sabato 25 ottobre 2014

Occupy palco? non ne vale la pena - On the road again





Per quanto riguarda la "strategia politica" del M5S credo proprio di aver sopravvalutato Grillo e Casaleggio, indotta in errore da molte valide citazioni e interviste a persone centrali per le teorie del movimento globale... Attribuivo loro delle capacità da "piloti invisibili" credendo che volessero utilizzare lo strumento elettorale come nel judo, per mettere in discussione tutto il sistema, e infatti ho sentito molte parole giuste come "non vogliamo voti ma cittadini attivi", ciascuno leader di se stesso, e anche che la questione non era governare piuttosto "discutere insieme finché si trova una soluzione condivisa"... Ma poi ha vinto la piazza, hanno vinto i tanto odiati (?) media e le percentuali del 25%, e si sono arresi a quella lumpen-piccola-borghesia incazzata che desidera da sempre un leader perché non è interessata minimamente alla politica come azione ma solo come "utenza bisognosa e passiva". Non per caso i più amareggiati sono proprio gli attivisti, quelli ora messi in disparte dopo che hanno reso possibile il miracolo che lo Staff ha poi realizzato tramite lo spettacolo mediatico. Per me, dire che il M5S è l'unica possibilità di liberazione è un'affermazione falsa e pericolosa, perché non fa vedere che in realtà il movimento potrebbe esserci, fuori dai palazzi, con la forza rivoluzionaria degli inizi, se si decidesse a ritrovare se stesso una volta che abbia digerito il boccone amaro della sconfitta... Speriamo che il coraggio di nuotare in mare aperto verso la meta sia con noi


ps: non vale la pena di occupare alcun palco, non ne vale la pena! On the road again

venerdì 24 ottobre 2014

ROGER RABBIT alla LIGURE - M5S: che fine ha fatto la democrazia diretta?




M5S: che fine ha fatto la democrazia diretta?

