Il dibattito sul NUCLEARE tra talebani
(?) e apprendisti stregoni (!)
Effetto
Fukushima, il nucleare in Francia vacilla. “La forte crescita non ci sarà”
Dopo la tragedia giapponese del marzo scorso, il
colosso industriale Areva affronta la peggiore crisi della sua storia. Il
presidente Luc Oursel ha lanciato un nuovo piano strategico, ma gli
investimenti previsti entro il 2016 sono ormai stati ridotti di un terzo. E si prevedono imponenti tagli dei posti di lavoro
Sembra trascorsa un’epoca. Eppure non è passato
neppure un anno. Fino alla tragedia di Fukushima, nel marzo scorso, il nucleare
in Francia era solo sinonimo di futuro radioso, espansione, posti di lavoro. E,
di pari passo, Areva, il colosso industriale (con Edf)
del settore, addirittura il numero uno a livello mondiale, sembrava destinato a
un brillante avvenire. Sono bastati pochi mesi per capovolgere la situazione:
conti in rosso, posti di lavoro traballanti, prospettive incerte. Per Areva è
la crisi peggiore della sua storia. E non c’entra solo Fukushima.
Quella tragedia, che ha avuto riflessi oggettivi sul mercato del nucleare, e la
crisi che ne è derivata per il settore hanno fatto emergere problemi pregressi
e strutturali per Areva: errori di gestione (anche tecnica) dell’Epr, il
reattore all’avanguardia, di terza generazione, che i francesi volevano
rifilare anche agli italiani ai tempi di Berlusconi. E le incertezze dovute
all’eccessivo peso della politica sui destini del colosso.
Piano di rilancio: tagli, tagli e solo tagli. Ieri Luc Oursel, alla guida di Areva dal giugno
scorso, ha lanciato un nuovo piano strategico. Action 2016 punta ad arginare la
crisi, che tocca tutti i settori di attività del gruppo: le miniere di uranio,
la produzione di combustibile, la fabbricazione di reattori e di componenti,
perfino lo smaltimento dei residui, altro grande business. Oursel ha promesso
da qui al 2015 risparmi pari a un miliardo di euro e cessioni di quote di società
controllate per un totale di 1,2. Gli investimenti previsti entro il 2016 sono
ormai stati ridotti di un terzo, a 7,7 miliardi. A breve le previsioni sono le
seguenti: il 2011 dovrebbe essere archiviato con perdite operative di 1,5
miliardi e nette “molto superiori a un miliardo”, ha ammesso Oursel.
Polemiche e incertezze sui posti di lavoro. La preoccupazione maggiore riguarda il fronte
dell’occupazione. Areva, controllata per l’87% dallo Stato, ha 48mila
dipendenti a livello mondiale, 30mila dei quali in Francia. Dove gli operai e i
tecnici di Areva sono praticamente i meglio retribuiti dell’industria (ma non i
numerosi precari cui il gruppo fa ricorso). La polemica sui possibili tagli ai
posti di lavoro è scoppiata oggi. I rappresentanti interni ad Areva della Cgt,
il sindacato principale, hanno sostenuto che il gruppo bloccherà le nuove
assunzioni. Come ribadito anche dal quotidiano La Tribune, si
tratterebbe di un totale compreso fra i mille e i 1.200 posti di lavoro
soppressi ogni anno (il numero previsto di coloro che andranno in pensione e
non saranno sostituiti) per un totale fra i 5 e i 6mila entro il 2016. Stamani,
però, Eric Besson, ministro dell’Industria, ha definito quelle cifre “pura
fantasia”. Mentre i vertici di Areva hanno indicato che “non verranno
sostituiti solo i dipendenti che andranno in pensione nelle attività non
industriali”, come dire fra i 200 e i 250. La situazione, comunque, resta molto
confusa.
Gli ostacoli del dopo Fukushima. Già nel settembre scorso Oursel aveva dovuto ammettere
al quotidiano Les Echos: “La forte crescita prevista per il nucleare
non ci sarà”. Dopo la tragedia giapponese la diffidenza nei confronti
dell’atomo è lievitata ovunque. La Germania (dove Areva ha 5.700 dipendenti) ha
già chiuso otto dei suoi 17 reattori: l’ultimo cesserà le sue attività nel
2022. Anche la Svizzera
ha deciso di abbandonare il nucleare, al pari del Belgio, mentre l’Italia ha
detto definitivamente no all’atomo con il referendum. Perfino il Giappone ha
sospeso gran parte dei suoi reattori per ispezione (solo 9 sono attivi su 54).
