sabato 25 gennaio 2014

ITALIANI ALL’ESTERO






Il Fatto quotidiano ha lanciato in questi giorni una serie di articoli sul tema di chi resta e di chi parte. Si tratta di una tematica che merita di essere sottratta ai vari sciovinismi e competizioni tra frustrati e ignoranti.
Gli articoli che hanno proposto il tema non suscitano, a mio avviso, un interesse particolare mentre i molti commenti in proposito sono uno spaccato eloquente del provincialismo e dell’atavica esterofilia opportunista di molti italiani (Franza o Spagna purché se magna).
Credo che nessun cambiamento sociale sarà possibile senza sottrarsi anche al manicheismo imbecille che oppone becere regressioni nazionalistiche o regionalistiche al falso internazionalismo mercantile di un’Europa del business e delle banche. Per questo ho provato a inserire i seguenti commenti stonati, come una nota blues, nel coacervo di un dibattito etero diretto (si potrebbe dire dall’estero) dai valori della civiltà del lavoro spettacolare - mercantile dalla quale mi preservo come dalla peste meglio che posso.
 

Immagino male cosa faccia un italiano all'estero perché ho anche difficoltà a immaginare un italiano all'estero. Eppure quando ho abitato un decennio a Parigi, tanti anni fa, mi divertivo a riconoscere gli italiani da lontano dalle scarpe e non sbagliavo quasi mai.
Secondo la sociologia della civiltà del lavoro, sono un italiano all'estero anch'io. In realtà mi sono sempre sentito estero a ogni nazionalismo e apprezzo soltanto le radici affettive, culturali e culinarie della mia nazione d'origine. Ci torno spesso. Da 40 anni a questa parte non sono mai stato più di tre mesi senza passare da Genova. Ci sto bene qualche giorno, poi comincio a sentire la muffa. Muffa clericale e provincialismo da tifosi di calcio che non sopporto e non sopportavo neppure quando da studente universitario riuscivo a vivere coi quattro soldi che ricevevo in cambio dell'aver messo sul mercato la mia voglia e capacità da dilettante assoluto di giocare con il pallone.
Come diceva mio padre anche prima di Gaber: io non mi sento italiano ma lo sono ogni volta che ne ho voglia. Cioè soprattutto all'estero, quando lo sciovinismo becero di altri stupidi nazionalismi da schiavi e da frustrati fa sentire il suo fascismo caratteriale. Per lo stesso motivo, quando sono in Italia, mi sento fortemente francese mentre in realtà come ogni uomo libero sono sempre cittadino di un mondo che, se non ci diamo una mossa a livello internazionale, sta per sparire come la specie umana.
Ho abbandonato da anni Parigi perché come tutte le megalopoli è diventata un asfittico supermercato per turisti del business e business del turismo. Eppure ci passo ogni due o tre mesi muovendomi dalla campagna dove ho messo le mie nomadi radici, ma mi capita di rado di incontrare italiani. Adoro la cucina thai e laotiana e conosco i posti giusti.
A me interessano piuttosto gli esseri umani che al posto della nazionalità hanno un cuore nomade e un'intelligenza internazionalista. Ne ho incontrati sempre dappertutto, mescolati a quei turisti che sono trattati dovunque altrettanto male che a casa loro. Ne ho incontrati in Asia, in Sudamerica e a Camogli. Una volta ho incontrato a Katmandu un genovese (come me) che non avevo mai visto in piazza De Ferrari e dintorni e che ho incontrato di nuovo, per caso, una seconda e ultima volta, a Quito. Il mondo è piccolo.
Sergio Ghirardi

venerdì 24 gennaio 2014

L’Europa s’appresta a vietare gli orti privati




(c) http://www.deesillustration.com/


Vi ho tradotto questa notizia la cui importanza non sfuggirà a chiunque non abbia ancora deposto cuore e cervello all’ammasso. Gli ecologisti domestici servono del resto soltanto a questo: a dare l’allerta.
Solo una presa in mano radicale della propria sorte di esseri umani da parte di cittadini di una democrazia consiliare potrà rovesciare la prospettiva di un mondo la cui modernità è ormai sinonimo di catastrofe e di distruzione delle qualità del buen vivir.  
Sergio Ghirardi



