PER UN’INTERNAZIONALE
DEL GENERE UMANO
Vi traduco questo breve scritto
di Raoul Vaneigem pubblicato oggi sul giornale messicano La Jornada.
Buona lettura.
Sergio Ghirardi
La lotta degli zapatisti è la
lotta universale della vita
contro la desertificazione della
terra.
Mentre gli interessi finanziari e il
totalitarismo del denaro uccidono tutto quel che vive trasformandolo in merce,
il vento di una rivolta si leva e si propaga, nato meno dal soffio delle idee
che dall’intollerabile esistenza imposta agli uomini e alle donne del mondo
intero. Sono ormai cinquanta anni che quel che esisteva di più radicale nel
movimento delle occupazioni del maggio 1968 ha manifestato il suo rifiuto
dell'impostura rappresentata dal Welfare
State, lo stato di benessere consumistico. Venticinque anni fa ha risuonato
il Ya basta! con il quale gli
zapatisti manifestavano la loro volontà di decidere liberamente della loro
sorte, formando delle collettività capaci di mettere fine all'oppressione che
da secoli si prendeva gioco dei loro diritti e della loro dignità di donne e di
uomini. Se questa esperienza di una vera democrazia ha molto presto suscitato
una vasta eco ben oltre un ristretto territorio a proposito del quale la
menzogna mediatica avrebbe amato rilevare il carattere strettamente locale, è
perché il vulcanismo di questa eruzione sociale ha fatto risorgere con
commozione la linea di rottura sismica tracciata dalla libertà lungo tutto il
corso della storia. Un’educazione dell'ignoranza e una cultura del pregiudizio
avevano sepolto nel passato le grandi speranze che avevano fatto nascere la
Rivoluzione francese, la Comune di Parigi, i soviet di Cronstadt, le
collettività autogestite della Rivoluzione spagnola. Ebbene, la coscienza umana
non muore mai, si assopisce, vegeta, cade episodicamente in letargo, ma arriva
sempre un momento in cui si risveglia, recuperando in qualche modo il tempo
perduto.
La determinazione combattiva degli
zapatisti, come la lotta accanita del Rojava, forma delle zone di risonanza in
cui la coscienza umana si rassicura, in cui il diritto alla vita è risoluto a
spezzare le potenze della morte resa redditizia.
Non è senza ragione che la cupidigia
capitalista spiega la sua forza d’urto contro territori in cui delle forme di
società radicalmente nuove riscoprono, con il senso umano, uno stile di vita
fondato sulla solidarietà e sulla gratuità, dove la creazione occupa il posto
del lavoro. Si è visto in Francia quando il governo tecnocratico, vero e
proprio ingranaggio della grande tritatrice di profitto, ha schiacciato sotto
lo stivale dell'Ordine dominante, gli orti collettivi, gli ovili, le abitazioni
auto costruite e la nuova società in gestazione che si abbozzava a Notre Dame
des Landes.
Nello stesso tempo in cui si vede
affilarsi la falce della desertificazione, risuonano anche le grida di una
rivolta a lungo contenuta. Anche se il movimento dei Gilets jaunes dovesse
ripiombare nei solchi del passato, finire in confusione, disgregarsi, resterà
vera la sua radicalità evidente chiamata a rinascere e a svilupparsi. Il
rifiuto dei capi e dei rappresentanti, il rigetto del clientelismo politico, la
denuncia della menzogna mediatica, la condanna di un sistema disumanizzante in
cui il cinismo e l’arroganza impongono un piano di pauperizzazione voluto dalla
frenesia del profitto a breve termine e dalla crescita di somme incredibili che
gonfiano fino all’assurdo la bolla speculativa. Ci sono dei miliardi che aleggiano
sulle nostre teste mentre dobbiamo sopportare le restrizioni di bilancio che
toccano la sanità, la scuola, i trasporti, i beni indispensabili alla semplice
sopravvivenza.
Ritornare alla base è il solo modo di
farla finita con questa politica che dall'alto della sua imbecillità pretende
di decidere al nostro posto. La Repubblica delle statistiche, dei bilanci e
delle cifre non ha niente in comune con le note del riscaldamento e il degrado
dell'ambiente che opprimono le donne e gli uomini che il potere maltratta
chiamandoli “cittadini”.
Solo le assemblee locali sono al
corrente dei problemi incontrati dagli abitanti di un villaggio, di un
quartiere, di una regione.
Solo l’assemblea popolare può tentare di
risolvere questi problemi e federare queste piccole entità affinché esse
formino un fronte, inseparabilmente locale
e internazionale, contro l’internazionale del denaro di cui il marciume
giornalistico consacra il carattere e lo sviluppo ineluttabile dandole il nome
di mondializzazione.
La solidarietà con l’EZLN non può
manifestarsi meglio che attraverso la moltiplicazione e la radicalizzazione
spontanea di collettività autogestite nel mondo intero!
Quel che si sta costruendo senza alcuna
forma istituzionale è un’internazionale del genere umano, è la scoperta di
quella poesia pratica che, fatta da tutti e da tutte, da ciascuno e da ciascuna,
decreta che “noi non siamo niente, siamo tutto”.
Raoul Vaneigem, 21 gennaio 2019