In Francia, addirittura, l’opinione pubblica comincia ad allarmarsi e il
nucleare è diventato uno dei principali argomenti nel dibattito delle
presidenziali della prossima primavera. Per Areva, il risultato di un contesto
del genere è il seguente: puntava alla vendita di 34 reattori entro il 2020. Ma
per il momento solo quattro contratti sono stati firmati. Sul nucleare tutti
nicchiano, mentre la concorrenza aumenta: Areva e Edf (l’altro colosso
francese, pubblico pure lui) devono affrontare rivali sempre più agguerriti,
come la sudcoreana Kepco, la russa Rosatom e i due colossi nippo-americani
Ge-Hitachi e Toshiba-Westinghouse.
Epr e UraMint, i problemi pregressi. A peggiorare la situazione di Areva, sono anche
altre vicende. Una riguarda l’Epr, il reattore di terza generazione ideato
dagli ingegneri del gruppo. Attualmente ce ne sono quattro in costruzione nel
mondo. Il primo a essere stato iniziato è quello di Olkiluoto, in Finlandia. Ma
i lavori, a causa anche di gravi errori tecnici e nella gestione del cantiere
da parte dei francesi, sono fortemente in ritardo. Oursel ha appena annunciato
di aver accantonato altri 150 milioni di euro, per un totale di 2,7 miliardi,
per coprire le maggiori spese dovute ai ritardi dell’Epr finlandese. Che
corrisponde a un contratto di tre miliardi: insomma, alla fine Areva non ci
guadagnerà nulla. Anzi, probabilmente ci perderà molti soldi. L’altra (triste)
vicenda riguarda l’acquisizione di UraMint, nel 2007. Questa promettente
start-up canadese venne comprata per la bellezza di 1,8 miliardi. L’idea era
mettere le mani sulle miniere di uranio possedute dalla società in Africa. Che,
pero’, si sono rivelate perlopiù poco redditizie, tanto da essere oggi in parte
inutilizzate. I vertici di Areva hanno già svalutato UraMint di 1,4 miliardi di
euro. Nel 2007 la transazione venne effettuata in un paradiso fiscale. E
proprio il Governo e l’entourage di Sarkzoy insistettero molto per sborsare
quella cifra spropositata. Il perché no è per niente chiaro.
Il difficile rapporto con lo Stato azionista. Le commistioni tra la politica e la gestione di
Areva rappresentano un ennesimo problema per il gruppo, al pari di altre
partecipate pubbliche. Fino al giugno scorso la guerra tra Sarkozy e l’allora
presidentessa tutta d’un pezzo, Anne Lauvergeon, sponsorizzata dalla sinistra,
ha avuto riflessi negativi sulla gestione di Areva, portando a notevoli
incertezze (ad esempio sull’aumento di capitale, poi varato l’anno scorso). In
più, Edf, capitanata da Henri Proglio, fedelissimo di Sarkozy, non ha esitato a
fare la guerra ad Areva, anche sui mercati esteri. Questo tipo di “manfrine”
dovrebbe essere evitato con Oursel, che è ben voluto anche dall’Eliseo. Ma i
vertici di Areva restano ostaggio della politica. E questo non è sempre un
bene. Pure la confusione sui possibili tagli all’occupazione è dovuta in parte
a questo. In agosto François Baroin, ministro dell’Economia, aveva chiesto ai
dirigenti di Areva “di accelerare gli sforzi di ristrutturazione per aumentare
la redditività”, che era un consiglio indiretto a tagliare posti di lavoro. Tre
mesi più tardi lo stesso Baroin ha chiesto a Oursel l’impegno esplicito “a non
licenziare nessuno”. I vertici di Areva non ci capiscono più nulla. L.
Martinelli, Il Fatto 13-12-2011
COMMENTI
e repliche
Ghirardi Sergio 14 dicembre 2011 alle 18:02
Con buona pace
di tutti i tifosi: dal nucleare non si può più uscire - perlomeno in tempi
storici-; si può soltanto (e meno male!) smettere di aumentare la nocività
incommensurabile che questo business comporta. Vedere pseudo scienziati e veri
apprendisti stregoni da tinello con tastiera e TV che sputano commenti, dati e
misure a pioggia per sostenere la loro volontà di servitù e la loro personalità
autoritaria succube dell’economia politica e di una concezione alienata di
progresso, mi preoccupa ancor più del potere della lobby nucleare che gioca
(cinicamente ma logicamente, per il profitto) alla roulette prima russa poi
giapponese e con tutta probabilità presto francese o chissà di dove.