Dopo tre mesi di “fumate nere”, i partiti della maggioranza sembrano aver capito che, per l’elezione dei giudici della Consulta, il coinvolgimento del Movimento 5 Stelle appare indispensabile: «Dobbiamo guardare avanti. Ai grillini», ha dichiarato Renzi. Si propone lo “scambio di poltrone”: «Abbiamo un posto nel Csm che possiamo lasciare a loro, e loro saranno ovviamente liberi di scegliersi il candidato che preferiscono. Noi, per la Consulta, dobbiamo indicare due nomi di tecnici puri, nomi di alto profilo, se fossero due donne sarebbe ancora meglio».
E la proposta, ai “grillini”, non sembra dispiacere. Il nome per il Csm è quello di Alessio Zaccaria, mentre, per la Consulta, i parlamentari del M5S aspettano le proposte renziane, i «nomi validi», come chiede Toninelli. Una vittoria del MoVimento, dunque, che si è visto finalmente riconoscere come interlocutore politico fondamentale dal Governo? Forse. Ma a che prezzo?
I deputati grillini, oggi, plaudono alla fine della politica degli scambi, dopo la rinuncia al nome di Violante da parte del Pd: «Grazie al M5S, per la prima volta il metodo dello scambio di poltrone fallisce» (Toninelli); «Grazie a noi è finito il gioco delle poltrone per i partiti» (Cecconi). Ma che altro è l’accordo proposto da Renzi ai 5 Stelle se non un nuovo “voto di scambio”? Non si tratta proprio della vecchia logica delle poltrone contro la quale si è sempre schierato il M5S?
Ancora Cecconi, ha precisato: «da mesi chiediamo nomi di alto profilo, super partes, slegati dai giochi della politica, per ricoprire ruoli importanti al Csm e alla Consulta. E dopo venti fumate nere i partiti sono costretti ad abdicare al bene comune. A noi non importano i nomi e le poltrone, ma persone valide e indipendenti nelle istituzioni di garanzia». Davvero è sufficiente, per sottrarsi a questa logica, rispondere che il M5S voterà soltanto «nomi degni», personalità «indipendenti», «tecnici» slegati dalla politica?
Da una parte, questa posizione del M5S (che ricorda un po’ il vecchio, vecchissimo «mito» positivista di una presunta neutralità della tecnica) non tiene conto che, proprio negli ultimi mesi, il ruolo della Corte Costituzionale si è ormai definitivamente consolidato come quello di un super-legislatore – più che di giudice supremo di legittimità –, come dimostrano esemplarmente le vicende della legge elettorale e di quella sulla fecondazione assistita. La Consulta, oggi, fa direttamente le leggi.
Dall’altra, i deputati grillini sembrano ormai aver rinunciato a quell’idea di democrazia diretta che imponeva loro di essere semplici “portavoce” degli iscritti, di essere meri delegati – con vincolo di mandato – chiamati a portare le decisioni prese direttamente dai cittadini in Parlamento. Che fine hanno fatto le consultazioni e le votazioni on line? Anziché “attendere” da Renzi «due nomi», il M5S avrebbe dovuto – e dovrebbe – esprimere la propria rosa di candidati attraverso il voto dei suoi iscritti. Non è “la rete” che decide?
Si è detto che non ci sarebbe più tempo. Ma il tempo c’è stato: sono tre mesi che vanno avanti le “fumate nere”, e, sul blog di Grillo, nessuna consultazione è mai stata aperta.
L’11 giugno, i portavoce del M5S della Commissione Affari Costituzionali avevano pubblicato sul blog una dichiarazione congiunta in cui si dichiarava che «il MoVimento 5 Stelle vuole fare la sua parte nella selezione di queste due persone che andranno a ricoprire un ruolo così rilevante. Vogliamo evitare che i vecchi partiti facciano sotto banco i loro comodi spartendosi i posti in un gioco di reciproci favori», e si indicavano i candidati «selezionati» dal MoVimento: Antonio D’Andrea, Franco Modugno, Silvia Niccolai, Felice Besostri. Tre osservazioni:
1. il fatto che sin dall’11 giugno scorso il M5S dichiarava di aver selezionato i propri candidati dimostra che una consultazione on line si sarebbe potuta fare senza alcun problema di tempistica;
2. non è dato capire chi – e, soprattutto, con quale legittimazione – abbia selezionato i candidati allora indicati. Probabilmente, i deputati e senatori 5 Stelle: ma non erano, lo si ripete, semplici portavoce?
3. nessuno di questi nomi, oggi, sarà probabilmente e verosimilmente “speso” dai parlamentari grillini, i quali hanno deciso di attendere le proposte del governo ed i nomi di due “tecnici” (possibilmente donne). A dire il vero, nessuno di questi nomi è mai stato seriamente sostenuto dal MoVimento, il quale – fin dalle prime votazioni per l’elezione dei giudici della Consulta – ha disperso i propri voti tra i quattro candidati «per dimostrare che siamo in grado di far superare il quorum a un candidato condiviso col Pd, se buono» (cfr. Consulta e riforma elettorale: il M5S è in stato confusionale, in “Panorama”, 20 giugno 2014). Insomma: l’intenzione è sempre stata, fin dall’inizio, quella di aspettare un candidato del Pd.
A questo punto, ci chiediamo che fine abbia fatto il M5S, che fine abbia fatto quell’idea di democrazia diretta che aveva costituito il suo ideale, quel «sogno di una cosa» che sembrava finalmente si fosse incarnato nelle speranze, nelle lotte e nella partecipazione di milioni di italiani al MoVimento.

Commento di Sergio Ghirardi:

La componente radicale del M5S aspira alla democrazia diretta ma è stata ridotta dalla burocrazia movimentista a un parlamentarismo che, etico o corrotto, è il vero populismo capitalista per gestire gli schiavi salariati. Scegliete: democrazia fittizia o fascismo?
Gli eletti si sono narcisisticamente identificati al ruolo e Grillo, patriarca che legge e riflette ma pur sempre patriarca sanguigno, oscilla tra un libertarismo generico e pulsioni autoritarie imbarazzanti su vari temi. L'urgenza attira sempre tentazioni autoritarie pur se condite da una contraddittoria volontà libertaria. Ho spesso difeso l'autenticità dello spirito della democrazia diretta nel movimento e diffidato al contempo delle isterie autoritarie e dei narcisismi beceri di parecchi eletti (o no) dal popolo dalla scarsa armonia psicoaffettiva e politica.
La democrazia diretta è una rivoluzione culturale che nemmeno i 5S possono dare per scontata e le ultime peripezie immobiliste del movimento dicono che la personalità autoritaria s'accontenta della democrazia fittizia del parlamentarismo nell'illusione conservatrice -populista di destra e/o di sinistra- che "noi siamo onesti e questo è il cambiamento". Balle. Tutto il potere ai Consigli e superamento del totalitarismo parlamentare. Come fare?  (continua)

martedì 21 ottobre 2014

Perché il mondo ignora i Curdi rivoluzionari in Siria ? di David Graeber







Perché il mondo ignora i Curdi rivoluzionari in Siria ?
Articolo di David Graeber su The Guardian dell’8 ottobre 2014. Traduzione di Sergio Ghirardi, il 20 ottobre 2014.

