L’origine del mondo - è di
Gustave Courbet, come la citazione che segue:
« No,
non saprei distinguermi da nessuno dei miei concittadini se non per il mio
talento e non potrei mai frequentarli portando un segno distintivo sulla mia
persona. Desidero anche concludere la mia esistenza appartenendo del tutto a me
stesso, senza appartenere a nessuna chiesa, a nessuna istituzione, a nessuna
accademia e soprattutto a nessun regime, eccettuato quello della libertà. »
Lettera
in tre tempi (passato, presente, futuro) alla mia amica del cuore numero 1, ma
anche a tutte quelle e quelli che hanno riempito, riempiono e riempiranno,
prima che io tolga il disturbo, la spirale gioiosa della mia poesia sensuale
attraverso le armonie poligame necessarie alla felicità di una vera vita
soggettiva.
1
Sono
sempre stato fedele ai miei amori come una trottola al movimento che la tiene
in piedi.
Per
restare fedeli e liberi nello stesso tempo non bisogna affondare nell’amore (to fall
in love, tomber amoureux). Innamorarsi per amare con passione, senza limiti
né pudore. Si potrebbe aggiungere, maliziosamente, amare in qualunque posizione
ma sempre in piedi, nel rispetto di se e dell’altro; sapendo che non esiste
rispetto possibile senza una vera libertà reciproca.
Nessuno
può credersi al riparo dalla debolezza e dal compromesso emozionale.
Tutto
quel che io dico in proposito può già e potrà un giorno essere utilizzato contro
di me come la prova della mia incoerenza se, incapace di trasformare un amore
moribondo in amicizia complice, io cercassi di placare il dolore di un addio
minaccioso, installandomi in una storia come un parassita incapace di
inventarne il superamento.
Ci
sono due tipi di fedeltà, io credo, ed entrambi si richiamano all’amore ma in
maniera assolutamente diversa, si potrebbe dire opposta.
Il
primo è fondato sulla paura dell’abbandono, sulla difesa dell’acquisito, sulla
gelosia e sulla volontà di potenza.
Il
secondo si nutre della passione amorosa spontanea che si rinnova nella libertà
perché solo una libertà totale di amare preserva dalle miserie antierotiche
della rinuncia, dell’amore platonico, del rituale prigioniero del calcolo e
dello scambio di equivalenze emozionali.
L’uno
s’impone come dovere e s’instaura sempre, in qualche modo, come un matrimonio,
questa festa macabra della rinuncia all’esuberanza anarchica della passione in
nome della sovranità dell’amore. Vestito della nobiltà di un dono generoso, il
matrimonio istituzionale non è nient’altro che un potlatch liberale dai toni
romantici che richiede rinunce sempre più grandi a quelli che gli si
sommettono. Garantisce la continuità al prezzo di una progressiva
desertificazione dei sentimenti. Si presenta come un elogio della monogamia
partecipando al più ampio spettro dell’alienazione sociale che spinge
all’adulterio come unica evasione possibile dalla prigione familiare dove gli
antichi amanti sono rinchiusi in un’appropriazione privativa reciproca.
Dal
monoteismo in religione (si noterà, di sfuggita, che alcune sue forme
propugnano l’orribile liturgia di una poligamia patriarcale dispotica, svuotata
di ogni sostanza libertaria) al totalitarismo in politica (che rovescia
l’abbondante totalità del vivente nell’unicità fobica di doveri molteplici con
scopi disumani ed essenzialmente economici), l’intimità e la socialità
dell’essere umano sono sempre inquinate dal culto della carogna di un amore
tanto più sacralizzato quanto progressivamente disincarnato, dal momento che
porta con sé una crescente paura della carne e della sua poesia sensuale.
Questo
tipo di fedeltà sta al cuore del processo d’arruolamento emozionale che porta
allo sfruttamento della donna e dell’uomo incompiuti da parte di un primate economizzato
che, nella società patriarcale, lavora per far subire all’umano, e al genere
femminile in particolare, le peggiori nocività.
L’altro tipo di
fedeltà, molto più raro perché proibito, spesso irriconoscibile sotto il peso
del senso di colpa dal quale è stremato, è per natura egualitario e si
manifesta attraverso la magia naturale di una reciprocità spesso puntuale
all’appuntamento delle derive che costituiscono la vita vera. Una tale fedeltà
libertina condivide nell’amicizia sensuale l’effimera e costantemente
rinascente eternità degli incontri e dell’avventura. Quella in cui si condivide
il desiderio senza fine di non smettere mai di amare, se stessi e gli altri,
indissolubilmente. Smettere di amare, se si è amato veramente, è un omicidio
inutile e per di più suicida.
