martedì 22 gennaio 2019

La lotta degli zapatisti è la lotta universale della vita contro la desertificazione della terra





PER UN’INTERNAZIONALE
DEL GENERE UMANO

Vi traduco questo breve scritto di Raoul Vaneigem pubblicato oggi sul giornale messicano La Jornada. Buona lettura.

Sergio Ghirardi

La lotta degli zapatisti è la lotta universale della vita
contro la desertificazione della terra.

Mentre gli interessi finanziari e il totalitarismo del denaro uccidono tutto quel che vive trasformandolo in merce, il vento di una rivolta si leva e si propaga, nato meno dal soffio delle idee che dall’intollerabile esistenza imposta agli uomini e alle donne del mondo intero. Sono ormai cinquanta anni che quel che esisteva di più radicale nel movimento delle occupazioni del maggio 1968 ha manifestato il suo rifiuto dell'impostura rappresentata dal Welfare State, lo stato di benessere consumistico. Venticinque anni fa ha risuonato il Ya basta! con il quale gli zapatisti manifestavano la loro volontà di decidere liberamente della loro sorte, formando delle collettività capaci di mettere fine all'oppressione che da secoli si prendeva gioco dei loro diritti e della loro dignità di donne e di uomini. Se questa esperienza di una vera democrazia ha molto presto suscitato una vasta eco ben oltre un ristretto territorio a proposito del quale la menzogna mediatica avrebbe amato rilevare il carattere strettamente locale, è perché il vulcanismo di questa eruzione sociale ha fatto risorgere con commozione la linea di rottura sismica tracciata dalla libertà lungo tutto il corso della storia. Un’educazione dell'ignoranza e una cultura del pregiudizio avevano sepolto nel passato le grandi speranze che avevano fatto nascere la Rivoluzione francese, la Comune di Parigi, i soviet di Cronstadt, le collettività autogestite della Rivoluzione spagnola. Ebbene, la coscienza umana non muore mai, si assopisce, vegeta, cade episodicamente in letargo, ma arriva sempre un momento in cui si risveglia, recuperando in qualche modo il tempo perduto.
La determinazione combattiva degli zapatisti, come la lotta accanita del Rojava, forma delle zone di risonanza in cui la coscienza umana si rassicura, in cui il diritto alla vita è risoluto a spezzare le potenze della morte resa redditizia.
Non è senza ragione che la cupidigia capitalista spiega la sua forza d’urto contro territori in cui delle forme di società radicalmente nuove riscoprono, con il senso umano, uno stile di vita fondato sulla solidarietà e sulla gratuità, dove la creazione occupa il posto del lavoro. Si è visto in Francia quando il governo tecnocratico, vero e proprio ingranaggio della grande tritatrice di profitto, ha schiacciato sotto lo stivale dell'Ordine dominante, gli orti collettivi, gli ovili, le abitazioni auto costruite e la nuova società in gestazione che si abbozzava a Notre Dame des Landes.
Nello stesso tempo in cui si vede affilarsi la falce della desertificazione, risuonano anche le grida di una rivolta a lungo contenuta. Anche se il movimento dei Gilets jaunes dovesse ripiombare nei solchi del passato, finire in confusione, disgregarsi, resterà vera la sua radicalità evidente chiamata a rinascere e a svilupparsi. Il rifiuto dei capi e dei rappresentanti, il rigetto del clientelismo politico, la denuncia della menzogna mediatica, la condanna di un sistema disumanizzante in cui il cinismo e l’arroganza impongono un piano di pauperizzazione voluto dalla frenesia del profitto a breve termine e dalla crescita di somme incredibili che gonfiano fino all’assurdo la bolla speculativa. Ci sono dei miliardi che aleggiano sulle nostre teste mentre dobbiamo sopportare le restrizioni di bilancio che toccano la sanità, la scuola, i trasporti, i beni indispensabili alla semplice sopravvivenza.
Ritornare alla base è il solo modo di farla finita con questa politica che dall'alto della sua imbecillità pretende di decidere al nostro posto. La Repubblica delle statistiche, dei bilanci e delle cifre non ha niente in comune con le note del riscaldamento e il degrado dell'ambiente che opprimono le donne e gli uomini che il potere maltratta chiamandoli “cittadini”.
Solo le assemblee locali sono al corrente dei problemi incontrati dagli abitanti di un villaggio, di un quartiere, di una regione.
Solo l’assemblea popolare può tentare di risolvere questi problemi e federare queste piccole entità affinché esse formino un fronte, inseparabilmente locale e internazionale, contro l’internazionale del denaro di cui il marciume giornalistico consacra il carattere e lo sviluppo ineluttabile dandole il nome di mondializzazione.
La solidarietà con l’EZLN non può manifestarsi meglio che attraverso la moltiplicazione e la radicalizzazione spontanea di collettività autogestite nel mondo intero!
Quel che si sta costruendo senza alcuna forma istituzionale è un’internazionale del genere umano, è la scoperta di quella poesia pratica che, fatta da tutti e da tutte, da ciascuno e da ciascuna, decreta che “noi non siamo niente, siamo tutto”.


Raoul Vaneigem, 21 gennaio 2019