In piena zona di guerra siriana un esperimento democratico sta per essere spazzato via dall’Isis. Che il mondo intero non ne sappia nulla è uno scandalo.
Nel 1937, mio padre fu volontario per combattere nelle Brigate Internazionali in difesa della Repubblica spagnola. Quello che si sarebbe concluso con un colpo di Stato fascista era stato temporaneamente bloccato da un sollevamento dei lavoratori, sostenuto da anarchici e socialisti. Ne seguì nella maggior parte della Spagna un’autentica rivoluzione sociale che ha portato intere città a essere gestite con metodi di democrazia diretta, le fabbriche sotto il controllo operaio e a un aumento radicale del potere delle donne.
I rivoluzionari spagnoli speravano di creare l’abbozzo di una società libera che tutto il mondo avrebbe potuto prendere a esempio. Invece, i poteri mondiali dichiararono una politica di “non intervento” e mantennero un rigoroso embargo nei confronti della repubblica, anche dopo che Hitler e Mussolini, finti sostenitori del “non intervento”, iniziarono a fare affluire truppe e armi per rinforzare la movenza fascista. Ne risultarono anni di guerra civile finiti con la liquidazione della rivoluzione e alcuni dei più sanguinosi massacri di un secolo sanguinario.
Non avrei mai pensato di vedere ripetersi, nel corso della mia vita, la stessa cosa. Ovviamente, nessun evento storico si ripete davvero due volte. Ci sono infinite differenze fra quello che accadde in Spagna nel 1936 e quello che sta accadendo oggi nel nord della Siria, nelle tre province a larga maggioranza curda del Rojava. Tuttavia, alcune somiglianze sono così lampanti e preoccupanti, che credo sia un dovere incombente per qualcuno cresciuto in una famiglia le cui idee politiche furono per molti aspetti definite dalla rivoluzione spagnola, dire:  non possiamo permettere che le cose finiscano ancora una volta nello stesso modo.
La regione autonoma del Rojava, così come esiste oggi, è uno dei rari punti luminosi – ma davvero molto luminosi – emergenti dalla tragedia della rivoluzione siriana. Dopo aver scacciato gli agenti del regime di Assad nel 2011, e nonostante l’ostilità di quasi tutti i suoi vicini, il Rojava non solo ha mantenuto la sua indipendenza, ma porta avanti un rilevante esperimento democratico. Sono state create assemblee popolari come organo decisionale supremo, Consigli attenti al rispetto dell’equilibrio etnico (in ogni municipalità, per esempio, le tre cariche più importanti devono essere ricoperte da un curdo, da un arabo e da un cristiano assiro o armeno, e almeno uno dei tre deve essere una donna), ci sono Consigli delle donne e dei giovani, e, con un nesso degno di nota alle Mujeres Libres (Donne Libere) della Spagna, una milizia di sole donne, la “YJA Star” (l’Unione delle donne libere, in cui star fa riferimento all’antica dea mesopotamica Ishtar), che ha condotto una larga parte delle operazioni militari contro le forze dello Stato Islamico.
Come può qualcosa di simile accadere e restare quasi totalmente ignorato dalla comunità internazionale e anche, in gran parte, dalla sinistra internazionale? Principalmente, sembrerebbe, perché il partito rivoluzionario del Rojava, il PYD, ha stretto alleanza con il Partito Curdo dei Lavoratori (PKK) di Turchia, un movimento guerrigliero marxista impegnato sin dagli anni settanta in una lunga guerra contro lo Stato turco. La Nato, gli Stati Uniti e l’Unione Europea lo classificano ufficialmente come “organizzazione terroristica”, mentre l’opinione di sinistra lo rigetta come stalinista.