2
Tutto
dell’umano si misura con il tempo. Ecco una buona ragione per smettere di
contabilizzarlo. Il tempo dell’istante di un orgasmo, il tempo eterno di un
brivido ogni volta unico, ogni volta più sconvolgente dei precedenti.
Il
tempo ci spia, a cominciare dal periodo di gestazione nel riparo del ventre
materno, prima che la farfalla che siamo si alzi in volo, volubile, per un
breve giorno e una notte insonne, prima di deporre infine i suoi resti immobili
in un eterno riposo.
Il
tempo reale dell’individuo scorre dalla nascita alla morte. Ecco la misura
dell’uomo immerso nei milioni, miliardi di anni della vita del vivente di cui
siamo un fiore dell’amore e del caso; fiore rapidamente appassito nell’effimero
giardino dell’Eden di cui gioisce il nostro corpo mortale.
Senza
di noi, senza la nostra coscienza, il tempo non esiste. Sarebbe un divenire
immobile nell’eternità dell’essere dove la funzione dell’orgasmo ci collega con
felicità alla nostra propria realizzazione e superamento.
Il movimento della
vita è un movimento verso gli altri, nell’altro e nel tutto, al quale ci si
unisce per il tempo di istanti “magici” durante i quali ci si tiene per la mano
con l’altro, il tempo effimero di una passeggiata incerta e meravigliosa con i
piedi posati su una pietra più o meno rotonda che gira nell’universo attorno a
un sole incandescente.
Fedeli a chi, a che
cosa? Ma alla tenerezza, perbacco, che ci fa accarezzare la pelle dell’altro
come un prolungamento rassicurante e gioioso della nostra. Essa ci tuffa nella
pigrizia attiva che rilassa la corazza tesa dei nostri muscoli, troppo spesso
in allerta eccessiva, senza una vera ragione. Talvolta, finalmente, ci si
riposa davvero, strappando la maschera ridicola del guerriero e dell’amazzone
per mostrare il sorriso del bambino che da triste e impaurito, si fa gaio per
il suo sapere e coraggioso per aver scoperto l’amore.
3
Priapo è il padre
spirituale di Sade. Dioniso è il suo dio e in quanto tale è più crudele che
gaudente. Il fallicismo rende totemico il desiderio e le sue soddisfazioni
genitali. Sarebbe d’uopo che il maschio imparasse un dolce abbandono genitale
al di là dell’erezione e dell’eiaculazione (al di là, non al di qua) per
diventare totalmente umano e sfiorare gioiosamente la felicità di amare!
La
genitalità non ha sesso o, per meglio evitare ogni odioso amalgama con gli
angeli, li ha tutti a sua disposizione. Dopotutto sono solo due, al massimo.
Sovente,
purtroppo, anche la donna, da affettuosa guardiana naturale del tempio profano
dell’amore libero, si trasforma in sacerdotessa o in credente, forse per paura,
forse per vendetta di avere troppo subìto, chissà. Allora si traveste da
maschio più o meno dominante e si accontenta di condividerne il potere o di
rubargli il ruolo da protagonista nello spettacolo dell’amore sottomesso alla
servitù volontaria e alla volontà di potenza.
Superare
il patriarcato nell’uomo e nella donna, ritrovare la dualità sessuale naturale
che nutre l’amore facendo funzionare la dialettica degli amanti, fondendo
insieme tutti i generi e tutte le fantasie affettive: etero, omosex, bisex e ancor più se affinità, ma oltre i ridicoli
distinguo ideologici che fanno della libertà di amare senza limiti né ipocrite
fobie, una povera libertà spettacolare ridotta al matrimonio per tutti.
Come
non ipotizzare piuttosto, nel rovesciamento di prospettiva auspicato, l’amore
per tutti e il matrimonio per nessuno?
Ritrovare
le nostre radici gilaniche*. Ecco in una sintesi che
necessita
un ampio sviluppo, il compito urgente di un’epoca che invecchia tristemente
perché ha conosciuto assai poco e molto male la libertà, conoscendola per di
più, troppo spesso, come il male.
Sergio
Ghirardi, 1 gennaio 2014
*
A proposito delle culture gilaniche
consultare l’opera di R. Eisler, M. Gimbutas e J. DeMeo.