Casaleggio, gli influencer e il nuovo potere
Come prendiamo le nostre decisioni? Davvero sono potenti
gli influencer di cui tanto parla Casaleggio?
Herbert Alexander Simon è stato un illustre economista,
psicologo e informatico che ha contraddetto la visione della razionalità di
tipo neoclassico, che nel momento decisionale considera soltanto i vincoli
esterni all’azione umana cioè quei vincoli di risorse e d’informazione
disponibili per il soggetto.
Simon nella sua teoria decisionale comprende anche gli
aspetti psicologici del processo decisionale. La sua teoria della razionalità
considera anche i vincoli interni all’individuo:
Gli esseri umani possiedono una razionalità limitata a
causa della loro
- stupidity (limitate capacità di calcolo)
- ignorance (impossibilità di conoscere tutte le alternative
possibili)
- passion (emozioni).
Teniamo bene a mente questi limiti quando qualcuno
afferma di non essere influenzabile: ognuno di noi è condizionato dai propri
limiti cognitivi ed emotivi quanto dalla complessità dell’ambiente in cui si
trova a operare.
Come agisce un leader influencer con un grosso potere
comunicativo? Ovviamente gioca su questi handicap cognitivi
propri di ognuno :
1) limiti attenzionali e di memoria : non riusciamo a
seguire nel contempo più eventi e non possiamo riflettere consapevolmente che
su un numero limitato di informazioni. Il leader lo sa e manipola le
informazioni per renderle ridondanti.
2) limiti nella coerenza delle conoscenze: è impossibile
confrontare tutte le nostre credenze in modo da poterle rendere coerenti. Il
leader ripete all’infinito gli stessi concetti rendendoli coerenti al posto
nostro.
Se la mente umana difficilmente riesce a considerare più
di 6 o 7 variabili alla volta è evidente che non siamo esseri completamente
razionali e che sia comodo per la nostra psiche che qualcuno scelga per noi,
anche se non ce ne rendiamo conto. Grazie alle neuroscienze sappiamo che per il
nostro cervello:
1) le decisioni diventano problematiche se si hanno troppe
informazioni (Per questo un esperto di comunicazione politica ripete sempre lo
stesso concetto di base declinandolo in forme diverse)
2) se le informazioni sono troppe prendiamo decisioni
peggiori e comunque insoddisfacenti (Per questo spesso la migliore strategia è
semplificare, dare soluzioni semplici a problemi complessi con naturalezza, che
poi siano soluzioni infattibili gli elettori lo scopriranno troppo tardi)
3) la vigilanza e l’attenzione calano con il numero di
elementi da considerare (Più che dare informazioni e scendere nella complessità,
meglio che il leader parli in modo semplicistico, infarcendo il tutto di
battute o invettive)
4) le prestazioni peggiorano se le informazioni ci arrivano
ravvicinate nel tempo, pesano maggiormente le ultime informazioni arrivate (Per
questo è strategico dosare le interviste e le apparizioni in pubblico e i
confronti diretti)
5) alcune delle decisioni migliori sono emotive o inconsce (per
questo il leader deve incarnare l’uomo comune e la sua immagine deve permettere
all’elettore un’identificazione)
Cosa succede se applichiamo tutto questo al web e alla
propaganda politica? Siamo convinti che avere questo potere nel web sia poi così
diverso da chi ne ha possedendo delle televisioni?
Commento di Sergio Ghirardi, mai inviato al
Fatto perché infestato da moderatori e faux
culs:
In tempi prespettacolari e non ancora modernamente
capitalistici, quel fine pensatore che fu Giordano Bruno scrisse sulla
comunicazione tra gli esseri umani un opuscoletto in latino assai poco noto,
intitolato: “De vinculis in genere”.
Oltre che alla comunità virtuale di barravento, ne
proporrei volentieri le conclusioni e gli spunti anche alla simpatica Collevecchio,
se l’ostracismo ormai reciproco tra me e i blog del FQ non rendesse la cosa impraticabile.
Bruno prendeva nota del fatto che ogni comunicazione è, inevitabilmente,
a un qualche grado, manipolazione e che la capacità di manipolare l’altro è
intrinsecamente connessa con la comunicazione. Il filosofo nolano che
l’inquisizione avrebbe di lì a poco bruciato sul rogo dopo avergli anche
strappato la lingua (metodo radicale ma leggermente autoritario per esorcizzare
ogni timore di diabolica influenza), diceva, tra l’altro che solo
l’autocoscienza del manipolatore giunto a un altissimo livello della sua
capacità manipolatoria poteva intervenire per interrompere dall’interno del
processo la manipolazione stessa, con un atto volontario legato al rifiuto spontaneo
e gaudente della noia umiliante insita in una comunicazione tra soggetti
manipolati.