Ma, in realtà, lo stesso PKK non assomiglia neppure lontanamente al vecchio partito leninista di una volta, organizzato verticalmente. La sua stessa evoluzione interna, e la conversione intellettuale del suo fondatore, Abdullah Ocalan, detenuto in un’isola-prigione turca dal 1999, lo hanno condotto a mutare radicalmente obiettivi e tattiche.
Il PKK ha dichiarato di non cercare nemmeno più di creare uno Stato curdo. Ispirato in parte dalla visione dell’ecologista sociale e anarchico Murray Bookchin,  ha invece adottato una visione di “municipalismo libertario”, invitando i curdi a formare delle libere comunità autogestite, basate sui principi della democrazia diretta, che si federerebbero oltre i confini nazionali – con la speranza che questi, col tempo, perdano sempre più significato. In questo modo, essi suggeriscono che la lotta dei curdi potrebbe diventare un modello per un movimento globale verso una vera democrazia, un’economia cooperativa e la graduale dissoluzione dello stato-nazione burocratico.
A partire dal 2005 il PKK, ispirato dalla strategia dei ribelli zapatisti in Chiapas, ha dichiarato un cessate il fuoco unilaterale nei confronti dello Stato turco e ha iniziato a concentrare i propri sforzi sullo sviluppo di strutture democratiche nei territori già sotto il suo controllo. Alcuni si sono chiesti quanto tutto ciò fosse veramente serio. Evidentemente, restano ancora degli elementi autoritari, ma quel che è successo in Rojava, dove la rivoluzione siriana ha dato ai radicali curdi l’opportunità di condurre tali esperimenti su un ampio territorio dai confini unitari, suggerisce che si tratta di tutt’altro che di un’iniziativa di facciata. Sono stati formati Consigli, assemblee e milizie popolari, le proprietà del regime sono state trasformate in cooperative dirette dai lavoratori – e il tutto nonostante i continui attacchi dalle forze di estrema destra dell’ISIS. Il risultato coincide perfettamente con ogni definizione di “rivoluzione sociale”. In Medio Oriente, almeno, tali sforzi sono stati notati: in particolare dopo che il PKK e le forze del Rojava sono intervenuti con successo per combattere nei territori dell’ISIS in Iraq, al fine di salvare migliaia di rifugiati Yezidi intrappolati sul Monte Sinjar in seguito all’abbandono del campo di battaglia da parte delle milizie locali peshmerga. Queste azioni sono state ampiamente celebrate nella regione, significativamente però, nessuna eco è risalita fino alla stampa europea o nord-americana.
Ora, l’ISIS è tornato, con abbondanza di carri armati americani e di artiglieria pesante sottratti alle forze irachene, per vendicarsi su molte di quelle stesse milizie rivoluzionarie a Kobané, dichiarando la loro intenzione di massacrare e ridurre in schiavitù – si, letteralmente ridurre in schiavitù – l’intera popolazione civile. Nel frattempo, l’armata turca staziona sui confini, impedendo che rinforzi e munizioni raggiungano i difensori mentre gli aeroplani americani rombano in cielo bombardando puntualmente, con simboliche punture di spillo, giusto per poter salvare le apparenze e non essere accusati di non avere fatto niente contro un gruppo che ha dichiarato guerra ai difensori di uno dei più grandi esperimenti democratici mondiali.
Se c’è un possibile parallelo odierno con i sedicenti devoti di Franco,  i Falangisti assassini, con chi farlo se non con l’ISIS? Se c’è un parallelo con le Mujeres Libres di Spagna, con chi farlo se non le coraggiose donne che difendono le barricate a Kobané ? Davvero il mondo – e stavolta, fatto più scandaloso di tutti, la sinistra internazionale    sta per rendersi complice lasciando che la storia si ripeta ?

