Léviathan capitaliste a largement joué sur ce caractère contradictoire et
ambigu de la révolution, en même temps qu’il enfermait le prolétariat dans la
société de consommation, en lui ôtant ainsi toute volonté révolutionnaire
consciente.
La nécessaire révolution
émancipatrice devient alors presque impossible. Travailleurs ou chômeurs, le
travail productiviste domine partout : les jeunes, fortement modelés par
les médias, et malgré l’authenticité spontanée de leur fureur de vivre, sont
désorientés et acculés à une servitude volontaire qui s’exprime ici par une
révolte désespérée, là par un réflexe d’intégration spectaculaire. Leur
domestication schizophrène contribue à l’échec de la spontanéité critique
nécessaire à la formation d’une société humaine libre et joyeuse.
De leur côté les intellectuels,
de plus en plus spécialisés, sont devenus incapables de toute réflexion
globale. La connaissance aliénée gérée par les mains sales de la technocratie est
encore davantage polluée par la foi dogmatique dans la doxa dominante d’un
monde de marchandises fétichisées.
Quel sujet peut alors engager un
processus révolutionnaire ? Quien sabe, même si on a parfois des agréables
surprises : des Gilets Jaunes inattendus, inespérés, authentiques autant
qu’éphémères, assez lucides mais à la dérive non maitrisée, aussi enragés que
les situationnistes d’antan mais affaiblis par la pollution idéologique du
nouveau monde virtuel qui s’ajoute à la répression de l’Etat ! Quand le
spectacle sévit impunément, avec la technocratie à l’appui, il n’est décidément
pas facile de changer le monde sans prendre des vessies pour des lanternes,
sans mourir d’ennui, de tristesse, de douleur dans la confusion entretenue et
la rage impuissante.
Toute l’histoire moderne a été le
combat entre deux formes de domination. Communisme autoritaire (capitalisme
d’Etat inquisiteur) et capitalisme libéral (productivisme débridé et dépourvu
d’éthique) sont deux formes spectaculairement opposées et complémentaires du suprématisme
productiviste fascisant. La démocratie parlementaire est une formulation ratée et
falsifiée d’egalité citoyenne alors que la tendance conseilliste envisagée par une
démocratie directe généralisée de la vie quotidienne est une hypothèse radicale
d’organisation sociale où les décisions sont prises en préservant l’egalité des
sujets, dans un but de rupture avec le productivisme hiérarchisant.
Entretemps, la technique est
devenue une réalité englobante, dont l’artificialité se substitue au milieu
naturel, faisant écran entre l’homme et la nature : la technologie a
évolué en techno-science et n’est plus un ensemble de moyens que l’homme peut
éventuellement utiliser. Comme Ellul nous le rappelait il y a longtemps déjà,
elle est devenue l’unique milieu de vie de l’humain qu’elle étouffe et façonne.
Les rapports humains, les idéologies et les qualités de l’être humain, jusqu’à
sa physiologie, en résultent radicalement modifiés.
L’avènement de l’informatique a
joué un rôle décisif dans cette mutation radicale. L’ordinateur nous a fait
passer de la civilisation de l’expérience vécue à celle de la connaissance
asservie, faisant éclater le conflit entre l’autoritarisme de la rationalité
abstraite et la créativité de l’irrationalité passionnelle de l’humain.
L’informatique a poussé
l’ensemble technicien à son paroxysme, en mettant tous ses éléments en
interconnexion et transformant complétement le rapport au réel en déréalisant
tout, en faisant de toute chose un signe consommable. On réagit à cela comme
s’il s’agissait d’une mutation de surface de l’humanité, alors que l’homme
n’est plus le même, il est inclus dans le système technicien exactement comme
les objets techniques.
Nous évoluons vers le degré final
et intime de la réification. Internet est devenu un oligopole absolu contrôlé
par une poignée de grandes entreprises. Il se livre à une manipulation
capitaliste pour accaparer notre attention afin de divulguer sans limites sa
propagande la plus pourrie.
Certains s’inquiètent particulièrement et non sans raison : « La
poursuite du développement technoscientifique rendra la Terre de plus en plus
hostile à la vie, et provoquera de façon quasi certaine la mort de milliards
d’êtres humains et probablement la disparition complète de la plupart des
formes de vie complexes si la biosphère venait à être trop endommagée ». (Anti-Tech
Resistance).
Difficile
d’imaginer une autre solution au problème que le démantèlement des
infrastructures de la civilisation moderne pour empêcher le désastre. Le récent black out en Espagne et
Portugal est un précédent inquiétant de ce qui nous attend. Aujourd’hui sans
l’électricité tout s’arrête : on ne peut plus payer, on ne peut plus communiquer,
on ne peut plus bouger… Quand les pompes à eau se bloquent, toute activité
tombe en panne.
Depuis toujours, les dominants de
la civilisation patriarcale productiviste ont œuvré pour manipuler les
comportements et la pensée de leurs contemporains, les poussant à intégrer la
pensée dominante ou à en faire une critique idéologique sans effets pratiques.
Face aux mensonges de la désinformation technocratique programmée, il est
prioritaire d’affuter son propre esprit critique au nom de l’idée de vérité
dont la liberté dépend.
Le Capitalocene est une
opposition adialectique et finalement spectaculaire entre matérialisme
productiviste et idéalisme mystique. Voilà où nous en sommes aujourd’hui. Dans
une époque où la révolution fut possible mais ratée, il est urgent de lutter pour
éviter les pièges d’une domination de plus en plus envahissante. Aujourd’hui le
terrorisme d’une société artificielle donne à notre conscience d’espèce techno
critique une dernière, mince chance de nous racheter et de réintégrer la vie
qui s’échappe : techno totalitarisme ou révolution !
Sergio Ghirardi Sauvageon, le 26
juin 2025
[1] Ses racines plongeant dans la
Commune de Paris, elle était attendue en Allemagne alors qu’elle a éclatée en
Russie en 1917.
[2] Raoul Vaneigem, Terrorisme ou révolution, préface à
Coeurderoy, Pour la révolution, Champ
Libre, Paris 1972. En syntonie avec ce texte remarquable et prémonitoire, je remarque et je critique depuis
longtemps que le dévoiement inacceptable de la lutte sociale révolutionnaire en
des subversions mafieuses réactionnaires est une peste émotionnelle qui pollue
les révoltes radicales antiproductivistes depuis Mai 68.
[3] Rapport du Club de Rome sur les
limites à la croissance dont des mises à jour ont été publiées en 1992, 2004 et
2012.