martedì 10 maggio 2011

La mistica nucleare e i fanatici dell’apocalisse



L’ipnosi non è mai lontana, insieme all’angoscia che l’accompagna, quando l’ottundimento teleguidato dei sensi e del senso delle parole e delle cose lavora con lena ossessiva ed entusiasmo paranoico.
Il limite di uno Scilipoti (schizzante e schizzato, tra S. Gennaro e Padre Pio) è che il suo parossismo sfrenato rende visibile il trucco - altrettanto osceno, ma un po’ più controllato quantitativamente - di un Berlusconi ormai diventato una malinconica caricatura di se stesso. Per questo persino tra le larve avvezze a mentire come a respirare, si comincia a risentire un crescente seppur dissimulato imbarazzo.
La psicosi mistica utilizza la zona di mistero che circonda la conoscenza ancora molto limitata del reale per consolidare il potere dell’ignoranza e il suo territorio di competenza. Imitando la seppia, invece di fare luce, essa consolida l’ombra del mistero, inglobandolo ideologicamente. Anziché aumentare gli spazi di conoscenza, li riempie di pregiudizi, rumori e dogmi senza capo né coda.
A pensarci bene, un discorso di Scilipoti è imparabile quanto una madonna che piange sangue.
Per qualcuno in grado di intendere e di volere, di fronte a certi fenomeni paranormali, l’evidenza del danno psichico su cui si appoggia l’apparenza è incontestabile, eppure, ecco che il tempo dell’analisi e della facile denuncia è cortocircuitato dalla potenza malsana dello sturm und drang mistico che impone la visibilità del miracolo attraverso il sangue che cola misteriosamente o per mezzo di parole senza senso, mitragliate a occupare tutto l’universo del discorso fino a monopolizzarlo, fino a farlo sembrare un monolite totalmente intoccabile, dunque apparentemente inattaccabile.

Il misticismo, nobile o becero che sia, è il meccanismo psichico attraverso il quale i dubbi evaporano da ogni credenza, in modo tale che la stupida credulità della fede si trasforma, magicamente, in passione materiale, sensuale.
Nel mistico c’è sempre in agguato un razionalista morboso che, mescolando il concreto all’impalpabile, dà corpo ai fantasmi e anima alla materia.
Inoculando qualche dose di meraviglioso nell’orribile e di sentimento palpabile nell’inesistente, il mistico rompe la barriera logica tra razionale e irrazionale fino a fare della scienza una religione e viceversa.
Niente quanto la religione della scienza, sa oggi giocare sui due tavoli del razionale e dell’irrazionale contemporaneamente e indistintamente, con il risultato finale di umiliarli entrambi in un messianico spettacolo di morte.
Il business senza futuro del programma nucleare incluso in modo autoritario nel menù del giorno, approfitta pesantemente di questa tecnica di manipolazione, cercando, imperterrito, di espandersi lentamente sul pianeta, come una lebbra inarrestabile. A questo fine, si fonda su un sistema di menzogne e di falsificazioni tipico del fenomeno religioso più oscurantista.
Il discorso che circonda il nucleare è fatto contemporaneamente di una siffatta prepotenza mistica delirante e di un calcolo redditizio e perverso che traveste nell’ossimoro di un assurdo e ragionevole progresso il suo pragmatismo ipocrita e mercenario.
La forza irrazionale di questa tecnologia mortifera trova la sua giustificazione primigenia nella discordanza tra cause ed effetti del suo funzionamento.
Una pistola che spara uccide con evidenza perché lascia la pallottola nel corpo dell’ucciso. Ogni giallista che si rispetti conosce l’onere della prova con la quale si inchioda l’assassino in modo che un peana glorioso alla giustizia degli uomini si levi fino al cielo, ringraziando gli dei e la loro incommensurabile bontà. “Elementare Watson!
Le radiazioni sono invece l’arma di un delitto a prima vista perfetto.
La discordanza di tempi tra l’atto mortifero e la produzione di morte, permette all’assassino di crearsi un alibi e alla propaganda della lobby nuclearista di costruire scientificamente un apparato di fumo e di diversivi per smontare il discorso critico che denuncia il pericolo evidente e la soperchieria inaccettabile.
