Dopo “l’eccidio
costituzionale” perpetrato da questo parlamento usurpatore, credo che si
debba ricominciare d’accapo a riflettere. C’è poco da salvare. Il golpe
è stato realizzato. Con costoro non c’è più dialogo possibile.
Dovremmo cominciare a chiederci se ha ancora un senso parlare di democrazia nel
tempo presente. Comunque non di questa, cioè quella che l’Occidente vorrebbe
esportare. Questa è merce avariata, che ha già intossicato il miliardo
d’oro e poco più in là. E’ chiaro che tutte le questioni in merito sono
riaperte, nessuna esclusa, essendo evidente che le risposte fornite dalla
civiltà occidentale non sono valide – neanche per la civiltà occidentale – e
non si sono affermate in gran parte del pianeta. Dunque la domanda: “Serve
ancora la democrazia?”, non è né pleonastica, né fuori luogo. Mi
piacerebbe discuterne con il M5S e con quei settori della ex sinistra
che sono ancora capaci di ragionare. Quale democrazia? Quali
saranno le sue caratteristiche distintive? Come la si costruirà? Quanto tempo
ci vorrà per costruirla?
E, mentre
cerchiamo di affrontare queste questioni, non potremo evitare di esaminare le
cause di fondo che hanno portato all’estinzione della democrazia liberale. Stanno
esplodendo tutti i parametri della società contemporanea. Pensare che si possa
tornare alla democrazia in un sistema analogo a quello che sta crollando sotto
i nostri sguardi è ipotesi irreale. Seguo qui il ragionamento di Edgar
Morin: “Individuo e società esistono reciprocamente”. “La democrazia si
fonda sul controllo dell’apparato di potere da parte dei controllati”. “In
questo senso la democrazia è più che un regime politico; è la rigenerazione
continua di un anello complesso e retroattivo: i cittadini producono la
democrazia che produce i cittadini”. Morin considera ovvia l’esistenza di un “apparato
di potere”. Un postulato, come quello dell’esistenza dei “controllati”. Ha
perfettamente ragione. Non esiste organizzazione sociale senza una
struttura di potere, La questione è “quale” apparato di potere.
Si vede subito che nessuno dei tre punti citati da
Morin ha resistito all’usura dei nostri tempi. Quasi nulla di tutto ciò è oggi
in funzione. L’individuo è stato separato dalla società ed è oggi ad essa contrapposto.
Il potere è ostile all’individuo e alla società. I controllati non hanno la
possibilità di controllare, in quanto sono stati privati della conoscenza della
realtà (vedi Matrix). Il fatto è che i punti messi a fuoco da Morin sono
caratteri essenziali della civiltà moderna; valori di cui, io credo, dovremo
ri-impadronirci dopo averli perduti. Senza questi valori-strumenti
nessun’altra democrazia è possibile, poiché essa non potrebbe né consentire
l’espressione della diversità e della libertà umana, né attingere al livello
della decisione politica, e si condannerebbe, anche nella migliore delle
ipotesi, a formare un pulviscolo di punti di “resistenza”, più o meno
microscopici, comunque incapaci di fronteggiare uno scontro epocale tra il
Potere “catastroforo” (portatore di catastrofe) e la Natura. Rinunciare a
questi valori-strumenti significa rifiutare di cogliere la portata della
battaglia che ci attende.
Aggiungo qui che l’analisi stessa della crisi ci dice
che se ne potrà uscire – attraverso una transizione comunque estremamente
difficile – solo con una partecipazione attiva, consapevole, di milioni e
milioni. Poiché anche ipotizzando (e non è il caso) che le nostre società siano
un giorno guidate da gruppi dirigenti onesti e dediti al bene comune, dovrebbe
essere chiaro che essi non potranno prendere in tempo utile nessuna delle
tremende decisioni che s’imporranno se, attorno ad essi, non si creerà un
vasto consenso popolare. E questa è parte costituente, anche se
non unica, della democrazia. Si dovrà stare in guardia da ogni tipo di
semplificazioni e di banalizzazioni. Invece il dibattito, che infuria mentre la
democrazia liberale muore, ne è pieno e produce molta confusione, dove l’idea
prevalente è quella di buttare a mare bambino e acqua sporca.