Tali ipotetici soggetti volontari dell’auto abolizione
sarebbero i soli veri inflencer di mio gusto.
Attendendo con impazienza e curiosità di registrarne
l’esistenza, ne estrapolo che il formarsi di un’affettività nuova nell’ambito
dell’intelligenza sensibile di ognuno è la vera risposta al problema delle
influenze subite. La potenza
dell’amore racchiude nel suo cuore orgastico l’alternativa godibile al potere che l’odio nutre e l’impotenza secerne.
Una tale coscienza pratica ha, però, tutte le difficoltà
del mondo a emergere in un contesto di competitività esacerbata, di vincitori e
vinti educati fin da piccoli al mors tua
vita mea della società produttivistica.
In una società in cui non si produce per godere ma si
viene programmati per godere di produrre valore economico, la manipolazione è
un elemento insostituibile dello sfruttamento dell’essere umano da parte dei generi/caste/classi
dominanti che si arricchiscono di privilegi sempre più noiosi e invivibili. Se poi
si aggiunge a questo meccanismo collettivo perverso e diffuso il narcisismo che
spinge ogni individuo a un qualche grado di auto valorizzazione, scandalizzarsi
del fatto che chi ci parla, ci scrive o ci chatta ci manipoli, diventa
semplicemente ridicolo.
Mi pare ci sia, però, un’altra ragione e un’altra
possibilità per sottrarsi alla manipolazione.
La volontà di vivere liberi da parte di soggetti giunti
alla coscienza di una possibile società di autogestione generalizzata della
vita quotidiana al fine di un godimento pieno del piacere di vivere, tende,
infatti, a rendere inaccettabile il progetto monomaniaco della società
dominante : perdere la propria vita a guadagnarsi una sopravvivenza che non è
neppure più garantita.
Da quasi mezzo secolo, una nuova coscienza è emersa a
impedirci di accettare una società che dopo aver eliminato il rischio di morire
di fame al prezzo della certezza di morire di noia, è tornata a riproporre svergognatamente
la morte per fame senza eliminare affatto la noia rimasta a garantire la sua
morbosa compagnia.
Nessuna società prima di questa aveva mai educato a una
tale intima, umiliante sottomissione senza fine, nessuna, dunque, aveva mai
fatto emergere tanto prepotentemente il bisogno di liberarsene.
Non c’è nessuna garanzia di riuscirci, ma c’è una voglia
sempre più diffusa di provarci. Essa riguarda una minoranza, certo, e forse addirittura
un’infima minoranza di fronte all’armada di tragici idioti educati da secoli a
soffrire e a chiamare riuscita la loro disgrazia.
Eppure, qualche novità interessante emerge oltre le
nebbie dello spettacolo : degli individui insorgono nella vita quotidiana, spingono
la politica a ribellarsi alla teologia economicista e rioccupano il territorio
della vita preannunciando pacificamente un terremoto possibile. Mai il potere
si era mostrato tanto miserabile, vigliacco, falso, cinico e inconcludente.
Quando si vede in che cosa consiste oggi la riuscita degli uomini di potere,
viene davvero voglia di fallire. Fallire per godersi il calore umano della
fratellanza. Fallire per condividere la solidarietà tra eguali. Fallire per
fare un elogio pratico delle differenze la cui pratica è condivisione di
libertà.
Ecco, gli influencer non possono che esistere e
prosperare in un mondo finito che sogna di crescere all’infinito. Non possono
che accompagnare con la loro follia lucida, la follia confusa delle masse di
schiavi che, credendosi liberi quanto i loro influencer di predilezione, aggravano
i sintomi della malattia planetaria con il rischio di renderla incurabile.
Questa malattia moderna ha un nome antico: alienazione. Sono
però proprio questi schiavi moderni, manipolati e oppressi, che possono guarire
l’umanità dalla pandemia d’influenza porcina che impazza e il cui sintomo
inequivocabile è che ci sono pochi maiali molto più uguali degli altri.
Il giorno in cui i dannati della terra si ricorderanno di
essere umani, non ci sarà più influenza o potere, né nuovo né vecchio, che
tenga.