giovedì 2 gennaio 2014

Lettera in tre tempi alla mia amica del cuore n.1







L’origine del mondo - è di Gustave Courbet, come la citazione che segue:
« No, non saprei distinguermi da nessuno dei miei concittadini se non per il mio talento e non potrei mai frequentarli portando un segno distintivo sulla mia persona. Desidero anche concludere la mia esistenza appartenendo del tutto a me stesso, senza appartenere a nessuna chiesa, a nessuna istituzione, a nessuna accademia e soprattutto a nessun regime, eccettuato quello della libertà. »





Lettera in tre tempi (passato, presente, futuro) alla mia amica del cuore numero 1, ma anche a tutte quelle e quelli che hanno riempito, riempiono e riempiranno, prima che io tolga il disturbo, la spirale gioiosa della mia poesia sensuale attraverso le armonie poligame necessarie alla felicità di una vera vita soggettiva.
1
Sono sempre stato fedele ai miei amori come una trottola al movimento che la tiene in piedi.
Per restare fedeli e liberi nello stesso tempo non bisogna affondare nell’amore (to fall in love, tomber amoureux). Innamorarsi per amare con passione, senza limiti né pudore. Si potrebbe aggiungere, maliziosamente, amare in qualunque posizione ma sempre in piedi, nel rispetto di se e dell’altro; sapendo che non esiste rispetto possibile senza una vera libertà reciproca.
Nessuno può credersi al riparo dalla debolezza e dal compromesso emozionale.
Tutto quel che io dico in proposito può già e potrà un giorno essere utilizzato contro di me come la prova della mia incoerenza se, incapace di trasformare un amore moribondo in amicizia complice, io cercassi di placare il dolore di un addio minaccioso, installandomi in una storia come un parassita incapace di inventarne il superamento.

