“I Francesi so’ rivati…
…Et voilà, et voilà, calci in culo alla libertà !”*
*Vecchia canzone
reazionaria borbonica antifrancese
Il Marais, dove vince la gauche caviar
articolo
di Giacomo Rosso, Il Fatto 2 maggio 2012
Sfoglio con impazienza le pagine del quotidiano Le Monde, che ha appena
pubblicato tutti i risultati elettorali del primo turno delle presidenziali, seggio per seggio. Cerco i dati
dell’Ile de France, poi mi concentro su quelli di Parigi. I segni premonitori
di un’inedita svolta elettorale a sinistra della capitale
francese ci sono tutti.
È la prima volta nella storia della quinta Repubblica, infatti, che a
Parigi il candidato
socialista è in testa al primo turno. Con il 34,8% dei voti totali, François Hollande
ha vinto in 13 arrondissement sui 20 complessivi della
capitale. In più – altro dato unico e sorprendente – la somma di tutti i voti
raccolti dai candidati della sinistra superano il 50% del totale. Non è che per
caso la capitale francese si è spostata a sinistra?
Mi metto a spulciare i risultati, arrondissement per arrondissement, quasi
fossi un antropologo. È incredibile come geografia e sociologia
possano sposarsi a meraviglia all’interno del panorama urbano della capitale
francese. Dimmi dove abiti e ti dirò chi sei.
Il quartiere che mi interessa maggiormente è il 3° arrondissement, quello
che i parigini stessi definiscono, non senza una nota di disprezzo, il
quartierie più “bobo”, ovvero il più radical chic. È il
quartiere dei bar e dei “restò” più à la mode, delle gallerie d’arte più di
tendenza, degli alimentari rigorosamente “biò” che sembrano delle gioiellerie
dell’ortofrutta, delle micro boutique specializzate in tutto ciò che c’è di più
superfluo. Da qui la lotta di classe se n’è andata da un bel pezzo: è rimasta
soltanto tanta classe. Ai candidati minori della sinistra progressista ed
ecologista, come il vulcanico Jean-Luc Mélenchon, ma soprattutto la verdissima
Eva Joly, non resta che provare a rastrellare i voti della cosiddetta gauche
caviar.
In questo arrondissement, il cui cuore è rappresentato dall’elegantissimo
Marais, a due passi dall’Hotel de Ville, dove il prezzo medio delle case sfiora
i 10.000 euro al metro quadro, Hollande ha stravinto. Con un impressionante 40,1% di preferenze, il candidato socialista ha
staccato alla grande il rivale e presidente uscente Sarkozy, che si è fermato
al 28,5%. «Sì, la gente è di sinistra, ma non sono certo dei comunisti», mi
conferma Jacques, proprietario della galleria d’arte che porta il suo nome.
«Con qualche furbata elettorale – aggiunge, – Hollande è riuscito ad
accaparrarsi i voti degli ecologisti e della sinistra più radicale». Infatti
sia il Front de Gauche che il partito ecologista non sono riusciti ad andare
rispettivamente oltre il 10% e il 5% delle preferenze.
Jacques è un istituzione nel quartiere. Non abita qui, ma è come se lo
facesse. Nessuno meglio di lui è in grado di rispecchiare l’essenza stessa del
quartiere. Raffinato, colto, benestante e amante dell’arte contemporanea, il
mio amico gallerista conosce molto bene gli abitanti del quartiere, che sono
prima di tutto suoi clienti: collezionisti forse un po’ snob e dall’aria
decandente, ma con un gran gusto. «Da qualche anno a questa parte – mi racconta
Jacques, – essere ecologista va di moda. Tuttavia il Ps è riuscito ad attrarre
un maggior numero di voti rispetto alla concorrenza più radicale non soltanto
grazie alla promessa del voto utile, ma anche a causa dell’immagine di solidità
e serietà che il partito e il suo candidato hanno saputo trasmettere». Nemmeno la minaccia
annunciata da Hollande di una tassazione al 75% per i super ricchi è riuscita a dissuadere
l’elettorato della gauche champagne. Da queste parti non sono
pochi quelli che si vergognano di dire di votare a destra, tanto è il disgusto
per l’attuale Presidente della Repubblica. «L’80% delle persone che abitano da
queste parti – conferma Jacques – sono ricche o comunque benestanti. È tutta
gente che oltre ai soldi ha ricevuto un’educazione di altissimo livello. È
difficile trovare qualcuno che avrebbe il coraggio di affermare che voterebbe
per Sarkozy, o peggio ancora per Marine Le Pen».
