lunedì 1 novembre 2010

GEORGES HENEIN - PRESTIGIO DEL TERRORE



immagine di http://anarcosurrealisti.noblogs.org/post/2008/07/04/prestigio-del-terrore/





GEORGES HENEIN

PRESTIGIO DEL TERRORE


(Edizioni "Masses", II Cairo 17 agosto 1945, traduzione di Mario Lippolis dalla riedizione a cura delle "Éditions la séance continue", Parigi 1998)



[11 Settembre 2001 o 8 Agosto 1945 ?
Secondo i dispacci del Ministero della Verità è la prima delle due date a inaugurare l'inaudita nuova epoca (l'ennesima, gli addetti ne dichiarano aperta quasi una al giorno: tanto ormai chi si ricorda di tutte le ennesime precedenti che nessuno ha mai dichiarato chiuse?): quella del protagonismo mondiale, del terrorismo. Dopo la celebrazione di un certo numero di Settimane dell'Odio, seguono immancabili disposizioni operative bellico-umanitarie del Ministero dell'Amore.
Ma, prima ancora che Orwell prevedesse queste forme del totalitarismo spettacolare contemporaneo, esattamente cinquantasette anni fà, Georges Henein aveva scritto "che era una delle date più basse dell'umanità", -la data in cui la popolazione inerme di intere città giapponesi veniva annientata dalle bombe atomiche statunitensi (e Stalin prontamente dichiarava guerra al Giappone disfatto), a segnalare che il terrore totalitario usciva trionfante, ricco di consenso e di prestigio popolare,, dalla sconfitta delle sue forme arcaicizzanti nazifasciste, attraverso la penetrazione senza resistenze del comportamento politico hitleriano di tutte le istanze organizzate di quelle che insistevano a chiamarsi democrazie.
Dopo oltre mezzo secolo la sua voce ci giunge chiara e brillante come la luce delle stelle che non ci sono più. Anzi doppiamente, perché - se si guarda alla sua cancellazione totale da parte del paese che che pure dedica il massimo culto sciovinista ai minimi imbrattapagine, purché scribacchino o abbiano scribacchiato nel suo idoma- ufficialmente Henein non c'è mai stato.
Era uno spirito lucidissimo, un grande scrittore, un principe dell'insolenza poetica e sovversiva, aveva colmato con sintesi fulminea le principali lacune teoriche del principale detto di Marx ("Lavoratrici di tutti i Paesi, siate belle!"), il più grande paese arabo gli era debitore tanto dei primi nuclei di critica sociale che della rivelazione pubblica del lato sovvertitore dell'arte, ma Henein si permetteva di essere egiziano senza essere islamico integralista ne moderato, bensì ateo, rivoluzionario e addirittura surrealista.
Dunque qualcosa di oggi assolutamente inammissibile..
Una volta di più possiamo constatare che, a suo tempo, tutto è stato detto, ma quanto pochi hanno saputo ascoltare. Nel 1945, però, Henein aveva almeno come naturale uditorio un ambiente che andava da Breton e dai surrealisti a Bruno Rizzi, da De Rougemont a Silone, da Camus a riviste come "Politics" (Dwight Macdonald) e "Partisan Review" che avevano collaboratori e amici come Arendt e Orwell..., ma oggi ?
Le rive dei mari su cui viaggiassero in bottiglia scritti simili -se qualcuno sapesse ancora scriverli- avrebbero tuttora abitanti?
"È proprio perché quasi nessuno ha ascoltato -osserva qualcuno- che tutto dev'essere detto daccapo, anche se può apparire inutile."
Giusto, con questa importante correzione: non "anche se", ma proprio perché la messa in circollo di parole degne di qualche considerazione appare secondo ogni verosimiglianza inutile, come le parole al vento, essa merita di essere fatta : "Noi non miriamo né all'aumento dell'industria, né al miglioramento degli ordini sociali, né al perfezionamento dell'uomo (...) Confessiamo schiettamente che il nostro Giornale non avrà nessuna utilità. E crediamo ragionevole che in un secolo in cui tutti i libri, tutti i pezzi di carta, tutti i fogliolini di visita sono utili, venga fuori finalmente un Giornale che faccia professione d'essere inutile." (Giacomo Leopardi, Preambolo a Lo Spettatore fiorentino, 1832)
M.L. ]



Georges Henein



PRESTIGIO DEL TERRORE

«Finire da prigioniero -questa sarebbe la meta di una vita. Ma era una gabbia di gretole. Indifferente, imperioso come a casa propria, entrava e usciva da quella grata il rumore del mondo; a rigore, il prigioniero era libero, poteva partecipare a ogni cosa, nulla gli sfuggiva di ciò che avveniva di fuori , avrebbe potuto persino abbandonare la gabbia, le gretole era¬no distanti qualche metro tra loro, egli non era nemmeno pri¬gioniero.»
Franz Kafka
L'8 AGOSTO 1945. - Questa non è una tesi. Perché una tesi non soltanto la si scrive a sangue freddo e con tutte le precauzioni letterarie di rito, ma per di più richiede una accumulazione di riferimenti e di dati più o meno statistici tale che non potrei perdonarmi se vi sacrificassi il moto di rivolta e di furore che mi detta questo testo. Di più, l'antico pubblico delle tesi, disertando da ogni riflessione prolungata, si compiace oggi della lettura dei molti "Digest" in circolazione e del racconto degli intrighi sentimentali, diplomatici e polizieschi che una stampa rotta a tutte le ignominie gli serve, ogni mattina, con la prima colazione.


