So che siamo nella società dello spettacolo e che l’Italia è un palcoscenico particolarmente visibile di un’arte della commedia che ha preso vilmente il posto della commedia dell’arte.
Non so, invece, quale livello di lucidità abbia Celentano sulla questione sociale ma so che nel silenzio assordante dei servitori volontari e degli schiavi salariati umiliati, qualunque voce si levi sinceramente per dire basta è un apporto prezioso.
Non è decisivo sapere se Grillo ha un effettivo progetto di società da proporre al posto dell’attuale, mi pare evidente, però, che le sue denunce, le sue critiche, i suoi rifiuti e le sue proposte sono contemporaneamente comprensibili e condivisibili mentre il movimento a 5 stelle, pur con tutti i suoi limiti veri o presunti, non è riducibile a un’icona spettacolare o a un partito in più. Senza dimenticare che nello stagno putrescente del malaffare l’onda dell’ingenuità può diventare uno tsunami.
Nessuno è più dannoso degli attuali reggitori dello spettacolo sociale. Il Nord Africa ci ricorda che nella fase primordiale dello spettacolo i tiranni vengono ancora rimpiazzati abbastanza regolarmente come gli elettrodomestici mentre la tirannia più moderna e durevole, chiamata proditoriamente democrazia, si traduce nella vita assente dei sudditi che guardano i loro miserabili signori ridere loro in faccia da uno schermo televisivo.
Trovo dunque strano, per non dire sospetto, che la diffidenza nei confronti di chi parla fuori dal coro si sposti sempre sul binario morto di un processo alle intenzioni e su una mimetica concomitanza presunta con la realtà criticata. In una specie di sindrome di Stoccolma dell’umiliazione, sembra funzionare automaticamente una macchina del fango fatto in casa da quanti sono ormai sommersi nella loro realtà quotidiana dal fango inquinante di una vita non vissuta. Anziché buttar giù dal piedistallo chi sta loro pisciando in testa, preferiscono diffidare di chi critica il tiranno da operetta perché potrebbe domani prenderne il posto.
Democrazia vuol dire non permettere più a nessuno di decidere per noi e farlo tutti insieme. Mica dobbiamo sceglierci un nuovo guru: l’umanità sarà felice quando l’ultimo guru sarà stato impiccato con le trippe dell’ultimo dirigente/burocrate (speriamo simbolicamente, dal momento che la violenza è un retaggio del passato che non muore).
Prima di tutto dobbiamo liberarci degli inetti affaristi che si sono impossessati del mondo, della società, delle nostre vite e delle nostre stesse coscienze. Poi, il giorno in cui chi osa oggi lanciare un necessario “j’accuse” mostrerà di essere l’ennesimo manipolatore della politica per un qualunque fine personale, non sarà difficile rendere la vergogna ancora più vergognosa denunciandola e rispedendola nella spazzatura della storia. Per ora la vergogna sta nella partitocrazia e nell’oclocrazia che hanno ridotto la democrazia a uno specchietto per le allodole.
Non manco di scetticismo per aspettarmi il peggio da chiunque ma, non essendo paranoico, sono spontaneamente spinto dalla mia volontà di vivere a lottare contro un sistema mafioso ormai dilagante insieme a tutti i compagni di strada che condividano questa resistenza. I distinguo saranno per dopo e sarà bello potersi confrontare finalmente sui problemi della libertà creativa socializzata anziché su quelli della schiavitù produttivistica imposta col ricatto economico.
La questione nucleare è un’ottima, terribile occasione per fare di ogni erba radioattiva un fascio di ragioni per rendersi conto che la resistenza al delirio economicista riguarda ormai, dovunque, un rovesciamento di prospettiva della vita sociale nel suo complesso e che la lotta è ormai sempre locale e internazionale nello stesso tempo.
Irradiati di tutti i paesi unitevi!
Sergio Ghirardi