Cari sopravvissuti e sopravvissute, vi ho tradotto in
italiano questa lettera proveniente dal Cile, aggiungendo l’originale in
castigliano per chi ne sa fare uso.
Sergio Ghirardi
post scriptum 9-11-19:
post scriptum 9-11-19:
Qualcuno, forse per lasciar credere di essere addentro alle segrete cose e nell'illusione di valorizzare questo testo, ha insinuato che l'autore sarebbe Raoul Vaneigem.
Mentre è molto più significativo che, direttamente dal movimento cileno, giungano parole che effettivamente sono del livello che Raoul avrebbe potuto esprimere.
Mentre è molto più significativo che, direttamente dal movimento cileno, giungano parole che effettivamente sono del livello che Raoul avrebbe potuto esprimere.
Questo comunque, tradotto in italiano, il testo del mail che taglia la testa alle elucubrazioni:
"Caro Sergio, confermo che il testo è stato inviato da un'amica cilena che partecipa attivamente all'insurrezione. Mi sono dato da fare per trasmetterlo e farlo circolare. E' così e non altrimenti ... Raoul Vaneigem".
"Caro Sergio, confermo che il testo è stato inviato da un'amica cilena che partecipa attivamente all'insurrezione. Mi sono dato da fare per trasmetterlo e farlo circolare. E' così e non altrimenti ... Raoul Vaneigem".
Lettera dal
Cile
Quello che sta succedendo è stato molto bello. Sono passate
già due settimane dal sollevamento che ci ha permesso di scacciare la paura,
l’indolenza e la frustrazione di vivere sotto la dittatura del denaro per
incontrarci come esseri umani, oltre tutte le identificazioni che ci hanno mantenuto
separati.
L’insurrezione, generalizzatasi spontaneamente, ha messo in atto fin dall’inizio la sua
critica del modo di vita capitalista espropriando e distruggendo i simboli del
capitalismo e dello Stato (supermercati, farmacie, banche commissariati,
municipi, ecc.). Le richieste sono tantissime, così tante che tutti sanno che
quel di cui qui abbiamo bisogno è un mutamento strutturale. Per strada s’intende
“mai più niente tornerà come prima”. Il desiderio di vivere di tutti è rinato
nell’avventura della lotta antisistemica.
La precarizzazione che si vive in questo territorio, e contro la quale questo
movimento si leva, non è il prodotto di misure di austerità, qui non si è mai
avuto uno Stato di benessere, ma è il risultato del saccheggio quotidiano dello
Stato capitale. Il Cile come certo sapete è una delle culle del neoliberalismo.
Il dittatore Pinochet ha venduto tutto: l’acqua, la salute, le pensioni,
l’educazione, le strade, il mare, ecc. E la democrazia che è venuta dopo ha
consolidato questo sistema sociale ed economico.
Tuttavia a forza di aver sofferto continue umiliazioni e
abusi da parte dei politici e imprenditori si è acuita la coscienza di tutti.
Uno degli slogan dell’insurrezione è “ Non sono trenta pesos [l’aumento del
prezzo del biglietto del metro che ha scatenato questo sollevamento fu di 30
pesos, cioè del 4%] sono 30 anni”, alludendo con ciò al periodo di “transizione
verso la democrazia” [Il 1989 è l’anno del primo Presidente della democrazia
dopo la dittatura]. Questa frase – che i Mapuche[1]
hanno ripreso dicendo “non sono trenta pesos sono 500 anni” – esprime la coscienza
del fatto che la dittatura di Pinochet e il regime democratico corrispondono a
due facce della dittatura del capitale di cui lo Stato e i politici specializzati che pullulano nei suoi dintorni
non sono che meri esecutori.
Per questo un’altra caratteristica di questo movimento è la
totale assenza di partiti politici. Anche se rigettano il movimento, arrivando
a dire cose così ridicole come che la Russia, il Venezuela o Cuba ci stanno guidando
tramite la fazione di sinistra di qui, quel che è certo è che nella protesta si
vedono solo bandiere cilene, bandiere di popoli indigeni e bandiere di squadre
di calcio. Gli agenti del governo sono disperatamente in cerca di fabbricare i
rappresentanti del movimento, le voci autorizzate con le quali poter negoziare.