Questa non è una tesi e non si accontenta di essere solo una protesta. È qualcosa di ambizioso. È' qualcosa che vuole provocare gli uomini sdraiati nella menzogna; vuoi dare un senso, un bersaglio e una portata durevoli al disgusto di un'ora, alla nausea di un istante. I valori che presiedevano alla nostra concezione della vita e che ci procuravano, qua e là, dei piccoli sprazzi di speranza e degli intervalli di dignità, vengono sottoposti a un saccheggio molto metodico da eventi nei quali, è i! colmo, ci si invita a vedere la nostra vittoria, a salutare l'eterna distruzione di un drago che sempre resuscita. Ma, via via che la scena si ripete, non siete colpiti dalla metamorfosi che si opera nei tratti dell'eroe? Eppure vi è facile osservare che ad ogni nuovo torneo San Giorgio rassomiglia sempre più al drago. Ben presto San Giorgio, non sarà che una laida variante del drago. E, sempre ben presto, un drago camuffato, esperto nei farci credere, con un colpo di lancia, che l'Impero del Male è abbattuto...!

L'8 agosto 1945 rimarrà per alcuni una data intollerabile. Uno dei grandi appuntamenti dell'infamia fissati dalla Storia. I giornali riferiscono deliziati gli effetti della bomba atomica, futuro strumento di polemica da popolo a popolo. Le trasmissioni radiofoniche della sera annunciano l'entrata in guerra dell'Unione sovietica contro le ceneri e le rovine del Giappone. Due avvenimenti, senza dubbio di ineguale ampiezza, ma che fanno parte del medesimo orrore.

L'opinione mondiale si era levata fremente, dieci anni fa, a protestare contro l'uso dell'iprite da parte degli aviatori fascisti scatenati sull'Etiopia. Il bombardamento del villaggio di Guernica, raso al suolo dalle squadriglie tedesche in Ispagna, bastò a mobilitare - in un mondo ancora fiero della sua libertà - milioni di coscienze giuste. Quando Londra, a sua volta, fu mutilata dalle bombe fasciste, si sapeva da quale lato dell'incendio stavano i valori da difendere. Poi-venimmo edotti che Amburgo bruciava dello stesso fuoco di Londra, ci istruirono sui benefici di una nuova tecnica chiamata "bombardamento per saturazione" grazie a cui immense zone urbane erano destinate a un ineluttabile livellamento. Queste pratiche perfezionate, questi supremi raffinamenti nell'omicidio non avevano nulla che potesse rimettere in auge la causa della libertà, il partito dell'uomo. Eravamo in un certo numero qui, in Gran Bretagna, in America, a considerarli altrettanto odiosi delle diverse forme di supplizio messe a punto dai nazisti. Un giorno, era una città intera a venir "ripulita" da un raid di terrore. L'indomani, una stazione dove si affollavano migliaia di rifugiati, grazie a un supermirino scientifico, veniva crivellata a morte. Questi giochi inumani appaiono di colpo irrisori, ora che ha preso servizio la bomba atomica e che dei bombardieri democratici ne provano le virtù direttamente sul popolo giapponese ! Che importa, in effetti, l'assassinio premeditato di qualche decina, di qualche centinaio di migliaia di civili giapponesi. Tutti sanno che i giapponesi sono dei gialli e, per colmo d'impudenza, dei gialli malvagi - mentre i gialli "carini" sono rappresentati dai cinesi. Un personaggio che non è un "criminale di guerra" ma l'ammiraglio William Halsey non ha forse dichiarato: "Stiamo bruciando e annegando queste scimmie bestiali di giapponesi per tutto il Pacifico, e proviamo esattamente tanto piacere a bruciarli quanto ad annegarli"? Queste parole esaltanti e rassicuranti circa l'idea che i capi militari sono disposti a farsi della dignità umana, queste parole sono state pronunciate davanti a un cineoperatore di attualità...

San Giorgio esagera. Comincia ad apparirci più ripugnante del drago.

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Al punto a cui ci hanno condotto gli ultimi sviluppi della politica e della guerra, è indispensabile affermare che la fondatezza di una causa la si deve giudicare, essenzialmente e anzitutto, dai mezzi che essa mette in opera- A favore delle cause che ancora assumono il rischio di fare appello al meglio dell'uomo, è indispensabile stabilire un inventario di mezzi non suscettibili di oscurare lo scopo perseguito. Il ricorso alla delazione di fronte a una necessità passeggera si traduce, in breve tempo, in una amministrazione della delazione. Ben presto fra una parte dei cittadini prende forma il costume della delazione - fra gli altri l'incubo di essa. Se vorrete stimolare il dibattito in direzione dei fini ultimi cui ciascuno si richiama, ecco che si alzeranno, ispezioneranno il pianerottolo e l'aspetto delle scale, poi chiuderanno la porta a doppia mandata e si esprimeranno solo in termini misurati, secondo modalità di spirito fattesi improvvisamente accademiche. Il mezzo è passato allo stato di istituzione. Divide in due la vita di una nazione, la vita di ogni uomo. E lo stesso accade con gli altri mezzi rubati al nemico per meglio dominarlo e distruggerlo, ma di cui - a vittoria raggiunta - si scopre che sono stati elevati al rango di mostruosità nazionali, di tare intellettuali accuratamente protette contro le possibili ribellioni della ragione. È così che il culto dell'infallibilità del capo, il rafforzamento delirante delle false gerarchie, il sequestro di tutte 1e fonti di informazione e di tutti gli strumenti di diffusione, l'organizzazione frenetica della menzogna di Stato a tutte 1e ore del giorno, il terrore poliziesco crescente verso cittadini ancora aggrappati alla propria relativa lucidità - sono divenute forme comunemente ammesse del progresso politico e sociale. Ed è precisamente contro un concorso così potente di aberrazioni che dobbiamo ripetere, senza tregua, la seguente ovvietà:

