Lo Stato democratico è da sempre un concetto contraddittorio, La
globalizzazione – con la sua spinta a creare nuove strutture decisionali su
scala planetaria, che hanno semplicemente reso
grottesco ogni riferimento alla
sovranità popolare o addirittura alla partecipazione – si è limitata a rendere
evidente questa contraddizione.
Come di consueto, la soluzione neoliberale è stata di
confermare il mercato come l’unica forma di decisione pubblica di cui abbiamo
bisogno, riducendo lo Stato alle sue funzioni esclusivamente coercitive. Ed è
proprio per questo che la proposta zapatista è assolutamente sensata: bisogna
abbandonare l’idea che la rivoluzione significhi impossessarsi dell’apparto
coercitivo dello Stato e innescare
invece un processo di rifondazione della democrazia basato sull’auto-organizzazione
di comunità autonome. Questa è la ragione per cui una remota insurrezione nel
sud del Messico ha provocato tanto entusiasmo in tutto il mondo, sicuramente
nei circoli radicali ma non solo.
Sembra quasi che la democrazia stia tornando negli spazi da
cui è sorta: negli spazi intermedi, negli interstizi del potere. Se da lì
riuscirà ad estendersi all’intero pianeta dipenderà non tanto dalle nostre
teorie quanto dalla nostra reale convinzione che la gente comune, seduta
insieme a deliberare, sia capace di gestire le proprie faccende meglio delle élites che le gestiscono a loro nome e
che impongono le decisioni prese con la forza delle armi. Per gran parte della
storia umana, di fronte a queste domande, gli intellettuali di professione
hanno sempre preso le parti delle élites.
La mia impressione è che la maggioranza delle persone sia
ancora sedotta dagli “specchi deformanti” e non abbia fiducia nelle possibilità
della democrazia popolare. Ma forse adesso le cose stanno cambiando.
(Critica
della democrazia occidentale di David Graeber [There never
was a West or, Democracy emerges from the spaces in between] - Elèuthera 2012 - pag.108 –)