José Bové si era fatto conoscere
anni fa come rappresentante del sindacato contadino francese de la Confédération Paysanne per una
partecipazione assidua alle azioni di resistenza all’introduzione degli OGM in
agricoltura.
Con altri “faucheurs d’OGM” (falciatori di OGM) ha subito diversi processi
intentati dalle multinazionali del business transgenico e ha pure purgato in
proposito un po’ di prigione.
Eletto al parlamento europeo con
il gruppo ecologista di Cohn-Bendit (EE-LV) ha poi abbandonato la critica al
Trattato europeo contro il quale si era appena battuto vittoriosamente sostenendo
il no al referendum del 2005, prima di essere eletto in Europa con gli
ecologisti del sì che partecipano oggi supinamente al governo socialcapitalista
di Hollande.
Incoerenza più o meno, sembra
ormai pacatamente rientrato come un buon riformista nell’ovile redditizio della
democrazia parlamentare, accedendo ai 7000 euro del salario di base da deputato
europeo.
Comunque sia, nel momento della
grande diatriba suscitata dalla ricerca del dottor Séralini che ha denunciato i
gravi rischi per la salute inerenti all’uso del mais OGM NK 603 della Monsanto,
questo suo articolo (su Libération del 5/10/2012), lontano anni luce da ogni
passione partigiana e da qualunque bellicosità radicale, mi è sembrato sottolineare
ancor meglio l’intollerabilità della messa in mora del principio di precauzione
contro la sfrenata ingordigia degli affaristi delle mutazioni genetiche
artificiali. La loro cinica spinta produttivistica e le manipolazioni
mediatiche di cui sono da tempo gli autori non dovrebbero ormai lasciare più
dubbi se non tra gli schiavi predestinati di una servitù sempre più volontaria.
Sergio Ghirardi
Eccone la traduzione:
Non sono uno scienziato e non mi
permetterei d’impormi in un dibattito sulla metodologia da impiegare per sperimentare
su dei topi di laboratorio una varietà di mais OGM NK 603 fabbricato dalla
Monsanto. La polemica sta crescendo di giorno in giorno ben oltre i circoli
degli esperti delle tecnologie transgeniche. Le critiche infuriano sul tipo di
topi utilizzati dal dottor Séralini e dalla sua equipe per realizzare la loro
ricerca. Le dosi utilizzate sono passate al setaccio. Domani saranno ugualmente
messi in discussione altri criteri, come la taglia delle gabbie, l’intensità
luminosa, la temperatura dei locali e chissà che cos’altro ancora.
Per molti, il dott. Séralini è
chiaramente identificato nella comunità scientifica come un anti-OGM.
Dall’altra parte, in un’intervista concessa a caldo a “Le Monde” del 20 settembre, M. Gerard Pascal, ex ricercatore
dell’Inra, smontava i risultati ottenuti dal suo collega senza avere una
conoscenza sufficiente dei lavori in questione. L’articolo non precisava che M.
Pascal, ancora nel 2010, era membro del consiglio d’amministrazione dell’International Life Sciences Institute (ILSI). L’Ilsi è una lobby mondiale
dell’agroalimentare che raggruppa le principali multinazionali delle
biotecnologie. Fin dal settembre 2010, avevo personalmente denunciato il fatto
che madame Bannati, presidente
dell’autorità europea per la sicurezza degli alimenti (AESA) era anche membro
dell’Ilsi. Questo conflitto d’interesse era inaccettabile. Dopo due anni di
pressioni, madame Bannati ha
finalmente dato le dimissioni dall’AESA per diventare la direttrice dell’Ilsi
in Europa. Nella comunità ambientalista, M. Gerard Pascal è chiaramente
identificato come uno scienziato attivista pro-OGM.
Smettiamo, dunque di far finta di
non vedere: gli scienziati sono persone come le altre, influenzate dai loro
incontri, dai loro percorsi professionali, dalla loro sensibilità filosofica e
politica e, come un buon numero di salariati, dalla paura di perdere il posto.
In tali condizioni, il postulato dell’imparzialità della scienza vola in pezzi
soprattutto quando si tratta di valutare delle tecnologie messe sul mercato da
attori economici che attendono dei ritorni sull’investimento in denaro contante
e tintinnante, ritorni traducibili in brevetti e licenze di sfruttamento.
Per rendere le cose ancora più
complesse, i governi hanno costretto poco a poco le università e i laboratori
pubblici a lavorare in stretto partenariato con le imprese. I cercatori devono,
ora, far funzionare il loro laboratorio e pagare i collaboratori con denaro
investito da imprese. La Commissione europea propone di amplificare
quest’orientamento con la sua proposizione quadro sulla ricerca, Orizzonte
2020, che rinforza la privatizzazione della ricerca pubblica subordinandola un
po’ di più ancora al settore privato.
La controversia sui risultati
dello studio del dott. Sérafini e sulle biotecnologie in generale è salutare.
Necessita una risposta urgente: fare dei nuovi studi sulla tossicità degli OGM
su un arco di due anni, finanziati da fondi pubblici che associno nella
concezione e nella realizzazione alcuni scienziati pro-OGM e altri anti-OGM.
Nell’attesa dei risultati di questi lavori, la Commissione europea deve imporre
una moratoria sugli OGM coltivati in Europa o importati, sospendendo l’adozione
dei futuri regolamenti sulla loro valutazione. Parallelamente non possiamo più
evitare il dibattito su delle questioni fondamentali per l’avvenire delle
nostre società vincolate dalle tecniche. Come costruire o inventare una verifica
indipendente che permetta ai politici di valutare i rischi potenziali
sconosciuti? Come valutare l’utilità sociale di queste tecnologie per l’insieme
della società? Come differenziare la pressione tecnologica e la ricerca
scientifica?
L’ora è giunta di mettere attorno
a un tavolo la diversità dei campi del sapere per elaborare le basi di una
verifica sugli OGM che inglobi contemporaneamente il tappeto del laboratorio,
il campo del contadino e il piatto del consumatore.
José Bové,
Eurodeputato. Vicepresidente della Commissione Agricoltura e sviluppo rurale al
Parlamento Europeo