che al proletariato non è concesso innalzarsi ricorrendo ai mezzi con cui i suoi nemici si abbassano. Che una specie di socialismo che dovesse il suo avvento a prodigi di intrigo, di delazione, di ricatto politico e di truffa ideologica sarebbe viziato all'origine dagli strumenti stessi della sua vittoria, e l'uomo ed i popoli peccherebbero per eccesso di candore ove se ne aspettassero altro che un cambiamento di tenebre.

L'8 agosto 1945, mentre fuma ancora la piaga aperta di Hiroshima, città martire scelta per l'esperimento della prima bomba atomica, la Russia di Stalin assesta al Giappone la famosa pugnalata alla schiena brevettata da Mussolini. Costui tuttavia avrebbe torto di rigirarsi nella tomba, pensando ai diritti d'autore. Perché non ci si è accontentati di plagiare i suoi bei gesti; si è voluto aggiungere qualcosa al suo apporto storico. Il testo della dichiarazione di guerra sovietica ci informa in effetti che questa entrata in guerra dell'URSS non ha altro scopo che "abbreviare la guerra" e "risparmiare vite umane"! Bando ai mezzucci - ecco finalmente un fine in sé, un fine la cui nobiltà nessuno contesterà sia difficile eguagliare. Per i secoli futuri i cantastorie staliniani della Mongolia esterna avranno modo di interpretare il carattere pacifista e umanitario della decisione del Signore.

L'8 agosto 1945 è una delle date più basse nella carriera dell'umanità.

DELLE GUERRE GIUSTE E DEL PERICOLO DI VINCERLE - Molti anni prima che il mondo precipitasse nella guerra contro il fascismo, aspre discussioni infuriarono nei movimenti di sinistra tra adepti del pacifismo integrale e militanti della lotta a morte contro la tirannia. Uno dei temi che ritornavano più spesso in quel lungo scambio di idee e di argomentazioni era quello della "guerra giusta". Con una abilità che non sempre era a tutta prova, i pacifisti integrali si adoperavano a dimostrare che non esistono guerre giuste. Che pretendere di combattere la tirannia con una guerra voleva dire consegnarsi spontaneamente alla tirannia di un apparato militare senza freni, di leggi eccezionali spieiate, di politicanti investiti dei più arbitrar! poteri e più o meno dispensati dal renderne conto. La guerra in sé stessa e di per sé costituisce- una tirannia che non ha nulla da invidiare a quella che vi prospettano di abbattere, ci dicevano senza convincerci i teorici del pacifismo integrale.

Si ingannavano. Esistono delle guerre giuste- Ma la proprietà delle guerre giuste è di non restarlo a lungo.

Non dimentichiamo che le guerre "giuste", se producono degli Hoche e dei Marceau, producono d'altro lato dei Bonaparte, il che è, per loro, un modo particolarmente demoniaco di smettere dì essere giuste. Ma d'altra parte - e in assenza di qualsiasi Bonaparte all'orizzonte - una guerra "giusta" si distingue dalle ordinarie spedizioni di brigantaggio perché impone a coloro che se ne incaricano un ritmo e delle esigenze che risultano loro difficilmente tollerabili. Per tenere desta un'impresa basata sul fervore popolare, occorre che le équipes responsabili della conduzione della guerra abbiano la chiara audacia di lasciare alle forze in movimento a cui si appoggiano il loro carattere di massa in combustione - di masse in pieno divenire e coscienti dei senso del loro slancio. Ma la regola persistente fra i capipopolo - sovente perfino tra coloro che sembrano venire direttamente dalla linea del fuoco o da una assemblea di fabbrica - è quella di usare il proprio peso gerarchico per ricondurre le forze in movimento loro affidate nei quadri tradizionali di un paese in guerra. E quando dico "quadri tradizionali", intendo razionamento della verità, razionamento dell'entusiasmo, razionamento dell'ideale. Intendo irrigidimento arbitrario delle forze in movimento di una nazione, su ordine di coloro che temono, nel "movimento" di oggi, lo "sconvolgimento" di domani. Questi quadri tradizionali - semplici maschere da porre sul volto di questa o quella guerra per cancellarne l'espressione originale e renderla simile a tutte le altre - possono essere presi a prestito tanto dagli archivi del museo delle Guerre, quanto dalle pratiche del nemico. Il che viene detto: in un caso "ispirarsi alle lezioni del passato", nell'altro "approfittare di ciò che il vostro avversario vi insegna".
Di questo offuscamento dei valori vivi del presente, che si è sempre pronti ad avviluppare nelle vecchie formule sacramentali come in un sudario, di questa traslazione nei campo della giustizia dei procedimenti e delle abitudini mentali del nemico, lo svolgimento delle guerra contro il fascismo ci offre troppi esempi. Mi ricordo con nettezza che il primo comunicato di guerra sovietico si concludeva con la menzione di un soldato tedesco, con tanto di nome e cognome, die- si era diretto verso una postazione russa dichiarando di non voler prendere le armi contro uno Stato proletario. Davanti alla storia, questa sola frase del comunicato assumeva una risonanza più forte di tutte le imprese motorizzate che la precedevano o che la seguirono. Sovrastando il frastuono del combattimento, essa attestava che la fraternità dei lavoratori conservava e doveva conservare la preminenza sulla divisione degli uomini in gruppi etnici e nazionali. Lì stava, fra tutti, il bene da preservare - la virtù suscettibile di mandare in pezzi il quadro tarlato della guerra tra nazioni. Eppure ancora una volta, fu a quel quadro tradizionale che i lavoratori vennero ricondotti, furono sviati. Invece di esaltare gli eroi popolari, russi e tedeschi che già si erano tesi la mano in lotte liberatrici similari, i servizi di propaganda sovietici ben presto si compiacquero di un pathos orripilante da cui emergono solo figure fra le più sinistre della storia della Russia. Il principe Alexander Nevskij conobbe di nuovo tutte le enfiagioni della gloria perché nell'anno 1242 aveva avuto la buona sorte di mettere in fuga i cavalieri dell'Ordine teutonico. Per contro, il ricordo di Pugaciov o quello di Stenka Razin - leggendari campioni della causa contadina - furono messi in sordina perché si giudicava che quei personaggi avessero eccessivamente malmenato le autorità dei loro tempi. Il 7 novembre 1941, rivolgendosi ai combattenti dell'Armata Rossa, Stalin offrì al loro valore degli strani antecedenti: "Possiate, disse loro, essere ispirati dalle coraggiose figure dei vostri avi: Alexander Nevskij, Dimitri Douskoï, Kouzma Minin, Dimitri Pojarski, Alexander Souvorov, Mikaïl Koutuzov (1)."

