mercoledì 4 gennaio 2023

Raoul Vaneigem in guisa di buon anno SALUTO AI GILETS JAUNES

 



L'emergere in Francia dei Gilet jaunes è stato un tuono nel cielo della mediocrità. La loro presenza catalizzava oscuramente una forza insurrezionale che si stava svegliando in tutto il mondo. L'ironia della storia ha voluto che apparissero in un paese dove l'abiezione e la stupidità oscuravano l'Illuminismo di un tempo.

L'alleanza paradossale di una volontà pacifica e di una determinazione infallibile ha precipitato nella paura e nello stordimento un governo che sonnecchiava confidando nella stupidaggine mercantile delle folle. La mediocrità dei capi di Stato, dei notabili e delle élite sembrava così esemplare che al carrozzone dello Stato non restava, per usare un'espressione scherzosa di monsieur Prudhomme, che "navigare su un vulcano".

Da destra a sinistra, un disprezzo unanime ha accolto i Gilets jaunes. Chi erano questi intrusi che improvvisamente riscoprivano l'ispirazione della Comune di Parigi, la gioia del maggio 1968, la tranquilla sicurezza degli zapatisti, quando molti ne avevano solo una conoscenza rudimentale? È stato un bel momento d’ilarità sentire il cerchio degli intellettuali e degli esperti di pensiero critico trattare da idioti degli individui che scoprivano in se stessi e tra di loro la presenza di una vita le cui necessità quotidiane li tenevano - e continuano a tenere tutti noi - crudelmente separati. Di questo impulso vitale, hanno propagato spontaneamente la coscienza pratica, ludica, poetica.

I Gilets jaunes non appartengono né alla plebe né al proletariato. Per lo Stato e il conservatorismo, sono dei piantagrane da passare per le armi. Il populismo di stampo fascista pensava di poterli divorare. Ne è rimasto soffocato al primo boccone. Il gauchismo li avrebbe volentieri agghindati del vecchio costume proletario se l'apparato sindacale e politico, smanioso di offrire la sua tutela, non si fosse scontrato con un netto rifiuto da parte delle e degli insorti.

La loro autorganizzazione informale si basa su pochi principi sommari e radicali: niente capi, niente apparati politico-sindacali, niente rappresentanti autoproclamati, priorità assoluta all'essere umano. Nessun movimento insurrezionale ha segnato così risolutamente, fin dall'inizio, la sua volontà di un mondo nuovo in rottura assoluta con le nostre società di predazione, potere, sacrificio, spirito militare.

La scossa sismica che scuote la società planetaria non si riduce a una sommossa, né a una rivolta o a una rivoluzione. Segna il riemergere di una vita che la civiltà del Profitto ha condannato a deperire. Spezza il peso di una letargia millenaria. La sua coscienza non è nata, come nel Settecento, dalla lucidità di brillanti pensatori. È una parola anonima, balbettante. È ancora sotto il timore confuso di aver osato l'impossibile. Tuttavia, la sua presenza è là, non si soddisfa di parole perché sente che anche le parole devono rinascere. Dal Chiapas all'Iran, una poesia della sovversione sociale spinge verso i lidi più disparati le sue onde fragili, effimere ma incredibilmente irresistibili.

I pretesti invocati al primo approccio sembravano futili: tasse, biglietto della metropolitana, disprezzo da parte dello Stato. Molti si limitano ancora a rivendicazioni di sopravvivenza. Nessuno, però, si sbaglia. Sotto tutto ciò c’è qualcosa di più profondo. La gioia che fa danzare sulle rotatorie, sulle strade e nei cuori emana dal desiderio di vivere liberi. Nessuna rivendicazione sociale ha mai mostrato tanta tenacia, tanta pacata determinazione. Tutto indica che si tratta di un fenomeno che sorpassa gli iniziatori del movimento, perché - prima o poi lo capiranno - questo superamento lo portano dentro.