Come in ogni illusionismo, il trucco c’è, ma non si vede immediatamente, dando il tempo ai ciarlatani mercenari di costruire una putrida magia di paccottiglia fondata sull’impercettibilità del fenomeno manipolatorio.
In tutta evidenza dopo Three Miles Island, Chernobyl e Fukushima, lasciando dunque da parte le centinaia di incidenti significativi ma dissimulati perché rimasti sul piano di un avvertimento senza danni maggiori, salta agli occhi che la sicurezza delle centrali nucleari è soltanto un dato statistico. Un tale dato è perfettamente equiparabile alla certezza che, prima o poi, la terribile “Trimurti” nucleare - Iodio, Cesio e Plutonio - finirà per sfuggire ai vari involucri di contenimento in cui è pateticamente avvolta.
Purtroppo, non si tratta di divinità virtuali inventate dal cocktail di paure e di fantasie che abita il cervello umano. Siamo di fronte a una legge fisica e allo strutturale deperimento di ogni materia, destinata a mutare nel tempo, a modificarsi e a cambiare forma e attributi. Niente è impermeabile per sempre, niente è eterno; i tempi dell’immutabilità variano, peraltro, da sostanza a sostanza per cui i recipienti che contengono le scorie tossiche del nucleare sono destinati a perdere la loro inviolabilità ben prima che le sostanze che contengono perdano la loro mortale pericolosità.
Se neppure questa è una certezza definitiva, è sicuramente una probabilità talmente evidente che rende a tutt’oggi insolubile il problema delle scorie radioattive, ormai destinate ad accompagnare comunque, per centinaia di migliaia di anni, l’eventuale sopravvivenza degli esseri umani.
Un fatto è certo e sfugge a ogni recupero mistico: ci sarà ancora uranio (e dunque energia nucleare) per meno di mezzo secolo al massimo, ma ci saranno scorie radioattive fino alla fine dei tempi.
Quasi per un esorcismo, i nuclearisti in foia ripetono in un mantra ossessivo: “il pericolo zero non esiste”. Quest’evidenza va di pari passo con un’altra affermazione altrettanto evidente che manipolata: “non bisogna decidere sotto gli effetti dell’emozione”.
1) Se è vero che in nessuna situazione data è possibile ridurre a zero il pericolo che fa parte dell’avventura di vivere, se ne deduce che si tratta di evitare, per ovvia precauzione, di correre i pericoli inutili e di monitorare quelli necessari. Ciò presuppone di differenziare chiaramente l’inutile e il superfluo dal desiderabile e necessario.
Nel caso del nucleare siamo evidentemente nel superfluo con un grado e una gravità di rischio altissimi.
In relazione al rischio, in caso di incidente maggiore, se ci sarà ancora vita, nulla tornerà mai più come prima. Il nucleare, sfuggito al controllo, introduce, come una droga durissima, un’alterazione metabolica definitiva nella natura.
In relazione al grado di utilità necessaria, persino il paese più nuclearizzato al mondo non usufruisce di energia nucleare se non per il 13% dei suoi fabbisogni. Il paese in questione, la Francia, potrebbe, dunque, continuare a funzionare ugualmente senza il nucleare per l’87% dei suoi bisogni energetici attuali.
Se si tiene conto del possibile sviluppo delle energie rinnovabili - la cui sia pur relativa gratuità è stata finora boicottata dalla potenza della lobby nuclearista (Areva + EDF, CEA+ Corps de Mines) e inquinata dalle mafie interessate a speculare sull’energia alternativa -, dell’altissima percentuale di spreco nell’utilizzazione dell’energia e del crescere spontaneo di una sensibilità antiproduttivistica che potrebbe curare gli eccessi nocivi della psicosi consumistica dominante, nessun sacrificio è ineluttabile per liberarsi della bomba atomica planetaria che i 59 reattori francesi, i loro fratellini planetari e i loro ipotetici figli in progetto, fanno ticchettare sulle nostre teste come una roulette russa.