Una nuova legge proposta dalla Commissione europea sollecita l’illegalità della coltivazione, riproduzione o vendita dei semi di vegetali che non siano stati testati e approvati da una nuova autorità, l’Agenzia europea delle varietà vegetali. Criminalizzando la coltura privata di legumi, la Commissione europea delegherebbe il controllo degli approvvigionamenti alimentari a società del tipo di Monsanto. Gli eurodeputati verdi vedono di cattivo occhio una tale proposta della Commissione che giudicano contro produttiva e pericolosa.
 La biodiversità è in pericolo. Le multinazionali hanno focalizzato i loro sforzi sulla creazione di piante ad alto rendimento che sono fragili. Esse possono sussistere solo in un ambiente reso artificiale e dipendente da fertilizzanti chimici e pesticidi, vale a dire dal petrolio” afferma José Bové.
Fine delle sementi regionali, fine delle varietà ancestrali o endemiche. In sintesi solo sementi F1, transgeniche o peggio OGM. Fine della biodiversità nei nostri orti. Fine degli orti popolari e dei mercati di scambio di piante e di sementi tra privati. In sintesi fine del buon cibo.
Il testo partorito dalla nostra cara Commissione europea già nel titolo è tutto un programma: “Delle regole più intelligenti per delle derrate alimentari più sicure: la Commissione propone un pacchetto legislativo primordiale per modernizzare, semplificare e rinforzare la filiera agroalimentare in Europa”.

Testo originale:
Europe : vers une interdiction des potagers privés
3 octobre 2013 Dans la rubrique Faites vos jeux, rien ne va plus (Source : Chaos Contrôlé)
Une nouvelle loi proposée par la Commission européenne souhaite l’illégalité de la pousse, la reproduction ou la vente des semences de végétaux qui n’ont pas été testées et approuvées par une nouvelle autorité, l’Agence européenne des variétés végétales. En criminalisant la culture privée de légumes, la Commission européenne remettrait le contrôle de l’approvisionnement alimentaire à des sociétés comme Monsanto.
Les eurodéputés verts voient d’un mauvais œil la proposition de la Commission jugée « contreproductive et dangereuse »: « La biodiversité est en danger. Les multinationales ont focalisé leurs efforts sur la création de plantes à haut rendement, mais qui sont fragiles. Elles ne peuvent subsister que dans un environnement artificialisé dépendant des engrais chimiques et des pesticides, donc du pétrole », affirme José Bové.
Plus de semences régionales, plus de variétés ancestrales ou endémiques. Bref des semences F1, transgéniques ou pire OGM. Fin de la bio-variété dans nos jardins. Fini les jardins ouvriers et les marchés d’échanges de plants et semences entre particuliers. Bref finie la bonne bouffe.
Le texte pondu par notre chère commission européenne, rien que le titre vaut le jus : « Des règles plus intelligentes pour des denrées alimentaires plus sûres: la Commission propose un paquet législatif primordial pour moderniser, simplifier et renforcer la filière agroalimentaire en Europe ».