In nessun esercito l'eroismo degli avi ha mai avuto molta presa sul morale dei soldati. Ma quanto agli antenati di cui Stalin intagliava le icone e le presentava al bacio di devozione delle masse, non ce n'è uno solo che, rispetto alle lotte del popolo russo per strapparsi al suo giaciglio di miseria, non abbia avuto una funzione reazionaria e odiosa. Che si fosse tenuto a dirottare verso simili nomi l'immaginazione eroica dei difensori dell'URSS era già sufficiente a rendere senile una guerra da cui certuni si attendevano che migliorasse il mondo.

Il seguito fu all'altezza di un simile inizio. La riesumazione di Alexander Nevskji portò con sé la revisione di otto secoli di storia europea. Saccheggiando non più il passato ma il nemico, Stalin oppose alla teoria hitleriana della mobilitazione dell'Europa contro l'assalto asiatico un ritorno puro e semplice al panslavismo più gretto. I dibattiti dei diversi congressi panslavi organizzati attorno a questa guerra, su iniziativa di Mosca, hanno fatto regredire l'intelligenza allo stesso titolo delle trasmissioni di Radio Berlino.

Il lungo sviluppo dell'Europa non apparve più che un pretesto per divisioni razziali -soggetto a un conflitto sempre rinascente tra slavi e germani. L'ultimo congresso panslavo (Sofia, gennaio 1945) ha consacrato l'esistenza di un blocco slavo erede di una unione suggellata attraverso secoli di battaglie e risalente alla vittoria di Grunwald (1410) riportata dagli eserciti slavi riuniti contro i germani. Così, si è finito per battersi blocco contro blocco; razza contro razza, insania contro insania ! Così 1e guerre "giuste" non resistono a lungo all'infamante contagio delle idee che si chiedeva loro di annientare)*.

Dico che assistiamo attualmente a una penetrazione del comportamento politico hitleriano nei ranghi della democrazia. Questa penetrazione non scandalizza quasi nessuno; troppi vi trovano la loro convenienza materiale e il loro confort morale. Questa penetrazione fa mostra di se su tutti i giornali, in tutte le notizie che ci giungono sulla sorte che ci si prepara a riservare al mondo. Per esempio, l'annessione di territori senza il preliminare gradimento delle popolazioni era comunemente considerata come un oltraggio al diritto, proprio della frenesia imperialista di un Hitler. Ora ecco che la cosa si presenta in modo del tutto differente e unicamente sotto il punto di vista della utilità nazionale; quel certo porto mi è utilissimo e mi piacerebbe mi venisse concesso, dichiara una potenza - e se le si obietta che quel porto ha sempre fatto parte di un'altra unità nazionale, essa risponderà che è possibile, ma che ne ha molto bisogno e la sua vittoria le da diritto a quel piccolo bottino. Così vanno le cose oramai non per un porto o una città isolata, ma per vasti insiemi territoriali divenuti perfettamente mobili e atti a cambiare proprietario nello spazio di una notte.

La deportazione di popolazioni passava del pari per una operazione crudele cui solo i regimi basati sulla forza si permettevano di ricorrere. Queste deportazioni vengono nondimeno progettate al giorno d'oggi su scala non inferiore a quelle delle cupe razzie del nazismo. Qui lascio la parola a Louis Clair, uno dei principali collaboratori della rivista americana “Politìcs”, la cui capacità di indignazione ci aiuta a respirare ancora:

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"Portati per necessità, controvoglia, a compiere giornalmente una serie di atti del tutto simili a quelli del nemico, come eviteremo di tendere assieme a lui verso un limite comune? s'inquieta André Breton. Stiamoci attenti: per il fatto stesso che siamo costretti ad adottare i suoi mezzi, rischiamo di essere contaminati da ciò di cui crediamo di trionfare".