Certo, la decisione squisitamente politica ed economicista di un’espansione del nucleare civile a partire dai primi anni settanta del secolo scorso, in piena guerra fredda, ha fatto della Francia un ostaggio del nucleare, con quasi l’80% di elettricità transalpina dipendente dalla fissione dell’atomo.
Certo, la produzione di energia con i combustibili fossili, petrolio e carbone, è anch’essa un grave problema portatore di ripercussioni sull’ambiente, sulla salute e dunque sulla vita. Anche questo problema deve essere affrontato nell’ambito stesso delle dinamiche che ho appena esposto e complicherà certamente le soluzioni, obbligando, probabilmente, a una decrescita più spartana e a un controllo dei consumi più stretto. Non può, però, essere usato come alibi pronucleare se non da assassini seriali mercenari e da servitori volontari idioti che usano la sete nel mondo e la cattiva qualità dell’acqua potabile come scusa per giustificare l’avvelenamento irreversibile delle falde e dei pozzi da cui tutti beviamo. Siamo tra la demenza e la perversione.
Beati i paesi che, come l’Italia, sono stati salvati dal delirio interessato dei politici e da quello spontaneo dei dementi produttivisti, grazie alla saggezza referendaria di un popolo che, non avendo mazzette da spartire, ha saputo decidere al riparo da condizionamenti emozionali o economici.
2) In modo particolare dopo Fukushima, l’apparato propagandistico dei nuclearisti è stato costretto a una ritirata assai poco strategica, accompagnata da uno sforzo accresciuto di comunicazione propagandistica.
Come in ogni guerra, durante la ritirata, si disseminano i territori abbandonati al nemico con mine antiuomo che seminano il panico nelle popolazioni sfuggite, si spera momentaneamente, al controllo.
Non bisogna decidere sotto l’impulso dell’emotività” è una di queste armi perverse e ciniche. Si presenta apparentemente come una semplice evidenza, ma, se si guarda bene, è una volgare, infida menzogna. Un po’ come se durante un incendio si dicesse ai pompieri di non gettare subito l’acqua sul fuoco finché l’emozione non sia scesa a soglie più accettabili. Il solo emotivamente disturbato, sarebbe, in tal caso, colui che aspettasse di ritrovare la calma per intervenire di fronte all’incendio.
Non lasciarsi sopraffare dall’emozione, si traduce nella capacità di analizzare i fatti lucidamente anche sotto la pressione dell’emozione. Ora, i soli a essere destabilizzati da Fukushima nella loro analisi, sono proprio coloro che hanno sempre preteso che il nucleare è sicuro.
Chi sostiene il contrario è certamente toccato emotivamente per il terremoto e lo tsunami che hanno colpito il Giappone inaspettatamente, pur se nell’ambito di probabilità calcolate da tempo, ma non è certo emotivamente scombussolato nel suo giudizio sul nucleare da ciò che aveva precauzionalmente già denunciato e che si è tragicamente verificato. Lo sono, invece, i mistici pronuclearisti, brutalmente confrontati con la realtà al punto da sentirsi obbligati a negare l’evidenza nel momento stesso in cui il pericolo nucleare si manifesta in tutta la sua perentoria gravità.

Se, infatti, durante ogni crisi, gli apprendisti stregoni del nucleare si mostrano visibilmente impotenti a controllare i capricci radioattivi del nocciolo, accentuano, per compensazione, il controllo sulle popolazioni che subiscono i danni collaterali di una guerra atomica tanto più terribile perché mai ufficialmente dichiarata. La loro omertà emerge di pari passo con la loro impotenza.
Non hanno nessuna capacità di sormontare la crisi in corso, è vero, ma mentre ne subiscono la potenza distruttiva, gestiscono, con un cinismo da generali di fronte alla soldataglia, la strategia più funzionale a mettere al passo la carne da macello radioattivo.