SOTTO L’IDEOLOGIA IL NULLA





Pd di rissa e di governo, il piano D’Alema: il Vietnam di Renzi in Parlamento
Il passo è, da sempre, felpato. Si vede e non si vede, ma è peggio quando non si vede; le conseguenze, poi, arrivano all’improvviso, quando è ormai troppo tardi per metterci riparo. Le dimissioni di Cuperlo, per dire, sono opera sua. Massimo D’Alema ne aveva già discusso con l’ormai ex presidente Pd prima della direzione del partito, Fassina ne era al corrente, ma non approvava, poi quella frase, sprezzante, di Renzi nella replica al suo discorso e tutto è stato più semplice. Il piano del vero, grande rottamatore della sinistra italiana, appunto Massimo D’Alema, è andato splendidamente in porto. Renzi ha perso definitivamente il controllo della sinistra del partito e il suo incubo peggiore, ora, è che questa sinistra non abbia un vero leader con il quale interloquire. E che il percorso di tutte le sue iniziative, dalla legge elettorale al piano lavoro, passando anche per la riforma della giustizia (che sta scrivendo con Maria Elena Boschi) si trasformino in un Vietnam, prima in commissione, poi in Aula. 
D’Alema, però, è fatto così. Non conoscendo la possibilità di un confronto aperto, ma solo vendette trasversali e trame nell’ombra, il presidente di Italianieuropei sta per intestarsi l’ennesimo momento di grave crisi del primo partito della sinistra italiana. Lui che, a quanto sembra, nella sinistra non c’ha mai creduto davvero. Disse: “Questo autolesionismo è la conferma di ciò che penso da anni, che la sinistra di per sé è un male; solo l’esistenza della destra rende questo male sopportabile”. Era il 19 dicembre del 2003, non ieri, e in quell’intervista all’Espresso si parlava d’altro. Ma quelle parole vanno bene anche oggi, il pensiero è sempre il suo e l’iniziativa è pure, perché fotografano uno status assai noto, quello di una sinistra – anzi, di un Pd – capace di perdere ad un passo dalla conquista dell’obiettivo.
Oggi sono le riforme, D’Alema sostiene di trovarsi a distanza perché “com’è noto, passo la maggior parte del mio tempo all’estero”, ma dietro questo ennesimo cortocircuito interno c’è chi l’ha giurata a Renzi da sempre. Solo a fine estate scorsa, d’altra parte, diceva: “Renzi è come quelli che vogliono prendere la Bastiglia con l’accordo di baroni e baronesse”. E che poi, giusto l’altro giorno, a commento del discorso del segretario in direzione: “Siamo alle comiche”. L’ultimo che l’ha detto è finito male, ma lui non se ne cura; l’importante, in questa fase, è non far trionfare Renzi, forse per dimostrare che nessuno è in grado davvero di “cambiare verso” al Paese.
Lui ci provò con la Bicamerale, ne uscì sconfitto, difficile tollerare che altri, principalmente il sindaco di Firenze, faccia ciò che a lui non è riuscito. Soprattutto vedersi anche sottrarre il primato del rapporto con il Cavaliere, di cui lui è stato, giusto fino all’altro giorno, l’unico reale detentore. Poi Renzi ha fatto entrare il pregiudicato al Nazareno, colpendo al cuore l’ortodossia dell’ancien regime del Pd, certo, ma rompendo anche un tabù della “vecchia politica”, cifra dalemiana nei rapporti con gli avversari di sempre. Per questo, ora D’Alema punzecchia. L’ha fatto anche l’altro giorno, ovviamente dall’estero, mandando i soliti messaggi cifrati: “Fare le riforme è un elemento molto positivo, sono necessarie per il nostro Paese, certamente bisogna farle bene. Il Parlamento discuterà e approfondirà, nella piena libertà di approfondire, correggere, decidere, secondo le regole democratiche normali”. Pochi minuti prima, il sindaco di Firenze aveva avvertito: “Se si cambia qualcosa, salta tutto”. La lettura in filigrana del messaggio dalemiano non ha bisogno di grande esegesi, è limpida: occhio Renzi – ecco la “profanazione” del verbo politichese dalemiano – perché in Aula sulle riforme te le facciamo scontare tutte. E prima dell’Aula, direttamente in commissione. 
I numeri, invero, sono tutti a sfavore di Renzi. Commissioni, gruppi, ovunque bisogna fare i conti con la composizione voluta da Bersani e, dunque, di stretta osservanza della sinistra del partito. Il commissione Affari Costituzionali, dove c’è la legge elettorale, la geografia è particolarmente contraria al segretario Pd: 13 a 8. Altro che Vietnam. Servirebbe un mediatore, uno capace di reggere le fila senza dar sfogo all’ala dalemiana che a ogni pie’ spinto da l’idea di voler riaprire il congresso. Pensano a Pier Luigi Bersani, anche per la sostituzione di Cuperlo, l’uomo capace di arrivare al chiarimento di rapporti tra maggioranza e minoranza Pd senza strappare tutto e, soprattutto, senza lasciare che i tatticismi dalemiani prendano il sopravvento. Un lavoto certosino, di lunga e difficile tessitura, che presuppone anche l’assenso proprio di D’Alema a farsi da parte e dare il via libera al “cambio del verso” del partito. Ma come fidarsi mai di chi sostiene, non smentito, che “capotavola è solo dove mi siedo io”?