1.Stalin and Eternal Russia, (p. 87), di Waìter Kolarz (Lindsay and Drummond, Londra)
2. Lumiere Noire, di André Breton, cfr. l'Arche, n°. 7.
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"I popoli vengono spostati come bestiame; se voi mi date 500000 tedeschi sudeti, io farò in modo di consegnarvi una certa quantità di tirolesi; forse potremmo scambiarci un certo numero di tedeschi in cambio di macchine utensili. Hitler, anche qui, ha messo in marcia un meccanismo che sta prendendo proporzioni inquietanti...
"La precipitazione con cui le potenze vittoriose si disputano la sola merce che, a dispetto dei perfezionamenti della tecnica, resta più richiesta che mai -la fatica da schiavo- è qualcosa di veramente osceno"(3).

Una guerra è stata vinta. Ma siamo tanto sicuri che Hitler abbia perso la sua?

« IN MANCANZA DI MEGLIO...» - Quando ci si interroga sulle ragioni che tendono a convenire una-guerra "giusta" in una guerra ordinaria, in una guerra tout court, e più in generale quando ci si interroga sulle ragioni che sottraggono alle masse il controllo sulle cause elevate cui esse si dedicano, presto ci si trova imprigionati in un circuito allucinante. Da un lato, in effetti, l'ampiezza e la concentrazione della vita economica moderna hanno fatto di ogni partito, di ogni sindacato, di ogni amministrazione degli organismi quasi totalitari che vanno per la propria strada abbandonandosi completamente al proprio peso specifico e senza minimamente tenere conto delle cellule individuali che li compongono. Questi partiti, questi sindacati, queste amministrazioni statali moderne sono protetti contro le mosse della ragione critica (come pure contro i sussulti affettivi e le ribellioni del cuore) dalla loro sola e sovrana pesantezza. Questi edifici sconcertanti funzionano in grazia di una umanità tutta speciale, una umanità di iniziati. Per essere ammessi a presentare una mozione al termine di un congresso di un partito di sinistra che tolleri qualche scambio di opinioni, occorre un anno di manovre estremamente delicate attraverso un dedalo di segretariati e di comitati che ricordano, al punto da trarre in inganno, i misteri dell'inaccessibile Tribunale in cui Kafka - ne I! processo - lascia tremolare l'immagine indefinitamente riflessa della nostra angoscia. E se queste prove iniziatiche sono favorevolmente superate, se nessun passo falso è giunto a inibire la presentazione della mozione, allora indubbiamente il suo oggetto si sarà sufficientemente diluito per suscitare oramai soltanto un interesse retrospettivo e quasi pietà per chi si azzardasse a darle il proprio sostegno.

D'altra parte, i cittadini chiaroveggenti ed energici, meglio ancora, gli individui che dispongono di un certo prestigio intellettuale che fossero tentati di intervenire per rettificare l'orientamento di un, partito, di un sindacato o di un governo, sanno troppo bene che questi diversi organismi hanno i mezzi per tessere loro attorno una ragnatela mortale - una ragnatela di silenzio che non tarderebbe a tagliarli fuori da ogni vita pubblica. Questa ragnatela di silenzio si è rinchiusa per sempre su alcuni dei più brillanti spiriti della società sovietica - scrittori, scienziati, giornalisti, militanti; essa stringe sempre più dappresso, in Europa e in America, altri spiriti, resistenti e puri, esageratamente amanti della libertà....

Per l'essere civilizzato vi è qualcosa di peggio della sua perdita di potere sugli organismi che lo rappresentano e agiscono in suo nome. È la rassegnazione a questa perdita. Rassegnazione di cui ci avvertono segni innumerevoli e flagranti. Rassegnazione che - in guerra come in pace - noi riconosciamo in base all'atteggiamento standard di persone dotate, colte e portate all'azione - e tuttavia immerse nel giulebbe della loro disfatta. Questa rassegnazione sta in quattro parole : "In mancanza di meglio...".

Se si aderisce al Partito comunista ( o a qualsiasi altro...) senza avere la minima garanzia sulla sua 'politica presente e futura, è "in mancanza di meglio".... Se si finisce per farsi una ragione di una- redistribuzione di territori di cui si ammette fra sé e sé che non restituirà ai popoli ne il sorriso ne l'abbondanza, è "in mancanza di meglio". Se si vota per un candidato il cui aspetto morale vi ripugna e la cui fermezza politica si rivela dubbia, è "in mancanza di meglio". Se ci si abbona a un giornale che sacrifica volentieri il proprio scrupolo di verità a
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3.European Newsreel, di Louis Clair, cfr. Politics, giugno 1945.
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considerazioni commerciali o pubblicitarie, è "in mancanza di meglio".

Questa donna che si abbraccia febbrilmente farfugliando di eterni sentimenti: "in mancanza di meglio". Questo cinema in cui ci si sprofonda a testa bassa, per risparmiarsi un'ora di presenza sulla terra: "in mancanza di meglio". Questo libro su cui ci si attarda perché è stato premiato, quando tutto vi invita a schifarne il contenuto: "in mancanza di meglio". Questo capo sublime a1 culto del quale ci si allinea sospirando, impregnati come si è del repertorio della sua grandezza: "in mancanza di meglio"...
"In mancanza di meglio" diventa un investimento, una filosofia, uno stato civile, un padrone, una boutade, un alibi, una preghiera, un'arma, una puttana, un singhiozzo, una sala d'attesa, una piroetta, l'arte di farsi l'elemosina, una bussola per battere il passo senza andare avanti, un epitaffio, un 8 agosto 1945...