Dopo avere affermato la sovranità del popolo come
principio dominante, occorrerà aggiungere subito che essa “comporta
l’autolimitazione di questa sovranità attraverso l’obbedienza alle leggi e
il trasferimento di sovranità agli eletti”. Col che si piantano i
paletti che devono definire la democrazia rappresentativa. Io sono favorevole a
fissare questi paletti. In una società di massa la democrazia diretta (o, come
spesso si sente dire, la democrazia assembleare), senza mediazioni di
rappresentanza, è cosa impossibile praticamente e, dunque, teoricamente
inammissibile. Non esistono assemblee di milioni. Se esistessero sarebbero
autoritarie per la loro stessa composizione, sottoposte alla
massificazione-semplificazione-banalizzazione del messaggio. Inoltre abbisognerebbero,
per esempio, di un mezzo tecnico per realizzarsi. Questo, a sua volta porrebbe
la questione del controllo di un tale mezzo tecnico. Inoltre i milioni di click
affermativo-negativi snaturerebbero ogni possibile discussione, ogni possibile mediazione.
Quanto di
più autoritario si possa immaginare. “L’esperienza storica ha dimostrato
che la democrazia aritmetica è un’impostura semplicistica della
sovranità popolare e in realtà l’anticamera della degenerazione
oligarchica e del dispotismo”. Quanto di più irrealistico è pensare a forme di
consultazione, inevitabilmente molto simili a dei test attitudinali, in cui le
“diversità” di collettività numerose ma minoritarie sarebbero impossibilitate a
esprimersi e verrebbero comunque schiacciate. Contare il miliardo e
trecento milioni di volontà “cinesi”, il miliardo di volontà “indiane” e
metterle nella stessa “urna” elettronica con il miliardo scarso dell’Occidente
non è materialmente possibile. E, se lo fosse, sarebbe giusto? Si tratta di
semplificazioni incolte, a-storiche, sostanzialmente autoritarie, a prescindere
dalle buone intenzioni di chi le formula.
Ma
procediamo, seguendo ancora Morin, che fornisce un’interpretazione non
ideologica della democrazia, liberandola dal loglio e conservando al tempo
stesso i buoni semi da cui proviene la stessa democrazia liberale. Qualcuno può
pensare che di buoni semi da quella pianta non possano più venirne, ma io penso
che abbiamo davanti agli occhi la prova del contrario. Che si chiama Costituzione
della Repubblica Italiana. Che, certo, non è soltanto (di gran lunga non lo
è) figlia della democrazia liberale, ma è anche questo, e gettarla via sarebbe
grande delitto.
Giulietto Chiesa 13 agosto 2014
Commento di Sergio
Ghirardi:
Dopo la sconfitta
vittoriosa della Comune, le radici della democrazia moderna sono più volte
riapparse a Cronstadt, nella Machnovcina, con Spartaco a Berlino e Durruti in
Spagna nel 36 e poi in ogni rivolta contro il totalitarismo produttivista bolscevico
e/o liberale fino in Chiapas e nel più piccolo microcosmo dove la gemainwesen, la comunità umana, ha
provato a esistere contro dirigenti, burocrati e servitori volontari. I luoghi
comuni sulla democrazia diretta intesa idiotamente come un'assemblea di un
miliardo di cinesi indicano a meraviglia quanto l'ipotesi consiliare sia stata
un tabù vergognoso per tutti i fascismi neri, bianchi o rossi, da Stalin a
Putin, da Mussolini a Hitler, dalla DC al PD passando per mafie e P2. Occupy
Life.