lunedì 20 ottobre 2014

Servizietto Zero








 Ma è così strano indignarsi davanti allo scempio di una città e di una Regione malgovernate da decenni che quasi ogni anno contano i morti e all’ipocrisia dei responsabili che cementificano tutto e poi pontificano in tv col culetto al caldo nei loro salotti? Davvero parlare di queste porcate chiamandole col loro nome e chiedendone conto a chi le ha fatte è violazione del bon ton e rifiuto del contraddittorio? Davvero è bestemmiare gli angeli invitare uno spalatore diciassettenne a guardare il faccione sformato di chi l’ha costretto e sempre lo costringerà a spalare, e a pretenderne spiegazioni anziché farsene ipnotizzare? Non sarà che il problema è opposto a quello agitato dalle suorine delle buone maniere e della linesotis delle presunte regole, e cioè che nessuno ha mai detto in faccia a questi sepolcri imbiancati (di calce) quel che si meritavano, aiutandoli a rimpinzarsi di voti e di soldi a suon di grattacieli, palazzi-alveare, parcheggi, ipermercati, porti turistici, dando fra l’altro un sacco di lavoro ai giudici e ai secondini? Se i colpevoli sono tutti al potere, convertiti in tarda età al renzismo per rottamare non si sa chi, è anche perché troppa gente si lascia abbindolare dai diversivi retorici tipo “angeli del fango” che, intendiamoci, fanno benissimo e vanno ringraziati, purché però non si prestino a distrarre l’attenzione dai portatori del fango.
Quanto a me, attendo che qualcuno mi dica un solo fatto non vero tra quelli che ho ricordato giovedì. Ma temo che anche stavolta, come sempre dal Satyricon di Luttazzi nel 2001, la domanda resterà inevasa. Molto più facile dipingere i fatti come “insulti” e le critiche come “rissa”, anche se me ne sono andato proprio per evitare di trascendere davvero negl’insulti e nella rissa. Restare calmi e zitti in quella bolgia di bugie e ipocrisie è un’impresa che può riuscire ai figuranti da talk show, marionette senza sangue che s’incazzano e si placano a comando, poi vanno a farsi due spaghi insieme. Io, quando sento certe balle e vedo certe facce, mi indigno per davvero, specie se ci sono morti che chiedono giustizia. Chi insinua dissensi politici fra il conduttore renziano e il collaboratore grillino, risentimenti per l’ora tarda, nervosismi da share, gelosie da primedonne, mente per la gola. Qui la questione è un po’ più seria. Esiste ancora nel talk show uno spazio indipendente per il talk inteso come racconto di fatti veri al riparo dallo show, cioè del pollaio gabellato per “contraddittorio” e “ascolto” dove chi ha torto e mente passa dalla parte della ragione e della verità solo perché se ne sta comodo a cuccia, certo dell’impunità politica che gli consente di sgovernare da 30 anni, in una notte dove tutte le vacche sono nere? Prima di domandarsi se il collaboratore fa la pace col conduttore e torna a bordo, andrebbe sciolto un rebus: cosa rimane, del giornalismo come lo conosciamo tutti, nei talk show?
Resterebbe da parlare del solito Merlo che, in perfetta simbiosi col mèchato di Libero, mi accusa su Repubblica di essermi “illividito da maramaldo in cattiverie biografiche contro Burlando”, anzi “il povero Burlando”, dopo una vita di “tv dell’insulto” (ma quali? me ne dica uno) “senza contraddittorio, senza risposte né domande, chiuso e protetto nel recinto del monologo sprezzante”. Questo presunto giornalista di cui sfuggono le notizie e soprattutto i lettori (quando Repubblica testava con sondaggi le sue firme più lette, Merlo guadagnava sempre l’ultima posizione), questo finto frondeur che si crede Sciascia e Brancati solo perché è nato in Sicilia orientale e passa il tempo a intrecciare merletti barocchi senza mai prendere posizione, se non per bastonare chi si oppone al sistema, non ha mai visto una puntata di Annozero e Servizio Pubblico. Sennò saprebbe che in 8 anni ho risposto a migliaia di domande e affrontato centinaia di contraddittorii, senza che nessuno riuscisse a smentire una sola mia parola. Piuttosto, quando mai il Merlettaio s’è sottoposto al contraddittorio? Perché non chiede al direttore di Repubblica di affiancare ai suoi articoli una replica del primo che passa? Forse perché già conosce la replica: “Ma chi è questo Merlo?”.


Commento di Sergio Ghirardi:

Burlando non è la croce rossa ma un tank che spara cemento e intasca crediti politici e sussidiariamente economici. Travaglio è un riformista autentico che di fronte al belare suddito del sistema del presentatore burocrate, gauchista sdentato e servitore volontario della democrazia spettacolare, finisce per essere caricato di una radicalità che non credo affatto egli ami. Tempi cupi quando la sola risposta udibile di fronte al borbottio indecente del potere è quella dell'onestà intellettuale di qualche raro uomo coraggiosamente intelligente e moderato. Siamo al minimo storico di una società libera che libera lo è meno che mai, tra corruzione e cinismo becero del potere. Difendere oggi Travaglio è la conditio sine qua non per riaprire un giorno gli spazi della critica a una vera radicalità che - è bene sottolinearlo visto che circola costantemente la calunnia contraria che parla di "radicalizzazione" per parlare dei fanatismi estremisti più mostruosi - non ha nulla a che fare con l'estremismo mentre ha tutto da spartire con un progetto di rovesciamento di prospettiva, con una vera democrazia, con una società finalmente umana.