Due uomini, prossimi per pensiero, nondimeno sono capaci di distruggersi a vicenda perché, avendo la stessa concezione del "meglio", e difettando di questo, ripiegano su due modalità concorrenziali di esistenza di compensazione, su due sistemi di convinzioni e di gesti che sfiorano per la tangente il "meglio" comune, ma non lo sfiorano dallo stesso lato.

Allora, di approssimazione in approssimazione, di sostituzione in sostituzione, ci si trova ricacciati indietro, insensibilmente, cortesemente, verso non si sa quale abietto cantuccio dove prosperano i centogambe. Si viene presi dallo spavento, ma a torto. Non si tratta di una segreta; è una dimora... Ormai fa solo notte... Lontano, dei treni fischiano come se stessero partendo... Si vorrebbe urlare, far accorrere immaginar! guardiani... Con le proprie forze, a che punto si sarà domattina? Vi lasceranno soltanto passare? Sì, senza dubbio, vi permetteranno di fuggire, di andarvi a costruire una seconda vita in Congo, una vita su palafitte con, nell'ombra, lo stesso cancro trionfante in cui vengono a patti 1e forze della noia e l'orrore panico della libertà...

IL DIRITTO AL TERRORE. - Da due secoli in qua, è come se ogni invocazione della libertà, ogni sollevazione segnata dal suo nome dovessero tradursi - attraverso gli apparati politici e statali sorti al culmine di questi sussulti - in un sovrappiù di regole oppressive cui l'uomo deve un graduale restringimento della vita. Una nuova generazione di Enciclopedisti che procedesse con la stessa impertinenza dell'altra oggi verrebbe messa fuori legge o, per lo meno, rapidamente ridotta alla mendicità.

In questa lunga serie di ambizioni sfortunate, tutto accade come se l'uomo cercasse soltanto una certa forma di sicurezza nel terrore. L'aspra e severa opera di Erich Fromm -Fuga dalla libertà - ci insegna fino a che punto l'uomo tema il tète-à-tète con la libertà, fino a che punto egli non veda l'ora di sottrarsi alle responsabilità che essa gli assegna, fino a che punto - nelle condizioni attuali di caos - il grigiore, l'opacità e l'anonimato sono per lui rifugi desiderabili contro la vertigine della libertà.

A questa disposizione individuale dell'essere terrorizzato dalla complessità del mondo che lo sollecita, i grandi organismi collettivi sono venuti ad arrecare un contributo decisivo. Essi hanno fissato, con il rigore voluto, quel povero minimo di atteggiamenti umani che non si lascia trasgredire se non a rischio e a spese del contravveniente. Il buon cittadino può permettersi un sonno di piombo, ora che la bomba atomica lo protegge...

I segni del terrore che monta non ingannano. Il primo, per gravita, è la progressiva cancellazione del diritto d'asilo. Pessima idea quella di dichiararsi rifugiato politico, di questi tempi assassini...! Già dal 1930, Leone Trockij era stato braccato come un cinghiale attraverso tutto il continente europeo, dalla Turchia alla Norvegia, passando per Parigi. Poi venne Vichy, dalle cui mani Pietro Nenni fu consegnato senza rimorsi all'Italia, Breitscheid alla Germania e Companys alla Spagna. Vichy è scomparsa, ma non è scomparsa questa inestirpabile avversione delle autorità - democratiche o meno - verso il rifugiato politico, ultimo e bel vestigio della sedizione umana.

Segno anch'essa di terrore, la deportazione organizzata dei lavoratori: che abbia termine con la disfatta del nazismo non è nemmeno in discussione. Ci sono gli economisti che vegliano al rendimento- crescente del bestiame loro affidato come materiale da esperimenti. Le conferenze internazionali hanno bisogno di grafici in ascesa! Segno di terrore che migliaia di esseri vengano inghiottiti in una notte in cui nulla traspare. Partiti senza lasciare indirizzo. Perché c'è del legname da tagliare sulle rive del Mar Bianco. Avviso agli amatori !

Ultima tristezza, nel campo che ha sempre saputo sottrarsi alle pressioni dei regimi arbitrar! del passato, nel campo del pensiero che va all'attacco, del pensiero politico, ancora ieri portatore di speranza, si assiste ad uno strano adattamento all'ordine crudele e vano che si va delineando sotto i nostri occhi. Ne testimonia l'imbarazzata timidezza di una rivista come "La Penséé" che, prima della guerra, manifestava una curiosità perturbatrice verso tutte le forme del divenire scientifico e sociale, e rianimava con un soffio indagatore problemi essenziali già m preda all'invecchiamento generale di una società che non tollera affatto che non si invecchi con lei. I grandi nomi che patrocinano "La Pensée", nel 1945, danno ormai soltanto la loro copertura a un concerto di formule statiche e di ragionamenti debilitanti. Ci troviamo in presenza di una rivista che sembra avere il compito di avvertirci che il pensiero marxista ha raggiunto il punto morto. Essa si comporta oggi come una forza che, invece di dominare l'incubo contemporaneo e di tracciarvi le sue ampie vie conduttrici di luce, lo lascia sedimentare in una provetta di sicurezza in cui non è da temere per l'ora presente alcuna esplosiva separazione del vivibile dall'invivibile, del coinvolgente dall'opprimente, dell'attuale dal superato. D'altronde, non vediamo forse Aragon insistere, in un fragoroso articolo, perché si ritirino dalle librerie di Francia le opere di Charles Maurras? L'autore di una simile richiesta pare non rendersi conto di fare così atto di disfattismo rispetto a ciò che dovrebbe essere il potere di attrazione del proprio messaggio politico. Ci fa credere che Maurras e lui stesso occupino posizioni simmetriche l'uno rispetto all'altro e che, avendo rinunciato a prevalere per la via, della ragione, si rimettano, l'uno nei confronti dell'altro, all'arbitrato poco raccomandabile dei poliziotti. Così, quando non lavora a viso scoperto, il terrore resta sempre latente a fior di dibattito, pronto ad accogliere i primi voti, la prima invocazione rivoltagli dai suoi leali sudditi.