Ci sono due tipi di fedeltà, io credo, ed entrambi si richiamano all’amore ma in maniera assolutamente diversa, si potrebbe dire opposta.
Il primo è fondato sulla paura dell’abbandono, sulla difesa dell’acquisito, sulla gelosia e sulla volontà di potenza.
Il secondo si nutre della passione amorosa spontanea che si rinnova nella libertà perché solo una libertà totale di amare preserva dalle miserie antierotiche della rinuncia, dell’amore platonico, del rituale prigioniero del calcolo e dello scambio di equivalenze emozionali.
L’uno s’impone come dovere e s’instaura sempre, in qualche modo, come un matrimonio, questa festa macabra della rinuncia all’esuberanza anarchica della passione in nome della sovranità dell’amore. Vestito della nobiltà di un dono generoso, il matrimonio istituzionale non è nient’altro che un potlatch liberale dai toni romantici che richiede rinunce sempre più grandi a quelli che gli si sommettono. Garantisce la continuità al prezzo di una progressiva desertificazione dei sentimenti. Si presenta come un elogio della monogamia partecipando al più ampio spettro dell’alienazione sociale che spinge all’adulterio come unica evasione possibile dalla prigione familiare dove gli antichi amanti sono rinchiusi in un’appropriazione privativa reciproca.
Dal monoteismo in religione (si noterà, di sfuggita, che alcune sue forme propugnano l’orribile liturgia di una poligamia patriarcale dispotica, svuotata di ogni sostanza libertaria) al totalitarismo in politica (che rovescia l’abbondante totalità del vivente nell’unicità fobica di doveri molteplici con scopi disumani ed essenzialmente economici), l’intimità e la socialità dell’essere umano sono sempre inquinate dal culto della carogna di un amore tanto più sacralizzato quanto progressivamente disincarnato, dal momento che porta con sé una crescente paura della carne e della sua poesia sensuale.
Questo tipo di fedeltà sta al cuore del processo d’arruolamento emozionale che porta allo sfruttamento della donna e dell’uomo incompiuti da parte di un primate economizzato che, nella società patriarcale, lavora per far subire all’umano, e al genere femminile in particolare, le peggiori nocività.
L’altro tipo di fedeltà, molto più raro perché proibito, spesso irriconoscibile sotto il peso del senso di colpa dal quale è stremato, è per natura egualitario e si manifesta attraverso la magia naturale di una reciprocità spesso puntuale all’appuntamento delle derive che costituiscono la vita vera. Una tale fedeltà libertina condivide nell’amicizia sensuale l’effimera e costantemente rinascente eternità degli incontri e dell’avventura. Quella in cui si condivide il desiderio senza fine di non smettere mai di amare, se stessi e gli altri, indissolubilmente. Smettere di amare, se si è amato veramente, è un omicidio inutile e per di più suicida.
2
Tutto dell’umano si misura con il tempo. Ecco una buona ragione per smettere di contabilizzarlo. Il tempo dell’istante di un orgasmo, il tempo eterno di un brivido ogni volta unico, ogni volta più sconvolgente dei precedenti.
Il tempo ci spia, a cominciare dal periodo di gestazione nel riparo del ventre materno, prima che la farfalla che siamo si alzi in volo, volubile, per un breve giorno e una notte insonne, prima di deporre infine i suoi resti immobili in un eterno riposo.
Il tempo reale dell’individuo scorre dalla nascita alla morte. Ecco la misura dell’uomo immerso nei milioni, miliardi di anni della vita del vivente di cui siamo un fiore dell’amore e del caso; fiore rapidamente appassito nell’effimero giardino dell’Eden di cui gioisce il nostro corpo mortale.
Senza di noi, senza la nostra coscienza, il tempo non esiste. Sarebbe un divenire immobile nell’eternità dell’essere dove la funzione dell’orgasmo ci collega con felicità alla nostra propria realizzazione e superamento.
Il movimento della vita è un movimento verso gli altri, nell’altro e nel tutto, al quale ci si unisce per il tempo di istanti “magici” durante i quali ci si tiene per la mano con l’altro, il tempo effimero di una passeggiata incerta e meravigliosa con i piedi posati su una pietra più o meno rotonda che gira nell’universo attorno a un sole incandescente.
Fedeli a chi, a che cosa? Ma alla tenerezza, perbacco, che ci fa accarezzare la pelle dell’altro come un prolungamento rassicurante e gioioso della nostra. Essa ci tuffa nella pigrizia attiva che rilassa la corazza tesa dei nostri muscoli, troppo spesso in allerta eccessiva, senza una vera ragione. Talvolta, finalmente, ci si riposa davvero, strappando la maschera ridicola del guerriero e dell’amazzone per mostrare il sorriso del bambino che da triste e impaurito, si fa gaio per il suo sapere e coraggioso per aver scoperto l’amore.
3
Priapo è il padre spirituale di Sade. Dioniso è il suo dio e in quanto tale è più crudele che gaudente. Il fallicismo rende totemico il desiderio e le sue soddisfazioni genitali. Sarebbe d’uopo che il maschio imparasse un dolce abbandono genitale al di là dell’erezione e dell’eiaculazione (al di là, non al di qua) per diventare totalmente umano e sfiorare gioiosamente la felicità di amare!
La genitalità non ha sesso o, per meglio evitare ogni odioso amalgama con gli angeli, li ha tutti a sua disposizione. Dopotutto sono solo due, al massimo.
Sovente, purtroppo, anche la donna, da affettuosa guardiana naturale del tempio profano dell’amore libero, si trasforma in sacerdotessa o in credente, forse per paura, forse per vendetta di avere troppo subìto, chissà. Allora si traveste da maschio più o meno dominante e si accontenta di condividerne il potere o di rubargli il ruolo da protagonista nello spettacolo dell’amore sottomesso alla servitù volontaria e alla volontà di potenza.
Superare il patriarcato nell’uomo e nella donna, ritrovare la dualità sessuale naturale che nutre l’amore facendo funzionare la dialettica degli amanti, fondendo insieme tutti i generi e tutte le fantasie affettive: etero, omosex, bisex  e ancor più se affinità, ma oltre i ridicoli distinguo ideologici che fanno della libertà di amare senza limiti né ipocrite fobie, una povera libertà spettacolare ridotta al matrimonio per tutti.
Come non ipotizzare piuttosto, nel rovesciamento di prospettiva auspicato, l’amore per tutti e il matrimonio per nessuno?
Ritrovare le nostre radici gilaniche*. Ecco in una sintesi che
necessita un ampio sviluppo, il compito urgente di un’epoca che invecchia tristemente perché ha conosciuto assai poco e molto male la libertà, conoscendola per di più, troppo spesso, come il male.


Sergio Ghirardi, 1 gennaio 2014


* A proposito delle culture gilaniche consultare l’opera di R. Eisler, M. Gimbutas e J. DeMeo.