Non serve un sociologo per individuare in seno ai Gilet jaunes qualche razzista, antisemita, omofobo, misogino, retro fascista, retro bolscevico, psicopatico, ritardato mentale. La folla tradizionale ha sempre privilegiato l'individualismo a discapito dell'individuo ed eccelle nel privilegiare l'aggressività delle emozioni represse sull'intelligenza del vivente. Tuttavia, ciò che il movimento dei Gilet jaunes ha promosso fin dall'inizio è un senso umano che esclude il riflesso predatorio e garantisce il predominio del mutuo soccorso e dell'autonomia individuale. Anche se questo movimento scomparisse, avrà sparso ovunque i semi di un'insurrezione della vita quotidiana e di una primavera che “sboccia in ogni stagione”.

Essendo da tempo propenso a disprezzare le bandiere, mi sono reso conto che gli emblemi della Francia branditi dai Gilet jaunes non si spiegavano al vento nauseabondo del nazionalismo ma sventolavano al soffio della Rivoluzione francese, brezza portatrice delle nostre rivoluzioni presenti e future. Due secoli di sciovinismo ci hanno privato del ricordo che, nonostante la sua sanguinaria magniloquenza, la Marsigliese fu il canto inaugurale dei sollevamenti che, nell’Ottocento e nel Novecento, sconvolsero il mondo.

La poesia non cade dal cielo, nasce nei bassifondi dell'esistenza. Nessuna misura, nessun calcolo determina l'intensità di ciò che si propaga per risonanze piuttosto che per parole d'ordine. Sbarazzata dei tribuni, dei manipolatori, degli intellettuali fieri di esserlo, la ribellione del vivente apre spontaneamente la strada a una libertà autenticamente vissuta.

 

La stupidità è contagiosa, l'intelligenza è empatica. Qualche germe di radicalità è in grado di fertilizzare i terreni più sterili. La qualità vince sempre sulla quantità. Non preoccupatevi del numero! La civiltà delle cifre è finita! Lasciate che i sostenitori della disperazione aggressiva vi trattino da sognatori. Fanno parte della stirpe che decreta, da secoli, che la vita acceca e la morte rende lucidi.

 

È a partire dalle piccole realtà locali che prende senso la lotta per la qualità della vita e l'eliminazione delle nocività. Separato dalle sue radici viventi, il progetto di emancipazione umana è solo un'astrazione. La coscienza del vivente è la nostra radicalità. La quale è imprescrittibile.

 

Raoul Vaneigem, 31 dicembre 2022





SALUT AUX GILETS JAUNES

 

         Ce fut, dans le ciel de la médiocrité, un coup de tonnerre, que l’émergence en France des Gilets jaunes. Leur présence catalysait obscurément une force insurrectionnelle qui s’éveillait partout dans le monde. L’ironie de l’histoire voulut qu’ils fissent leur apparition dans un pays où l’abjection et la sottise occultaient les Lumières de jadis.

         La paradoxale alliance d’une volonté pacifique et d’une détermination sans faille plongea dans la peur et l’hébétude une gouvernance qui somnolait en faisant confiance au décervelage mercantile des foules. La médiocrité des chefs d’État, des notables, des élites passait à ce point pour exemplaire que le char de l’État n’avait plus, selon la plaisante expression de monsieur Prudhomme, qu’à « naviguer sur un volcan. »

         De la droite à la gauche, un mépris unanime accueillit les Gilets jaunes. Qui étaient ces intrus redécouvrant soudain l’inspiration de la Commune de Paris, la joie de Mai 1968, la tranquille assurance des zapatistes, alors que beaucoup n’en avaient qu’une connaissance rudimentaire ? Ce fut un beau moment d’hilarité que d’entendre la coterie intellectuelle et les experts  en  pensée critique traiter d’abrutis des êtres qui découvraient en eux et entre eux, la présence d’une vie dont les nécessités quotidiennes les tenaient - et continuent de nous tenir - cruellement éloignés. Cette pulsion vitale, il en propagèrent spontanément la conscience pratique, ludique, poétique. 

         Les gilets jaunes n’appartiennent ni à la plèbe ni au prolétariat. Pour l’État et le conservatisme, ce sont des trublions à passer par les armes. Le populisme fascisant croyait pouvoir les dévorer. Il s’en est étouffé à la première bouchée. Le gauchisme les aurait volontiers affublés de la vieille défroque prolétarienne si l’appareil syndical et politique, empressé d’offrir sa tutelle, ne s’était pas heurté de la part des insurgées et des insurgés à une fin de non-recevoir.