I risultati elettorali non cambiano troppo nemmeno quando mi sposto negli
arrondissement meno bourgeois e un po’ più “popolari” del 10° e
dell’11°, tra place de la République e Bastille. I quartieri
tradizionalmente più sensibili alle cause ambientali hanno deluso le mie
aspettative di vedere il grande balzo in avanti degli ecologisti, che si sono
fermati a un misero 5%. Ma al terzo posto delle preferenze elettorali c’è il
candidato del Front de Gauche, Jean-Luc Mélenchon, con il 14%. Una percentuale
al di sopra della media nazionale dell’11%.
«Non ci saranno molte sorprese da queste parti, nemmeno al secondo turno»,
mi confida Jacques. «È matematicamente certo che vincerà Hollande. Anche a
destra c’è chi odia talmente tanto Sarkozy che è disposto a votare il Ps
piuttosto che dargli un voto in più». Seppur poco entusiastico, sembra un
pronostico credibile.
Commento di Sergio Ghirardi:
Finito di leggere l'articolo mi chiedo le ragioni urgenti
che hanno motivato l'autore. Forse un pezzo dovuto oppure un'irreprimibile
bisogno di dire la sua ad ogni costo.
Chissà perché una gran parte degli articoli che
s'occupano della politica in Francia sono per molti italiani giornalisti,
blogghisti o commentatori, occasione di mondanità e di turismo ideologico, aria
rifritta. Ciò è ovviamente vero nei due sensi ma non con la stessa intensità:
mossi da uno sciovinismo da frustrati, in tutti i nazionalismi sfilano i luoghi
comuni, la sudditanza culturale e a volte la stizza del maggiordomo di fronte
al presunto signore.
Così qualcuno fa diventare l'obesità un sintomo
ideologico, oppure la sociologia dell'habitat si trasforma in un sicuro
elemento di appartenenza politica, mentre dall'altra gli italiani sono tutti
dei berlusconi che s’ignorano o si sognano tali. Nessuno o quasi che obbietti
questa banalità di base: nello spettacolo, il vero è un momento del falso.
Dovunque.
Purtroppo il giornalista medio è un produttore di falso
che accompagna come un kapò gli schiavi salariati nella loro non-odissea
organizzata.
In realtà la situazione politica francese, oltre le sue
specificità, è posta di fronte allo stesso dilemma planetario: morire di
capitalismo o esplorare un altro mondo possibile?
Molti francesi, bibi
o bibò che li si definisca, sono
ormai stufi dello spettacolo della democrazia rappresentativa e nel paese
comincia a svilupparsi un pensiero autonomo dallo spettacolo politico con una
densità assai sorprendente. Lo stesso che si avverte, come un fremito rabbioso,
anche in Spagna e Grecia, mentre in Italia il povero Grillo, tra una denuncia
rispettabile e una cazzata mal detta, sembra destinato alla caricatura di
Giordano Bruno. Gli italiani amano vestirsi a festa per veder bruciare gli
eretici.
Ecco, lo sguardo italico sulla situazione francese è
quello folcloristico dei pezzi di colore, come si diceva in gergo giornalistico
in tempi lontani (oggi, per mia fortuna, non sono più al corrente di come parli
la casta mediatica).
Qui in Francia, fuori dal folclore, l'objection de croissance è un tema
ricorrente, un forte movimento politico riferentesi alla democrazia diretta (o
reale) mette in circolo una riflessione che in Italia ha ancora molte
difficoltà a esprimersi.
La questione sociale ha in Bourdieu, Latouche, Gorz e
altri spiriti aperti che vi risparmio ma che meritano la scoperta (il che non
impedisce la critica, beninteso), un respiro nuovo che rimanda al clima
dell'illuminismo che ha preceduto la rivoluzione francese.
Eppure, gli addetti ai lavori transalpini (dalla parte
della Val di Susa) mettono la loro lente d’ingrandimento sul nulla spettacolare
della politica politicienne,
auscultano il bobò, il caviale di sinistra e l'andouille di destra cucinata alla Le Pen
come se parlassero della Tour Montparnasse, di foulard d'Hermes o di Chanel n°
5.
Quando stavo a Parigi, nella rue André Del Sarte, sotto la butte
Montmartre, per anni mi sono divertito a scoprire gli italiani da lontano,
guardando la loro scarpe. Non sono per niente un mago, ma ci azzeccavo sempre.
La frime, in
politica come nel vestire indica facilmente il livello della coscienza messa in
pratica.
PS Anticipando i
rigurgiti: non sono nè antiitaliano né antifrancese; ce l'ho solo con i
servitori volontari di tutti i paesi e gli schiavi felici non mi sono simpatici
più di quanto io lo sia a loro.