Commento di Sergio Ghirardi:

Ormai lo schifo assoluto ha raggiunto l'inimmaginabile ma il peggio non sono questi burocrati e maggiordomi del capitalismo di sinistra che lo servono per un pugno di dollari e di consenso elettorale, pronti al peggior patto con mafiosi e furbastri di destra pur di profittare delle briciole e degli ossi del banchetto dell'1% contro il 99%.
Il peggio alberga nelle masse di ridicoli cittadini ignari di appartenere al 99%, ridotti a credenti ipocriti che fanno finta di avere ancora speranze e convinzioni per continuare a mentire a se stessi facendo gli spettatori interessati della loro schiavitù salariata ormai ridotta a disoccupazione e miseria.

martedì 14 gennaio 2014

Spagna, Marinaleda: ma allora il socialismo non è un’utopia?




Solo oggi, colpevolmente, vengo a conoscenza, grazie ad un articolo apparso su La Repubblica, di una piccola comunità in Andalusia dove non esiste la disoccupazione, ed in più la gente vive di ciò che ricava dalla coltivazione della terra e dalla trasformazione dei frutti della stessa.
Il paese si chiama Marinaleda, circa 2.700 abitanti. Dal 1979, a Marinaleda la giunta è guidata da Juan Manuel Sánchez Gordillo, una figura storica all’interno del Sindacato dei lavoratori agricoli, il Soc, cuore del Sindacato andaluso dei lavoratori (Sat).
Da quando lui è al governo, la popolazione, dapprima assai povera, ha occupato terreni abbandonati di latifondisti per metterli a reddito, ed in seguito una grossa tenuta è stata ceduta dal proprietario al comune perché fosse assegnata alla popolazione più povera. Dall’inizio del suo mandato quasi tutta la popolazione in grado di lavorare si è dedicata appunto alla coltivazione ed alla trasformazione dei frutti della terra riunendosi nella Cooperativa Humar – Marinaleda SCA, creata dagli stessi lavoratori. In più sono sorti un piccolo commercio ed una piccola distribuzione locale.
 A Marinaleda oggi si producono, conservano ed esportano (anche in Italia e persino in Venezuela) peperoni, carciofi, legumi, olio d’oliva. La disoccupazione è allo 0%, mentre nel resto dell’Andalusia la media è il 34% ed arriva al 63% fra i giovani con meno di 25 anni. Il salario è lo stesso per tutti, qualunque sia la mansione: 47 euro al giorno per sei giorni la settimana. E se in qualche stagione il raccolto non è soddisfacente per via delle intemperie, si lavora meno ma si lavora tutti.
Sempre improntato ad un principio solidaristico anche il diritto alla casa. Il sistema di welfare messo su negli anni permette ai cittadini di costruirsi una casa con un anticipo di 15 euro. Basta mettere a disposizione la propria forza lavoro. Nessun mutuo e nessun interesse da versare ad istituti di credito: il terreno e il progetto li mette il Municipio, il denaro lo presta a tasso zero il governo andaluso e la quota mensile da versare per l’acquisto la decidono in assemblea gli stessi cittadini autocostruttori.
I servizi alla cittadinanza: l’asilo è aperto dalle 7 alle 16 e la mensa scolastica costa 12 euro al mese, la piscina 3 euro per tutta l’estate. E la cura degli spazi comuni compete a tutti i cittadini: durante le cosiddette “domeniche rosse” la popolazione si dedica a pulire strade, aiuole e giardini. La Polizia locale si decise di non istituirla, sia per risparmiare soldi pubblici, sia perché non esiste criminalità.
La gestione della cosa pubblica è estremamente partecipativa e si svolge attraverso Assemblee Generali, che si riuniscono 25/30 volte l’anno per dare voce alla popolazione ed alle sue istanze, e Gruppi d’Azione che si prefiggono di risolvere gli specifici problemi.
Deputato del Parlamento andaluso dal 2008 nel partito Izquierda Unida (“Sinistra Unita”), il sindaco Juan Manuel Sanchez Gordillo decise di devolvere il suo compenso da parlamentare alla comunità di Marinaleda. Nel discorso di insediamento egli pronunciò le seguenti parole: “Davanti alla legge prometto e mi riprometto di lottare con tutte le mie forze per sovvertire il sistema di produzione capitalistico.”
Il simbolo di Marinaleda è una colomba che vola sul paese ed intorno la scritta: “Marinaleda – Un’utopia verso la pace”. Le vie della città sono dedicate ora a Salvador Allende ora a Che Guevara, ora a solidarietà, o fraternità, o speranza.
Certo, mi rendo conto che una cosa è governare una piccola località ed un’altra un intero paese. Però credo che davvero dall’esperienza di Marinaleda si possano comunque trarre ottimi spunti. E quante piccole località potrebbero seguirne l’esempio? Nel frattempo, qualcuno può girare per favore questo post ai capi della nostra pseudo sinistra?