         Leur auto-organisation informelle repose sur quelques principes sommaires et radicaux : pas de chefs, pas d’appareil politico-syndical, pas de représentants autoproclamés, priorité absolue à l’être humain. Aucun mouvement insurrectionnel n’a marqué aussi résolument, dès le départ, sa volonté d’un monde nouveau en rupture absolue avec nos sociétés de prédation, de pouvoir, de sacrifice, d’esprit militaire.

         La secousse sismique qui ébranle la société planétaire ne se réduit ni à une émeute, ni à une révolte, ni à une révolution. Elle marque le sursaut d’une vie que la civilisation du Profit a condamné à dépérir. Elle brise le carcan d’une léthargie millénaire. Sa conscience n’est pas née, comme au XVIIIe siècle, de la lucidité de brillants penseurs. C’est une parole anonyme, balbutiante. Elle est encore sous le trouble apeuré d’avoir osé l’impossible. Mais sa présence est là, elle se passe de mots parce qu’elle pressent que les mots eux aussi doivent renaître. Du Chiapas à l’Iran, une poésie de la subversion sociale pousse vers les rivages les plus disparates ses vagues frêles, éphémères et incroyablement irrésistibles.

         Les prétextes invoquées au premier abord, paraissaient futiles : taxe, ticket de métro, mépris étatique. Beaucoup se cantonnent encore à des revendications de survie. Mais personne ne s’y trompe. Il y a, là-dessous, quelque chose de plus profond. La joie qui fait danser les ronds-points, les rues et les cœurs émane d’une volonté de vivre libre. Aucune revendication sociale n’a jamais fait montre d’une telle persévérance, avec une aussi tranquille détermination. Tout indique qu’il y a là un phénomène qui dépasse les initiateurs du mouvement, parce que - ils le comprendront tôt ou tard - ce dépassement ils le portent en eux.

         Il ne faut pas être grand clerc pour repérer au sein des Gilets jaunes l’un ou l’autre raciste, antisémite, homophobe, misogyne, rétro-fasciste, rétro-bolchevik, psychopathe, demeuré mental. La foule traditionnelle a toujours privilégié l’individualisme aux dépens de l’individu, elle excelle à faire primer sur l’intelligence du vivant l’agressivité des émotions refoulées. Or, ce qu’a promu dès le départ le mouvement des Gilets jaunes, c’est un sens humain qui exclut le réflexe prédateur et garantit la prédominance de l’entraide et de l’autonomie individuelle. Même si ce mouvement disparaît, il aura propagé partout les germes d’une insurrection de la vie quotidienne et d’un printemps qui « fleurit en toute saison. »

         Enclin de longue date à mépriser les drapeaux, j’ai réalisé que les emblèmes de la France, brandis par les Gilets jaunes, ne se déployaient pas au vent nauséabond du nationalisme mais claquaient au souffle de la Révolution française, porteur de nos révolutions présentes et à venir. Deux siècles de chauvinisme nous ont ôté de la mémoire qu’en dépit de sa grandiloquence sanguinaire la Marseillaise fut le chant inaugural des soulèvements qui, du XIXe et XXe siècle, ébranlèrent le monde.

         La poésie ne tombe pas du ciel, elle naît dans les bas-fonds de l’existence. Aucune mesure, aucun calcul ne détermine l’intensité de ce qui se propage par résonances plutôt que par mots d’ordre. Débarrassée des tribuns, des manipulateurs, des intellectuels fiers de l’être, la rébellion du vivant fraie spontanément les voies d’une liberté authentiquement vécue.

        

La bêtise est contagieuse, l’intelligence est empathique. Quelques germes de radicalité sont de nature à fertilisent les terres les plus stériles. La qualité l’emporte toujours sur la quantité. Ne vous inquiétez pas du nombre ! La civilisation du chiffre, c’est fini ! Laissez les tenants du désespoir agressif vous traiter de chimériques. Ils sont de l’engeance qui décrète, depuis des siècles, que la vie aveugle et que la mort rend lucide.

        

C’est au départ de petites entités locales que prend son sens la lutte pour la qualité de la vie et l’élimination des nuisances. Coupé de ses racines vivantes, le projet d’émancipation humaine n’est qu’une abstraction. La conscience du vivant, c’est notre radicalité. Elle est imprescriptible.

 

Raoul Vaneigem, 31 décembre 2022