Stanno cercando tra le organizzazioni sindacali e sociali, convocando anche
assemblee cittadine. Finora nessuno ha osato assumere questo ruolo. La potenza
e la diversità di questo movimento sono un antidoto contro ogni tentativo di
recupero.
Ci sono già più di 4000 incarcerati (tra cui più di 400
bambini e adolescenti) e più di 1300 persone ferite da arma da fuoco. Ci sono
più di cento denunce di tortura e una ventina per violenza sessuale da parte
della polizia. Secondo le cifre ufficiali, ci sono ventitré morti e più di 140
persone che presentano qualche tipo di lesione oculare. Ventisei persone hanno
perso la vista da un occhio. (Quando ho letto nel testo censurato da Le Monde che anche in Francia la polizia
aveva colpito gli occhi dei manifestanti, sono rimasta sorpresa rendendomi
conto di quanto siano condivise le tecniche di repressione).
Appena qualche ora dopo l’inizio dell’insurrezione – costata
molto ai grandi capitalisti pur se è un prezzo incomparabile con l’ammontare
dei loro furti – lo Stato ha dichiarato “lo stato d’eccezione” ciò che ha
permesso d’imporre il coprifuoco e inviare i militari sul terreno a reprimere
insieme alla polizia. Da una settimana lo stato d’eccezione è stato abolito ma
ciò non ha fatto diminuire la repressione. La polizia continua a usare armi
antisommossa contro la protesta (pratica attuata solo in queste manifestazioni)
e continua gli arresti massicci e selettivi. Tutti i settori politici e i media
ci dicono che possiamo manifestare “ma sempre e solo in modo pacifico”. (Alcuni
buoni cittadini si sono appropriati dei gilet gialli usati dalla protesta in
Francia per identificarsi come alleati della polizia e hanno una loro tecnica per mantenere
l’ordine). Tuttavia anche quando le persone si comportano nella maniera meno
offensiva e più culturale, la polizia reprime con forza. Hanno paura che
passiamo molto tempo insieme...
Lo Stato ha le mani sporche di sangue e ci dice che lo fa per darci la
pace. Pochissimi lo credono e a giudicare dall’enorme violenza che ha usato,
nessuno ha paura di lui. In effetti, hanno proliferato nelle manifestazioni dei
gruppi che praticano in maniera estesa la violenza offensiva e l’autodifesa
contro le “forze dell’ordine”.
Il fatto è che la maggioranza di noi sente che non ha niente da perdere.
Da ogni lato si vede che non c’è futuro in questa società. Da un lato la
televisione non smette di sommergerci di notizie sulla catastrofe ambientale
che poi vuole farci dimenticare mostrandoci pubblicità di cose che non possiamo
comprare. Dall'altro
vediamo che essere anziani in questo Cile è un inferno. La gente può lavorare
tutta la vita e andare in pensione con un emolumento miserabile. Di fatto gli
anziani devono continuare a lavorare fino alla morte e non sto esagerando.
Cinque anni fa ha fatto notizia il caso di un giardiniere che lavorava di
fronte al Palazzo della Moneda (sede del presidente) e che è morto seduto su
una panchina nella stessa piazza dove aveva passato gli ultimi anni della sua
vita curandola. Aveva ottanta anni.
Ci sono quelli che vogliono incanalare questa esplosione
sociale con la creazione di una nuova costituzione. Quella esistente risale
all’epoca di Pinochet ed è quella che sostiene il saccheggio neoliberale. La rivendicazione
di un’assemblea costituente per generare la nuova costituzione è qualcosa che
riecheggia sempre di più in certi gruppi. A volte temo che se si consentirà a questa
proposta si finirà per inaridire il potere di questo movimento. D’altro lato,
però, penso che se una costituzione siffatta rispondesse alle molteplici
richieste del popolo, ciò implicherebbe una tale modifica dell’ordine delle
cose che sarebbe un altro Cile nel quale forse la stessa costituzione non
avrebbe più ragione di esistere: questa rivolta sta mettendo intuitivamente in
questione le basi della struttura sociale capitalista.
Questo momento sembra essere l’unica terra fertile. E per
qualche giorno tutto è sembrato possibile. Sono comparse molte assemblee
autoconvocate nei quartieri. Alcune città colpite dalla contaminazione delle
industrie estrattive si sono confrontate con i grandi capitali e hanno smesso
di ottemperare ai loro compiti, ecc. Veder germogliare quest’organizzazione
spontanea è stato davvero appassionante.