Un primo giudizio su rogo e portafoglio




Pd: Pippo Civati, coraggio! Non rischia mica il rogo
Qualcuno ci giudicherà è il titolo del suo libro. Le spiace se do il mio contributo? Da malpancista del Pd è diventato apertamente dissidente, ma – al di là delle etichette – nella sostanza non mi sembra sia cambiato molto. La coerenza, valore inestimabile cui lei in queste ore si appella per partecipare alla manifestazione della Cgil contro il Jobs Act, è secondo il vocabolario “conformità tra le proprie convinzioni e l’agire pratico”. Scusi ma questa conformità, nel suo comportamento parlamentare, mi sfugge.
È stato coerente non votare la fiducia al governo Letta e poi far passare tutto il resto? Promettere di vendicare Prodi, ma non fare i nomi dei 101 che l’hanno impallinato? E siamo a Renzi. Capisco che ci sia anche del risentimento personale, per essere stato rottamato ben due volte nonostante l’età (dopo Leopolda 2010 e alle primarie 2013), ma è coerente dire “Matteo sbagli” e poi votargli la fiducia? Soprattutto: adesso cosa farà quando il Jobs Act – che lei critica duramente e giustamente – arriverà alla Camera? Darà un’ennesima prova di coerenza, facendo come altri dissidenti: non condivido ma dico sì lo stesso o mi astengo o esco dall’aula? O farà come il civatiano Tocci che, dopo aver annunciato “voto la fiducia ma mi dimetto da senatore”, ha poi trovato il tempo di salvare il governo nel Def?
Forse è davvero il Palazzo a confondere le idee e a creare queste scappatoie formali: sono quasi da rivalutare i voltagabbana di ieri, quelli del “solo i cretini non cambiano idea” – almeno ammettevano di aver cambiato idea –, di fronte ai tanti incoerenti di oggi che rivendicano la coerenza. Il maestro – lei ha ragione – è Renzi, ma non si può rispondere alla sua incoerenza (annunci, “promesse che non si realizzano” – come scrive nel suo blog – infedeltà al programma elettorale e delle primarie) razzolando allo stesso modo. Tuonando e poi lasciando passare, gettando il sasso e nascondendo la mano, con l’alibi della “democrazia interna al partito”, del “comportamento corretto e leale verso gli elettori” o, peggio ancora, del “bene del paese”.
La coerenza è molto più semplice: se non si condivide un provvedimento, si vota no (solo così si può poi criticarlo anche in piazza, non dopo averlo comunque avallato in Parlamento); se si dice “mi dimetto” si va via; se non si è d’accordo con la linea del premier-segretario si saluta e si prova ad affermare altrove le proprie idee. Questa è coerenza. Questo sarebbe un comportamento leale e corretto verso gli elettori. Questo farebbe il bene del paese.
Caro Civati, lo so: ci vuole coraggio. La coerenza è l’opposto della convenienza, e può far pagare prezzi salati. Non voglio arrivare a ricordare, a lei ex ricercatore in Filosofia, quel tal Giordano Bruno che pagò col rogo la mancata abiura delle sue idee (giuste) sull’universo e sui mondi infiniti. Non esageriamo. I roghi fortunatamente non ci sono più, e di coraggio oggi ne basterebbe anche poco. Lei ne conserva almeno un grammo? Ci pensi quando passa per Campo de’ Fiori, magari per un aperitivo. Un cordiale saluto.







Commento di Sergio Ghirardi:

L'opportunismo di Civati gli fa guadagnare lautamente da vivere come politico, alla faccia dei milioni di diseredati che votano PD come altri vanno a Lourdes per guarire, mentre per i servitori volontari giustificare il suo opportunismo come un segno di alta strategia politica indica solo il loro stato di servitori volontari.
Il parlamentarismo è la forma moderna del totalitarismo spettacolare-mercantile che ci prepara all'orribile ritorno del mostro fascista. Se mai sarà reso necessario dal rischio di una rivolta degli schiavi, quest'ultimo non durerà poi molto. Il capitalismo ha bisogno di schiavi salariati che si credano liberi. Durerà solo il tempo per fare rimpiangere ai servitori volontari il bel tempo andato della democrazia spettacolare, con i suoi Scilipoti, Orellana, Razzi, Renzi, Berlusconi e più modestamente Civati,  della sua corruzione sistemica e del suo cinismo redditizio meno raccapricciante delle squadracce e dei pitbull razzisti e assassini pronti alla bisogna se qualcuno osa occupare durevolmente le fabbriche o Wall Street o più semplicemente la propria vita con una dignità da uomini liberi. Corsi e rincorse storiche di una storia confiscata dallo spettacolo.