Il nucleare è
l’esempio, a livello planetario, del trionfo della banalità del male redditizio
che avvelena il mondo. Un male non morale ma biologico, geologico perché esce
dalle comuni misure della storia e dello spazio tempo degli umani. I danni
ormai causati dal nucleare sono già spalmati su tempi metastorici e non è che
l’inizio. Lasceremo comunque in eredità per millenni alle generazioni future,
le scorie disastrose di una produzione energetica che non ha mai superato il 2%
mondiale ma ha già reso invivibili due ampie zone fortemente abitate del pianeta
e diffuso i suoi miasmi intorno a ogni centrale. Certo non è (ancora) la fine
della specie. Certo altre energie come quelle fornite da carbone e petrolio
sono estremamente inquinanti.
Per questo non
basta fermare il nucleare. Bisogna rivedere integralmente il rapporto dell’uomo
con l’uso alienato di energia, ma se le armi convenzionali hanno ucciso più
esseri umani della bomba atomica non per questo un conflitto nucleare può
essere banalizzato come una nocività tra le altre.
Il nucleare,
accompagnato dal resto di alienazione sociale della società produttivistica, ha
innescato l’obsolescenza dell’uomo la cui emancipazione dovrà essere ripensata
e ripresa appena il nucleare smetterà di essere la spada di damocle metastorica
sull’universo vivente del pianeta terra.
Replica
peakoil2010 15
dicembre 2011 alle 09:05
Il problema, specialmente in Italia, non e’ il
nucleare, o il gas, o il carbone… il problema e’ che c’e’ troppa gente laureata
in lettere e filosofia, che scrive frasi incomprensibili e vuote di qualsiasi
senso come
“… accompagnato dal resto di alienazione sociale
della societa’ produttivistica ha innescato l’obsolescenza dell’uomo la cui
emancipazione dovra’ essere ripensata e ripresa appena il nucleare smettera’ di
essere la spada di damocle metastorica sull’universo vivente…”
Troppo sindacalese e troppa poca matematica e logica,
nei discorsi sull’energia!
Un paese alla frutta.
Roberto
Le parole
riflettono le emozioni ancor prima che le convinzioni. Le tue sono volgarmente
ottuse indipendentemente da quale laurea accompagni eventualmente la tua
ignoranza diplomata.
Il non capire
una frase lascia aperto il dubbio tra la sua astrusità e l’ottusità del lettore
ma riconosco che i riferimenti impliciti a Anders, Arendt o alla teoria del
proletariato siano fastidiosi per i pragmatici della servitù volontaria. Ops
anche La Boetie,
che vergogna! arridatece del concreto, misurabile e vendibile.
l’ho già scritto per qualche altro talebano ma và
bene anche qui:
ANCHE L’ACCIDIA E’ UN INQUINANTE SE SEI COSTRETTO
A VIVERCI VICINO.
Andrebbe bene anche questo slogan: Chi soffre di
accidia inquina anche tè! DIFENDITI!!!
Replica di Ghirardi
Sergio 15 dicembre 2011 alle 12:59
Chi soffra
d’accidia o di idiozia è sempre e comunque un giudizio soggettivo e dunque
discutibile. Comunque vai a raccontarlo a Fukushima che si deve lottare contro
l’accidia anziché contro il nucleare.
Chi dice
cazzate pronucleari inquina anche il tè e lo rende imbevibile, proprio come in
Giappone, famoso per il tè e ora anche per le leucemie!
In Giappone
con 9 reattori in funzione su 54 se la cavano oggi come possono. Con 54 in funzione hanno
impestato ieri un terzo del territorio.
Il nucleare si
autoelimina lentamente ma sta a noi, mentre tu ti batti come un leone contro
l’accidia e gli altri peccati capitali, accelerare il processo di
denuclearizzazione prima di impestare tutto il pianeta irreversibilmente.
FUKUSHIMA 17-12-2011
L’accidia colpisce ancora!
Mentre circa 80mila persone aspettano di
poter sapere se e quando sarà possibile fare ritorno con sicurezza nelle
proprie case, il governo nipponico, qualche giorno fa ha ammesso che le
operazioni di “pulizia” dell’area colpita dalle radiazioni potrebbero
richiedere fino a 40 anni. Non solo, molti esperti di impianti
nucleari fanno rilevare che, anche ammesso che la stabilizzazione sia
effettivamente avvenuta, un nuovo terremoto nella zona o un nuovo tsunami
potrebbero risultare fatali per l’impianto e i suoi reattori. L’emergenza,
quindi, con buona pace del primo ministro Noda, è tutt’altro che chiusa.