Le manifestazioni continuano compatte e sembrano una festa.
Le persone appaiono più felici nelle strade occupate, la gente canta, balla
condivide idee, cibo, sorrisi. Nessuno sa come tutto questo proseguirà. Per il
momento continuiamo a godere di esserci incontrati, scommettendo sulla potenza
di vedersi e sentirsi.
Che cosa serve per avanzare nella distruzione di
quest’ordine che sembra crollare senza il nostro intervento? Si tratta soltanto
di vivere le nostre vite a controcorrente delle richieste del capitale? Non
tentare di rovesciare il sistema nel suo insieme quanto di dedicarci a
costruire, tra queste rovine, la nostra organizzazione, qui e ora, con tutti i
limiti e le potenzialità delle circostanze?
[1] I Mapuche sono un popolo
amerindo originario del Cile centrale e meridionale e del sud dell'Argentina in
lotta per difendere la loro terra e la loro stessa esistenza dalla civiltà
produttivista e capitalista che li tratta come ha trattato da secoli tutte le
popolazioni autoctone del continente americano.
LETTRE DU CHILI
(1/11/2019)
Lo que está pasando ha sido tan hermoso. Ya van
dos semanas del levantamiento que nos ha permitido sacudirnos el miedo, la
indolencia y la frustración de vivir bajo la dictadura del dinero y
encontrarnos como seres humanos, que nos
habían mantenido separados.
La insurrección y su generalización espontánea
desde el comienzo expresó en actos su crítica al modo de vida capitalista
expropiando y destruyendo los símbolos del capitalismo y el Estado
(supermercados, farmacias, bancos, comisarías, edificios de municipalidades,
etc.). Las demandas son muchísimas, tantas, que todos saben que lo que se
necesita aquí es un cambio estructural. En las calles se escucha “ya nada
volverá a ser igual”. El deseo de vivir de todos ha renacido en la aventura de la
lucha anti-sistémica.
La precarización que se vive en este territorio,
y contra la que este movimiento se alza, no es producto de medidas de
austeridad, aquí nunca hubo tal cosa como un Estado de bienestar, sino que es
el resultado del saqueo a manos del Estado-capital. Chile, como seguramente
sabes, es una de las cunas del neoliberalismo. El dictador Pinochet vendió
todo: el agua, la salud, las jubilaciones, la educación, las carreteras, el
mar, etc. Y la democracia que vino después consolidó este sistema social y
económico.
Pero a costa de haber sufrido continuas
humillaciones y abusos a manos de los políticos y empresarios, se ha ido
agudizando la conciencia de todos. Uno de los eslóganes de la insurrección es
“No son 30 pesos [el incremento del boleto del metro que desató este
levantamiento fue de 30 pesos, es decir, de un 4%], son 30 años” en alusión a
la época de la “transición a la democracia” [1989 es el año del primer
presidente de la democracia luego de la dictadura]. Esta frase — que los
mapuche han hecho suya diciendo “No son 30 pesos, son más de 500 años”— expresa
la conciencia de que la dictadura de Pinochet y el régimen democrático corresponden
a dos caras de la dictadura del capital de la cual el Estado, y los políticos y
especialistas que pululan en torno a él, no son más que meros ejecutores.
Por eso, otra de las características de este
movimiento es la total ausencia de partidos políticos. Aunque quienes detractan
el movimiento, llegan a decir cosas tan ridículas como que Rusia, Venezuela o
Cuba nos están dando órdenes a través de la facción izquierdista de acá, lo cierto
es que en las protestas solo se ven banderas de Chile, banderas de pueblos
indígenas y banderas de equipos de fútbol. Desde el gobierno están desesperados
por fabricar a los representantes del movimiento, las voces autorizadas con las
que pueda negociar. Están buscando entre las organizaciones sindicales y
sociales y también convocando asambleas ciudadanas. Hasta ahora nadie se ha
atrevido a ponerse en ese rol. La masividad y diversidad de este movimiento es
un antídoto contra cualquier intento de recuperación.
Ya van más de 4000 detenidos (entre ellos más de
400 infantes y adolescentes) y más de 1300 personas heridas por armas de fuego.
