domenica 25 agosto 2013

Ecco, appunto: le armi




“ma sé mati a sbarar col canon, non vedé che xe gente?”
(sentita sul fronte austro-russo nella prima guerra mondiale)

“ una volta, tanto tempo fa, abbiamo provato anche noi a fare una guerra ma poi c’è scappato il morto e abbiamo lasciato perdere”
( un componente del popolo Nuer – Sudan nel racconto di Edward Evans Pritchard)

Le grandi guerre mondiali, che erano state spacciate ai fanti nelle trincee e alle popolazioni sotto i bombardamenti, come “le guerre che avrebbero posto fine alla guerra”, oggi, trascorsi un numero sufficiente di anni per trarre dei rendiconti, ci rivelano, in sostanza, di avere posto fine alla pace.
Ogni anno nascono nuovi conflitti nei cinque continenti; questa, se vogliamo, non sarebbe propriamente una novità.
La novità consiste nel fatto che nessuno di questi conflitti termina più per sfociare in un nuovo pacifico equilibrio: a questo ci hanno condotto la vittoria delle Nazioni Unite nella Seconda guerra mondiale con il suo corollario, la nascita dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, stabilita con esplicite intenzioni simboliche nel centro del commercio mondiale (il World Trade Center) a New York.
Le guerre, da malattia acuta di un sistema, si sono convertite nella sua malattia cronica, nella sua epidemia. Ma anche nella fonte ultima della sua sopravvivenza. Nessuno vince definitivamente, nessuno definitivamente è sconfitto. Tutto senza posa si ricrea mentre tutti si uccidono senza posa, con tutte le armi che riescono a produrre, a comprare, a raccogliere.
Ecco, appunto: le armi.
Che i mercanti d’armi fomentino i conflitti è cosa nota, e che, in certo qual modo, esiste da sempre: si chiama “creazione del bisogno”, un’attività cui ogni imprenditore si dedica, se tiene al successo dei propri commerci.
Il punto è che la crescita verticale della produzione industriale viene a scontrarsi in questi ultimi decenni con la limitata capacità di assorbimento delle merci da parte dei mercati.
Il commercio più redditizio, l’unico commercio al riparo dalle crisi, diviene dunque, quello in cui l’acquisto non è demandato al singolo consumatore finale, ogni giorno più difficile da sedurre, ma è competenza riservata a pochi soggetti, posti al vertice di governi. Costoro sono meravigliosamente sensibili agli argomenti dei piazzisti della guerra per diverse, ben comprensibili ragioni: perché sono pochi e corromperli anche con somme ingenti, costa pur tuttavia poco; perché sempre più spesso si sono arrampicati fino a quelle responsabilità precisamente con il fine di arricchire, sia personalmente sia come esponenti di cordate politico-mafiose e militari di cui sono gli emissari; perché è insita nel loro ruolo politico la necessità di “agire” militarmente  o perlomeno di organizzare la prevenzione contro questo o quel pericolo.
Infatti, la giustificazione prima dell’ingiustificabile, l’esistenza cioè di stati nazionali armati gli uni contro gli altri, viene argomentata da sempre con l’esistenza minacciosa di nemici potenti ed aggressivi, le nazioni vicine un tempo, il misterioso ed indefinibile “terrorismo internazionale” oggi.
Spesso si parla di missioni umanitarie, ricercando alleati fra i rappresentanti politici che si oppongono ai governi in carica (magari condotti e mantenuti al potere dalle stesse industrie che forniscono i ribelli) fomentando anch’essi scontri armati tra fazioni rivali, modellate sotto il travestimento rivoluzionario come vere e proprie organizzazioni mafiose.
Ma anche a livello dei traffici illegali le armi hanno un canale privilegiato e i traffici scorrono indisturbati accanto alla morte per fame e per sete dei rifugiati, di coloro che con la guerra perdono uno spazio da coltivare e da abitare, dove far crescere i propri bambini cercando di sottrarli al destino che li vuole soldati e assassini già in tenera età.
Un intero continente come l’Africa sta pagando da secoli l’ingordigia dei mercanti di morte.
I campi profughi sono sempre più numerosi e sempre meno visibili, da lì non si sfugge se non per finire magari dopo percorsi letali nel deserto e sulle carrette del mare in qualche altro “centro di accoglienza” che meglio sarebbe definire campo di concentramento.
Le guerre quindi svolgono una duplice funzione di sostegno dei mercati (non solo quello delle armi): da un lato mostrano la consistenza delle minacce con cui si giustificano gli sprechi deliranti legati all’apparato bellico; dall’altro consumano armi vecchie ed ammortizzate, creando spazio per armi nuove da acquistare e testare sui civili inermi, alla faccia delle convenzioni internazionali che nessuno stato ha interesse a far rispettare. E tutti gli organismi internazionali sono organizzazioni di stati, nelle quali gli esseri umani concreti non hanno per definizione alcuna voce in capitolo.
Armi da cui tutti hanno da guadagnare: i produttori che le producono, i politici che le acquistano, gli operai che le fabbricano, i sindacalisti che li difendono, i mercenari specialisti che le utilizzano, i giornalisti che le descrivono, i preti, gli imam, i rabbini che le benedicono. Sovente perfino i pacifisti e i volontari che le contrastano.
Nella recentissima crisi finanziaria in Grecia mentre si chiedeva il massimo sacrificio alla popolazione tutta, si manteneva l’impegno degli acquisti di armi dalla Germania per cifre che potrebbero sfamare molte persone per anni. Né si può escludere che questa fosse precisamente una delle condizioni perché il prestito tedesco fosse erogato: che le commesse all’industria germanica, cioè, fossero onorate.
Talmente immenso è l’indotto del commercio delle armi, che si può per certi aspetti guardare l’intera produzione mondiale, e l’intera politica mondiale, come un unico sistema di supporto all’industria della guerra.
Una parola vale la pena di spendere per mostrare come anche la corsa al nucleare per la produzione di energia sia sovvenzionata e possa esistere solo grazie agli investimenti militari dei paesi che la producono. Il cosiddetto “nucleare di pace” è sempre stato e sempre sarà un settore in perdita, integralmente antieconomico: il suo UNICO fine è sempre stato quello di ammortizzare parte degli sprechi miliardari del “nucleare di guerra”, di assorbirne le scorie, di giustificarne gli investimenti.
Tutto il sistema che ruota intorno alle spese militari è opaco, protetto da segreto di stato e impossibile da verificare per i cittadini, che non conoscono più nemmeno quali formazioni private agiscano a fini di guerra e in “loro nome” nelle varie disgraziate guerre del mondo. E questa opacità è il migliore rifugio per i malfattori installati in tutte le cancellerie del pianeta, intenti a combattersi gli uni contro gli altri, per meglio e più capillarmente spolpare il mondo intero, l’intera umanità.
Porre la questione delle armi e del loro commercio perciò significa già ripensare l’intero sistema politico ed economico nel quale siamo imprigionati







filmato della serata incontro con Carlo Tombola membro di  TransArmsEurope e di Opal


martedì 15 giugno 2010  promosso dal MeetUp dei Grilli milanesi:

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