Il cinismo delirante degli ufficiali e dei propagandisti in servizio comandato salta agli occhi: persino i relativamente pochi morti immediati dovuti alle esplosioni nelle centrali diventano magicamente “zero morti a causa del nucleare”; i lavoratori delle centrali irradiati a dosi mortali (che tutti i commentatori - nuclearisti compresi - davano e danno per spacciati, in diretta) sono scomparsi nel nulla mediatico, cancellati dal computo come dei morti viventi alla cui esistenza il razionalismo pragmatico del business si rifiuta di credere. Li ha, tuttavia, compensati del loro eroico altruismo da kamikaze con 1500 euro di premio, alla salute della buonuscita miliardaria dei manager delle multinazionali e delle loro stock options mirabolanti.
I seicentomila animali irradiati, condannnati comunque a morire di fame e di sete nelle zone evacuate, nel perimetro di circa venti chilometri attorno alla centrale, sono solo danni collaterali senza importanza, l’impalpabilità subdola del tasso imprecisabile di radiazioni su una popolazione di quasi cinquanta milioni di abitanti (arrivo solo fino a Tokio, ma chi può dire dove la radiazione smette davvero di essere pericolosa?) è ignorata come un nuovo folclore da scoprire quando arriveranno i futuri turisti dell’orrore.
Mezzo Giappone è un lazzaretto, mentre persino in Canada, per esempio, si è smesso di misurare la radioattività del latte per evitare “psicosi” nella popolazione locale. Nel frattempo, i pesci dell’Oceano Pacifico rischiano di diventare dei veicoli di contaminazione radioattiva della catena alimentare.
Nella gestione spettacolare del dopo crisi, i bambini giapponesi tornano felici a scuola, ma il loro tasso di radioattività consentita è salito da 1 unità alle venti corrispondenti (in microSievert, se non sbaglio, ma poco importa) a quelle “permesse” in un anno per un lavoratore adulto delle centrali nucleari.
Già da tempo si sa che intorno a molte centrali nucleari del mondo regolarmente funzionanti, il tasso di leucemia infantile è sproporzionatamente più alto della media. Che ne sarà dei bambini del Giappone? Avranno anche loro il diritto di morire di noia davanti al televisore come tutti i bambini del mondo libero? Aspettiamo che cali l’emotività per porci il problema.
Ma li sentite ‘sti pazzi furiosi e indecenti dire che a Chernobyl sono morte in tutto una cinquantina di persone quando anche l’ultimo spettatore imbecille di una qualunque televisione propagandistica del capitalismo e delle sue redditizie malefatte planetarie ha visto i volti scavati e ascoltato le storie tragiche di quanti sono morti nei mesi e negli anni seguenti l’esplosione del reattore in Ucraina, nel 1986?
Le cifre variano, impazzite, da qualche centinaia di migliaia a quasi un milione tra “liquidatori” e persone coinvolte nel fall out radiattivo che ha portato molti anonimi cittadini dell’allora Unione Sovietica a morti atroci, tra sofferenze inenarrabili. Nessuna pallottola nucleare a denunciare l’assassino, ma ci sono le interviste, le foto, i documenti. Che cosa vogliono di più questi negazionisti?
Gli ospedali, i luoghi, le vite quotidiane spezzate, tutto ci parla di un’apocalisse che ha riguardato, riguarda e riguarderà almeno per decenni milioni di persone, in Ucraina soprattutto, ma anche nel mondo intero.
Non si tratta di contarli, per stabilire l’ennesimo olocausto su cui impietosirsi, ma di rispettarli e riconoscerli agendo in modo che una tale tragedia non possa succedere mai più in nessun luogo.

Ora, proprio quando a Fukushima si ripete uno scenario analogo e ancora lontano, purtroppo, dall’essere definitivo, mentre si avanzano già le macabre cifre ipotetiche di 400.000 tumori supplementari a causa della crisi nucleare giapponese in corso, i mistici disturbati a servizio della lobby nucleare osano dire di nuovo che non è successo niente e che il business può continuare.
Non voglio aggiungere pietre per una lapidazione che parteciperebbe alla psicosi mistica che intendo denunciare.
Prendiamo atto della follia degli uomini e opponiamole una volontà di vivere pronta a tutto in nome dell’umano; sosteniamo ogni forma di resistenza che si impegni radicalmente a non lasciar passare la mistica nichilista del produttivismo.
Irradiati di tutti i paesi unitevi!
Sergio Ghirardi