Hay más de 100 querellas por torturas y una veintena por violencia sexual de parte
de la policía. Según las cifras oficiales, hay 23 muertos y más de 140 personas
que presentan algún tipo de lesión ocular. 26 de ellos perdieron la visión de
un ojo. (Cuando leí en el texto censurado por Le Monde que en Francia también
la policía había estado sacando ojos me sorprendió mucho darme cuenta de que
comparten técnicas de represión).
Apenas habían pasado algunas horas de la
insurrección —que le costó muy caro a los grandes capitalistas, aunque no se
compara con el monto de sus robos— el Estado declaró “estado de excepción”, lo
que le permitió imponer toques de queda y sacar a los militares a las calles a
reprimir junto con la policía. Hace una semana que el estado de excepción se levantó,
pero eso no ha hecho decaer la represión. La policía sigue usando armas
antidisturbios en las protestas (eso solo fue en estas manifestaciones) y continuan
haciendo detenciones masivas y selectivas.
Desde todos los sectores políticos y la televisión
nos dicen que podemos manifestarnos “siempre y cuando sea pacífico”. (Algunos
buenos ciudadanos se han apropiado de los chalecos amarillos que se usaron en las
protestas en Francia para distinguirse como aliados de la policía y tienen sus
propias técnicas para mantener el orden). Pero incluso cuando las personas se
manifiestan de la manera menos ofensiva y más cultural,la policía reprime con
fuerza. Tienen pavor a que pasemos mucho tiempo juntos…
El Estado tiene las manos llenas de sangre y nos
dice que lo hace para darnos paz. Son muy pocos quienes le creen y, a pesar de
la enorme violencia que ha usado, nadie le tiene miedo. De hecho, han
proliferado núcleos que practican de manera extendida la violencia ofensiva y
la autodefensa contra las "fuerzas del orden" en las manifestaciones.
Y es que la mayoría sentimos que no tenemos nada
que perder. Por todos lados vemos que no hay futuro en esta sociedad. Por una
parte, la televisión no deja de inundarnos con noticias sobre la catástrofe ambiental
que luego nos quiere hacer olvidar mostrándonos publicidad de cosas que no
podemos comprar. Por otra, vemos que ser anciano en este Chile es un infierno.
La gente puede trabajar toda su vida y jubilarse con una pensión miserable. De
hecho, los ancianos tienen que seguir trabajando hasta morir y no estoy exagerando.
Hace 5 años atrás hizo noticia un caso de un jardinero que trabajaba frente al
Palacio de La Moneda (sede del presidente) y que murió sentado en una banca en
la misma plaza que se había pasado limpiando los últimos años de su vida. Tenía
80 años.
Hay quienes quieren encauzar esta irrupción en la
creación de una nueva constitución. La que tenemos viene de la época de
Pinochet y es la que avala el saqueo. La demanda de una asamblea constituyente
para generar la nueva constitución es algo que resuena cada vez más entre
ciertos grupos. A veces temo que si se concediera eso se terminaría secando la potencia
de este movimiento. Pero, por otro lado, pienso que tal constitución, si
realmente respondiera a las múltiples demandas del pueblo, implicaría tal
modificación del orden de cosas que sería otro Chile donde tal vez la propia
constitución ya no tendría sentido de existir: esta revuelta está cuestionando
intuitivamente los cimientos de la estructura social capitalista.
Este momento parece ser la única tierra fértil. Y
por unos días todo ha parecido posible. Han aparecido muchas asambleas
autoconvocadas en los vecindarios. Ciertas ciudades golpeadas por la contaminación
de las industrias extractivistas han confrontado a los grandes capitales y detenido
sus faenas, etc. Ver brotar esa organización espontánea ha sido muy
apasionante.
Las manifestaciones continuan siendo masivas y
parecen una fiesta. La gente se ve más contenta en las calles tomadas, las
personas bailan, cantan, comparten ideas, comidas, sonrisas. Nadie sabe cómo
irá a seguir esto. Por el momento, seguimos disfrutando de habernos encontrado,
apostando por la potencia de vernos y sentirnos.
¿Qué hace falta para avanzar en la destrucción de
este orden que parece que se viene a abajo sin nuestra intervención? ¿Solo se
trata de vivir nuestras vidas a contracorriente de las demandas del capital?
¿No intentar derrocar el sistema en su conjunto, sino que dedicarnos a construir,
entre estas ruinas, nuestra organización, aquí y ahora, con todos los límites y
potenciales de las circunstancias?