Quanto agli individui fuori serie - in particolare certe categorie di intellettuali e di scrittori che non accettano ancora di vivere secondo la traiettoria ordinaria - sono preda anch'essi delle folate del terrore. La loro sola speranza è di invertirne la direzione, vale dire di essere loro a esecrarlo, il terrore. Sono affascinati non da un Gide o da un Breton; ma da Lawrence d'Arabia e dal Mairaux del periodo cinese. Per lo più hanno amato questa guerra, perché permette loro di mettersi in regola con sé stessi facendo saltare un treno, demolendo un viadotto prima di tornare al loro appartamento, alle loro amanti slabbrate e alla loro fedele routine quotidiana di racconti elettrizzanti. Incarnare, non fosse che per lo spazio di un capitolo, un ruolo da avventuriere a margine di tutto, recuperare con questo artificio di vocazione una parte degli slanci di cui la vita sociale lo ha amputato : l'intellettuale moderno non chiede, in fondo, altra mancia ad un mondo che non ha più l'onestà di rifiutare.

IL DENTE CHE TRATTIENE LA LAMA. - In questo scivolamento collettivo verso una condizione di sicurezza nel terrore, chi farà scattare il dispositivo d'arresto? Chi farà giustizia di ciò che gli uomini si stanno abituando a prendere per il loro diritto al terrore e quasi per il normale sbocco delle loro antiche aspirazioni alla libertà?

Non certo un partito, ne alcuna delle organizzazioni totalitarie preposte a far la guardia all'uomo. Non un partito, rna forse dei partigiani di un genere nuovo che abbandonassero i modi classici dell'agitazione per dei gesti di partecipazione altamente esemplari. Molti avevano sperato che il- movimento della resistenza nell'Europa occupata avrebbe finalmente prodotto un'apertura nell'impasse politica e sociale della nostra epoca. I grandi partiti di massa sono stati i primi a fiutare questo pericolo. E che, ci si apprestava dunque a fare a meno dei loro servizi? La volontà popolare si vanagloriava adesso di fare senza intermediari? L'allarme fu di corta durata. Allo stesso modo come le forze militari della Resistenza furono rapidamente integrate nei quadri permanenti dell'esercito - così le sue forze politiche non tardarono, nel mescolarsi della lusinga e dell'intrigo, a tornare nella trappola per topi dei grandi partiti.
L'episodio -stavo per dire l'incidente- è chiuso. Ma qualcosa d'altro diviene possibile, diviene perfino la sola cosa possibile. L'epoca della guerriglia politica comincia ed è ad essa che devono andare le nostre riserve di fiducia ed entusiasmo.

Senza dubbio non è facile annunciare l'andamento che prenderà questa guerriglia e le imprese che non mancheranno di distinguerla. E tuttavia si potrebbe tenere presente l'atteggiamento valorosamente indipendente di un Camus - e, su un altro piano, di un Breton, di un Calas, di un Rougemont - come una indicazione per l'avvenire. L'apparato del terrore è ancora lontano dall'essere senza esitazioni ne fessure. Dunque è nel punto in cui questo apparato si fa più minaccioso - e via via che le sue minacce si rinnovano - che deve portarsi tutto il nostro spirito di rifiuto, tutto ciò che, in un dato momento, nel mondo esiste quanto a esseri in stato di rifiuto. E che ciò sia fatto in modo sfolgorante i E che ciò si iscriva con esempi conturbanti nella coscienza delle moltitudini ! E che ciò si trasmetta e si amplifichi attraverso la vasta prateria umana, lungo contagiosi solchi di grandezza ! A questo punto, sento piovere i sarcasmi assassini: "Eh che! Voi cercate di discreditare i Partiti politici, di demolirne il prestigio, di comprometterne l'azione - proseguite quindi l'opera insidiosa dei fascisti antecedenti e posteriori al fascismo che gettano il dubbio su tutti gli strumenti di affrancamento e di progresso! In realtà, io non proseguo nulla, non desidero proseguire nient'altro che una certa logica della libertà. Il fenomeno fascista, visto in funzione dell'evoluzione dei partiti, è servito solo a precipitare in modo decisivo lo sviluppo dell'elefantiasi morale e materiale che affligge le potenti istituzioni di "sinistra" nelle quali la voce delle masse si perde quasi con la stessa facilità di quella degli individui. Lo scopo ultimo della guerriglia che si intraprende ora non è di eliminare i partiti a favore di qualche nuovo sistema di esercizio della vita politica. E di strappare ai partiti il monopolio dei pensiero sociale che si arrugginisce nei loro comitati di studio; è di privarli, nel campo delle idee, di un diritto di iniziativa cui si abbarbicano tanto più quanto più sono ben decisi a non farne che l'uso più meschino, più retorico. Si tratta, per incalzare il problema più dappresso possibile, di ridurre i partiti a una condizione di pura ricezione quanto alla maturazione e al movimento generale delle idee, e puramente amministrativa quanto alla loro esecuzione. In una parola, si tratta di indurre i partiti a riconoscere i focolai di idee che potrebbero nascere al di fuori di essi e a drenare verso l'azione pratica tutto ciò che di valido si libererà dall'effervescenza così alimentata. Si badi: la situazione oggettiva dei partiti è considerevolmente cambiata da vent'anni a questa parte. Essi tendono tutti a diventare degli organismi parastatali, delle appendici dello Stato. La nozione stessa, la funzione di partito di opposizione è colpita a morte da questo cambiamento. In Inghilterra, negli Stati Uniti, in Francia, in Belgio, l'opposizione nei confronti dei poteri è più sovente solidale che non nemica. A questa nuova regola dei partiti devono corrispondere obblighi sempre più netti per i franchi tiratori del pensiero. Il primo di questi obblighi è il trasferimento delle attività di formazione delle idee in focolai estranei alle vicissitudini dei partiti e al loro progressivo impaludarsi nei quadri dello Stato. Ma soprattutto, questa guerriglia avrà effetto duraturo solo nella misura in cui saprà favorire, nella sua lotta contro il pragmatismo burocratico dei partiti, un tuffo nelle fresche correnti dell'utopia, una rinascita della speculazione utopica con tutto ciò che essa comporta di edificante e di gioioso.