Commento di Sergio Ghirardi:
Ho incontrato il sindaco in questione in Grecia, a Salonicco, qualche anno fa. Eravamo invitati dai gruppi molto attivi per una democrazia diretta che cominciano a funzionare internazionalmente ma che sono particolarmente attivi nella situazione greca. L'esperimento di Marinaleda è davvero interessante ma anche il gruppo che funziona attorno a Juan Manuel Sánchez Gordillo sa bene che una vera democrazia consiliare presuppone il superamento dello Stato e della democrazia parlamentare. Si tratta di una vera e propria rivoluzione culturale che ha radici nel passato ma la sua pratica nel prossimo futuro, tra il crollo del vecchio sistema produttivistico capitalista e lo sbriciolamento di tutti gli autoritarismi di destra e di sinistra. Ora dimmi perché mai si dovrebbe parlare di un tale progetto rivoluzionario con i capi della sinistra che sono dei mestieranti della politica e che non concepiscono altra democrazia che quella parlamentare?
Aikon a Sergio Ghirardi:
Perché superare la democrazia parlamentare è utopia pura. Utopia che inoltre potrebbe facilmente schiudere la porta alle stesse tragedie di quell'altra che parlava di dittatura del proletariato.
Sergio Ghirardi a Aikon:
Non credo alla purezza ma utopia significa "ciò che non ha ancora luogo" (come gli aerei nel 15° secolo). La storia ha già mostrato che la vera difficoltà per la democrazia consiliare non è nelle sue carenze ma negli eserciti che le si oppongono (Parigi (1871), Germania (1919), Spagna (1936) e Messico (a tutt’oggi in Chiapas). La tua è solo un'opinione conformista degna di quanti nel 1788 dicevano con tronfia sicurezza: la repubblica è un'utopia.
La dittatura del proletariato fa parte dell’ideologia comunista autoritaria che è stata il primo nemico storico (Cronstadt, 1917) incontrato dai rivoluzionari consiliari.