Una decina d'anni fa, potevamo prendere come tema di schieramento parole come quelle di Nicolaj Bucharin, il penultimo dei grandi teorici del socialismo:

"Una analisi dello stato reale delle cose ci fa intravvedere non la morte della società, ma la morte della sua forma storica concreta e un passaggio inevitabile alla società socialista, passaggio già cominciato, passaggio verso una struttura sociale superiore. E non si tratta solamente di passare ad uno stile superiore della vita, ma precisamente superiore a quello che oggi è il suo.
"Si può parlare di questa forma sociale superiore in generale? Ciò non ci condurrà al soggettivismo? Si può parlare di qualsivoglia critica oggettiva in questo campo? Pensiamo di sì. Nel campo materiale, un simile criterio è rappresentato dalla potenza del rendimento del lavoro sociale e dall'evoluzione di questo rendimento, perché ciò determina la somma di lavoro superfluo da cui dipende tutta la cultura spirituale. Nel campo dei rapporti interumani immediati, un tale criterio è dato dall'ampiezza del campo di selezione dei talenti creatori. È appunto quando il rendimento del lavoro è molto elevato e quando il campo di selezione è molto vasto che vedremo effettuarsi il massimo di arricchimento inferiore della vita nel massimo numero d'uomini, inteso non come una somma aritmetica, ma come insieme vivente, come collettività sociale (4)."

Oggi non possiamo fare a meno di domandarci dove sia questo "arricchimento interiore della vita nel massimo numero di uomini". Non c'è, ahimè, alcun dubbio che il cammino percorso dall'aprile 1936, cioè da quando furono lanciate quelle parole di speranza, non ha fatto che allontanarsi dalle prospettive buchariniane, non ha fatto che consacrare, una tappa dopo l'altra, l'avvento di un conformismo intrattabile che riduce la "vita interiore" alla sua espressione più umile e timorosa.

Non c'è dubbio che a questo criterio del1'"arricchimento interiore" si è sostituito il criterio inverso, e se, fra migliaia di prove, ne volessimo una soltanto, la più eloquente sarebbe proprio la "liquidazione" di Bucharin stesso e quanto poco si sia badato a questa "liquidazione" nel campo del socialismo e in quello dell'intelligenza.

A questo conformismo che infuria in ogni campo, salvo che in quello dei raffinamenti terroristici, nel quale questi signori amano sempre innovare, non è possibile opporre con successo altro che proprio quelle forze che esso calunnia: la fantasticheria di Icaro, lo spirito di anticipazione delirante di Leonardo, gli avventurosi colpi di sonda dei socialisti utopisti, la visione generosa e temperata di umorismo di un Paul Lafargue ! Il socialismo scientifico si è degradato fino a non essere più per i suoi discepoli altro che un pomposo esercizio di recitazione. Una larga areazione dell'ambito e delle idee sociali si impone, se si vuole preparare all'uomo un avvenire che non sia già inaridito in anticipo e che non rompa a ingiustificabili discipline la sua facoltà di sempre intraprendere.

Contro l'odioso accoppiamento del conformismo e de! terrore, contro la dittatura dei "mezzi" dimentichi dei fini di cui si fanno belli, la Gioconda dell'utopia può non prevalere ma far di nuovo aleggiare il suo sorriso e restituire agli uomini la scintilla prometeica da cui si riconoscerà la loro riacquistata libertà.

È BEN TEMPO DI RIDARE PRESTIGIO AL BLASONE DELLE CHIMERE...


Il Cairo, 17 agosto 1945

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(4). Les problèmes foundamentaux de la culture contemporaine, di Nicolas J. Boukharine (Les Documents de la Russie neuve, Paris, 1936).

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